I cinque principi dello Yoga

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I cinque principi dello Yoga

a cura di Ivan Di Piazza

– Il Rilassamento

“Lo spirito che scuote il mondo dei sensi pur mantenendoli in armonia….trova riposo nella
tranquillità.” Bhagavad-Gita

Vivere con la mente ed il corpo rilassati è il nostro stato naturale, un nostro diritto di nascita;
è soltanto il nostro ritmo di vita che ce ne ha fatto dimenticare.

Non esiste ormai più nessuno, inserito nel modo di vita occidentale, che non sia sottoposto, in un
modo o nell’altro, a stress, a sollecitazioni,a tensioni, con tutte le conseguenze negative che ciò
comporta. Nervosismo, palpitazioni, contrazioni, insonnia, mal di testa, depressione, esaurimento,
aggressività sono solo alcuni dei sintomi per mezzo dei quali il corpo e la mente ci segnalano che
dobbiamo lasciarci andare, non reagendo all’ondata di stimoli che ci investe dall’esterno e che
dobbiamo rilassarci.

Chi conosce l’arte del rilassamento possiede la chiave della salute, della vitalità e della pace
mentale, perché il rilassamento è un tonico per il corpo, la mente, l’anima e lo spirito, scioglie
le tensioni muscolari ed insegna a preservare e quindi a liberare grandi risorse di energia,
abbandonando le preoccupazioni e le paure. Un rilassamento corretto produce gli stessi benefici di
una notte di buon sonno.

Esiste un intimo legame tra la mente ed il corpo. Se i muscoli sono rilassati, la mente avrà
facilità a rilassarsi; se la mente è ansiosa ed agitata, il corpo ne risentirà attraverso blocchi e
contratture. Tutte le azioni hanno origine nella mente. E’ la mente, una volta ricevuto lo stimolo
all’azione, ad inviare ai muscoli l’impulso nervoso che ne provoca la contrazione.

Nella società moderna, frenetica e concitata, la mente è continuamente bombardata da stimoli che ci
spingono a reagire come se dovessimo in ogni momento risolvere una situazione, prendere una
decisione o, addirittura, metterci in salvo. Di conseguenza, la maggior parte di noi, spende gran
parte della vita in uno stato di tensione mentale e fisica: questa tensione si manifesta in alcuni
atteggiamenti tipici di ogni individuo, le mascelle serrate, la fronte aggrottata, il collo
irrigidito e contratto. Questa inutile tensione è la causa dello spreco di energie che ci fa sentire
stanche, sfiniti, che ci predispone alle malattie: sprechiamo le nostre energie per mandare impulsi
continui ai muscoli per mantenerli contratti.

Le tecniche di rilassamento fisico, mentale e spirituale, sono parte integrante e fondamentale dello
Yoga. Con l’esecuzione delle asana, l’alternarsi della contrazione e della distensione,
l’osservazione ed il controllo della respirazione, è possibile raggiungere uno stato di completo
rilassamento.

L’alternarsi di contrazione e distensione è importante poiché si prende coscienza della apparente
dualità e di come noi la viviamo, perché solo sperimentando la tensione si può successivamente
sperimentale il rilassamento e vivere senza paura le onde della vita. Come nella quotidianità la
mente invia ai muscoli l’impulso che li fa contrarre, così, con l’aiuto dell’educazione yogica
impara a inviare messaggi di rilassamento. Con la pratica è possibile imparare gradualmente ad usare
l’inconscio per estendere il controllo ai muscoli involontari ed al cuore, al sistema digestivo ed
agli altri organi.

Anche la respirazione, armoniosa e regolare, ha un ruolo importante nel rilassamento, ma senza la
pace spirituale il rilassamento non può essere completo.

Finché vi sarà identificazione con il corpo o con la mente, vi saranno paure, remore, preoccupazioni
e sofferenze. Il rilassamento spirituale significa distacco (vairagya), ma anche pienezza della
vita; significa diventare testimoni dell’attività del corpo e della mente per trascenderli e
ritrovare identificazioni di ordine superiore con il Sé supremo, che è dentro di noi e fuori di noi,
senza confini.

Il rilassamento viene percepito come scioglimento, espansione, leggerezza, calore. Il completo
distendersi delle tensioni muscolari provoca euforia. Il rilassamento non è uno stato ma un processo
attraverso livelli di progressiva profondità. Bisogna “lasciarsi andare” anziché “controllare”, “non
fare” anziché “fare”.

– L’esercizio fisico

“Le asana rendono forti e leggeri e ci liberano dalle malattie”

Hatha Yoga Pradipika

Per comprendere la natura delle asana bisogna sperimentarne gli effetti. Non si tratta di semplici
esercizi, ma di posture che vanno mantenute e che devono essere eseguite lentamente, associandole
alla respirazione profonda. Sono delicati movimenti che non solo aiutano a prendere coscienza del
proprio corpo, ma influenzano lo spirito liberando dalle paure ed infondendo serenità e fiducia. Al
termine di una sequenza di esercizi yoga ci si sente rilassati e pieni di energia.

Un asana si compone di tre fasi.

\ Il raggiungimento della corretta postura. In questa prima fase, inspirando o espirando, si
raggiunge la corretta postura.

\ Il mantenimento della postura. In questa seconda fase si scioglie lentamente la postura, sempre
inspirando o espirando lentamente, ritmicamente, profondamente e coscientemente.

\ L’uscita dalla postura. In questa terza fase si scioglie lentamente la postura, sempre inspirando
o espirando lentamente.

Nella prima fase, quando si assume la postura, determinati muscoli o gruppi muscolari si distendono
ed altri si contraggono.

Nella seconda fase, quando si mantiene più o meno a lungo la postura, i muscoli rimangono stirati ma
rilassati, mentre la respirazione fluida favorisce lo scorrere dell’energia vitale, il prana. Le
condizioni combinate di stiramento e rilassamento provocano un profondo ricambio di sangue nel
muscolo. Nella terza fase, in cui si esce dalla postura, i muscoli ritornano alla loro condizione
ordinaria, ma vengono irrorati abbondantemente dal sangue arricchito di ossigeno grazie alla
respirazione profonda nella seconda fase.

E’ importante, salvo indicazioni contrarie, non fermarsi nelle posizioni intermedie. Un’asana si
intende compiuta quando la posizione viene mantenuta, senza perdere la concentrazione; si tratta di
uno stato di concentrazione senza tensione e svincolato da obiettivi particolari; gli yogi sono in
grado di rimanere per ore ed ore di seguito in una stessa posizione senza muoversi. Una volta
riusciti a rilassarsi in una determinata posizione, è possibile correggerla ulteriormente per
imparare a mantenerla gradualmente sempre più a lungo.

Le asana influiscono su tutto l’organismo, facendo sì che sia i muscoli che gli organi interni, che
pure in determinate posizioni si comprimono e si distendono, vengono rinfrescati e stimolati. La
circolazione sanguigna aumenta in tutto il corpo, l’apporto di sostanze nutritive alle cellule
migliora l’eliminazione delle scorie e la disintossicazione avvengono in maniera più completa.
L’intero organismo e tutte le sue funzioni si rinnovano; le articolazioni, i tendini, i legamenti
diventano più elastici; la colonna vertebrale si mantiene o diventa flessibile; la mente si rilassa
e l’anima si acquieta.

L’esperienza fisica delle posture è sicuramente, almeno all’inizio, ciò che colpisce maggiormente
nella pratica degli esercizi di yoga. Con il passare del tempo, però, e con l’aumentare
dell’esperienza e della capacità di concentrazione, si diviene sempre più consapevoli del flusso di
energia vitale (prana) e dell’importanza di una corretta respirazione (pranayama).

Lo scopo degli esercizi di Hatha Yoga, delle asana e del pranayama, è di purificare i canali
nervosi, così da permettere il libero scorrimento del prana e di preparare il corpo per la salita
della Kundalini, la suprema energia cosmica che conduce l’essere umano che pratica lo Yoga in uno
stato superiore di consapevolezza.

– La respirazione

“Quando il respiro è agitato, la mente è instabile, ma quando si acquieta, anche la mente è in
pace.” Hatha Yoga Pradipika

Il respiro è vita. Non si può vivere senza respirare. Pochi di noi, tuttavia, sono consapevoli del
ruolo centrale del respiro, di quanto sia importante una corretta respirazione, di quanto influisca
sul benessere psicofisico. Per chi pratica lo Yoga, le due principali funzioni di una corretta
respirazione sono:

\ avere più ossigeno per il sangue e conseguentemente per il cervello;

\ controllare il prana, l’energia vitale, per arrivare a controllare la mente.

Il pranayama, la tecnica per controllare la respirazione ed aumentare l’energia vitale
(prana:”respiro”, “forza vitale”, “energia”; yama:”regolazione”, “controllo”; ayama: “espansione”),
consiste in una serie di pratiche ideate per soddisfare questi bisogni e per mantenere il corpo in
uno stato di benessere.

Vi sono tre tipi di respirazione:

\ clavicolare (superficiale);

\ intercostale-toracica (media);

\ addominale (profonda);

La respirazione yogica completa combina i tre tipi, iniziando dalla respirazione addominale e
continuando poi con la intercostale e con la clavicolare. Al movimento respiratorio è abbinato un
movimento armonico della colonna, che porta ad un suo allungamento all’inspirazione ed a un ritorno
all’espirazione. La respirazione addominale comporta una mobilitazione del diaframma, che massaggia
la cavità addominale e funge da pompa venosa prevenendo problemi circolatori ed aiutando il cuore.

La respirazione yogica comporta, fatta esclusione di tecniche molto particolari, l’utilizzo del naso
sia per l’inspirazione che per l’espirazione. Le cavità nasali hanno la funzione di riscaldamento e
filtraggio dell’aria all’inspirazione; inoltre il flusso risulta rallentato, ed è più facile
instaurare una respirazione armonica e

regolare, con notevoli benefici per la mente. Vi sono poi motivi “energetici” alla base della
indicazione che viene data in sala Yoga di respirare sempre attraverso il naso.

La maggior parte di noi ha dimenticato come si respira in modo corretto: respiriamo spesso
superficialmente attraverso la bocca, non usiamo quasi mai il diaframma sollevando l’addome e le
spalle durante l’inspirazione. Respirare in questo modo significa assumere solo una piccola quantità
di ossigeno, utilizzando solo la parte alta dei polmoni; la conseguenza inevitabile è un calo di
energia ed una scarsa capacità di combattere le malattie.

La pratica dello Yoga induce a cambiare abitudini respiratorie. Inizialmente, può già essere un
grande passo avanti riuscire a prestare attenzione alla propria respirazione, imparare ad osservare
il respiro e a lasciarlo fluire, cercando, proprio aiutandosi con il ritmo del respiro, di liberare
il corpo e la mente dalle tensioni dovute allo stress, alla paura e alle preoccupazioni.

Respirare correttamente significa respirare dal naso con la bocca chiusa ed implica una completa
inspirazione ed una completa espirazione che coinvolgano gli interi polmoni.

Durante l’espirazione l’addome si contrae ed il diaframma si muove verso l’alto massaggiando il
cuore; durante l’inspirazione l’addome si espande ed il diaframma si muove verso il basso
massaggiando gli organi addominali. Come ogni asana, nel pranayama ogni respiro si compone di tre
fasi:

\ inspirazione; \ ritenzione; \ espirazione.

Solitamente l’inspirazione viene considerata la fase più importante del processo respiratorio,
mentre in realtà il segreto sta nell’espirazione: tanta più aria esaurita si espira, tanta più aria
fresca si può inspirare. Il pranayama, infatti, mette l’accento sulla seconda e sulla terza fase, la
ritenzione e l’espirazione, ed in alcuni esercizi l’espirazione dura il doppio dell’inspirazione e
la ritenzione addirittura il quadruplo. Respirando attraverso il naso l’aria viene riscaldata e
filtrata, ma per chi pratica lo yoga il motivo più importante è il prana. Come i profumi vengono
percepiti solo quando si respira dal naso, così la respirazione nasale consente di assorbire la
massima quantità di prana, in quanto nella parte posteriore del naso vi sono i nervi olfattivi
(direttamente collegati al cervello) attraverso i quali il prana scorre per arrivare poi al sistema
nervoso centrale.

Il prana scorre attraverso settantadue nadi (canali nervosi), che si purificano e si liberano
attraverso la pratica delle posture e degli esercizi respiratori. Quando il prana fluisce
indisturbato, la persona si sente bene. Se, al contrario, i nadi sono ostruiti o bloccati, insorgono
disturbi o malattie.

Il nadi principale (Sushumna) è localizzato nel midollo spinale.

Di grande importanza per il pranayama sono i nadi Ida e Pingala: il Pingala, chiamato anche “nadi
del sole”, passa attraverso la narice destra, l’Ida, o “nadi della luna”, attraverso la narice
sinistra.

Respirando alternativamente prima attraverso una narice e poi attraverso l’altra, si raggiunge
l’equilibrio tra le forze opposte del sole (attività, emissività) e della luna (passività,
ricettività), che sono attive in ogni essere umano.

Quando si riesce a controllare il prana, si riesce a controllare anche la mente, perché le due cose
sono connesse. Quando si è in collera, impauriti od angosciati, il respiro diventa affannoso, corto,
mentre quando si è rilassati e concentrati il respiro è lungo, lento e rilassato. Dato che lo stato
psicologico si riflette nel respiro, ne consegue che imparando a controllare il respiro si impara a
controllare anche la mente: una corretta respirazione, quindi, non solo aumenta la circolazione di
ossigeno e di prana nell’organismo, ma predispone anche alla concentrazione ed alla meditazione.
Elenchiamo qui di seguito i principali benefici apportati da una corretta respirazione yogica:

\ L’ossigenazione migliora; \ La funzione degli organi è stimolata; \ Il metabolismo si normalizza;
\ Si riattiva la pompa venosa diaframmatica; \ La concentrazione aumenta; \ La creatività aumenta; \
La sfera emotiva è più equilibrata; \ Gli sbalzi di umore diminuiscono di intensità e frequenza; \
L’approccio alla vita è più armonico e profondo; \ Il nervosismo si radica meno facilmente;

Il respiro, però, proprio in virtù dell’influsso profondo che esercita, deve essere liberato con
molta cautela e pazienza. Le abitudini e le strutture della vita moderna (cattiva alimentazione,
vita sedentaria, compressione psicologica, stress, divisione tra mente e corpo, esaltazione delle
emozione a tutti i costi, scollamento dalla terra, etc.), ed il suo ordinario livello di
identificazione, hanno “dato” al respiro una forma “piatta” e superficiale, bloccando anche la
funzionalità dell’intera muscolatura preposta alla respirazione.

– L’alimentazione

“Chi pratica lo Yoga deve essere astemio e mangiare moderatamente; altrimenti, per quanto abile, non
potrà ottenere buoni risultati” Siva Samhita

“Noi siamo ciò che mangiamo”. Questa affermazione è vera sotto molti punti di vista. Il cibo è
necessario per il nostro benessere fisico, ma influisce in modo sottile anche sulla mente,
conferendogli delle qualità specifiche.

Una dieta naturale si basa su alimenti freschi, leggeri e nutrienti, come la frutta, i cereali, le
verdure ed i semi oleosi (noci, mandorle, pinoli, etc.). Questo tipo di alimentazione mantiene il
corpo agile e snello, la mente chiara e lucida, e permette all’elemento sattva (luce, trasparenza)
di affermarsi e stazionare nel corpo fisico e nei corpi sottili. Ciò è di grande aiuto nella pratica
dello Yoga.

Viceversa una alimentazione appesantita da un eccesso di carni ed alimenti raffinati, favorisce
l’instaurarsi di attitudini legate al tamas (pesantezza, oscurità) o al rajas (fuoco, agitazione).

La filosofia Yoga ritiene che tutte le creature viventi abbiano un’essenza divina, che tutte le
creature viventi abbiano un cuore, delle emozioni, e che partecipiamo tutti della stessa unica
natura. In questo senso, il vegetarianesimo diventa una scelta naturale dello yogi.

Alcuni consigli possono essere utili:

\ preferire gli alimenti integrali a quelli raffinati \ preferire gli alimenti freschi provenienti
da coltivazioni biologiche \ evitare l’eccessivo consumo di carni animali \ consumare la frutta
lontano dai pasti principali \ consumare latte e derivati da soli, senza combinarli con altri
alimenti \ non consumare nello stesso pasto cibi ricchi di carboidrati (pane, pasta, cereali) con
cibi proteici (carne, pesce, formaggi, etc..), con l’unica eccezione di cereali con pochi legumi
(es. riso e piselli) \ evitare un consumo eccessivo di acqua durante il pasto, perché questo abbassa
i l fuoco gastrico \ evitare dolci e zucchero bianco, preferendo il miele integrale come
dolcificante \ evitare cibi e bevande acidificanti, che impoveriscono di minerali l’organismo, come
caffè, bevande zuccherate e gasate, cereali raffinati.

– La meditazione

“Nella coscienza in cui l’agitazione della mente è stata placata, si determina, al pari di un
cristallo trasparente che assume il colore degli oggetti vicini, una fusione completa del
conoscitore, del conosciuto e dell’atto di conoscenza Yoga Sutra I.41

“La liberazione (Kaivalya) è lo stabilirsi dell’energia del vedere nella sua vera natura, il ritorno
della manifestazione alla sua condizione originale vuota” Yoga Sutra IV.34

“Non esiste né creazione né distruzione; Né destino né libera volontà; Né via da seguire né
conquista; Questa è la verità finale” Sri Ramana Maharishi

“Il più grande ostacolo alla liberazione è pensare di non averla” Sri Ramana Maharishi

La parola ‘meditazione’ viene dalla radice indoeuropea ‘Ma’, collegata a ‘man =pensare’, ‘mente’,
‘manas’, ,’Man’, che in inglese significa ‘uomo’. ‘Ma’ è inoltre collegata a ‘misurare’, ‘matrice’,
‘madre’, ‘materia’, ‘maya’. Quindi la mente ‘misura’ la realtà attraverso il pensiero. Galileo
introdusse il concetto di misura della realtà. La misura viene ritenuta ‘oggettiva’, la realtà
quantificabile ed esprimibile completamente attraverso numeri e simboli. Posso poi correlare tra
loro questi simboli, costruendo delle teorie verificabili sperimentalme nte attraverso misure
‘oggettive’. Tutto questo agli albori della scienza. Come già introdotto in precedenza, la
sistematica applicazione di tale metodo per l’indagine del reale porta, in ultima analisi, ad una
negazione del metodo stesso, cioè a provare la sostanziale inconsistenza del dualismo primario tra
soggetto ed oggetto di conoscenza.

Quindi tutto il percorso conoscitivo della scienza è stato possibile escludendo il soggetto da ciò
che si voleva indagare, ed ipotizzando che la stessa struttura cognitiva e coscienziale del soggetto
fosse ininfluente sul fenomeno osservato. Escludere il soggetto non è così semplice. Inoltre
misurare fa sparire la qualità dell’esperienza, il nostro vissuto della realtà. Dire che un oggetto
è di colore rosso, e quindi emette onde elettromagnetiche ad una determinata frequenza
quantificabile con un numero, nasconde completamente e non considera la mia esperienza dell’oggetto
rosso, inserito nell’ambiente e che si relazione con la mia coscienza. Questo aspetto è
particolarmente spiacevole, poiché scollega totalmente la visione scientifica dalla mia esperienza
della realtà.

Inoltre misurare con criteri oggettivi richiede un soggetto con una sua mente cognitiva. Misura,
numeri, simboli, etc… con cui pretendo di ingabbiare la realtà, sono in effetti DENTRO il soggetto,
che introduce delle griglie pseudo-oggettive, che non sono affatto oggettive, ma solo consensuali
tra molti soggetti. Nel momento in cui misuro la realtà, creo un’altra realtà, diversa dalla realtà
vera. Mi trovo in una matrice che crea una realtà alternativa che io scambio con la vera realtà.
Allora bisogna uscire dalla matrice per vedere che è Maya, illusione. Dunque la realtà è ricreata e
falsificata dalla misura, quindi dal pensiero, cioè dalla mente. La meditazione è quindi una
medicina per la mente che mente. La medicina è un mezzo artificiale per ripristinare nel corpo lo
stato di salute. Da questo puto di vista la pratica meditativa è molto simile. Quello che cerchiamo
ce l’abbiamo già, però dobbiamo recuperarlo, come una persona che non trova una collana perché ce
l’ha al collo. Quindi è come tornare a casa, ad una dimensione che in fondo sappiamo già di essere.
E’ un po’ come escludere tutto e tornare al cuore.

Distinguiamo due principali tipi di meditazione :

\ La meditazione ‘oggettiva’ \ La meditazione ‘soggettiva’

\ La meditazione ‘oggettiva’ è la più facile. Segue la naturale inclinazione della mente a
proiettarsi all’esterno e giudicare, pensare, desiderare, etc..

Nella condizione di coscienza ordinaria, la nostra attenzione viene costantemente trascinata,
portata di qua e di là e spezzata nella sua unità. I pensieri, le identificazioni e le emozioni sono
il collante di questo processo dispersivo. L’oggetto può essere desiderato oppure avversato. Questo
ci conduce in un tunnel che ci porta completamente fuori. La meditazione oggettiva non si oppone a
questa modalità ordinaria di contatto con la realtà, ma cerca di utilizzare questa modalità per
trascenderla.

Si distinguono quindi due percorsi fondamentali all’interno della modalità oggettiva:

1. Calma concentrata (Dharana). Seguo volontariamente un oggetto preciso e mi faccio sequestrare
fino in fondo sempre dallo stesso oggetto. Ciò rende la mente calma e stabile al pari delle acque di
uno stagno non increspato dal vento. L’oggetto può essere un mantra, un mandala, una candela, il
respiro, etc…; cioè si può scegliere il campo visivo, immaginativo, auditivo, o di percezione
tattile, e concentrarsi solo su quello. Quando sopravviene qualcosa che mi porta via dall’oggetto
scelto, la considero una distrazione e riporto dolcemente e senza biasimi l’attenzione all’oggetto
scelto. Questa pratica esclude dalla percezione tutti gli altri oggetti. Si può, se ci sono troppi
pensieri, scendere a compromessi con la mente, ed associare un solo pensiero all’oggetto, ad esempio
contare i respiri durante l’osservazione del respiro.

La coscienza assume la forma degli oggetti, quindi si frammenta se vi sono molti oggetti, e si
unifica se ve ne è uno solo. Avviene allora la fusione (Samadhi) tra soggetto, oggetto e processo
conoscitivo

La visione corretta di tale tipo di approccio, non è quella di fare uno sforzo per raggiungere la
concentrazione e la fusione, ma viceversa la volontà dell’io impedisce la fusione, perché tenta in
tutti i modi (consci ed inconsci) di riaffermare la separazione. Si tratta di togliere qualcosa, non
di aggiungere sforzi. Occorre lasciar andare il falso confine tra soggetto ed oggetto, che è una
creazione del nostro pensiero, come meridiani e paralleli di una carta geografica. Questo confine è
una misura-menzogna della mente. Questo procedere per sottrazioni è il segreto della quiete mentale.

Occorre preservare e cogliere quel seme di pace che c’è in noi e farlo crescere senza l’intervento
dell’io, inibendo in qualche modo i suoi processi traduttivi lineari e schematici. Questo crea una
mente unificata, che prepara la strada per andare oltre la mente. Quindi per il Samadhi occorre
lasciar cadere l’io.

2. Consapevolezza aperta (Dhyana). Gli oggetti della percezione creano delle onde vorticose di
pensieri attorno a quell’oggetto che continuano nel tempo anche se l’oggetto primario sparisce.
Attraverso questo sequestro emotivo, entro in un mondo fatto di ricordi, giudizi o proiezioni future
che catturano tutto, occupando tutto lo spazio mentale. Questo sistema è alimentato dal bipolarismo
desiderio (raga) – avversione ( dvesa).

La pratica della consapevolezza aperta chiede di non scegliere alcun oggetto deliberatamente, ma di
aprirsi a qualsiasi percezione nel campo della consapevolezza senza trattenere o scegliere alcun
oggetto. Quindi non mi faccio catturare da alcun oggetto, ma osservo il naturale fluire degli
oggetti. L’attenzione aperta è quindi non selettiva, e richiede prontezza ad accogliere i nuovi
oggetti che di momento in momento si presentano, senza farsi catturare da nessuno di questi. Come un
guardiano che guarda gli uomini che entrano ed escono dalla porta della città, ma non ne segue
alcuno.

L’attitudine simbolica da realizzare è quella dello specchio piuttosto che quella della lastra
fotografica. Le eventuali reazioni agli oggetti (ad esempio avversione o desiderio), vanno incluse
nel campo della consapevolezza non appena si manifestano. Occorre stare fermi con la coscienza e
lasciarsi attraversare da tutto ciò che succede senza farsi trascinare. Col tempo cambia
completamente la percezione della realtà che appare più come un processo dinamico fluente in cui
ogni cosa è e non è se stessa. Tenderò, con l’affinamento dell’ascolto, a percepire più gli elementi
vibratori rispetto ad una materialità densa.

Si passa da una visione di oggetti separati (visione ordinaria) e permanenti, ad una relazione di
processi interconnessi che fluiscono senza sosta nel campo della consapevolezza. La pratica di asana
è anche pertinente con questo tipo di esperienza.

L’esperienza di flusso percettivo può generare una esperienza di ‘vacuità’, di sparizione di
qualsiasi processo. Per procedere oltre bisogna passare alla meditazione soggettiva.

La meditazione aperta può essere praticata sui diversi campi percettivi dei suoni, dei pensieri, del
corpo (asana), oppure una totale apertura a 360° su tutto l’orizzonte percettivo.

Inoltre è possibile estendere tale pratica alla vita quotidiana, utilizzando ogni gesto per educarsi
alla consapevolezza.

\ La ‘meditazione soggettiva’ è più difficile perché la mente non è più rivolta all’esterno, ma
viene introvertita.

Nella meditazione oggettiva vi sono sempre oggetti, anche se mentali. La meditazione soggettiva
inverte invece lo sguardo, capovolgendo la ordinaria tendenza della mente a proiettarsi all’esterno.
Si tratta di risalire la corrente percettiva all’indietro sino al punto della sua origine. Non
significa guardare gli oggetti esterni, ma mira tornare a colui che osserva, alla sorgente della
percezione e della consapevolezza. E’ una investigazione sul Sé, e comporta il ritiro della
coscienza anche dalla mente, considerata un oggetto esterno.

Ramana Maharishi ha usato e descritto la meditazione soggettiva o investigazione del Sé (Atma
Vichara). Egli chiama meditazione (Dharana, Dhyana) osservare un oggetto, e investigazione del Sé
(Atma Vichara) la meditazione soggettiva, considerata il metodo diretto per giungere alla
liberazione. Infatti anche la meditazione oggettiva prima o poi arriva al punto in cui mi faccio
l’unica domanda veramente utile da porsi: chi sono io?

Se la mente è calma, il processo è più facile, quindi la meditazione soggettiva è agevolata da una
pratica propedeutica di meditazione oggettiva e delle altre braccia dello Yoga. Patanjali negli Yoga
Sutra distingue infatti tra Samadhi (meditazione oggettiva) e Kaivalya (meditazione soggettiva,
liberazione).

Occorre fondersi con la sorgente, cercare la sorgente del pensiero ‘io’, questo è tutto ciò che si
deve fare. ‘Io sono’ è la realtà finale. La meditazione soggettiva con sforzo è l’investigazione;
quando diventa spontanea è la realizzazione. Ramana Maharishi ci dice che il tentativo di
trascendere l’ego con metodi diversi dalla pura meditazione oggettiva è illusorio. Dobbiamo cercare
l’ego e investigarlo, ed allora la mente e l’ego si dissolvono e rimane il Sé.

Esistono delle pratiche formali di meditazione soggettiva:

1. Il punto di origine . Normalmente il punto di origine della consapevolezza è individuato in un
punto del corpo, ad esempio Ajna chakra, tra le sopracciglia tre centimetri dentro. Questo punto è
illusorio, perché il vero punto di origine della coscienza è l’universo, tuttavia per la dominanza
del senso ‘vista’, è comune associare la coscienza con Ajna.

Allora torniamo dalla percezione all’interno, facciamo dimorare la coscienza nel punto Ajna, in modo
che sia il ‘sedile’, la dimora dell’attenzione, piuttosto che un oggetto di osservazione o lo
schermo dei pensieri. La pratica consiste nel farla dimorare in quel luogo senza farla uscire verso
gli oggetti, sia quelli considerati ‘esterni’, che quelli considerati ‘interni’ come i pensieri o le
sensazioni del corpo. Infatti ciò che io considero ‘interno’ ed ‘esterno’ dipende dal mio livello
illusorio di identificazione.

Ogni volta che la coscienza fluisce verso gli oggetti, lasciamo andare gli oggetti e ritorniamo con
la consapevolezza che stazione nel suo luogo di origine

2. La dotta ignoranza. Pratica più diretta della precedente. Lasciare la mente in uno stato
spontaneo non localizzato spazialmente in alcun punto del corpo. Poi si dimenticano completamente
gli oggetti (percezioni, pensieri, etc.).

Ogni volta che siamo consapevoli di qualcosa, lo molliamo e torniamo allo stato destrutturato. Si
tratta di una anti-consapevolezza deliberata, che in realtà è una consapevolezza più profonda e meno
diretta dall’ego. Una forma di consapevolezza che riposa in Sé.

3. Io sono (Chi sono io?). La più semplice, efficace e diretta. L’idea di base è che i pensieri e
gli oggetti di cui sono consapevole hanno una unica radice, vengono da un unico pensiero-radice
(Aham vritti, la radice dei movimenti della mente), cioè l’io.

La mia coscienza è quella fondamentale. Gli oggetti fuori (il ‘tu’, gli altri oggetti, i pensieri,
le percezioni corporee) esistono in rapporto all’ ‘io-sono-qui’.

Focalizzare l’attenzione sull’io-sono, ritirandola dagli oggetti. Questa pratica è il tentativo di
isolare l’esperienza dell’io da quella percettiva esterna. Quando l’attenzione recede dagli oggetti
verso l’iosono, all’inizio vado su un unico pensiero ‘io-sono’, poi pian piano diventa una
sensazione di esserci, una dimensione. Qui si comincia ad investigare.

La difficoltà consiste nel fatto che normalmente mescoliamo l’io condizionato costruito dal
pensiero, con la pura dimensione di Essere, che è il vero Sé. Quindi abbiamo false idee che ci
condizionano e ci identificano. Ma se noi cerchiamo l’ego e la mente, questi svaniscono e non
esistono. L’ego è solo un pensiero e nasce da una falsa identificazione. Proprio cercando l’io non
lo troviamo da nessuna parte. Allora sparisce la mente ed il pensiero e rimane l’esperienza
effettiva dell’esserci, che non ha nulla a che vedere con l’identità egoica, che è solo un miraggio.

Tutto ciò che è necessario è perdere l’ego. Il nostro dovere è Essere, non essere questo o quello.
‘Io sono colui che sono’ riassume l’intera verità. Ogni forma è di disturbo. La mente e l’io si
rivelano, ad una attenta investigazione, come un fascio di pensieri e niente più; allora si
dissolvono e rimane la pura consapevolezza dell’esserci prima di ogni identificazione. Tale
consapevolezza è l’orizzonte, lo sfondo, ed il contenuto di ogni esperienza, ed è chiamata in
sanscrito drasta o sakshin, ‘il testimone’.

Nella mia esperienza, tolti i filtri dell’ego, non posso distinguere tra la coscienza di un oggetto
e l’oggetto stesso. Non esiste assolutamente nulla che autorizzi o suggerisca questa divisione del
Reale. L’oggetto, tuttavia, normalmente è mediato dagli schemi introiettati, dal linguaggio, etc.,
chiamati in sanscrito citta. Quindi finiamo per identificare illusoriamente cose separate e
crederci.

La meditazione comincia con l’istaurarsi di una modalità percettiva meno mediata dal pensiero
(citta). Così si riscopre una esperienza non frammentata, anche se ancora di questo o di quello.
Proseguendo, si escludono tutti gli oggetti tranne uno; poi si ritira anche quello e si passa alla
pura consapevolezza dell’esserci. La consapevolezza dell’esserci non è un’altra dimensione, ma è
sempre presente come sfondo di qualsiasi esperienza, e diventa evidente se non vi sono oggetti.

Tale consapevolezza viene anche chiamata coscienza dell’unità.

Quotidianamente si sovrappongono alla coscienza gli oggetti , mediati dal filtro mentale di citta,
cosicché lo schermo viene dimenticato e mi identifico con questo o quello, come accade in un film
quando mi coinvolgo nella storia.

Non è importante il particolare metodo che si utilizza, ma invece è importante chi medita. Chiedersi
‘chi medita?’ è la domanda fondamentale.

La coscienza di questo o di quello è sempre presente; questo non ha nulla di specificatamente
meditativo, ma è coscienza condizionata. La meditazione mira a sintonizzarsi sulla sorgente della
consapevolezza che precede l’applicazione all’oggetto. Esserci è la cosa essenziale. Occorre dare
energia alla coscienza di esserci, anche quando si pratica la calma concentrata.

E’ importante sottolineare l’importanza della meditazione soggettiva. Quello è lo scopo. L’esserci è
più importante del fare. La consapevolezza dell’esserci o ‘presenza’ è un altro modo di chiamare la
vita. Sospesi tutti i filtri discorsivi, scorta la consapevolezza dell’esserci, a questo punto lo
Yoga e la meditazione hanno terminato il loro compito. Con la pratica del ‘testimone’, il meditante,
lo yogin, ha raggiunto il fondo dell’anima. Al di là c’è il Mistero o Dio, che però deve rivelarsi
da solo, deve esplodere da solo. Il fondo si sfonda nel non-duale. ‘Lì c’è l’Assoluto dove tu non
sai’, oltre la consapevolezza.

Non sottovalutare il potere della vertigine dell’ignoto e del mistero oltre la consapevolezza.

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