LO SVILUPPO DEL POTENZIALE UMANO – 3

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LO SVILUPPO DEL POTENZIALE UMANO – 3

da “Enciclopedia olistica”

di Nitamo Federico Montecucco ed Enrico Cheli

Nitamo Montecucco

Vi do il benvenuto a Bagni di Lucca e al Villaggio Globale.

Il Villaggio Globale è il frutto di una ricerca, quella che l’ingegner Serrano chiamava curiosità
scientifica, che non è solo scientifica ma anche interiore. C’è una scienza della materia e c’è una
scienza dello spirito. Persone diverse, che hanno esplorato aree di confine nel campo della
conoscenza e che sono andati a scoprire nuovi spazi di esperienza, finalmente hanno deciso di creare
un punto di riferimento e di cooperazione: il Villaggio Globale.

Il Villaggio Globale vuole essere un punto di riunione di tante scuole, tante famiglie, tante
scienze, tante opinioni, tante vie spirituali, proprio perché noi in questo momento storico ci
stiamo affacciando ad una nuova epoca. Nella storia dell’umanità non abbiamo mai avuto un pianeta
unito, anzi la storia è fatta soprattutto di conflitti e di guerre. Chi vinceva acquisiva territori
sempre più vasti che poi si disgregavano e venivano riacquisiti da altri popoli, da altre religioni,
da altri imperatori o reggenti; quindi le vicissitudini storiche sono state finora un succedersi di
frammentazioni e di sporadiche riunioni. Ora, per la prima volta nella storia, l’essere umano ha una
grande opportunità, quella di diventare cittadino del pianeta, cioè di costruire una civiltà che sia
realmente planetaria. Questo comporta una serie di aperture incredibili; fino a pochi anni fa una
persona nasceva in un luogo e si identificava totalmente con la sua cultura, con la sua lingua, con
la sua religione. Adesso è in atto un processo che chiamiamo di globalizzazione e che porta alla
fusione di mercati, di lingue, di religioni, di idee. Ci troviamo perciò in un momento di estremo
caos. Dobbiamo fare fronte ad un’enorme quantità di informazioni diverse e talora contraddittorie, a
volte positive a volte negative. Prima avevamo un’unica religione o un unico maestro, ora abbiamo
infiniti maestri, infiniti guru, alcuni buoni altri meno buoni; prima c’era solo la medicina che ci
passava la nostra cultura, ora abbiamo infinite medicine, alcune buone e alcune meno buone; così
avviene per le filosofie ed i linguaggi. Ci dobbiamo confrontare con una miriade di esperienze
umane, religiose e spirituali. Anche all’interno delle religioni cosiddette istituzionali abbiamo
sia esperienze autentiche che esperienze false e svuotate del vero senso della spiritualità. In
questo momento è importante riunire gli aspetti migliori di tutte queste esperienze e trovare dei
punti di riferimento comuni.

In questo convegno il confronto avviene all’interno della classe medica e psichiatrica più evoluta,
quella che più si apre a nuovi confini, a nuove ricerche, a nuove esperienze. E’ un convegno
inusuale per la psichiatria. Il titolo è “Le vie comuni all’estasi”. Notate la sincronicità: il 13
di maggio del ’78 veniva varata la legge 180, conosciuta anche come legge Basaglia, che portò alla
chiusura degli ospedali psichiatrici. Vent’anni dopo ci troviamo qui a rifondare un momento nuovo
della storia della psichiatria italiana e internazionale – sono pochissime nel mondo le iniziative
di questo tipo – una psichiatria aperta a nuovi campi di indagine.

Come mai la psichiatria è interessata all’estasi? Il malato psichiatrico è considerato spesso come
un sottoprodotto, un elemento marginale della società, che non riesce ad arrivare al livello della
normalità e che soffre di atroci disagi; che cosa c’entra con l’estasi, che viene invece vista come
un’elevazione al di sopra della normalità? Il santo è colui che va più avanti della persona normale,
va più avanti anche del saggio ed entra in contatto con il divino, attraversa esperienze molto
elevate.

La nostra convinzione è che alla base del disagio psichico ci sia un arresto dell’evoluzione
interiore. Forse si ammalano quelle persone che, essendo più sensibili, non hanno trovato nella
nostra società adeguati canali per sostenere la loro interiorità ed il loro sviluppo spirituale.
Forse queste persone avrebbero particolare bisogno di una comunicazione più sottile, più empatica,
più umana; forse esse hanno meno strumenti di linguaggio e meno forza egoica, e sono perciò più
soggette a subire il confronto col mondo che non ad adattarsi.

Prima il dott. Betti parlava di adattamento alla società inteso come recitazione. Visto che stiamo
giocando in una società e ognuno si veste e si maschera in un certo modo per apparire agli altri
secondo una certa logica, perché mai poi dovremmo fare teatro e ri-mascherarci una seconda volta?
Sarebbe una vera confusione: individui mascherati che giocano in maschera! Invece una persona che
non ha questa elasticità, che non riesce mascherarsi, resta in qualche maniera più integro ma più
suscettibile di essere ferito; quindi diventa un malato che non riesce più trovare un adattamento ed
un equilibrio. Eppure potrebbe ottenere grandi risultati se solo riuscisse a riprendere la sua
evoluzione naturale, a sviluppare le sue potenzialità interiori. Noi parliamo di cammino spirituale
come fosse una meta eccezionale, ma a volte la spiritualità è semplicemente il poter condividere la
bellezza di un momento, di un fiore, di un gesto; non è l’andare chissà dove nel mondo. Spiritualità
è saper cogliere l’istante, è penetrare profondamente nel presente e sentire che è degno di essere
vissuto, è percepire che forse il divino non è solo lassù (che poi viene sempre contrapposto al
“laggiù”, cioè al demonio) ma è una presenza che circonda le cose.

Consideriamo il più celebre dei nostri mistici, San Francesco, patrono dell’intera Italia: egli può
essere definito e analizzato come un soggetto psichiatrico, come vi spiegherà il dott. Betti. Tanti
nel mondo sono stati definiti pazzi e poi sono stati riscoperti come dei mistici; il confine è
veramente sottile. Pensiamo a tante storie di repressioni, dallo stesso Gesù, a Mansur, a Pitagora;
grandi mistici vennero massacrati dalla società a loro contemporanea perché apparivano troppo
diversi, perché non si erano inseriti o addirittura mettevano in gioco i valori della società
stessa.

Noi in questo momento ci troviamo in una situazione difficile, perché non abbiamo gli strumenti per
valutare ciò che è la verità. Che cos’è la verità? Ciò che è vero per me? Può anche darsi, ma magari
in un certo momento della mia vita anche un ciarlatano che mi ipnotizza può farmi credere che io sto
bene, o, se non so cosa c’è di più importante, anche una medicina ufficiale mi può convincere di
essere la migliore medicina.

Dobbiamo formare un circolo di ricercatori che attraverso un metodo, il metodo del dialogo e della
retta conoscenza come dicono i buddisti, cerca di interpretare i dati della realtà confrontandoli
tra loro ed, evitando ogni presa di posizione aprioristica, cerca di vedere cosa può essere utile
per noi e per coloro che intorno a noi soffrono di più.

Attraverso forme dinamiche di meditazione può essere indotto uno stato di squilibrio emotivo che
sfocia in un’esperienza di catarsi e di crescita interiore. Mi ricordo un avvenimento accaduto circa
20 anni fa, in occasione di un festival della meditazione tenuto al centro civico di Pordenone, dove
avevo tenuto una conferenza sulla meditazione e sui suoi effetti terapeutici. C’erano state molte
domande, una grandissima attenzione, e un gruppo mi aveva chiesto di fare un’esperienza diretta e
coinvolgente. Decisi di far loro sperimentare la meditazione dinamica, cioè la tecnica del caos e
della follia per eccellenza. Essa si basa su una respirazione intensa e caotica, della durata di
circa quindici minuti, che produce uno stato di leggera confusione mentale. Con l’iperventilazione
viene a mancare il controllo inibitorio esercitato dalla corteccia cerebrale sui centri
sottocorticali. In questo modo possono emergere in modo violento emozioni represse. L’intera tecnica
dura in totale un’ora e conduce ad uno stadio finale di profonda meditazione, cioè di silenzio
interiore.

In pratica, si prende un sistema, si destabilizza e si porta verso una condizione di caos. Ciò
consente di vivere una fase liberatoria e catartica. Nella nostra società, se io mi mettessi qui a
urlare, mi prenderebbero per un matto. Con questa tecnica si crea uno spazio protetto in cui le
persone sono invitate ad esprimere per quindici minuti le loro emozioni e le loro pulsioni; possono
piangere, ridere, urlare, arrabbiarsi, picchiare per terra i pugni o i piedi, lasciare emergere
quegli stati emotivi che per lungo tempo hanno trattenuto. In quei quindici minuti si può assistere
ad una serie di manifestazioni psicopatologiche. C’è chi urla, chi si rinchiude in sé, chi piange
disperatamente, chi diventa come un bambino, chi va in depressione, chi diventa autistico. Sembrano
tutti matti. Ma la cosa importante è che dopo questa fase di squilibrio subentra una fase di
ri-equilibrio e di grande rilassamento. La persona, sempre ad occhi chiusi, viene invitata ad
entrare in contatto con la sua parte profonda, col proprio cuore, col proprio respiro, col proprio
silenzio. Si vedono i volti delle persone che improvvisamente si trasfigurano, trovano una loro
bellezza, una loro pace interna molto più profonda di quella iniziale.

Tutti noi abbiamo dentro queste energie represse e pronte ad emergere. Un paziente psichiatrico può
essere una persona che non riesce a sopportare queste emozioni e queste pulsioni, non riesce a
controllarle, e quindi ogni tanto esplode.

La psicologia transpersonale è nata molti anni fa ad opera di un gruppo di psicologi e psichiatri
tra cui un italiano, Assagioli, e celebri studiosi come Maslow e Grof. Secondo questa prospettiva
l’essere umano possiede potenzialità che vanno al di là dello stato di coscienza ordinaria e della
personalità esteriore. Egli può ampliare il proprio stato di coscienza e realizzare livelli di
esperienza transpersonale. Questi stadi transpersonali possono essere considerati come dimensioni
spirituali o sacre. Questo tipo di psicologia, soprattutto in America dove si è sviluppata per
prima, ha dato risultati di enorme portata, per cui si sono viste le vecchie scuole, ad esempio di
psicologia junghiana, trasformarsi in scuole di psicologia transpersonale, o le scuole di lavoro sul
corpo diventare transpersonali. Per esempio, Lowen, discepolo di Reich, aveva iniziato con tecniche
analoghe a quelle che vi ho appena descritto, cioè basate sul concetto della catarsi, sulla
liberazione delle emozioni trattenute. Dopo quindici anni di lavoro, ha scritto “Il corpo e la
spiritualità”, perché si è accorto che le persone, liberando questi impulsi trattenuti, ritrovavano
qualcosa di molto più profondo che non semplicemente un equilibrio psicosomatico: ritrovavano se
stessi ed un senso più autentico della vita.

In questo momento, in cui anche l’intero pianeta sta subendo una fase di dissesto e di caos, noi
dobbiamo riunire queste conoscenze; abbiamo proposto di creare qui a Bagni di Lucca, a Villa
Demidoff, un centro di documentazione e ricerca, dove le ricerche olistiche in ogni ambito
dell’esperienza umana possano essere conservate e catalogate. In questo modo psicologi, medici e
psichiatri possono comunicare le loro idee e le loro esperienze cliniche, oppure possono richiedere
informazioni sui trattamenti effettuati in altre parti del mondo.

Abbiamo intenzione di riproporre questo incontro nella primavera del 2000, in modo da avere il tempo
per approfondire la riflessione, raccogliere la documentazione e ritrovarci, dopo due anni, con una
serie di dati più consistenti in mano. Le sperimentazioni proposte da Serrano, da Caddeo, che sarà
qui domani, da Margnelli e le mie con l’Olotester, possono ridare una maggiore dignità e umanità
alla ricerca scientifica. Possiamo, in questo modo, imprimere un’accelerazione, far compiere un
passo in avanti alla coscienza medica e in particolare a quella psichiatrica. Credo che ormai i
tempi siano maturi. Questo processo di globalizzazione in tutto il mondo procede da sé; in Italia
girano sciamani provenienti da tutto il modo, lama tibetani, come Lama Gangchen che sarà qui
presente domani. Purtroppo girano anche finti sciamani, finti maestri e finti medici. Perciò
dobbiamo raccogliere il meglio di ciò che è disponibile sul mercato e confrontare le nostre
esperienze. La ricchezza di questo momento storico è unica. Al di là della turbolenza di questa
fine-millennio, con i suoi inquinamenti ed i suoi stress, cerchiamo di cogliere l’opportunità
storica e di diventare operatori di un processo di miglioramento della qualità scientifica, medica e
umana in generale.

Mario Betti

Nitamo mi ha invitato a parlare della psicopatologia di San Francesco d’Assisi. Può sembrare una
battuta, ma lo è solo in parte.

Immaginiamoci oggi un giovane che con i comportamenti che ebbe San Francesco prima di diventare
santo: dà scandalo su pubblica piazza, si ribella alle imposizioni del padre, vuole dare tutte le
sue ricchezze agli altri senza tenere niente per sé; poi comincia a fare strani discorsi, dice di
sentire la voce di Gesù che gli parla. Già a questo punto ci sarebbero una serie di elementi per cui
un medico o uno psichiatra, chiamato ad intervenire dalle autorità, potrebbe formulare con facilità
una diagnosi. Abbiamo innanzitutto i disturbi del comportamento, cioè atteggiamenti non congrui con
le regole conformistiche della società; inoltre questa persona “sente le voci”, presenta cioè
allucinazioni uditive; poi esprime idee di rinnovamento così abissale che possono essere
interpretate come un delirio: si può parlare, in questi casi, di deliri mistici, di deliri di
grandezza o di rinnovamento. Ebbene, in base a tutti questi segni, non ci sarebbe nulla di
scandaloso se questo giovane venisse preso e curato di forza. Se si ribella c’è sempre l’istituto
del TSO, Trattamento Sanitario Obbligatorio, a cui spesso si fa ricorso quando non si sa convincere
la persona; poi c’è la terapia con neurolettici, farmaci che ottundono e sedano. In genere i buoni
risultati si ottengono, nel senso che il delirio si attenua, le allucinazioni scompaiono e il
soggetto viene reintegrato, ben confezionato, nel suo contesto sociale.

Nulla vieta di pensare che molte persone, che esprimono in maniera un po’ caotica e dirompente le
loro potenzialità spirituali o evolutive, vengano curate e ricondotte sistematicamente alla norma
(intesa come normalità statistica). Anche un Francesco potrebbe ritornare a fare il bravo figlio ed
il mercante di stoffe più o meno frustrato e questo sarebbe considerato un grosso successo
terapeutico. Con questo non voglio banalizzare il problema della malattia mentale. E’ chiaro che c’è
tanta sofferenza, c’è bisogno di portare aiuto, e non tutti i casi vanno visti come un San Francesco
represso. Però teniamo sempre conto di questo: quante potenzialità evolutive vengono represse sulla
base di un imperante conformismo che condiziona il nostro operare!

Dobbiamo uscire da una concezione troppo ristretta della psichiatria, per scoprire gli aspetti
evolutivi del soggetto. Il progetto terapeutico deve aprirsi non soltanto all’esistenza nel mondo
esterno, ma anche all’esistenza interiore; le potenzialità evolutive della persona devono essere
rispettate e possibilmente sostenute. Questa è un po’ la scommessa di un nuovo salto di livello per
aiutare le persone che soffrono, ma anche per aiutare tutti noi.

Abbiamo ancora un po’ di tempo a disposizione per alcune domande.

Alessandro Guidi

Volevo fare qualche precisazione, in quanto sono uno psichiatra anch’io e mi sento tirato in causa.
Premetto il fatto che questo effetto “normalizzante”, tra virgolette, c’è sempre stato ed è
difficile da togliere, tant’è che anche il buon Francesco dovette andare dal Papa a giustificarsi di
ciò che diceva e faceva, e fra il diventare santo e l’essere bruciato in piazza il passo all’epoca
era breve. Detto questo, credo che nella psicosi in modo particolare ci sia una grossa quota di
sofferenza, in cui la creatività ci può essere ma è difficile che venga espressa. Il cliché del
pazzo che, nella sua pazzia riesce a fare grandi cose, a scrivere, a fare i quadri o le sculture, è
appunto un cliché; sono casi estremamente rari, è una minoranza piccola in confronto a quelli che
dalla psicosi ottengono solo una coartazione, un chiudersi in se stessi, una gabbia da cui non
riescono ad uscire. In questo senso sono d’accordo che il compito dello psichiatra non è quello di
chiudere in gabbia ancora di più quel poco di creatività che nello psicotico ci può essere, ma al
contrario – e qui si apre il grosso campo della psicoterapia che ha fatto dei passi enormi – di
aiutare lo psicotico ad esprimere, a ritrovare quella creatività che ha dentro di sé e non riesce a
tirare fuori. Oggi, nel 1998, a fronte di medici che ancora si fanno carico delle istanze
normalizzanti della società, c’è una larga fetta di psichiatri che invece cercano di dare dignità e
libertà di espressione a chi sta male. Di questo non possiamo non tenere conto.

Mario Betti

È vero, sono perfettamente d’accordo che la maggior parte dei pazienti con disturbi mentali sono
coartati, fermi, stagnanti. Mi viene in mente Laing, che diceva che la società attuale non reprime
l’individuo solo dal punto di vista delle pulsioni sessuali o aggressive, ma reprime l’individuo dal
punto di vista delle sue potenzialità spirituali.

Mettiamo che un paziente non ce la faccia a realizzare la sua vita secondo il modello imposto dalla
società attuale. Ad un certo momento si rompono dei meccanismi di equilibrio interiore. La rottura
può essere la condizione necessaria per realizzare un nuovo modo di essere, ma questa possibilità
viene impedita dalle convenzioni sociali. Nelle antiche culture religiose o sciamaniche, questo
cammino era previsto. Mi ricordo Nadia Stepanova, che nei suoi seminari, raccontava tutte le
sofferenze che ha attraversato. E’ stata portata da vari medici e psichiatri, è stata curata in
tutti i modi perché lei rifiutava la sua vocazione sciamanica. Questo rifiuto era dettato da un
condizionamenti familiari e sociali. Erano gli anni dello stalinismo e le pratiche sciamaniche erano
oggetto di persecuzione. Solo accettando questa sua vocazione e iniziando il suo percorso sacro, è
riuscita a guarire dalla malattie e a diventare una persona che dà un grande contributo alla sua
popolazione. Del resto, senza pensare alla malattia sciamanica, che è stata abbastanza studiata,
nella nostra cultura c’è il fenomeno della malattia creativa. Molti grandi pensatori e scienziati
hanno attraversato un periodo di gravi malattie, spesso con caratteristiche psicotiche o depressive.
Si ricordi la depressione ansiosa di Freud, la psicosi delirante e allucinatoria di Jung. Si possono
anche ricordare autori come Nietzsche o Schopenauer. Ellenberger propone uno studio accuratissimo
nel suo lavoro sulla scoperta dell’inconscio. Egli porta l’esempio di personaggi che sono riusciti a
superare la loro fase critica in maniera costruttiva. Questo è l’invito e la sfida di questo
convegno? Perché, anziché pensare a come sopprimere i sintomi, non si ricerca di capire quale
significato essi rivestono per il potenziale evolutivo della persona? Perché non ci chiediamo con
quali strumenti possiamo trasmutare i sintomi in una nuova visione del mondo e in un nuovo modo di
essere?

Congressista

Vorrei sapere dal prof. Serrano qual è l’ordine di grandezza dei reticoli di Hartmann e come si fa
per evidenziare la loro presenza.

Sergio Serrano

Invece per quanto riguarda i reticoli di Hartmann, la distanza tra una linea e l’altra va
nell’ordine di una decina di metri. A volte si restringono e a volte si amplificano, però i lati di
questi quadrati rimangono nell’ordine della decina di metri. Sono onde geostatiche, cioè campi molto
simili ai campi magnetici statici, li possiamo immaginare simili alle linee del campo magnetico
terrestre. Nella tradizione per rilevarli si usava quella famosa antenna che abbiamo visto prima; se
invece vogliamo effettuare misure più accurate, si usa un microamperometro con un anello che funge
da spira; praticamente abbiamo un solenoide, una bobina con tantissimi avvolgimenti a cui è
collegato un microamperometro che capta le differenze di energia. L’energia è molto bassa,
dell’ordine di microvolt o microampére. Noi siamo sensibili a quantità di energia infinitesima. Popp
ha misurato la quantità di energia elettromagnetica emessa dal nostro organismo con uno strumento
che si chiama fotomoltiplicatore. Ebbene, la quantità di energia che noi emettiamo, la luce di
questi biofotoni, equivale alla luce di una candela posta a 5 km di distanza, quindi bassissima,
dell’ordine di milionesimi di watt. Questi studi sono stati fatti solo recentemente con l’avvento
dei calcolatori che consentono di ottenere amplificazioni ed elaborazioni matematiche, perché è
praticamente impossibile utilizzare strumenti ottici. Il fenomeno esiste perché si verifica, ma le
scienze accademiche, finché non riescono a misurarlo secondo una delle metodiche ufficiali, non
pongono in dubbio che il fatto accada, ma lo considerano solo “un qualcosa che accade” e non un
fenomeno scientifico.

Congressista

Vorrei fare due domande a Nitamo. Ho trovato interessante l’idea che la persona che soffre di
disagio psichico sia una persona particolarmente vulnerabile, che non è riuscita ad evolversi
secondo le sue potenzialità. Spesso però l’intervento sul contesto familiare, anche allontanando il
paziente per un certo periodo, può essere determinante ai fini terapeutici. Allora qual è la causa?
E’ l’ambiente o è la vulnerabilità della persona?

E vengo alla seconda domanda. Se si parte dall’idea che l’individuo è unico e irripetibile, può
darsi che certe istanze personali, ad esempio l’esigenza di non subire condizionamenti, siano
talmente grosse che l’impatto con l’ambiente e con le sue regole diventa inaccettabile.

Nitamo Montecucco

Non esiste un unico modello e un’unica modalità. C’è sempre una multifattorialità all’origine di una
malattia o di un disagio. Quindi è possibile intervenire su diversi fattori: ambientali, fisici,
alimentari, culturali, eccetera. Rosalba Terranova Cecchini ha studiato l’insorgenza di disturbi
psichici in persone che si spostavano da un contesto culturale africano ad uno milanese. Questo
cambiamento di ambiente può produrre un trauma grave in alcuni e non in altri. È chiaro che c’è una
grande varianza nella struttura della personalità e nelle capacità di adattamento. In un determinato
caso possiamo avere ampi margini di intervento per ottenere il cambiamento, in altri casi questi
margini appaiono limitati. Un soggetto può manifestare bisogni affettivi e relazionali minimi,
oppure estremamente profondi. L’intervento sul contesto sociale, che tende modificare la famiglia,
la scuola o l’ambiente lavorativo può essere un altro fattore di fondamentale importanza.

Il modello di cui parlavo prima è un modello che Grof ed altri psichiatri hanno già creato in
America da una quindicina di anni. In America addirittura c’è un network “per le emergenze
spirituali”, dove si mostra come una serie di crisi evolutive, come era capitato alla Stepanova nel
suo percorso per diventare sciamana, sono comuni a moltissime persone di diverse culture. Laddove il
contesto socioculturale offre un sostegno, attraverso la figura uno sciamano o un maestro, la crisi
viene integrata. Nel caso di Jung la personalità interiore era così forte che ha potuto sostenere
l’impatto di un periodo di grande drammaticità visionaria e allucinatoria e integrare tutte le
informazioni dell’inconscio in maniera estremamente creativa. Una persona che non possiede un io
così ben strutturato deve essere aiutata a livello medico, però nell’ottica di ricreare qualcosa che
gli permetta di andare avanti. Non bisogna limitarsi a considerare gli aspetti patologici, ma
bisogna cercare nell’anima, nella coscienza della persona, nella struttura della sua identità quei
fattori che l’hanno indebolito; ha senso allora sostenerlo in diverse maniere, anche attraverso
sostanze farmacologiche che possano bilanciarlo e aiutarlo nei momenti difficili. E’ una maggiore
apertura e consapevolezza dei processi evolutivi umani che deve essere applicata.

Remigio Raimondi

Vorrei aggiungere alcune considerazioni alla domanda della signora quando dice: “ho un’esigenza di
libertà che non mi viene valutata, perché non è misurabile”. E’ come inserire una persona in una
struttura chiusa e pensare di fare riabilitazione. Questo è il rischio attuale della Psichiatria:
riabilitare non si sa bene a che cosa, in un luogo artificioso. È come quando abbiamo creato gli
zoo! Si mette una persona in gabbia e poi la si addestra ad esibirsi, non a trovare la sua
dimensione. Dico sempre ai miei colleghi che la riabilitazione è una finzione: si insegna alle
persone a rassettare, a cucinare, a mangiare in un luogo artificiale, poi si invia a casa sua un
educatore o un assistente domiciliare che gli prepara da mangiare. I tempi di emancipazione ed
autonomia non ci saranno mai. La logica è che “questa persona non è in grado di”, per cui mi sento
autorizzato a giudicare con i miei parametri e penso che questa sia la mia funzione sociale. Si
perde così l’aspetto della reciprocità, cioè la capacità di osservare l’altro e capire la sua
dimensione, che può dare una connotazione diversa al mio essere una persona capace di aiutare.
Quando nel mio intervento parlavo di “orientatore orientato”, di “guida guidata”, intendevo questo:
se io ho delle risorse, le metto a disposizione nella misura in cui l’altro è capace di offrire
reciprocità, di essere paritario. Mi sono sempre chiesto una cosa: io voglio sapere tutto, anche i
problemi più intimi di un paziente, ma nel momento in cui egli dovesse chiedere i miei, come gli
risponderei? È un rapporto impari, artificioso; io voglio sapere della sua sessualità, e se lui mi
chiede della mia? Così non è una relazione, è una finzione.

Alfredo Ancora

E’ doveroso fare una chiarificazione sullo sciamanesimo. La differenza fondamentale tra noi, tecnici
della sofferenza, e gli sciamani, è rappresentata dal contesto culturale. Gli sciamani, almeno
quelli con cui ho lavorato io in Siberia, sono inseriti in un sistema religioso molto preciso.
Ricerchiamo pure le analogie con gli sciamani ma teniamo presenti anche le differenze che sono
moltissime.

Sergio Serrano

Vorrei riferire un’esperienza personale illuminante. Vado da parecchi anni in Perù. Sono professore
presso l’Università di Ucayali, dove faccio dei discorsi simili a quello che ho fatto oggi,
strutturati in un corso. Una volta c’era una riunione a cui sono stato invitato dal Senato
accademico, e in quella sede sono stato definito uno “sciamano fine”. All’inizio non ho capito e mi
sono quasi offeso; poi mi sono fatto spiegare il discorso: significava che ero uno “sciamano
tecnologico”.

La mia cultura tecnica occidentale applicata al quel contesto faceva in modo che io venissi
assimilato ad uno sciamano. Si trattava, in fondo, un complimento. Bisogna sempre valutare il
contesto. Io che sono un fisico e ingegnere, lì ero addirittura uno sciamano, cioè una persona che
porta delle verità che gli altri non conoscono. L’ultima cosa che pensavo era di poter essere
considerato da loro uno sciamano.

Congressista

Vorrei sapere se un metodo semplice per misurare i nodi di Hartmann può essere quello di andare in
giro con un telefonino o una radio.

Approfitto anche per fare una seconda domanda. Ultimamente ho conosciuto delle persone che seguono
pazienti affetti da disturbi maniaco-depressivi; esse sostengono che negli Stati Uniti prevale la
teoria della causa organica, secondo la quale si può benissimo tenere sotto controllo i sintomi e
curare con gli psicofarmaci. Io ho sostenuto la tesi dello stile di vita, delle frustrazioni
quotidiane, ma le ultime analisi della medicina ufficiale, secondo loro, escluderebbero qualsiasi
patologia spirituale.

Sergio Serrano

Rispondo alla prima domanda. Il modo più semplice per rilevare i nodi geopatogeni in casa è quello
di possedere o farsi prestare un gatto. Dove sta il gatto noi non dovremmo stare perché lui gradisce
tutto ciò che è geopatogeno, ed è di sicuro più sensibile di una radiolina. E’ vero che una radio è
sensibile all’energia elettromagnetica, e quindi me la rileva, ma non sempre quel tipo di energia è
proprio quello che ci fa peggio. Invece il gatto si mette proprio nei posti peggiori. Chiaramente
bisogna anche conoscere la situazione, perché magari il gatto si ferma su un punto del pavimento
dove passa un tubo dell’acqua calda e dove può riscaldarsi. Il gatto è comunque un buon tester.
Sarebbe anche interessante fare un olotester al gatto.

Mario Betti

Rispondo velocemente alla seconda domanda. Quello che oggi si sta affermando nella psichiatria è il
modello multifattoriale e biopsicosociale, che viene accettato ormai da tutti.

Tuttavia si continua a scontare un certo riduzionismo biologico, anche per il condizionamento
esercitato dalle case farmaceutiche che sponsorizzano ed enfatizzano la ricerca ed il trattamento
farmacologico. Si pensi che alcuni ricercatori, partendo dal preconcetto che tutte le malattie siano
guaribili solo con gli psicofarmaci, hanno coniato una nuova categoria diagnostica, quella dei
malati non responder. In questo modo la mancata risposta agli psicofarmaci, anziché sollecitare la
sperimentazione di altri tipi di trattamento, diventa essa stessa un’etichetta ed un marchio di
inguaribilità. E’ facile capire i limiti ed i rischi di questa posizione.

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