I principi delle meditazioni samatha, sul respiro e vipassana 1

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I principi delle meditazioni samatha, sul respiro e vipassana 1

Introduzione al Buddhismo Theravada
Quinto Dialogo: I principi delle meditazioni samatha, sul respiro e vipassana (parte 1)

di Guido Da Todi

(Indice del capitolo)

Riassunto di quanto detto, nel precedente dialogo, sull’Ottuplice Sentiero
(01,11) – La Meditazione
Samatha (quella seguita dalle Scuole Mistiche di ogni tempo). Cosa è?
(02,49) – Perchè Buddha non
l’accetta, affermando che essa non porta alla pace finale? (03,31) – La
meditazione samatha e quella
vipassana sono due facce della medesima moneta (04,20) – I cagnolini che
rappresentano la
meditazione “samatha”, davanti all’abitazione della voce narrante.. (07,00)
– L’attrazione che
ognuno ha verso persone e fatti che predilige e le repulsioni che nascono
verso realtà che non si
gradiscono avranno grande peso sul tipo della meditazione scelta (08,35) –
Questo continuo
oscillare del mondo interiore causa una profonda stanchezza in tutti, e
solo il metodo della
vipassana potrà dare, infine, riposo interiore ai meditanti samatha (10,00)
– La differenza tra i
desideri naturali della vita e la bramosia che distrugge, frammento dopo
frammento, gli animi delle
persone passionali (11,10) – Le repulsioni sono “oggetti psichici”; se
riusciamo ad ospitarli nel
nostro animo, trattenendoveli con amore e simpatia, essi arriveranno a
sciogliersi del tutto ed a
sparire (14,00) – L’esperienza personale di chi narra, in proposito (14,40)
– Il grande dono della
Dottrina di Buddha e di fare convergere in noi gli estremi dell’armonia e
della disarmonia,
trascendendoli e rendendoci liberi da essi (16,40) – La vera pace la si
prova accogliendo la vita , sia
negli aspetti apparentemente contrastanti, che in quelli favorevoli; e
divenendone, così, testimoni
senza intervenire a cambiarne la natura (18,00) – Solo a questo punto, dopo
questa nostra
introduzione, possiamo farvi comprendere i lati positivi e quelli negativi
della meditazione samatha
(20,19) – Il “rifugio dorato” che il mistico samatha costruisce,
allorquando inizia la sua meditazione.
La meditazione samatha privilegia ciò che è desiderabile, formale,
perfetto; al contrario della
meditazione vipassana, che accoglie in sé, contemporaneamente, l’aspetto
oscuro e quello luminoso
delle cose…Ma, se si sceglie una polarità definita dell’esistenza, ci si
dovrà sempre aspettare che
l’oscillazione del pendolo passi, quando giunge il momento, a quella
negativa. Quindi, il castello di
cristallo che il meditante samatha costruisce, durante la sua introspezione
aristocratica, si
frammenterà, prima o poi, quando verrà colpito dal maglio “scomodo” della
realtà esterna. Il
rifugio montano non reggerà, durante il vorticoso soffio del vento
esteriore. Vipassana, invece,
ospitando “la realtà, così come essa è”, è destinata a rimanere stabile, in
questa sua posizione, che
non predilige nè il positivo, nè il negativo; nè la pace, nè la tempesta
(21,00) – Gli “artisti” della
meditazione samatha (22,00) – Utilizza samatha chi è ancora pervaso dalla
ricerca della
consolazione e dalla fuga dei contrasti esistenziali (23,00) – Samatha: la
gabbia di cristallo – Ajahn
Cha, il grande “costruttore” di monaci theravada, diceva, di essa:”Colui
che l’adotta lascia, di solito,
la sua pace sopra il cuscino di meditazione”(24,20) – L’esemplare icona
descrittiva della
meditazione samatha, con i suoi lati positivi e negativi, nella lettura di
un breve scritto di Ajahn
Sumedho, monaco theravada di grande autorità spirituale (27,50) – Cosa
bisogna comprendere per
potere fluire naturalmente dalla meditazione samatha a quella vipassana?
(33,20) – Interrompere la
fuga verso il passato, lo slancio verso il futuro e porre stabilmente il
piede nell’eterno presente;
abbandonare la ricerca della gratificazione interio re, ad ogni costo ed il
timore, la fuga dai contrasti
esistenziali costruisce la prima base angolare per iniziare la meditazione
vipassana (34,20) – “Io
insegno solo una cosa:”Cosa è la sofferenza e come uscire da essa” (Buddha)
(35,00) – Le parole del
grande buddista italiano Corrado Pensa (37,00) – L’esempio delle 2 frecce.
Il ferito, che reagisce
emotivamente e disordinatamente al dolore provocato, in lui, dalla prima
freccia soffre due volte,
come se lo avesse ferito un secondo dardo (37,30) – Chi sa meditare riesce
ad eliminare il ruminante
secondo dolore, creato dalla mente, grazie alla sua stabilità mentale, alla
sua non reattività, al suo
non attaccamento (38,00) – Questo è l’atteggiamento abituale del seguace
della Via del Dharma: il
meditante vipassana (38,30) – E né egli si sente attratto dall’altro suo
aspetto mentale; ossia, verso
ogni tipo di cieche attrazioni verso esteriori passionalità disordinate
(39,20) – Il famoso Sutra di
Buddha sulle due frecce (42,10) – Chi vuole sfuggire al dispiacere cerca di
dimenticarsi nel piacere;
e, ben presto, nasce in lui – o in lei – un condizionamento al desiderio. E
scatta, allora, la trappola
della catena e della rinascita (43,20) – Il meditante vipassana impara a
rimanere equanime e
distaccato quando appaiono in lui sensazioni piacevoli, spiacevoli, o
neutre. Ciò lo porta a rimanere,
alla fine, disgiunto dalla nascita, dalla vecchiaia, dalla morte, dai
turbamenti, dalle
sofferenze…(46,00) – A questo punto del dialogo si stanno per insegnare i
principi della
meditazione corporale vipassana (46,30) – La meditazione samatha viene
comunque praticata dal
buddista, lì dove gli sia necessario fermare la sua mente e concentrarla,
nel tempo e nello spazio
(48,00) – Spiegazione dettagliata della tecnica meditativa sul proprio
respiro naturale, come è stata
insegnata dal Buddha (48,30) – Il proprio respiro inalante ed esalante non
avviene ieri, né domani;
ma, proprio in questo momento: ossia, nell’eterno presente: Il segreto
della meditazione sul respiro
naturale è, quindi, un approccio al personale “qui ed ora”; – o, se
vogliamo, rappresenta un
“accordare” la propria tonalità sul diapason della consapevolezza
dell’eterno presente (52,15) – La
respirazione naturale è l’unico elemento degli esseri senzienti che unisce
conscio ed inconscio –
L’attenzione vigile e consapevole, portata quotidianamente sulle minime
situazioni vissute, sarà
l’acciarino che fa scoccare la scintilla della realizzazione cosmica (1,00)
– Il pranayama, tecnica di
antica padronanza delle energie praniche (1,02) – Il respiro naturale è la
più pura incarnazione del
principio dell’impermanenza delle cose. Il respiro nasce (aspirazione);
raggiunge il culmine della
massima tensione; quindi, muore (espirazione). E così via (1,03) – Ogni
vostra respirazione naturale
è una piuma dell’uccello magico dell’eterno presente (1,07) – Corrado Pensa
ci illumina, molto
brevemente, sulla tecnica della meditazione del respiro naturale [la
meditazione di consapevolezza] (1,08) – L’atteggiamento meditativo perfetto (vipassana) si manifesta come
immobilità ricettiva,
flessibile e trasparente (1,13) – E quale atteggiamento meditativo è più
ricettivo, immobile, flessibile
e trasparente dell’osservazione spoglia del nostro respiro naturale?
– “Inspirare, sapendo di
inspirare; espirare, sapendo di espirare. Nulla di più”. Questa è la più
antica e acuta pratica di
meditazione sul respiro (1,15) – Ora, qui, si accenna alla “meditazione
camminata” – poco usata in
occidente, così come è molto seguita in oriente (1,19) – Si conclude
l’insegnamento della
meditazione samatha e delle sue due cuspidi: la meditazione sul respiro
naturale e quella camminata
– Adesso, proseguiremo, esponendovi l’antica tecnica vipassana (1,22) – Il
meditante samatha
innalza costantemente una sofisticata costruzione mentale, imprigionandosi
sempre più sotto il peso
dei feltri trasparenti e dotti, costruendo così karma costante, per le sue
prossime rinascite (1,23)- Il
meditante vipassana accoglie in sè, come testimone pietoso, la realtà di
tutti gli opposti, così come li
incontra nella sua vita e fa scorrere su di essi solo il suo raggio
mentale, senza interferenza alcuna
con la vita stessa; anzi, aromatizza d’amore e di armonia, lì, dove fluisce
la carezza del suo raggio di
consapevolezza interiore (1,24) – Questa vigilante attenzione impersonale
ed amorevole libera
karma, piuttosto che crearne (1,28) – Nel meditatore samatha la “stretta
interiore” è una condizione
“sine qua non” che egli porta sugli oggetti della sua attenzione; il
meditatore vipassana, invece,
plana e carezza gli oggetti e le situazioni, entrando in sintonia con la
loro struttura più intima, senza
alcuna interferenza personale (1,29) – E’ concretamente e sperimentalmente
vero che il buddista non
cessa mai la sua meditazione, durante la giornata, mentre tiene attiva la
sua attenzione consapevole
su ogni atto che egli vive e su ogni pensiero che egli pensa (1,31) – La
meditazione terapeutica
corporale è il risveglio di sensazioni, su ogni parte del corpo e in ogni
organo, molte delle quali
annidate in esso addirittura da vite e vite. Portate alla luce, queste
sensazioni si sciolgono alla luce
del “qui e dell’ora” e svaniscono, portandosi via angosce, desideri, paure
e blocchi mentali – I due
tipi di sensazioni che rappresentano, in noi, il nodo e il seme della
sofferenza e delle rinascite future
sono quelle del desiderio intenso e della repulsione (1,32) – La
meditazione vipassana estrae dal
subconscio tutte le sensazioni sopite – e serve proprio a questo (1,33) –
Cosa accade esattamente
durante la meditazione corporale vipassana? (1,34) – Ogni volta che
vipassana torna a “carezzare”
con il raggio della sua consapevolezza mentale una sensazione questa perde
un poco più di forza;
sino, ben presto, a svanire del tutto (1,36) – Il Buddha ha scoperto la
soglia, oltre la quale si può
vivere del tutto liberi da ogni prigione mentale e ci ha dato gli strumenti
per aprire quel uscio (1,38)
– Alla tua morte quale sensazione potrebbe essere la risultante, o la forza
conduttrice alla tua
prossima rinascita? – Ma, noi non vogliamo rinascere! (1,40) – E Buddha ce
ne offre la possibilità
sperimentale – Nel Satipatthana Sutra (“Il Sutra sui quattro fondamenti
della consapevolezza”),
Buddha insegna la grande tecnica della meditazione vipassana corporale e
quotidiana. Qui, ne
vengono recitati i pregnanti concetti basilari(1,41) – (nella prosecuzione
del Dialogo saranno lette,
praticamente, tutta le parole di Buddha, mentre egli espone la tecnica
della meditazione corporale
vipassana – anche se molti dei principi fondamentali di questo metodo
introspettivo sono stati già
toccati, in precedenza) (1,45) – Confidenze del narrante agli ascoltatori,
riferite all’effetto che la
meditazione vipassana ha avuto, nella sua pratica personale della stessa
(1,56) – La Retta
Concentrazione è l’ultimo gradino dell’Ottuplice Sentiero, i cui contenuti,
ora, vengono approfonditi
(1,58) – A questo punto del dialogo, i significati dell’Ottuplice Sentiero
sono stati completamente
approfonditi, in tutti i loro chiaroscuri (1,59) – Se noi applicheremo,
sperimentalmente, su noi
medesimi le verità che Buddha esprime nella Sua Dottrina – e che abbiamo
appena terminato di
approfondire, in questo quinto Dialogo – potremo , come l’Illuminato ci ha
promesso, trovare la
libertà dalle future rinascite, sin dall’attuale nostra vita (2,00) –

5.LA MEDITAZIONE SAMATHA – LA MEDITAZIONE SUL RESPIRO – LA
MEDITAZIONE VIPASSANA

Bentrovati!
Questo è il nostro quinto dialogo, che si sviluppa nel fresco, nel
ristoratore
argomento del cammino del Dharma. L’insegnamento del grande illuminato. Noi
riprendiamo, adesso, il pieno contenuto della retta consapevolezza.
Cioè, del secondo scalino, contenuto nel terzo androne – androne della
Concentrazione – dell’Ottuplice Sentiero.
Quindi, questo è il penultimo scalino dell’Ottuplice Sentiero.
Non riproporrò quelli che sono gli scalini restanti ed i loro contenuti.
Ripetiamo, però, molto brevemente, ad onore di chi voglia rinfrescarsi le
idee, che le
Quattro Nobili Verità, spiegate nel nostro secondo dialogo, contengono
l’Ottuplice
Sentiero, racchiuso nell’ultima di esse.
Noi sappiamo che Buddha è venuto ad insegnare che esiste la sofferenza, ed
a fare
in modo che noi ce ne rendessimo conto; che la sofferenza ha un origine;
che essa
può cessare; e che c’è una via d’uscita alla medesima.
Questa via d’uscita è l’Ottuplice Sentiero, il quale consta di otto
codificazioni:
– la retta comprensione e la retta aspirazione, che fan parte dell’androne
di coloro
che hanno la saggezza nel cuore.
Poi ci sono:
– la retta parola, la retta azione, e i retti mezzi di sostentamento, che
appartengono
alla estrinsecazione della moralità del seguace del Dharma;
ed infine – e qui ci troviamo nel terzo androne, della concentrazione, che
contiene
praticamente le tecniche meditative che ci ha dato Buddha: il retto sforzo,
la retta
consapevolezza che abbiamo analizzata, a fondo, nel passato dialogo) e la
retta
concentrazione.
Ovviamente, miei cari amici, qui, ho appena accennato alla composizione
dell’Ottuplice Sentiero; ne abbiamo, però, parlato a fondo nel terzo
dialogo e anche
in quello passato, il quarto.
Nei dialoghi, magari, si è avuto, forse, l’impressione che noi si desse poca
importanza alla meditazione Samatha; cioè, a quella meditazione che, per
secoli e
per millenni, è stata seguita ed è seguita dagli spiritualisti, dalle
scuole iniziatiche,
dalle scuole indiane dello Yoga e così via.

Fu proprio la scuola a cui si rivolse Buddha, quando uscì dal suo palazzo,
incontrando i due grandi guru, che gli insegnarono un sistema di
meditazione che,
in nuce, era proprio questa Samatha.
Egli, tuttavia, non accettò tale orma di meditazione perché non dava la
pace, la
libertà definitiva.
Devo, però, dire che – come già ho accennato – in effetti non è che la
meditazione
Samatha, quale voi avete sempre fatto, non abbia valore; anzi, io stesso
sono il
risultato di questa meditazione, poiché, per anni, l’ho studiata e, quindi,
provengo
da essa, pur essendomi, adesso, calato in pieno nel metodo Vipassana.
Insisto, allora, a dire che non si abbandonano i sistemi passati… non sono
sbagliati
i vari sentieri che, poi, approdano a quello centrale di Buddha.
Si tratta di una moneta, che ha due faccette.
Una è la meditazione Samatha e l’altra la Vipassana; l’una non può
coesistere
senza l’altra.
Ecco, questo è importante affermarlo.
Solo che, così come affermai che Buddha è venuto a collocare l’ultimo
tassello in
un arazzo, in un mosaico di trascendenze – che era vuoto di quel tassello –
in tal
modo la Vipassana completa il mestiere, la professione dello spiritualista.
Per comprendere la natura della meditazione Samatha, dobbiamo riprendere
l’argomento delle due direzioni della nostra mente.
Abbiamo visto, nel passato dialogo, che, in effetti, ognuno di noi, prima
di essere
avvertito dell’errore che sta compiendo, ha una mente che segue un medesimo
binario – e lo fa automaticamente – da centinaia e centinaia di rinascite…
Essa privilegia, fedelmente, due direzioni…
Cerca sempre, per istinto profondo, quanto le piace e la consola. Cerca dei
rifugi,
nella sua quotidianità, e nei continui “si” della vita, e vi ci si
nasconde, vi ci si
adatta…Vi ci si accomoda ben benino…
Ciò rappresenta ben il desiderio, le attrazioni della vita; e mi pare
abbastanza
logico, tutto ciò… fino a un certo punto.
Voglio farvi un esempio, che vi aiuterà un po’ a capire.
Personalmente, io abito in una villa un po’ isolata, e, a sistema buddista,
custodiamo varie animali; cioè, noi abbiamo tre cagnolini, ospiti fissi del
nostro
giardino, i quali vivono, però, fuori, nella strada…
Diamo loro da mangiare, li trattiamo bene e li amiamo.
Abbiamo anche dei gatti…

I tre cagnolini, quasi sempre, “offrono il tè” ad altri confratelli della
strada….per cui,
qui fuori, c’è, spesso e volentieri, un certo movimento…
Anche le nostre macchine sono disposte fuori, nella via.
….Ora, succede che questi cagnolini, quando fa freddo, si vadano a
nascondere, a
sistemare sotto le auto, appena parcheggiate e con il motore ancora caldo…
E’ proprio un’organizzazione personale di buona vita, che hanno escogitato….
Quando uno di noi esce dal portone di casa, i cani vengono via da sotto le
auto….facendo un pochino di fatica, ansimando…e scodinzolando….
Infine, quando, a tua volta, entri in una di esse e metti in moto, ecco che
loro si
rifugiano, nuovamente, sotto il ferrame caldo ed ospitale….
Sentite, non credo che sia molto diverso questo sistema dal nostro cercare
rifugio
in tutto ciò che ci consola…
…Noi siamo proprio come i cagnolini di casa mia…
Istintivamente andiamo a cercare quello che ci piace… la gente che ci dice
di
“sì”…e che ci ripete che siamo bravi… che siamo, forse i migliori…e noi,
magari, la
tocchiamo e diciamo:
“…senti, non ho capito bene, cos’hai detto?..”
“Che sei il migliore…”
“Ah, veramente?… Ripetilo un’altra volta…”
Ovviamente, sto scherzando…ma attenzione, non tanto!…
Questa, è una direzione verso cui va la ricerca di conforto mentale alla
nostra
quotidianità.
Poi…poi abbiamo un’altra direzione, e che è esattamente opposta; ossia, di
rifuggire ciò che ci crea delle turbative…
Voi sapete che è così! Quanto ci da delle repulsioni lo vogliamo almeno
distruggere
mentalmente… o, scappiamo da esso con eleganza….
Ci defiliamo, in effetti, da persone, da situazioni, da pensieri che
rappresentano,
anche alla lontana, delle noie, e che ci angosciano…
…Questa è la prova dell’ attrazione che abbiamo verso il desiderio, e dello
scontento nel fuggire le repulsioni…
…..Desiderio e repulsioni….

Noi viviamo costantemente in tale ritmo….attratti dal desiderio e fuggenti
la
repulsione…. attratti dal desiderio e fuggenti dalla repulsione…
Non abbiamo pace…
In effetti, Buddha dona anche un’ enorme tranquillità interiore, perché
sono inutili
tutti i sistemi di relax, di rilassamento ecc. che ci propongono da ogni
parte….
Essi offrono, sulla buccia degli individuo e, solo in modo periferico, un
po’ di
riposo…
Tuttavia, noi continuiamo a sostenere, quotidianamente, una nostra
stanchezza
costante.
Perché, alla fine, logora questo andare verso le cose, passionalmente,
ciecamente,
e cercare sempre nuove litanie, nuove poesie di desiderio da emettere…con
uno
sfrigolio costante interiore…
Ed ecco, allora, intervenire Buddha, che ci aiuta a spezzare tanta
oscillazione
feroce…
Il vero relax avviene solo quando abbiamo estratto via, come un cuscinetto
di
serpicine viventi, da dentro di noi, la fluttuazione costante, che ci
opprime da
diverse vite.
Questo ci offre Buddha!
Noi, adesso, stiamo facendo un riassunto di cose già dette nei dialoghi
precedenti.
L’Illuminato non ci dice di liberarci, ovviamente, dai desideri…
Io, ripeto, ho un po’ il timore di coloro che credono sia giusto vivere
come delle
mummie: freddi, alteri, privi di aspirazioni…
Impossibile!…
Ci sono i desideri logici nella vita, e ne possiamo fare una lista: il
desiderio di
cultura spirituale, il desiderio di libertà, il desiderio di amare, il
desiderio di
migliorare, di seguire la via del Dharma – che è dolce all’inizio, è dolce
al centro, è
dolce alla fine.
Desideri leciti… non avidi.
Il desiderio avido, che è la bramosia, non deve far parte del mondo
interiore di una
donna e di un uomo, che abbiano assaporato l’assoluto, pulsante e
indicibile non
sé, al centro delle cose.
Ed ecco, allora, che Buddha ci dice di sospendere il desiderio, per le cose.
Ma, che significa, ciò?…

Ricordate l’esempio che abbiamo fatto, a proposito dell’orologio, no?
Dicevamo che
l’orologio ci è utile durante la giornata; ne vediamo l’ora, non manchiamo
agli
appuntamenti, e così via….
La sera, poi, quando noi andiamo a dormire, ecco, lo sfiliamo e lo
deponiamo sopra
il comodino….
Così deve essere per il desiderio delle cose. Noi dobbiamo deporli i
desideri,
staccarci da loro e utilizzare, al momento opportuno, solo quelli che sono
normali,
leciti.
Molto bello quanto ci insegna Buddha, quindi..
Voglio darvi anche una partecipazione personale, una testimonianza, a
proposito
delle repulsioni che abbiamo per le cose della vita…
Rimanendo, ben si intende, sempre sul piano psichico, chi di voi non ha
provato
angosce, paure, che fremono sotto il pelo dell’acqua del vostro subconscio?…
Chi non è stato coinvolto da quella abitudine a restare leggermente
angosciati, in
genere, durante la giornata; a provare un’impalpabile timore, a prescindere
dall’innesco che può darvi un’ideazione mentale, un pensiero, un ricordo…
In genere si vivono le proprie giornata, sottilmente timorosi – di cosa?..
Non si sa…
Ed allora, utilizziamo l’antico antidoto theravada!…
E piuttosto che avere una repulsione verso questi stati d’animo – al
pensiero che
dobbiamo incontrare qualcuno che non ci piace, o che stiamo per vivere una
situazione sgradevole – è molto bello ospitare questa sensazione nel pieno
del
nostro cuore, nella nostra realtà interna, quasi con simpatia ecco….
Le repulsioni sono degli oggetti, amici miei!… sono degli oggetti!..
Ricordate quando dissi che da bambino mi piaceva sciogliere lo stagno e
colare
quelle gocce nell’acqua, che subito sfrigolava “sfrrrr, sfrrrr” …ed allora
lo stagno
diventava privo di vita, freddo, assumendo delle strane forme che tanto
piacevano a
me ed ai bambini, miei amichetti?…
Ecco, se noi accettiamo…assorbiamo nel nostro cuore ogni situazione che non
ci
piace… col suo sfrigolante sapore di limone, vi garantisco che le paure, le
angosce,
così abbracciate – come simbolicamente, faceva San Francesco col lebbroso –
così
assimilate in noi, si estinguono….
Ve ne do io piena testimonianza!
Io vi do la mia parola di galantuomo che questo metodo funziona.

Personalmente, ho provato, per quanto riguarda le piccole angosce, i minuti
e
costanti problemi psichici, a non temerli più, a guardarli, a conoscerli; ad
accarezzare loro il capino, come a dei bambini… (e sono, a loro modo, dei
bambini, dei nostri figli, queste angosce….)
Di conseguenza, vi posso garantire che esse perdono il loro aculeo, perdono
il loro
potere…alla lunga…
Se le amate, in voi… e le assorbite, all’interno del vostro animo… si
dissolveranno
Ed allora, durante la nostra giornata, quando saremo sempre presenti, nel
qui e
nell’ora, e vedremo, da quella dimensione, il nostro mondo interiore
assalito,
all’inizio, da tali problemi, da tali repulsioni… che, gradatamente, però,
sfioriranno e
si decalcificheranno…. perché noi li terremo in mano, carezzandoli come si
accarezza un piccolo uccellino, con simpatia (e, questo, si può fare!…);
e quando
noi depositeremo i desideri, senza che questi ci avvolgano nelle loro
spire….fino a
vedere apparire, finalmente, l’alba della tranquillità, nell’equilibrio
fondamentale
nelle cose (è inutile che vi ripeta il concetto del “non sé”)…un equilibrio
che, in altri
termini, è detto “tra gli opposti”… allora, capirete che Buddha non propone
verità
nuove…ma, rigenera l’antico, come sa fare solo lui!….
Allora si sveglierà in voi l’occhio perforante del seguace del Dharma.
Perché vedrete le cose così come sono, attorno a voi, sia nella loro
connotazione
disarmonica, che in quella armonica.
Ecco….gli estremi…
Li accetterete esattamente come sono
Quando voi avrete afferrato il senso globale delle situazioni, così come si
presenta
nella sua confusione, nella sua disarmonia e nella sua armonia, proverete
l’indicibile esperienza della fusione di ogni opposto, in voi, e capirete
che la realtà è
così che va accettata… senza predilezione per un alba serena e una spiaggia
tranquilla, e senza fuggire quanto ci sembra una tempesta…
Perché anche le tempeste sono belle!..
A me piace l’odore e il sapore della pioggia…a me piace, quando sento,
lontano, un
tuono che vibra, così come mi piace anche la pace di un boschetto… con i
suoi
uccellini ed i grilli…
Ma, tutte e due le realtà fan parte della vita; ed ecco perché Buddha ci
dice di
accettare le cose così come sono, senza escludere alcuna situazione
dall’esistenza
interiore ed esteriore..
La realtà va vissuta come essa è…
Questa è la visione ineffabile che dona la pratica vipassana…..

Vi garantisco amici miei, credetemi…. per quanto possa sembrare
paradossale, la
vera pace la si prova divenendo scarni testimoni nella vita; ospitando la
vita in sé,
sia nei suoi aspetti tempestosi che nei suoi aspetti tranquilli. La vita
com’è, come tu
la prendi,…diviene la realtà, il volto esatto della pace.
Il monaco buddista ci insegna questo, camminando con la sua ciotola,
attraverso il
mondo….
Non si difende dalle tempeste…perché non ne ha più in sé…..
Non è attratto dalla oscillazione che riguarda i desideri….
Se voi, con il pensiero, evitate sempre le scarmigliate bellezze
esistenziali – le
tempeste della vita – che potrebbero mentalmente rappresentare una vostra
turbativa, una vostra repulsione…e se, poi, nel contempo, andate a
rifugiarvi
soltanto nelle tranquilli oasi del desiderio…per cercate di difendervi
dalla tempesta,
non avrete mai pace,…
Invece – come fare a spiegarvelo? – quando viviamo, guardando,
direttamente, il
mare che si procella, e va a spumeggiare contro rocce, ecco noi assorbiamo
il
sapore di verità in tutto…
Noi, a questo punto, non ci difendiamo da nulla….restiamo aperti e viviamo
con
acutezza la vera realtà Vipassana… la vera, retta consapevolezza delle cose,
proprio come esse si mostrano.
Giunti qui, amici miei, sono convinto che l’introduzione è stata adatta a
farvi capire
i lati positivi e negativi di Samatha.
E’ importante, che si impari a concentrare la propria mente….
A noi – che siamo degli antichi meditanti, – hanno insegnato a stabilizzare
le essenze
mentali su di un oggetto, in modo tale da essere padroni di una stabile
concentrazione.
Poi, tramite quel potere mentale che avevamo sviluppato, abbiamo cominciato
a
costruirci dei castelli trasparenti di cristallo interiore, ad erigere
l’intera
visualizzazione della nostra vita…
Però, solitamente, quando un mistico – perché di ciò stiamo parlando – si
pone in
meditazione, egli si costruisce un cunicolo, un rifugio dorato…
Egli esalta ed ama la forma, pur se magnificata…
Infatti, di solito, medita sulla figura del guru, medita sulla radiazione
della divinità:
una visione, oppure un mantram,…ed ecco, quindi, che magnifica alcuni suoi
sensi
fisici…. La vista, l’udito….
Ciò evidenzia ancora quanto fu uno dei soggetti del passato dialogo:
l’importanza
degli Skanda, dei sensi nell’uomo.

Ci si rifugia, quindi, ogni volta, sempre più in profondità, in uno stato
d’animo
costruito bellamente, perfettamente…
Infatti, ci sono degli artisti della meditazione Samatha!
Non so come dirvelo ancora… Ma, l’importante è comprendere che chi entra in
meditazione Samatha crea sempre per sé un rifugio dorato, con della sostanza
mentale estremamente sofisticata.
Quando tale tipo di meditazione ha termine, egli si ritrova sicuramente
arricchito da
una realizzazione interna…
Difatti, la meditazione samatha è di certo bella e, come dice il suo nome,
porta al
samadhi….
Un tipo di meditazione che rappresenta un sofisticato congegno, una
sofisticata
invenzione di quelle strato d’umanità, che perviene ad essa, in quanto vi
vede un
apice evolutivo di produttività mentale…
Ma, la meditazione samatha attrae, pure, coloro che privilegiano le due
direzioni
mentali, e che vanno alla ricerca subconscia della consolazione, dei
rifugi, dei
continui assensi e delle carezze psichiche.
Ecco…io li chiamo “gatti soriani”, quegli uomini e quelle donne che si
leccano a
lungo il bellissimo manto interiore, mentre cercano rifugio e tranquillità
e dolcezza
nella meditazione Samatha.
E quando terminano la loro meditazione, escono dal rifugio dorato, dalla
propria
stanzetta meditativa, come da un alambicco di cristallo, che loro stessi
hanno
eretto.
Badate, che io stesso ho vissuto a fondo tale tipo di meditazione… non c’è
assolutamente nessuna traccia critica in quanto vi dico…
Però, cercate di capire…
Il meditante samatha erige, ogni volta, un tipo di rifugio, che è,
chiaramente, una
gabbia di cristallo, in quanto che, quando esce dalla stanza, o quando si
alza dal
cuscino, su cui stava accovacciato a meditare – come diceva Ajahn Cha – un
grande Guru buddista e “costruttore” di evoluti monaci theravada – egli
“ …lascia la sua pace sul cuscino…”
Perché?…
Perché, una volta uscito dalla sua stanzetta mistica, uscito dal suo
sacrario, ecco
che entra nello sferragliare spietato della realtà esterna….
Oppure, qualcuno gli parla a bruciapelo, e lo scuote da tanta aria di
sacralità, che
è, e resta sempre, un sentimento costruito; quindi, lo innervosisce,
facendo cadere
a terra, in mille pezzi, i suoi stati di animo delicati e ipersensibili,
perché in equilibrio
instabile tra il reale e l’irreale…

Tutto ciò che è cominciato deve finire….tutto ciò che è costruito deve
dissolversi, in
contatto con questa dura concretezza delle cose.
Quando il meditante, o la meditante, escono dalla loro stanza, si trovano
accuratamente a custodire una perla nera nel proprio mondo interiore….
Ma, questo equilibrio provvisorio, questa pace diafana essi dovranno
mantenerli in
una gabbia gelosa, fino a che, comunque, li vedranno sgretolare, nello
stridore del
mondo esteriore.
E il fatto di doverli difendere ne dimostra la debolezza intrinseca.
Di solito, il meditante, dopo la sua introspezione, anche se lo nasconde
bellamente,
e non lo fa sapere, cerca sempre, con nostalgia, di tornare ad eclissarsi
nella sua
“isola interiore” (come i nostri cagnolini, sotto il motore caldo delle
macchine…)
per una costante ricerca di protezione, o di auto gratificazione.
Insomma, lui tenta di proteggere il suo gioiello interiore, con ambedue le
mani
psichiche, fino a che questo gioiello si distrugge, sotto i colpi del
martello
pneumatico della vita quotidiana.
Credo che, a questo punto, ci sia utile la brevissima lettura di uno
scritto dell’abate
buddista Ajahn Sumedo, un noto insegnante di molti monaci theravada, in
Europa .
Egli ci crea un’esemplare icona descrittiva della meditazione Samata.
In questo brano troveremo anche un piccolo accenno alla meditazione del
respiro –
sapete, quella che, altrove, viene chiamata dell’Hong-So…. ne parleremo,
più avanti,
durante il dialogo…vi insegnerò, come ho appreso, io stesso, la grande
validità e il
grande valore della meditazione del respiro…
Qui appresso essa viene appena indicata incidentalmente, come pure troverete
anche un accenno alla meditazione Vipassana, che dovremo ancora affrontare
tra
poco.
Allora, ascoltate bene , perchè chiarisce molto questo breve dialogo,
manifestato,
come è, da un autorità buddista.
Aspetti della meditazione – di Ajan Sumedo
Questa riflessività della mente, o equilibrio emotivo, si sviluppa in
seguito alla
pratica della concentrazione e della meditazione di consapevolezza.
Fatene l’esperienza, durante un ritiro. Passate un’ora facendo meditazione
Samatha,
concentrando la mente su un unico oggetto, ad esempio la sensazione del
respiro.

Mantenete questa consapevolezza e continuate a riportarla alla coscienza, in
maniera da creare una continuità di consapevolezza nella mente. In questo
modo vi
concentrate su ciò che sta capitando nel vostro stesso corpo, invece che
essere
proiettati fuori, su oggetti dei sensi.
Se non avete un rifugio interiore, continuate a proiettarvi all’esterno,
venite
assorbite dai libri, dal cibo, da ogni sorta di distrazione; ma, questo
continuo
movimento della mente è estenuante.
La pratica, quindi, sarà quella di osservare il respiro e non seguire la
tendenza a
cercare qualcosa al di fuori di voi. Portate l’attenzione sul respiro del
vostro stesso
corpo, e concentrate la mente su questa sensazione.
Man mano che progredite passerete da sensazioni grossolane ad altre sempre
più
sottili, e finalmente diventerete voi stessi quella sensazione.
Qualunque sia l’oggetto in cui vi assorbite, diventate quello per un certo
tempo;
quando vi concentrate veramente, diventate quella condizione di
tranquillità. Siete
diventati tranquilli, ed è questo che chiamiamo diventare.
La meditazione Samatha è un processo di divenire; ma, se indagate bene,
quella
tranquillità non è una tranquillità soddisfacente. C’e qualcosa che manca
in essa,
poiché dipende da una tecnica, da un attaccamento, da un aggrapparsi. Da
qualcosa che, comunque, inizia e finisce.
Diventate qualcosa, ma solo per un tempo limitato, perché il divenire è una
cosa
mutevole, non è una condizione permanente. Per cui, qualsiasi cosa
diventiate, vi è,
poi, la fine di quel divenire; non è la realtà ultima.
Per quanto la vostra concentrazione sia profonda, sarà sempre una condizione
insoddisfacente. La meditazione Samatha vi porta ad eccelse e brillanti
esperienze
mentali, ma anch’esse finiscono.
Se, poi, continuate con la meditazione Vipassana, per un’altra ora,
praticando la
pura consapevolezza, lasciando andare tutto, e accettando l’incertezza… il
silenzio,
e la cessazione delle condizioni allora il risultato sarà non soltanto la
calma, ma
anche una pace profonda, e questa sarà una pace perfetta, completa.
Non è la tranquillità di Samatha, che ha sempre qualcosa di imperfetto e
insoddisfacente anche nei momenti più intensi; solo la realizzazione della
cessazione, man mano che la sviluppate e la capite, vi porterà alla vera
pace, al non
attaccamento, al Nibbana, o Nirvana.
“Quindi si può dire…” continua Ajahn Sumedo, “…che Samatha e Vipassana siano
due momenti specifici della meditazione. Il primo, Samatha, sviluppa stati
mentali
molto concentrati su oggetti così sottili, che la coscienza si raffina la
massimo. Ma,
chi è molto raffinato, chi ha una forza di pensiero e il gusto della vera
bellezza può
sviluppare un vero attaccamento e sentire insopportabile tutto ciò che è
grossolano. Coloro che hanno dedicato la propria vita soltanto alle
esperienze
sottili, si sentiranno spaventati e frustrati quando non riusciranno più,
nella vita
quotidiana, a mantenersi a un livello così alto e così sottile.”

Io credo che in questa icona sia stato nettamente esposto, con vividezza, il
problema della meditazione Samatha.
…E forse capirete perché questa è stata, non dico abbandonata, ma
utilizzata solo
per quel che vale, da Buddha – che ci ha insegnato, invece, la meditazione
Vipassana.
Dalla meditazione Samatha potremo confluire, gradatamente, senza sforzo, e
con
naturalezza, in quella Vipassana, quando riconosceremo l’innata abitudine
che
l’uomo e la donna hanno nel cercarsi dei rifugi, in direzione del passato e
del futuro,
per fuggire la sofferenza e per cercare gli oggetti del proprio desiderio
….mentre si
rifiutano la possibilità di entrare in quel corridoio diretto alla liberta,
che è l’eterno
presente
Essi seguono una continua oscillazione, tra l’attrazione confortevole verso
delle
tane alla loro psiche, e la fuga in direzione di quanto ritengono essere la
sofferenza;
ciò che non piace, ciò che sottilmente detestano.
Vi ricordo che Buddha ripeteva:
“Io insegno solo questo: cosa è la sofferenza e quale è la via per uscire
dalla
sofferenza. “
Vorrei aggiungere un piccolo tassello di pensiero e dire che, in pratica,
la ricerca del
seguace del Dharma e di chi entra nel buddismo è di poter vincere una
sofferenza
diluita nella quotidianità dell’uomo….non parliamo, ovviamente, delle
sofferenze
atroci dei campi di concentramento nazisti, né di quelle ospedaliere….
Certo, ci sono anch’esse……..
L’uomo però dovrà captare l’insegnamento di Buddha per risolvere solo le sue
sofferenze psicologiche, mentre egli cammina quotidianamente fra le
strutture
reincarnative.
Per inciso, noi abbiamo dei grandi buddisti occidentali. Uno di questi è
italiano e si
chiama Corrado Pansa (potrete trovare molte scritti di Corrado Pansa se
utilizzerete
un motore di ricerca internet…)
Ascoltate cosa dice lui. Ed è importante che ne seguiate i consigli, perché
si possa
completare congruamente un ragionamento che ci permetta di poter passare
alla
meditazione Vipassana…. dopo aver approfondito un po’ l’aspetto claudicante
di
quella Samatha.
Ascoltate cosa dice Corrado Pansa…. e poi ci faremo guidare dalle verità
tradizionali che insegna Buddha sulla tua sofferenza…. quella che
probabilmente ti
aspetta fuori della porta, una volta terminato l’ascolto di questi dialoghi.
Dice Corrado Pansa:

“Qual è la differenza tra il meditante e il non meditante, davanti alla
sofferenza?
Abbiamo parlato del discorso di Buddha sulle due frecce. Un uomo colpito da
sofferenza è come chi viene trafitto da una freccia.
Il non meditante comincia, a quel punto, a reagire con tutta una serie di
meccanismi,
imprecazioni, lamentazioni, maledizioni ecc. Si cade, così, in una serie di
pensieri
imprigionanti, opprimenti, delle vere e proprie gabbie, dalle quali ci
ricordiamo
quanto stiamo male, fornendo ulteriore carburante alla nostra situazione
negativa.
Siamo così colpiti non da una sola freccia, ma da due: la freccia della
sofferenza e
quella delle innumerevoli reazioni ad essa.
Il meditante, invece, riesce ad eliminare la freccia dell’ostilità, grazie
alla sua
stabilità mentale, alla sua non reattività, al suo non attaccamento.”
Quindi, ricordatevi questo segue: – tutto ciò che è sgradevole e che
solitamente
l’uomo repelle… ma anche i pensieri, le immaginazioni e la realtà, in
genere, il
Buddha ci insegna, invece, a vederlo come se fossimo degli obiettivi
testimoni di
quanto accade – senza alcuna interferenza….
Dei testimoni di ciò che è sgradevole nella vita, e dei testimoni di ciò
che è
gradevole.
Questo è l’atteggiamento quotidiano della retta consapevolezza.
Ne abbiamo parlato, no?….
Quando il viaggiatore del karma, il seguace del Dharma procede lungo la
giornata,
che atteggiamento ha verso le cose?
Cose che erano sgradevoli egli le accetta, ora, con simpatia, sapendo che
tutto ciò
che ha inizio, ha un continuum interno, ed ha una fine.
Qualunque cosa sta crescendo… ma terminerà!
Quanto è sgradevole, il meditante Vipassana, il seguace del Dharma, lo
ospita
dentro di sé, lo accetta e non lo respinge.
Lo stesso avviene per le cose gradite….
Esse non vengono, da lui, affannosamente seguite.
I due aspetti – chiamiamoli gemellini, l’uno nero e l’uno bianco… le due
ali, stanno
tese ugualmente davanti al meditante
Ciò che insiste a dire il buddista… è che, spesso e volentieri, le reazioni
successive,
a un qualche cosa di ostile – oppure che crediamo ostile – sono ancor più
complesse e doloranti dell’ effettiva sofferenza provata.
Narra un’antichissima tradizione di quel guerriero che, durante una
battaglia, viene
colpito da una freccia….

Allora, cade per terra ed i commilitoni corrono da lui per curargli la
ferita…ma, egli,
lì, fermo, incomincia a chiedere
“Ma chi è stato?…Chi ha lanciato questa freccia?… A quale famiglia dei
miei nemici
apparteneva?…Quanti membri ci sono in quella famiglia? Quando è
cominciata la
guerra?…”
Insomma, continua a parlare, a parlare, ed a parlare…
Con ciò, alimentando ancor più le sue sofferenze..
Invece di curarsi e di pensare unicamente a quanto gli è accaduto,
moltiplica i suoi
dolori, in preda all’agitazione…..
La freccia non è più una sola, ora…
Ma, sono divenute due!…
Ecco quanto accade anche a tutti noi….
Però, assumendo un atteggiamento opposto, e più saggio, ben presto tutto ciò
finirà …
Non è che si continui per sempre ad avere questi problemi.
E camminando nella foresta della vita, accettandola così com’è, – col suo
nero e col
suo bianco; iniziando ad osservare le cose, senza interferire in esse, ecco
che,
lentamente, si scioglierà quella polverina nell’acqua della nostra
tenerezza e della
nostra dolcezza ed entreremo, senza neppure accorgercene, nello stato del
Nirvana.
Ascoltate ora, il famoso discorso del Buddha sulle due frecce (Salla Sutta):

Dice il Buddha:

“Meditatori, sia l’uomo ignorante che l’uomo saggio che percorre il
sentiero,
percepiscono sensazioni piacevoli, spiacevoli e neutre. Ma, qual è la
differenza tra i
due, ciò che li caratterizza? Facciamo l’esempio di una persona, che,
trafitta da una
freccia, ne riceva una seconda, sentendo, quindi, il dolore di entrambe le
ferite.
Ecco, la stessa cosa accade quando un ignorante, che non conosce
l’insegnamento, viene a contatto con una sensazione spiacevole, e, come
reazione,
si preoccupa, si agita, piange, grida, si batte sul petto, perde il senso
della realtà.
Quindi, egli fa esperienze di due dolori: quello fisico e quello mentale;
gravato dalla
sensazione spiacevole, reagisce con avversione, e con questo atteggiamento
inizia
a creare in sé un condizionamento di avversione.
Infatti, quando prova queste sensazioni negative, egli cerca il diletto in
quanto
sensazione piacevole, perché, da persona ignorante qual è, non sa rispondere
correttamente ad una sensazione spiacevole, se non cercando riparo nel
piacere dei
sensi. E quando comincia a godere di un piacere, allora comincia a
instaurarsi in lui
un condizionamento al desiderio, alla bramosia. Egli è completamente
inconsapevole di come vadano le cose; non sa, cioè, che le sensazioni sono
impermanenti, non sa quale sia l’origine della bramosia verso di esse, non
conosce
il pericolo che rappresentano, e non sa quale sia la via per non esserne
schiavi.
Questa sua incapacità crea dentro questo tipo di uomo un condizionamento di
ignoranza. Provando sensazioni piacevoli, spiacevoli, o neutre, l’ignorante,
rimanendone condizionato, lontano dalla verità, è soggetto alla nascita,
alla morte,
alla vecchiaia, ai turbamenti, alle sofferenze alle negatività. L’ignorante
è così
destinato all’infelicità.
Invece, l’uomo saggio, che percorre la via della verità, quando prova una
sensazione spiacevole non si preoccupa, non si agita, non piange, non urla,
non si
batte il petto, non perde il senso della realtà. E’ come chi venga trafitto
da una sola
freccia, e non da due, percependo solo un tipo di sensazione spiacevole:
quella
fisica e non quella mentale. Colpito da questa sensazione, non reagisce con
avversione, e così non si forma in lui un condizionamento all’avversione.
Inoltre,
non cerca rifugio in una sensazione piacevole per sfuggire quella
spiacevole che
sta vivendo.
Egli sa, da persona saggia, che è sulla via della verità, come ripararsi
dalla
sensazione sgradevole, senza cadere nel piacere dei sensi. Così, evita di
creare un
condizionamento di bramosia e desiderio. Egli comprende la realtà così come
essa
è, effettivamente, del perenne sorgere e passare delle sensazioni, delle sue
sensazioni, di quale sia l’origine della bramosia verso di esse, del
pericolo che essa
costituisce.
E del modo di uscirne. Avendo, dunque, la perfetta e completa comprensione
della
realtà, egli non permette che si formino in lui questi condizionamenti di
ignoranza.
Quindi, il meditante impara a restare equanime e distaccato, qualora si
manifestino
sensazioni piacevoli, spiacevoli e neutre. Cosi facendo, chi cammina sulla
via del
retto insegnamento, rimane distaccato anche dalla nascita, dalla vecchiaia,
dalla
morte, dai turbamenti, dalle sofferenze e dalle negatività. Egli è equanime
davanti a
tutte le sofferenze. Questa è la differenza tra il saggio e l’ignorante.
L’uomo saggio,
concretamente addestrato nella pratica del retto insegnamento, rimane
equanime di
fronte alle sensazioni sgradevoli e gradevoli che sorgono nella sua
persona.”
E noi adesso (ritorna a parlare Guido) impareremo a come riconoscere e
seguire
queste sensazioni nella meditazione Vipassana, nata proprio per questo
scopo e
portata sulla fisicità del nostro corpo.
Ricordo ancora a tutti che stiamo parlando dei complessi principi, che
formano lo
scalino centrale, fra i tre, nel terzo androne dell’ottuplice sentiero: la
retta
consapevolezza. E, in proposito, abbiamo affrontato vari argomenti, fino ad
arrivare
alla meditazione Samatha che, abbiamo detto, è fondamentale certo, ma deve
crescere, deve arricchirsi della controparte Vipassana, per potere
raggiungere quei
requisiti di equilibrio e di penetrazione nella verità, nella realtà, che
ci indica
Buddha.
Voglio parlarvi di una delle caratteristiche della meditazione Samatha –
che,
comunque, è praticata dal buddista, quando, ad esempio, egli si concentra
fermamente, e gestisce con profondità la sua mente.

Ad esempio, uno dei metodi di meditazione Samatha, maggiormente adottati,
nella
tradizione buddista, è quello chiamato Anapanasati (…guardate, che è molto
importante questo metodo che sto iniziando ad esporvi)
Anapanasati, letteralmente, significa consapevolezza dell’inspirazione e
dell’espirazione naturale.
In altri termini, la costante attenzione, rivolta verso la sensazione
dell’aria, che
penetra e fuoriesce, attraverso le narici.
Quindi, consapevolezza…. é diventare testimoni del nostro respiro inalante
ed
esalante.
Ovviamente, non è un mistero dire che il nostro respiro inalante ed
esalante interno,
è correlato con gli stati d’animo, e ne viene influenzato.
Di conseguenza, tramite questa meditazione sul respiro, il viaggiatore nel
Dharma
riconduce tutti gli stati d’animo al loro fluire essenziale, alla
realizzazione del ritmo
naturale del respiro.
Vedete, abbiamo realizzato quanto sia importante per tutti noi rimanere
graniticamente fermi nell’eterno presente, nel qui ed ora, ed è questo qui
e ora che il
discepolo di Buddha perfora, nella quotidianità
Praticamente, con la sua vigilanza, con la sua retta consapevolezza, con
l’attenzione
in ogni azione che compie nel suo presente, egli gratta sulle pareti del
tempo e
dello spazio, per tirar fuori la polvere del qui e dell’ora…..
E’ molto importante, quindi, che noi si entri, anche telepaticamente, nel
Sangha,
ossia nella presenza spirituale di tutti coloro che hanno seguito le
indicazioni di
Buddha, da 2600 anni a questa parte.
Il Sangha ha, come caratteristica fondamentale, la volontà invincibile di
uscire dal
sarcofago del proprio mentalismo, che ci trattiene nel passato…e nell’altra
direzione spuria: il futuro
La prigione ipnotizzante delle calde cucce, che non infastidiscono e che
allontanano da ogni irritazioni non si voglia subire.
Ebbene, soltanto ancorandosi nel qui e nell’ora, il discepolo del Dharma
riesce a
spingere un volano, che, gradualmente, lo porta alla visione finale delle
cose, alla
realtà, installata nella nicchia dell’eterno presente.
Ora, fate attenzione ad una caratteristica del vostro respiro…
Tu stai respirando. E questo non avviene ieri, non avviene domani; ma
avviene,
sempre, puntualmente e costantemente, oggi, qui e ora.

(continua)

(Guido Da Todi)

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