Un aureo testo, distribuito dal Monastero Buddhista Santacittarama

pubblicato in: AltroBlog 0
Un aureo testo, distribuito dal Monastero Buddhista Santacittarama

Un aureo libretto, che, assieme ad altre publicazioni,
viene distribuito gratuitamente dai monaci buddhisti del Monastero
Santacittarama.

Nella sua semplicità ed illuminata forma sintetica espone il buddhismo
theravada e la sua meditazione molto più intensamente di altri “tomi”
enciclopedici.

Questo libro è offerto per la distribuzione gratuita, nella
speranza che possa essere di beneficio a chi desidera
intraprendere un cammino di approfondimento e
comprensione del proprio vivere. Per noi dell’Associazione
Santacittarama è un grande privilegio essere in grado di
produrre libri come questo, e saremmo felici di continuare a
forlo.

Riceviamo volentieri i commenti e le osservazioni dei
lettori. I costi di questa pubblicazione sono stati coperti da
libere donazioni – una preziosa opportunità per molti di
sponsorizzare iniziative e dedicare la propria offerta, in linea
con la tradizione buddhista. Future ristampe di questa o di
altre opere dello stesso genere dipendono direttamente dai
contributi offerti in tal senso. Chi fosse interessato a
partecipare alla sponsorizzazione di “Doni di Dhamma”
come questo, può contattarci al seguente indirizzo:

ASSOCIAZIONE SANTACITTARAMA
Località Brulla, 1-02030 Frasso Sabino (RI)
e-rnail: pubblicazioni@santacittarama.org
web: www.santacittarama.org

Grazie

°°°°°°°°°°°°°°°°°

Il termine “Buddhismo” abbraccia una grande varietà
di forme di pratica religiosa. Ma tutte hanno come fonte
di ispirazione Siddhattha Gotama, che visse e insegnò
nell’India del nord circa 2500 anni fa e che storicamente
divenne noto con l’appellativo di Buddha, ossia il
Risvegliato, un uomo che ha conseguito una profonda
saggezza grazie ai propri sforzi. Il Buddha non scrisse nulla
ma lasciò la cospicua eredità del suo insegnamento – il
Dhamma – che in principio venne trasmesso oralmente
dall’ ordine religioso da lui fondato – il Sangha – che egli
stesso guidò per quarantacinque anni. Questo Ordine è
sopravvissuto nei secoli custodendo la saggezza del
Buddha sia nello stile di vita che nella parola. Ancor oggi
questi tre elementi – il Buddha, il Ohamma e il Sangha –
sono conosciuti e rispettati da tutti i buddhisti come i
“Tre Rifugi” o il “Triplice Gioiello”. Inoltre hanno acqui-
sito il significato simbolico di qualità – rispettivamente
saggezza, verità e virtù – che è possibile coltivare dentro di sé.

Dopo la morte del Buddha il suo insegnamento varcò i
confini dell’India per diffondersi in Asia e altrove, suben-
do l’influenza delle diverse culture locali e dando origine
a numerose “scuole”. A grandi linee, tali scuole si possono
riassumere in tre principali correnti: il Theravada (l’inse-
gnamento degli anziani), tuttora fiorente nello Sri Lanka,
in Birmania e in Tailandia; il Mahayana (il grande veico-
lo), che abbraccia le varie tradizioni sorte in Cina, in
Corea e in Giappone; e il Vajrayana (il veicolo adamanti-
no), associato principalmente con il Tibet.

Insegnanti appartenenti a tutte e tre le scuole sono
approdati in Occidente. Alcuni preservano il proprio
lignaggio spirituale secondo la forma del paese di origine,
mentre altri hanno adottato approcci meno tradizionali.
Lapproccio illustrato qui e le citazioni che seguono
appartengono alla tradizione Theravada.

IL SENTIERO BUDDHISTA

Il Buddha ha insegnato una via di risveglio spirituale,
una disciplina che è possibile applicare nella propria vita
quotidiana. Il sentiero della pratica si può suddividere in
tre aspetti che si sostengono a vicenda: virtù, meditazione
e saggezza.

“Dove c’è virtù c’è saggezza e dove c’è saggezza c’è
virtù. Il virtuoso ha saggezza, il saggio ha virtù, e saggezza
e bontà sono quanto vi è di più desiderabile al mondo”.

VIRTÙ

Si può esprimere formalmente il proprio impegno nella
pratica buddhista richiedendo a un monaco o a una
monaca i tre Rifugi e i cinque Precetti, cosa che si può fare
in un monastero; oppure informalmente, a casa propria,
con un atto di deliberata adesione personale. Prendere i
Rifugi implica l’impegno a vivere in accordo con i princi-
pi della saggezza, della verità e della virtù, giovandosi degli
insegnamenti e dell’ esempio del Buddha. I cinque Precetti
sono regole di autodisciplina da applicare nella vita quoti-
diana:

1. Astenersi dall’uccidere o danneggiare qualunque
creatura vivente
2. Astenersi dal prendere ciò che non ci è stato dato
3. Astenersi da una condotta sessuale irresponsabile
4. Astenersi da un linguaggio falso o offensivo
5. Astenersi dall’assumere bevande alcoliche e droghe

Vivendo in questo modo si incoraggiano la disciplina e
la sensibilità necessarie per chi voglia coltivare la medita-
zione, che è il secondo aspetto del sentiero.

MEDITAZIONE

Secondo l’accezione più vasta del termine, “meditare”
significa dirigere ripetutamente l’attenzione su un’imma-
gine, una parola o un tema allo scopo di calmare la mente
e riflettere sul significato dell’ oggetto prescelto. Nella pra-
tica buddhista nota come “meditazione di consapevolez-
za” l’attenzione focalizzata ha anche un altro scopo:
approfondire la comprensione della natura della mente. A
tal fine la funzione dell’ oggetto di meditazione è fornire
un punto di riferimento stabile che faciliti 1’emersione di
tendenze altrimenti celate dall’attività superficiale della
mente.

Il Buddha esortava i suoi discepoli a prendere come
oggetto di meditazione il proprio corpo e la propria
mente. Un oggetto frequentemente utilizzato, ad esem-
pio, è la sensazione associata all’inspirazione e all’ espira-
zione nel corso del naturale processo respiratorio.

Sedersi in silenzio prestando attenzione al respiro con-
duce, col tempo, allo sviluppo di chiarezza e calma. In
questo stato mentale è possibile discernere più chiaramen-
te tensioni, aspettative e umori abituali, e scioglierli con
l’esercizio di un’ investigazione delicata e al tempo stesso
penetrante.

Il Buddha ha insegnato che è possibile sostenere la
meditazione nel corso delle attività quotidiane e non solo
quando si siede immobili in un luogo particolare. Si può
portare l’attenzione sul movimento del corpo, sulle sensa-
zioni fisiche o sul flusso dei pensieri e sentimenti che si
. avvicendano nella mente. Questa attenzione dinamica si
definisce “presenza mentale”, o consapevolezza.

Il Buddha spiegò che la presenza mentale è una moda-
lità di attenzione serena ed equanime. Benché sia centrata
sul corpo e sulla mente, è un’ attenzione imparziale, non
vincolata ad alcuna specifica esperienza fisica o mentale.

Questa forma di distacco è un precursore di ciò che il
Buddha chiamò Nibbana (o Nirvana) – una condizione di
pace e felicità indipendenti dalle circostanze. Il Nibbana è
uno stato “naturale”, ossia non è qualcosa che dobbiamo
aggiungere alla nostra vera natura: è il modo di essere della
mente quando è libera dall’ ansia e dalle abitudini dettate
dalla confusione. Così come un sogno si dilegua sponta-
neamente al risveglio, allo stesso modo la mente che si
rischiara per effetto della consapevolezza non è più offu-
scata da pensieri ossessivi, dubbi e preoccupazioni.

Tuttavia, sebbene la consapevolezza sia lo strumento
principale, in genere c’è bisogno di indicazioni su come
fondare un approccio obiettivo all’ osservazione di se stes-
si e su come valutare ciò che la consapevolezza rivela.
Questa è la funzione degli insegnamenti che mirano allo
sviluppo della saggezza, o discernimento.

“Non fatevi guidare dalla tradizione, dalla consuetudi-
ne o dal sentito dire; dai testi sacri, dalla logica o dalla
verosimiglianza; dalla dialettica o dalla fedeltà a una dot-
trina. Non fatevi convincere dall’apparente intelligenza di
qualcuno o dal rispetto per un maestro … Quando capite
da voi stessi che cosa è falso, stolto e nocivo, vedendo che
porta danno e sofferenza, abbandonatelo… E quando
capite da voi stessi che cosa è giusto … coltivatelo”.

Gli insegnamenti sapienziali del Buddha più concreta-
mente applicabili non riguardano la natura di Dio o della
verità ultima. Il Buddha riteneva che tali argomenti fosse-
ro spesso fonte di disaccordo e controversie, se non addi-
rittura di violenze. La saggezza buddhista si interessa piut-
tosto di quegli aspetti dell’ esistenza che sono direttamen-
te osservabili e che non implicano l’adesione a un credo.

. Gli insegnamenti vanno verificati alla luce dell’ esperienza
personale. I modi di esprimere la verità possono variare a
seconda delle persone. Ciò che veramente conta è la vali-
dità dell’ esperienza e se tale esperienza conduce a un
modo di vivere più saggio e compassionevole.

Si tratta dunque di uno strumento che ha la funzione
di sgombrare il campo dalle nostre idee inadeguate sulla
realtà. Quando la mente si rischiara, la verità assoluta –
comunque la si voglia definire – si palesa spontaneamente.

LE QUATTRO NOBILI VERITÀ

Per aiutare i suoi interlocutori a comprendere le limita-
zioni dell’ ordinario approccio alla vita, il Buddha parlava
di dukkha (termine che con qualche approssimazione si
può tradurre con “insoddisfazione”, o “non appagante”).
Una definizione sintetica del suo insegnamento, che ricor-
re spesso nei discorsi del maestro, ce lo presenta come “la
verità su dukkha, la sua origine, la sua fine e il sentiero che
porta alla fine di dukkha”. Con l’espressione “le quattro
nobili verità” ci si riferisce quindi al nucleo fondamentale
del messaggio del Buddha, una sorta di modello da appli-
care e verificare nel contesto dell’ esperienza personale.
La prima nobile verità: c’è dukkha

La vita come normalmente la conosciamo comporta
inevitabilmente una certa dose di esperienze spiacevoli, di
cui malattia, dolore fisico e disagio psicologico sono gli
esempi più ovvi. Anche nelle società economicamente più
sviluppate, ansia, stress fisico e mentale, demotivazione o
un senso di inadeguatezza esistenziale sono forme diffuse
di sofferenza.

A ciò si aggiunge la limitatezza e la precarietà delle
esperienze piacevoli. Ad esempio, si può sperimentare
dukkha in seguito alla perdita di una persona cara o alla
cocente delusione inflittaci da un amico. Potremmo
accorgerei, inoltre, che a lungo andare non è possibile alle-
viare questi sentimenti spiacevoli ricorrendo alle strategie
abituali, come la ricerca di gratificazione, di maggiore suc-
cesso o di una nuova relazione. Questo perché la fonte di
dukkha è un bisogno di natura interiore.

E’ una sorta di nostalgia, un desiderio profondo di
comprensione, di pace e di armonia. La natura fondamen-
talmente interiore o spirituale di questo bisogno rende
inefficaci i tentativi di appagarlo aggiungendo alla nostra
vita esperienze piacevoli. Finché sussiste la motivazione a
ricercare l’appagamento in ciò che è transitorio e vulnera-
bile – e basta un minimo di introspezione per accorgerci
di quanto siano vulnerabili il nostro corpo e i nostri sen-
timenti – saremo soggetti alla sofferenza della delusione e
della perdita.

“Essere uniti a ciò che non piace è dukkha, essere sepa-
rati da ciò che piace è dukkha, non ottenere ciò che si
vuole è dukkha. In breve, le attività abituali e automatiche
del corpo e della mente sono dukkha”

La seconda nobile verità: dukkha ha un’origine

L’intuizione del Buddha consiste nell’aver capito che
questa motivazione distorta è in sostanza l’origine dell’in-
soddisfazione esistenziale. E perché? Perché continuando
a cercare la felicità in ciò che è transitorio perdiamo quel-
lo che la vita potrebbe offrirci se fossimo più attenti e più
ricettivi spiritualmente. Mancando di attingere, per igno-
ranza, al nostro potenziale spirituale, ci lasciamo guidare
da sensazioni e stati d’animo. Quando però la consapevo-
lezza ci rivela che si tratta di un’ abitudine, non della
nostra vera natura, ci rendiamo conto che il cambiamento è
possibile.

La terza nobile verità: dukkha può avere fine

Una volta compresa la seconda verità, la terza ne con-
segue naturalmente, se siamo capaci di “lasciar andare” le
nostre abitudini egocentriche consce e inconsce. Quando
smettiamo di reagire aggressivamente o di metterei sulla
difensiva, quando rispondiamo alla vita liberi da pregiudi-
zi o idee fisse, la mente ritrova la sua naturale armonia. Le
abitudini e le opinioni per cui la vita appare ostile o ina-
deguata vengono intercettate e disattivate.

La quarta nobile verità: c’è una via per mettere fine a dukkha

Si tratta di una serie di indicazioni che consentono di
vivere la vita attimo per attimo in una prospettiva spiri-
tuale. Non è possibile “lasciar andare” se non attraverso la
coltivazione della nostra natura spirituale. Grazie a una
pratica corretta, invece, la mente comincia a rivelare la sua
spontanea tendenza al Nibbana.

Occorre solo la saggezza
di riconoscere che c’è una via e che esistono gli strumenti
per percorre da. Tradizionalmente la via si definisce in ter-
mini di “nobile ottuplice sentiero”. Il simbolo della ruota,
ricorrente nell’iconografìa buddhisra, è una rappresenta-
zione dell’ ottuplice sentiero in cui ciascun fattore sostiene
ed è sostenuto da tutti gli altri. La pratica buddhisra con-
siste nel coltivare tali fattori, che sono: retta comprensio-
ne, retta intenzione, retta parola, retta azione, retti mezzi
di sussistenza, retto sforzo, retta attenzione e retta concen-
trazione.

Sono definiti “retti” in quanto implicano uno stile di
vita che è in accordo con la virtù, la meditazione e la sag-
gezza invece di basarsi su una motivazione egocentrica.

Dunque è una via che è “retta” in relazione sia agli altri
che a se stessi.

“Chi è dotato di comprensione e saggezza non conce-
pisce di arrecare danno a se stesso o a un altro, o di arre-
care danno a entrambi. Al contrario, si adopera per il pro-
prio bene, per il bene dell’ altro, per il bene di entrambi,
per il bene del mondo intero”.

Domandarono al Buddha perché i suoi discepoli sem-
brassero sempre così allegri. La sua risposta fu: “Non rim-
piangono il passato e non si preoccupano del futuro; vivo-
no nel presente, perciò sono gioiosi”.

Chi ha coltivato il sentiero in tutti i suoi aspetti trova
serenità e pazienza dentro di sé nei momenti difficili e il
desiderio di condividere con gli altri la buona ventura
quando le cose vanno bene. Vive libero dal senso di colpa
e invece di subire violenti sbalzi d’umore ha un cuore e
una mente che restano saldi e sereni nelle diverse circo-
stanze della vita.

Questi sono i frutti, ma come tutti i frutti richiedono
l’impegno generoso di una coltivazione graduale e costan-
te. Per questo motivo, la guida o semplicemente la com-
pagnia di persone affini è pressoché indispensabile.
Prendere rifugio nel Sangha è un modo per riconoscere
questo fatto. In senso lato il Sangha è la comunità degli
amici spirituali, tradizionalmente esemplificata dall’ ordi-
ne religioso mendicante la cui regola esprime inequivoca-
bilmente i valori della spiritualità buddhista.

I monaci e le monache non sono predicatori: è espres-
samente proibito loro di insegnare a meno che non ven-
gano invitati a fado. Sono soprattutto compagni di strada
sul cammino spirituale e il loro rapporto con la più ampia
comunità dei laici è improntato al reciproco sostegno. La
regola vieta loro di coltivare la terra e di possedere dena-
ro, per cui devono restare in contatto con la società e
dimostrarsi degni del sostegno che ricevono.

I monasteri buddhisti non sono fatti per fuggire dal
mondo, sono luoghi dove la gente può venire a stare per
un periodo, ricevere insegnamenti e, soprattutto, sentire
che il proprio aiuto e sostegno viene apprezzato. In questo
senso, monaci e monache offrono qualcosa di più che
amicizia e guida spirituale: creano l’opportunità di svilup-
pare fiducia e rispetto di sé.

“Non sottovalutate l’efficacia del bene, pensando:

‘nulla mi aiuterà a progredire’. Come una brocca si riem-
pie d’acqua a goccia a goccia, così il saggio progredisce
passo passo verso la felicità”

La spiritualità non può che essere oggetto di interesse e
responsabilità personali. La verità non si può trasmettere
con l’indottrinamento. Tuttavia, avendo a disposizione un
metodo completo e coerente come quello del Buddha,
vale la pena di sottoporlo al vaglio dell’ esperienza.

LA MEDITAZIONE DI VISIONE PROFONDA

Le pagine seguenti si propongono di introdurre alla
pratica della meditazione di visione profonda così come
viene insegnata nella tradizione del buddhismo theravada.
Non si richiede al lettore di avere familiarità con gli inse-
gnamenti del Buddha, anche se conoscerli può senz’ altro
agevolare la comprensione che scaturisce dalla pratica
meditativa.

La meditazione di visione profonda non si propone di
dare vita a un sistema di credenze quanto piuttosto di
offrire una guida su come esplorare la natura della mente.
In questo modo si arriva a una comprensione personale
della realtà delle cose, senza bisogno di affidarsi a opinio-
ni o teorie: un’ esperienza diretta dotata di una propria
vitalità. Essa inoltre promuove quel senso di pace profon-
da che proviene dal conoscere qualcosa in prima persona,
al di là di ogni dubbio.

La meditazione di visione profonda è un fattore chiave
del sentiero proposto dal Buddha per il bene degli esseri
umani: l’unico criterio è metterla in pratica! Queste pagi-
ne quindi illustrano una serie di esercizi di meditazione e
danno suggerimenti sul modo di utilizzarli. Leffìcacia è
maggiore se si segue questa guida progressivamente, lavo-
rando con cura su ogni sequenza di istruzioni prima di
passare alla successiva.

Il termine “meditazione di visione profonda” isamatba-
vipassana) abbraccia una serie di esercizi di coltivazione
mentale che mirano allo sviluppo della quiete (samatha)
per mezzo dell’ attenzione sostenuta e della visione profon-
da (vipassana) per mezzo della riflessione contemplativa.
Una tecnica fondamentale per sostenere l’attenzione con-
siste nel focalizzare la consapevolezza sul corpo; tradizio-
nalmente si può praticare da seduti o camminando. La
guida inizia con qualche consiglio su questo.

La riflessione si presenta in modo del tutto naturale in
un secondo momento, quando già ci si trova a proprio
agio con l’esercizio della meditazione. Ci sarà un senso di
agio e di interesse, e si comincerà a guardarsi intorno e a
prendere dimestichezza con la mente che medita. Questo
“guardarsi intorno” lo detiniamo contemplazione: un
vedere personale e diretto che una tecnica, quale che sia,
può solo evocare indirettamente. La seconda parte di que-
sto testo offre alcune idee e indicazioni al riguardo.

SOSTENERE L’ATTENZIONE

Stando seduti

l. Tempo e luogo

Nella posizione seduta riesce facile concentrare la
mente sul corpo. Dovreste trovare un momento e un
luogo che vi consentano di rimanere calmi e indisturbati.

Una stanza silenziosa senza troppi oggetti che distrag-
gano la mente è l’ideale; un ambiente luminoso e spazio-
so aiuta la vigilanza e la chiarezza, mentre una stanza
ingombra e male illuminata fa 1’effetto opposto. Anche la
scelta del momento ha importanza, soprattutto tenendo
presente che per la maggior parte delle persone le giorna-
te si svolgono secondo uno schema fisso. Non è partico-
larmente produttivo sedersi a meditare quando si ha qual-
cos’altro da fare o quando si ha fretta. E’ meglio riservare
un periodo di tempo – ad esempio la mattina presto o la
sera, tornati dal lavoro – nel quale potete dare veramente
tutta la vostra attenzione alla pratica. Cominciate con una
quindicina di minuti. Praticate con sincerità entro i limi-
ti di tempo e di energia che avete a disposizione, stando
attenti a non farne un’ abitudine meccanica. La pratica
meditativa, se motivata da un sincero spirito di indagine e
di autoaccettazione, crescerà spontaneamente in termini
di durata e abilità.

2. Consapevolezza del corpo

Lo sviluppo della quiete è facilitato da una postura sta-
bile e da uno sforzo costante ma sereno. Se non riuscite a
calmarvi verrà a mancare la serenità; senza un’ applicazio-
ne deliberata tenderete a fantasticare. Una delle posizioni
più efficaci per coltivare la giusta proporzione di calma ed
energia è quella seduta.

Adottate una posizione che vi aiuti a tenere la schiena
dritta ma non tesa. Può andar bene usare una semplice
sedia oppure, se ne siete capaci, la posizione del loto o una
delle sue varianti. Dapprima potrà sembrarvi una posizio-
ne innaturale, ma col passare del tempo vi offrirà quella
particolare combinazione di fermezza e delicatezza che
allieta la mente senza affaticare il corpo.

E’ utile inclinare un pochino il mento verso il basso,
evitando però che la testa penzoli in avanti perché questo
favorisce la sonnolenza. Tenete le mani in grembo una sul-
l’altra con i palmi rivolti verso alto e le punte dei pollici
che si toccano. Datevi il tempo che vi serve per trovare un
giusto equilibrio.

Adesso raccogliete 1’attenzione e cominciate a portarla
lentamente sulle varie parti del corpo. Notate le sensazio-
ni. Sciogliete le tensioni, specialmente quelle al viso, al
collo e alle mani. Chiudete o socchiudete gli occhi.

Chiedetevi come vi sentite. Siete ansiosi o tesi? In tal
caso rilassate un po’ l’attenzione. E’ probabile che in que-
sto modo la mente si calmi come pure che si presentino
pensieri: riflessioni, fantasticherie, ricordi, oppure il dub-
bio se stiate facendo correttamente l’esercizio! Invece di
assecondare o contrastare questi pensieri, date più atten-
zione al corpo, il che è un utile ancoraggio per una mente
che divaga.

Nel praticare la meditazione coltivate uno spirito di
ricerca. Datevi il tempo necessario. Ad esempio, portate
1’attenzione dalla cima della testa giù per tutto il corpo,
sistematicamente. Notate le differenti sensazioni – calore,
pulsazioni, sensibilità attenuata o accentuata – nelle arti-
colazioni di ogni dito, l’umido dei palmi delle mani, i bat-
titi del polso. Anche le aree dove forse non si avvertono
sensazioni particolari, come gli avambracci o i lobi delle
orecchie, possono essere “percorse” in modo attento.

Notate come anche 1’assenza di sensazioni sia qualcosa di
cui la mente può essere consapevole. Questa costante e
sostenuta investigazione si definisce consapevolezza (sa ti)
ed è uno degli strumenti fondamentali della meditazione
di visione profonda.

3. Consapevolezza del respiro (anapanasati)

In alternativa al “percorrere il corpo” o dopo un perio-
do preliminare di questa pratica, la consapevolezza può
essere sviluppata per mezzo dell’ attenzione al respiro.

Dapprima seguite l’ordinaria sensazione del respiro che
entra dalle narici e riempie il torace e l’addome. In segui-
to cercate di mantenere l’attenzione su un punto specifico
come il diaframma oppure le narici, che è una localizza-
zione più circoscritta. Il respiro è per natura
costante e rilassante se non viene forzato, e a ciò contri-
buisce una postura eretta. La mente potrà distrarsi, ma voi,
pazientemente, continuate a ritornare al respiro.

Non occorre sviluppare la concentrazrone fino al punto
di escludere ogni altra esperienza ad eccezione del respiro:
In questo contesto l’obiettivo non è creare uno stato di
trance ma mettervi in condizioni di notare il lavono della
mente e apportare in esso una certa misura di tranquilla
chiarezza. L’intero processo – raccogliere l attenzrone,
notare il respiro, notare che la mente ha divagato e rista-
bilire l’attenzione – nutre la consapevolezza, la pazienza ~
la capacità di comprensione intuiti~a. ~uindi”non fatevi
fuorviare da quello che sembra un fallimento”, ma sem-
plicemente ricominciate. Continuando così a un certo
punto la mente si calmerà. . ..
.
Se diventate molto irrequieti o agItati, rilassatevi.
Praticate l’autoaccettazione, ascoltando le voci della
mente senza necessariamente dare loro credito.

Se provate sonnolenza, rivolgetevi al corpo e. alla postu~
ra con più cura e attenzione. In quei momenti cercare dì
raffinare l’attenzione o di perseguire uno stato di quiete
non farà altro che peggiorare le cose!

Camminando e stando in piedi

Molti esercizi di meditazione, come la consapevolezza
del respiro che abbiamo appena visto, si praticano nella
posizione seduta. Di solito alla modalità di meditazione
seduta si alterna quella camminata. Quest’ultima, a parte
il fatto di offrire all’ osservazione oggetti diversi, è un abile
espediente per immettere energia nella pratica quando
l’effetto calmante della meditazione seduta vi induce al
torpore.

Se disponete di un’ area all’ aperto, scegliete come per-
corso per la meditazione un tratto pianeggiante lungo
all’incirca 25-30 passi (oppure un tratto chiaramente defi-
nito fra due alberi). Stando fermi a un’estremità del per-
corso, raccogliete la mente attorno alle sensazioni fisiche.
Iniziate mantenendo l’attenzione sulla sensazione del
corpo che sta in piedi eretto, con le braccia distese e le
mani congiunte ma non strette davanti o dietro. Tenete lo
sguardo su un punto a circa tre metri davanti a voi, evi-
tando distrazioni visive. Ora camminate con compostez-
za, a passo misurato ma normale, fino all’ altra estremità
del percorso.

Fermatevi. Mantenete l’attenzione sul corpo
eretto per la durata di un paio di respiri. Voltatevi e torna-
te indietro. Mentre camminate siate consapevoli del flus-
so delle sensazioni fisiche nel loro insieme, oppure dirige-
te 1’attenzione in particolare ai piedi. L’ esercizio consiste
nel continuare a riportare l’attenzione alla sensazione dei
piedi che toccano il terreno, agli spazi fra un passo e l’al-
tro, alle sensazioni del fermarsi e ripartire.

E’ normale che la mente divaghi. Quindi è importante
coltivare la pazienza e la determinazione di ricominciare
da capo. Adeguate il passo allo stato mentale del momen-
to: vigoroso quando la mente è torpida o in preda a pen-
sieri ossessivi, costante ma delicato se è irrequieta e impa-
ziente. Alla fine del percorso fermatevi, inspirate ed espi-
rate lasciando andare irrequietezza, preoccupazione, quie-
te, gioia, ricordi o opinioni su voi stessi. Il chiacchiericcio
interno potrà fermarsi temporaneamente o dissolversi.

Ricominciate. Così facendo la mente conserva la sua fre-
schezza e può prendersi il tempo che le occorre per cal-
marsi.

Se lo spazio a disposizione è più limitato, adattate la
lunghezza del percorso. In alternativa si può camminare in
circolo per una stanza, fermandosi a ogni giro per alcuni
attimi di meditazione in piedi. Si può estendere la pausa
ad alcuni minuti applicando la tecnica del ‘percorrere il
corpo’.

Camminare porta energia e fluidità nella pratica, quin-
di mantenete il passo costante e lasciate che le condizioni
mutevoli attraversino la mente. Invece di pretendere che
la mente sia tranquilla come nella posizione seduta, con-
template il fluire dei fenomeni. E’ incredibile quante volte
ci perdiamo in una catena di pensieri e ci “risvegliamo di
soprassalto” alla fine del percorso! Ma è normale che la
nostra mente non addestrata si faccia assorbire da pensie-
ri e stati d’animo. Quindi, invece di cedere all’impazien-
za, imparate a lasciar andare e ricominciate. Allora potrà
nascere un senso di agio e di quiete che permetterà alla
mente di diventare aperta e lucida in modo naturale, senza
forzature.

Stando distesi

Quando alla fine della giornata andate a riposare medi-
tate per qualche minuto stando sdraiati su un fianco.
Tenete il corpo ben disteso e piegate il braccio in modo
che la mano faccia da cuscino alla testa. ‘Percorrete il
corpo’ rilassando ogni tensione, oppure portate l’attenzio-
ne al respiro mettendo consapevolmente da parte i ricor-
di della giornata appena trascorsa e le aspettative per l’in-
domani. In pochi minuti, con una mente lucida, riposere-
te bene.

La coltivazione del cuore

Coltivare la benevolenza (metta) conferisce un’ altra
dimensione alla pratica della visione profonda. La medita-
zione insegna di per sé la pazienza e la tolleranza, o alme-
no mostra l’importanza di queste qualità. Così può ben
accadere che vogliate sviluppare un’ attitudine più amiche-
vole e sollecita vepo voi stessi e verso gli altri. Nella medi-
tazione potete coltivare la benevolenza in modo molto
realistico.

Concentrate l’attenzione sul respiro, che ora userete
come strumento per estendere sollecitudine e benevolen-
za. Cominciate da voi stessi, dal vostro corpo. Visualizzate
il respiro come una sorgente luminosa, oppure immagina-
te la consapevolezza come un raggio caldo e gradualmen-
te passatelo sul corpo. Delicatamente, concentrate l’atten-
zione al centro del torace, vicino al cuore. Nell’inspirare,
rivolgete sollecitudine paziente a voi stessi, magari con il
pensiero: “che io sia felice”, oppure: “pace”. Nell’ espirare,
fate che l’attitudine di quel pensiero, o la consapevolezza
della luce, si estenda dal cuore, attraverso la mente, e si
espanda al di fuori di voi: “Possano gli altri essere felici”.

Se sperimentate stati mentali negativi, inspirate le qua-
lità della tolleranza e del perdono. Visualizzare il respiro
con una colorazione risanatrice può essere di aiuto.
Nell’ espirare, lasciate andare – qualunque tensione, preoc-
cupazione o negatività – ed espandete il senso di distensio-
ne attraverso il corpo, attraverso la mente e al di fuori di
voi come prima.

Questa pratica può impegnare in tutto o in parte una
sessione di meditazione, valutate da voi cosa è appropria-
to. Meditare con un’ attitudine di gentilezza porta alla
quiete ed è particolarmente utile per iniziare una sessione
di meditazione. Tuttavia ci saranno senz’altro periodi in
cui questo approccio andrà utilizzato a lungo, per penetra-
re in profondità nel cuore.

Cominciate sempre con ciò di cui siete consapevoli,
anche se vi sembra banale o poco chiaro. Lasciate che la
mente vi si riposi tranquillamente, che si tratti di noia, di
un ginocchio che duole o della frustrazione di non sentir-
si particolarmente gentili. Lasciatelo essere, esercitatevi a
fare pace con quello che c’è. Riconoscete e mettete da
parte con gentilezza ogni propensione alla pigrizia, al dub-
bio o al senso di colpa.

La tranquillità può trasformarsi in una sollecitudine
molto nutriente verso voi stessi, se innanzi tutto accettate
senza riserve la presenza di ciò che non vi piace.
Mantenete stabile l’attenzione e aprite il cuore a tutto
quello che sperimentate. Questo non implica approvare
gli stati negativi ma lasciare spazio alloro andare e venire.

Generare benevolenza nei confronti del mondo al di là
di se stessi segue in gran parte lo stesso schema. Un modo
semplice per estendere la gentilezza consiste nel lavorare
per fasi successive. Cominciate da voi stessi, associando il
sentimento dell’ accettazione benevolente al movimento
del respiro. “Che io sia felice”. Quindi pensate alle perso-
ne che amate e rispettate e augurate loro felicità, una per
una.

Passate alle persone con le quali avete un rapporto
amichevole, poi a quelle nei confronti delle quali provate
indifferenza. “Possano essere felici”. Infine portate alla
mente le persone delle quali avete timore o che non vi
piacciono e continuate a estendere la benevolenza.

Questa meditazione può espandersi, in un moto di
compassione, fino a includere tutte le persone al mondo,
nelle loro molteplici condizioni. E ricordate, non è neces-
sario che sentiate di amare ogni persona per augurarle feli-
cità.

La sollecitudine e la compassione scaturiscono dalla
stessa fonte della benevolenza ed espandono la mente al di
là della prospettiva puramente personale. Se non vi sfor-
zate continuamente di far andare le cose come volete che
vadano, se siete più accomodanti e ricettivi nei confronti
di voi stessi e degli altri così come sono, la compassione
nasce da sé. La compassione è la naturale sensibilità del
cuore.

LA RIFLESSIONE

Consapevolezza non selettiva

La meditazione può svolgersi anche senza un oggetto
specifico, in un stato di contemplazione pura,o “consape-
volezza non selettiva”,

Dopo aver calmato la mente con uno dei metodi
descritti in precedenza, mettete da parte consapevolmen-
te l’oggetto di meditazione. Osservate il flusso delle
immagini mentali e delle sensazioni nel loro sorgere, senza
indulgere a critiche o apprezzamenti. Notate ogni avver-
sione e attrazione; contemplate ogni incertezza, felicità,
irrequietezza o tranquillità al loro nascere. Quando il
senso di chiarezza diminuisce o se cominciate a sentirvi
sopraffatti dalle impressioni potete ritornare a un oggetto
di meditazione (ad esempio il respiro). Una volta ritrova-
ta una certa stabilità, potrete metterlo da parte.

Questa pratica di “nuda ‘attenzione” si presta bene
all’osservazione dei processi mentali. Oltre a osservare i
particolari “ingredienti” della mente possiamo rivolgere
l’attenzione alla natura del contenitore. Per quanto riguar-
da i contenuti mentali, gli insegnamenti buddhisti metto-
no in rilievo soprattutto tre semplici e fondamentali carat-
teristiche.

In primo luogo c’è la mutevolezza (anicca), il continuo
processo dell’iniziare e finire al quale tutte le cose sono
sottoposte, il costante movimento del contenuto della
mente. Il contenuto mentale può essere piacevole o spia-
cevole ma non si ferma mai.

C’è anche un senso di insoddisfazione (dukkha) persi-
stente, spesso impercettibile. Le sensazioni spiacevoli lo
evocano facilmente ma anche una bella esperienza provo-
ca una stretta al cuore quando finisce. Così anche nei
momenti migliori c’è sempre una qualità di incornpiutez-
za nell’ esperienza mentale, un vago senso di insoddisfazio-
ne.

Man mano che il costante nascere ed estinguersi delle
esperienze e degli stati d’animo diviene familiare, diventa
anche chiaro che, poiché i vari contenuti sono impenna-
nenti, in realtà nessuno di essi vi appartiene. E quando i
contenuti tacciono rivelando la luminosa spaziosità della
mente, non si trova alcuna caratteristica putamente perso-
nale! Questo può essere difficile da capire ma in realtà non
c’è nessun “me” e nessun “mio”, e questa è la caratteristi-
ca del “non-sé” o impersonalità (anatta).

Investigate a tutto campo e notate come queste qualità
appartengono a tutte le cose, fisiche e mentali.

Indipendentemente dal fatto che le vostre esperienze siano
gioiose o a malapena sopporrabili, questa contemplazione
vi condurrà a una prospettiva serena ed equilibrata rispet-
to alla vostra vita.

Contemplare la pratica

Questi esercizi di meditazione servono tutti a promuo-
vere la consapevolezza delle cose così come sono.
Donando tutta la vostra attenzione alle esperienze in corso
noterete con maggiore chiarezza lo stato della mente stes-
sa, ad esempio se siete svogliati o eccessivamente zelanti
nella vostra pratica. Con un pizzico di onestà diventa
ovvio che la qualità della pratica meditativa dipende non
dalla tecnica che utilizzate ma da quello che ci mettete voi.

Riflettendo in questo modo arriverete a una più profonda
comprensione della vostra personalità e delle vostre abitu-
dini.

Ci sono alcuni punti che è utile tenere a mente quan-
do meditate. Notate se ogni volta ricominciate a mente
fresca, o meglio ancora, se ricominciate a ogni respiro o a
ogni passo. Se non praticate con apertura mentale potre-
ste ritrovarvi a cercare di far rivivere un’intuizione avuta in
passato o a non essere disposti a imparare dai vostri erro-
ri.

C’è il giusto equilibrio di energia per cui fate del vostro
meglio ma senza eccessivo uso della volontà? Siete in con-
tatto con ciò che sta effettivamente accadendo nella mente
o state applicando una tecnica in modo ottuso, meccani-
co?

Per quanto riguarda la concentrazione è bene verifica-
re se state mettendo da parte questioni che sono al
momento irrilevanti o se invece vi lasciate andare alla deri-
va tra pensieri e stati d’animo. Oppure: state cercando di
reprimere certi sentimenti senza prenderne atto e rispon-
dere con saggezza?

Una concentrazione appropriata è quella che unifica il
cuore e la mente. Riflettere in questo modo incoraggia a
coltivare un approccio adeguato. E naturalmente la rifles-
sione vi mostrerà ben di più che non la maniera giusta di
meditare: vi darà la chiarezza per comprendere voi stessi.

Ricordate, finché non avrete raggiunto una certa abili-
tà e una certa scioltezza nella meditazione è meglio usare
un oggetto di meditazione (ad esempio il respiro) come
sostegno della consapevolezza e come antidoto alI’effetto
trascinante delle distrazioni mentali. Anche in questo
caso, indipendentemente dalla vostra anzianità come pra-
ticanti, è sempre utile tornare alla consapevolezza del
respiro o del corpo. Sviluppare questa abilità di ricomin-
ciare conduce a stabilità e scioltezza. Una pratica equili-
brata vi aiuta a capire sempre meglio la natura del corpo e
della mente e come vivere con maggiore libertà e armonia.

Questo è lo scopo e il frutto della meditazione di visione
profonda.

Vivere consapevolmente

Con la pratica della meditazione di visione profonda
vedrete più chiaramente i vostri atteggiamenti e arriverete
a capire quali sono utili e quali creano difficoltà. Un atteg-
giamento aperto può far sì che anche le esperienze spiace-
voli diventino occasione di saggezza, come ad esempio
vedendo come la mente reagisce al dolore o alla malattia.

Accostandovi a esperienze del genere in questo modo,
spesso potrete sciogliere la tensione e la resistenza al dolo-
re, cosa che lo allevia considerevolmente. Viceversa, un
atteggiamento impaziente porta a tutt’ altri risultati: vi
irritate con gli altri se disturbano la vostra meditazione, vi
sentite frustrati se la pratica non sembra progredire con
sufficiente rapidità, cadete in preda al cattivo umore per
questioni insignificanti. La meditazione ci insegna che la
serenità o la sua assenza dipendono essenzialmente dal
fatto di considerare o meno gli eventi della vita con uno
spirito di riflessione e di apertura.

Esplorando le vostre intenzioni e i vostri atteggiamenti
nella quiete della meditazione potete investigare il rappor-
to tra desiderio e insoddisfazione. Notate le cause della
scontentezza: volere ciò che non avete, respingere ciò che
non vi piace, non riuscire a conservare ciò che volete. Ciò
è particolarmente opprimente quando l’oggetto della
scontentezza e del desiderio siete voi stessi. Non è facile
per nessuno fare pace con la propria debolezza, soprattut-
to quando nella società si dà tanta importanza al sentirsi
in forma, all’avere successo e ottenere il meglio.

Aspettative di questo genere rendono davvero difficile
accettarci per come siamo.

Tuttavia, con la pratica della meditazione di visione
profonda si scopre uno spazio che consente di prendere
una certa distanza da ciò che si crede di essere, da ciò che
si crede di avere.

Contemplando queste percezioni divie-
ne più chiaro che non si possiede nulla in quanto “me” o
“mio”: ci sono semplicemente esperienze che vanno e ven-
gono nella mente. CosÌ ad esempio esaminando un’ abitu-
dine irritante, anziché farvi deprimere, evitate di rinfor-
zarla e la lasciate passare. Potrà ripresentarsi, ma stavolta
sarà più debole e voi saprete cosa fare. Coltivando un’ at-
tenzione serena i contenuti mentali perdono forza e a
volte svaniscono, lasciando la mente lucida e fresca. La
visione profonda procede in questo modo.

Essere capaci di tornare a un centro fermo di consape-
volezza nel flusso mutevole della vita quotidiana è il segno
di una pratica matura, poiché la visione profonda si
approfondisce enormemente quando si estende a tutte le
esperienze.

Cercate di adottare la prospettiva della visione
profonda quale che sia l’attività del momento: sfaccen-
dando per casa, guidando l’auto, prendendo una tazza di
tè. Raccogliete l’attenzione, mantenetela ferma su ciò che
state facendo e risvegliate un senso di investigazione
rispetto alla natura della mente nel mezzo delle varie atti-
vità.

Usare la pratica per centrarsi sulle sensazioni fisiche,
gli stati mentali o la coscienza visiva, uditiva od olfattiva
può alimentare una contemplazione continua, che trasfor-
ma le incombenze quotidiane in fondamenti della visione
profonda.

A mano a mano che si radica nella consapevolezza la
mente diventa libera di rispondere in modo appropriato al
momento presente e c’è maggiore armonia nella vita. E’
così che la meditazione diventa una forma di “lavoro
sociale”: portando la consapevolezza nella nostra vita
porta pace nel mondo. Convivere pacificamente con la
grande varietà delle sensazioni che sorgono nella coscien-
za vi mette in grado di vivere con più apertura nel mondo,
e con voi stessi così come siete.

ALTRI SUGGERIMENTI

Condotta personale

Con l’approfondirsi della consapevolezza intuitiva
vediamo con più chiarezza i risultati delle nostre azioni: la
pace promossa dalle buone intenzioni, dalla sincerità e
dalla chiarezza, e il turbamento generato dalla confusione
e dalla negligenza.

Spesso è questa accresciuta sensibilità,
specialmente rispetto alla sofferenza che procuriamo a noi
stessi e agli altri, che ci motiva a voler vivere in modo più
saggio. Per raggiungere un’ autentica pace mentale occorre
che la meditazione formale si combini con un impegno alla
responsabilità e al prendersi cura di noi stessi e degli altri.
In realtà non c’è nulla di misterioso nel cammino della
visione profonda. Nelle parole del Buddha, il sentiero è
semplice: “Fate il bene, non fate il male, purificate la
mente”.

Dunque è tradizione consolidata che chi si impe-
gna nella pratica spirituale dia grande importanza a una
condotta appropriata. Molti meditanti si impegnano a
rispettare dei principi morali realistici – come il non nuo-
cere ad alcun essere vivente, astenersi da una condotta ses-
suale irresponsabile, non assumere sostanze inebrianti
(bevande alcoliche o droghe), astenersi dal pettegolezzo e
da altre brutte abitudini verbali – per nutrire la propria
chiarezza interiore e magari incoraggiare con gentilezza
quella degli altri.

Compagni di strada e regolarità nella pratica
Meditare con regolarità in compagnia di alcuni amici
può essere di grande sostegno alla costanza della pratica e
allo sviluppo della saggezza. Chi medita da solo dovrà fare
i conti, prima o poi, con un calo della sua forza di volon-
tà, visto che spesso c’è altro da fare che sembra più impor-
tante (o più interessante) dell’ osservare il respiro.

Meditare regolarmente in gruppo per un periodo di
tempo stabilito sostiene i partecipanti indipendentemente
dall’ oscillazione dello stato d’animo. (Investigare gli alti e
bassi della motivazione porta spesso a importanti intuizio-
ni, ma da soli può essere difficile sostenerle nel tempo).

Oltre a considerare i benefici personali, pensate che
vostri sforzi aiutano gli altri a perseverare nella pratica.
Note sulla pastura

Lideale è una postura eretta, vigile. Accasciarsi ha il
solo effetto di aumentare la pressione sulle gambe e causa-
re disagio alla schiena. E’ importante prendersi cura della
posizione con saggezza, non con la cieca forza di volontà!
La posizione migliorerà col tempo, ma voi dovete lavora-
re con il corpo, senza contrastarlo con la forza.

1. Controllate la pastura:

• Il bacino è spinto in avanti? Questo vi farà accasciare.
• La parte bassa della schiena dovrebbe mantenere la sua
curvatura naturale, senza forzatura, così che l’addome
sia perpendicolare e aperto.
• Immaginate che qualcuno eserciti una lieve pressione
tra le vostre scapole mentre voi mantenete rilassati i
muscoli. Questo vi farà capire se inconsciamente
ingobbite le spalle (e quindi tendete a chiudere il
petto).

• Notate e rilassate delicatamente tutte le tensioni nel-
l’area del collo e delle spalle.

2. Se la pastura vi sembra tesa o troppo fiacca:

• Raddrizzate la spina dorsale immaginando che la cima
della testa sia attirata verso l’alto. Il mento tenderà a
rientrare leggermente.
• Tenete le braccia leggere e a contatto con l’addome. Se
le tenete troppo discoste vi sbilanciate in avanti.
• Sedetevi sul bordo di un cuscino piccolo e duro per
sostenere l’angolatura delle anche.

3. Per le gambe:

• Fate qualche esercizio di stretching (come toccarsi le
dita dei piedi con le gambe distese, da seduti).
• Se durante la seduta provate molto dolore cambiate
posizione, sedete su uno sgabello o su una sedia, oppu-
re alzatevi in piedi per alcuni minuti.
• Se di solito vi sedete per terra o comunque al livello del
pavimento sperimentate con cuscini di diversa dimen-
sione e durezza, oppure provate uno di quegli sgabelli
fatti apposta per la meditazione.

4. Per la sonnolenza:

• Provate a meditare con gli occhi aperti.
• Percorrete sistematicamente il corpo con l’attenzione.
• Concentratevi su tutto il corpo e sulle sensazioni fisi-
che, piuttosto che su un oggetto sottile come il respiro.
• Alzatevi e camminate in consapevolezza all’aria aperta
per un po’.
5. Se provate tensione o mal di testa:
• E’ possibile che vi stiate sforzando troppo. Capita!
Alleggerite la concentrazione. Provate ad esempio a
spostare il punto di osservazione del respiro all’altezza
dell’ addome.
• Generate l’energia della benevolenza e dirigetela verso
l’area dove sentite tensione.
• Visualizzare e diffondere luce attraverso il corpo può
aiutare ad alleviare crampi e dolori. Vedete cosa succe-
de quando dirigete una luce benevola su una parte in
difficoltà!

Condividi:

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *