Cos’è la Meditazione – Parte Prima

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Cos’è la Meditazione

Prima Lezione (Gruppo di Meditazione per la Nuova Era)

– Parte Prima

1° ANNO – ISTITUTO CINTAMANI

COS’È LA MEDITAZIONE?

Anche senza esserne consapevoli noi creiamo continuamente mediante il
pensiero, quindi prima di iniziare lo studio della meditazione
dobbiamo realizzare che i nostri pensieri e desideri colmano
continuamente il mondo interiore con delle “forme pensiero”. Una forma
pensiero è una creazione della mente generalmente satura di desiderio.
Essa ha una forma tangibile nelle aree relativamente elevate del mondo
del pensiero, e la sua forza, qualità e durata dipendono dal modo in
cui noi la creiamo e la teniamo in vita.

Una delle cause dell’attuale disagio diffuso nel mondo è la miriade di
forme pensiero negative, contrastanti e distruttive che l’umanità crea
e diffonde ininterrottamente. Senza dubbio lo sviluppo dell’attività
mentale – dovuto al fatto che l’umanità sta imparando ad usare sempre
più la mente – rappresenta un reale progresso, ma ha prodotto un
aggravamento della situazione, sia pure temporaneo, dato il carattere
prevalentemente negativo dell’attività mentale. Perciò uno dei
principali compiti è quello di imparare l’arte del dominio della mente
e pensare costruttivamente invece di accrescere nell’etere il numero
delle forme pensiero confuse o distruttive.

Il mondo della mente è relativamente poco noto, ma oggi tutti
cominciano a vivere sempre più in esso e coloro che vi svolgono opera
di pionieri ne scoprono le immense possibilità. Questo ribadisce la
grande importanza della meditazione e dimostra che oltre ad essere una
tecnica di allenamento mentale, la meditazione è l’arte di rientrare
in possesso del nostro patrimonio spirituale. La maggior parte delle
persone ha idee molto vaghe su quel che la meditazione sia
effettivamente, è quindi opportuno spiegare come vada fatta, come
operi, a quali mete conduca e quali benefici se ne possono trarre.
Questa comprensione è necessaria per farne un buon uso in relazione
alle Leggi e ai Principi della Nuova Era, ed anche per contribuire al
concetto generale di meditazione.

Il pensiero è energia, un potere invisibile ma reale, e mediante la
meditazione possiamo focalizzarlo per creare, nutrire, sviluppare e
mantenere in vita un’idea, una qualità, una norma o legge di vita. Più
semplicemente, la meditazione è azione interiore. Esistono molti tipi
di azione interiore, ogni pensiero, speranza, immagine, aspirazione e
desiderio sono attività di questo tipo: ma abitualmente esse sono
usate senza intenzione consapevole e senza senso di responsabilità. Al
contrario la meditazione consiste nell’uso consapevole e deliberato
del pensiero al fine di raggiungere un proposito determinato.

Ogni azione umana esteriore è il risultato di un certo tipo di
attività interna. Troppo spesso ci lasciamo trascinare da desideri e
pensieri incontrollati, e questo può creare ogni sorta di difficoltà
ed avere perfino conseguenze dannose per l’individuo in particolare e
per l’umanità in generale. é quindi essenziale divenire padroni del
nostro regno interiore, imparare a creare in esso soltanto quel che
riteniamo essere giusto e costruttivo, contribuendo al bene comune con
l’attività nei mondi interni con la stessa intensità con cui cerchiamo
di farlo nella vita esterna.

All’inizio impariamo ad agire in tal modo nell’ambito della nostra
area interiore, quell’area della quale noi siamo responsabili, poi
passiamo ad esercitare il nostro influsso sull’insieme di vita
psichica che abbiamo in comune con tutta l’umanità, cioè sia

singolarmente sui nostri simili, sia nell’ambiente psichico generale
(che è stato chiamato anche inconscio collettivo). A questo punto è
bene richiamare l’attenzione sul pericolo delle suggestioni
individuali e collettive. Ognuno di noi deve rendersi conto che, allo
stesso modo con cui noi creiamo continuamente forme pensiero, sia che
ne siamo coscienti o no, veniamo influenzati da quelle altrui. Questo
significa che siamo “aperti” in vario modo agli influssi delle forme
pensiero diffuse nel mondo psichico, e questo è uno dei motivi per cui
non è bene essere negativi e vaghi sui livelli interiori ed occorre
invece fare di tutto per sviluppare una vita interiore positiva.

Dobbiamo divenire consapevoli di quanto forti siano gli influssi
psichici che subiamo continuamente nella vita quotidiana. Basta
pensare all’abile tecnica della pubblicità che va sotto il nome di
“persuasione occulta”. Coloro che lavorano nel campo degli affari
conoscono questa tecnica e la sanno usare in modo più efficace di
quanto non facciano coloro che hanno interesse per la vita dello
spirito; questo è uno stato di cose che bisogna cambiare. Chi è
veramente interessato al bene dell’umanità ed ha un orientamento
spirituale dovrebbe essere per lo meno così abile ed esperto come gli
uomini d’affari nel maneggiare ed utilizzare con successo il pensiero,
l’immaginazione, le emozioni ed i moventi umani.

Questo offre un’opportunità ed un campo di azione benefica aperti ad
ognuno, indipendentemente dalle condizioni esteriori in cui si trova.
Il pensare in modo costruttivo è qualcosa che ognuno di noi può fare,
in qualsiasi momento libero ed ovunque si trovi. Naturalmente la vera
meditazione richiede tranquillità ed un luogo appartato, almeno finché
non si sia imparato a praticarla bene; ma usare il pensiero
costruttivo in ogni momento libero è un buon esercizio per imparare a
controllare la mente. Gradatamente saremo in grado di farlo anche
nelle condizioni e nei luoghi che sembrano meno favorevoli come in
treno, aspettando l’autobus, durante le file dinanzi agli sportelli e
persino mentre eseguiamo i lavori domestici.

Spesso facciamo due o tre cose alla volta senza rendercene conto, ma
abitualmente ci lasciamo andare a fantasticare o permettiamo che la
mente vaghi inutilmente qua e là rimpiangendo il passato, temendo per
l’avvenire, o non pensando assolutamente a niente. Invece dovremmo
sempre vigilare affinché la nostra mente funzioni costruttivamente, e
con un po’ di allenamento la cosa non è poi così difficile.

A questo punto occorre accennare al fattore “tempo”. È un problema
dinanzi a cui ci troviamo tutti. La maggior parte delle persone
ritiene di avere troppo da fare, di avere una vita complicata, scarse
possibilità di star soli; le esigenze familiari e del lavoro sono oggi
tali da lasciare poco tempo libero o scarse energie, cosicché anche se
si riconosce il grande valore della meditazione fatta giornalmente, si
ritiene di non potersi imporre questa disciplina. Si tratta di
difficoltà reali. L’organizzazione e il meccanismo della vita moderna
non tengono alcun conto dei diritti della vita interiore, e i ritmi
attuali non le sono favorevoli. Però, malgrado queste difficoltà, se
sentiamo adeguatamente il valore della vita interiore ed abbiamo una
sincera intenzione di dedicarvi un poco di tempo, potremo sempre
riuscire a trovarlo, almeno per una breve meditazione giornaliera.
Dieci o quindici minuti non sono troppo lunghi per essere inseriti nel
ciclo delle ventiquattro ore.

È chiaro che non è il caso di attendere di trovarsi nelle condizioni
ideali, perché nella vita moderna è molto difficile trovarle o
crearle, ma si tratta invece di utilizzare ogni momento tranquillo che
riusciamo ad avere durante la giornata. Il miglior modo è quello di
fare la meditazione nello stesso luogo, tutte le mattine, prima di
iniziare la turbinosa attività giornaliera. La regolarità è molto
importante, tuttavia non dovremmo renderci schiavi di tale ritmo e
dobbiamo invece imparare a fare la meditazione indipendentemente dalle
condizioni
circostanti, anche se ciò ci riesce più difficile. Ognuno ha i suoi
problemi personali che deve cercare di risolvere come meglio può.

C’è un altro valore nell’azione interiore della meditazione, di cui
abitualmente non ci si rende conto. La meditazione redime sia per la
qualità che per gli effetti. Essa serve a liberare la densa atmosfera
psichica da cui siamo circondati, e questo effetto si fa sentire in
noi ed intorno a noi, tanto più se meditiamo insieme ad altri.
L’atmosfera viene purificata e trasformata e la meditazione diventa un
metodo per collaborare con le forze della redenzione. La maggior parte
di noi ha una concezione troppo astratta della redenzione, ed è
portato a pensare che si tratta di qualcosa che solo i Grandi Esseri
possono attuare, mentre in realtà si tratta di un processo continuo a
cui ognuno di noi dovrebbe partecipare.

Non si tiene mai sufficientemente conto della realtà della vita del
pensiero, della sua efficacia e creatività potenziale, mentre la
comprensione della sua importanza ci porterebbe a riconoscere che
ognuno di noi ha una parte importante da svolgere. Ci mostrerebbe che
abbiamo un potere di cui non siamo coscienti e di cui, per
conseguenza, non abbiamo fatto giusto uso, mentre se lo volessimo
potremmo aiutare in modo efficace lo stabilirsi di una nuova e
migliore Era. é per questo motivo che la pratica meditativa qui
insegnata è diretta a certe leggi e Principi che sono stati chiamati
della Nuova Era.

L’arte della meditazione non è ancora diffusa nella nostra civiltà
occidentale, perciò una serie di istruzioni che trattano dei suoi vari
aspetti dovrebbe essere utile per capire le Leggi ed i Principi che
rappresentano il proposito fondamentale del Gruppo. Quindi, verranno
date istruzioni su diversi aspetti della meditazione, con il seguente
programma:

MEDITAZIONE Generalità e preparazione ad essa.

CONCENTRAZIONE Primo stadio della meditazione.

MEDITAZIONE RIFLESSIVA Attività mentale disciplinata e diretta.

MEDITAZIONE RICETTIVA Silenzio interno, contemplazione, risveglio

dell’intuizione.

PREGHIERA Funzione del
sentimento, potente energia

interna.

IMMAGINAZIONE Forse la forza più efficace
nella azione

i nteriore.

Suo uso tramite la visualizzazione.

AFFERMAZIONE Uso della volontà.

INVOCAZIONE – EVOCAZIONE Azione sintetica del nostro intero essere per

“far scendere” ciò che è superiore (invocazione) e risposta dall’alto
(evocazione) alla richiesta.

CREAZIONE DI FORME Combinazione equilibrata di pensiero,

PENSIERO sentimento,
immaginazione e volontà.

USO DI FORME PENSIERO A beneficio dell’umanità su due livelli.

Interno,
mediante l’irradiazione o

trasmissione
telepatica. Esterno, quale effetto manifesto del lavoro interno.

II

STADI DELLA MEDITAZIONE

La frase “conquista dello spazio interno” indica bene quello che ci
sforziamo di conseguire mediante la meditazione – l’esplorazione dei
mondi interni e l’uso della nostra mente per la conquista di nuove
dimensioni.

La prima cosa di cui dobbiamo convincerci è che esistono dei mondi
interni, e che noi viviamo continuamente in essi tramite gli aspetti
della nostra natura emotiva e mentale. La vita psicologica ha
un’esistenza reale in questi mondi di energie e di qualità, e quindi
essi non dovrebbero essere considerati interamente soggettivi,
astratti e senza forma come generalmente ed erroneamente avviene.

I mondi interni sono quelli delle cause e dei significati e sono, in
effetti, più reali del cosiddetto mondo visibile, perché più potenti.
Nella loro sfera ha infatti origine tutto quello che più tardi
precipita nel mondo esterno visibile e, tutto quello che accade
intorno a noi è l’espressione visibile dell’attività delle energie di
questi regni interni. Lo stesso mondo materiale, come la fisica
moderna ha dimostrato, è di natura molto diversa da quel che appare ai
nostri sensi, e la percezione dei mondi interni dietro gli aspetti
esterni tangibili ci dà un’immagine della vita che porta a nuove
comprensioni.

Possiamo farci una buona idea dei diversi tipi di azione che ci
proponiamo di dominare in meditazione – la nostra esplorazione dei
mondi interni – per mezzo dell’analogia con un missile che, inviato
nello spazio, segua la sua traiettoria e ritorni sulla terra. Un ciclo
analogo ha luogo nel processo della meditazione.

Il primo stadio è quello della proiezione. L’energia propulsiva del
missile vince l’attrazione di gravità e lo proietta in alto. Così allo
stesso modo possiamo proiettare il nostro “centro di coscienza” in
alto verso i mondi interni. Attraversando la sfera del sentimento e
della immaginazione penetriamo nel mondo del pensiero ed anche oltre –
nei livelli spirituali. L’energia propulsiva è quella
dell’aspirazione, che è stata giustamente chiamata “aspirazione
ardente”, e noi la dirigiamo, come in effetti dobbiamo dirigere
l’intero processo meditativo, con la grande potenza, ancora non
pienamente apprezzata, della volontà.

Il secondo stadio per il missile è il suo ingresso nel campo
gravitazionale di un altro centro di attrazione. Ciò corrisponde, in
meditazione, al venire in contatto con qualche centro superiore di
energia o di vita, con qualche sfera di pensiero, con qualche
specifica regione nei mondi interni.

Lo stadio successivo è il più delicato perché bisogna equilibrare
l’attrazione verso il basso esercitata dalla terra e l’attrazione
verso l’alto esercitata dall’altro Centro. Se ci riesce di farlo
correttamente, l’energia autopropulsiva ancora esistente nel missile
lo metterà in grado di girare attorno al nuovo Centro, mantenendosi in
orbita. Lo stesso accade alla coscienza individuale quando penetra nei
livelli interiori superiori. Essa deve raggiungere la regione verso
cui è diretta, ma deve mantenere la propria libertà e non divenirne
prigioniera. Deve rimanere in quell’area soltanto per il tempo
necessario al suo scopo, cioè sperimentare e registrare qualunque cosa
possa essere raccolta da quel centro che si è contattato o dalla
regione di pensiero dove si è arrivati. A questo punto possiamo
volontariamente concludere armoniosamente la meditazione.

La ricezione di informazioni da parte degli strumenti nel missile
corrisponde al nostro modo di percepire e giustamente interpretare le
idee che troviamo nelle sfere superiori; tutto ciò poi deve essere
utilizzato e integrato nella nostra coscienza ed esperienza di veglia,
come avviene per l’informazione ottenuta dal missile.

Vi è ancora un ulteriore punto in questa analogia: il controllo dei
missili lanciati rimane, per il loro intero corso, nel punto di
partenza, la terra.

Così è per la meditazione: il controllo cosciente non dovrebbe mai
essere abbandonato. é possibile cadere in stato di trance o di
incoscienza, ma ciò è errato e pericoloso. La meditazione deve essere
sempre un processo cosciente, dobbiamo restare completamente
consapevoli per tutto il tempo, e da quel punto di consapevolezza – lì
dove ci troviamo – dirigere l’intero procedimento, osservandolo e
regolandone l’estensione e la durata.

III

PREPARAZIONE

La buona riuscita della meditazione dipende in gran parte da una
preparazione diligente ed appropriata. Per cominciare, dovrebbe essere
scelto, se possibile, un luogo tranquillo dove presumibilmente il
nostro raccoglimento non sia disturbato. Sedersi poi in posizione
comoda. Il modo orientale di sedere a gambe incrociate ha il vantaggio
di mantenere la colonna vertebrale eretta, ma costituisce una
posizione difficile per coloro che non vi sono abituati e non è
indispensabile. Una utile introduzione alla meditazione è quella di
leggere o studiare qualcosa connesso col tema sul quale vogliamo
meditare e, avendone il tempo, è opportuno farlo, poiché questo
predispone la mente alla attività mentale.

Dovremo poi cercare di eliminare ogni tensione fisica, emotiva e
mentale, poiché la tensione è un dispendio inutile di energia sia
nervosa che muscolare. Rilassarsi è un’arte che va imparata e non è
semplice come potrebbe sembrare. Nel conseguirla siamo inclini a
cadere nell’estremo opposto – uno stato di passività che può arrivare
alla sonnolenza. Lo scopo è di eliminare ogni tensione superflua, pur
mantenendo il tono muscolare, nervoso e psicologico necessario per la
vigilanza e la piena attenzione verso quel che stiamo facendo.

Non è possibile qui descrivere le varie tecniche di rilassamento, ma
vi sono molti libri che ne approfondiscono i vari aspetti. Uno dei
modi più efficaci per arrivare al rilassamento è quello di respirare
lentamente e ritmicamente. Gli esercizi di respirazione devono essere
fatti con cautela, perché possono essere dannosi se praticati in modo
esagerato. Un buon esercizio consiste nel fare dieci profondi respiri,
inspirando ritmicamente e lentamente, con brevi pause alla fine di
ciascuna inspirazione e di ciascuna espirazione. Non dovrebbe esservi
alcuno sforzo sia nel respirare che durante le pause, dato che lo
scopo da raggiungere è quello di stabilire un ritmo costante. I
muscoli respiratori dovrebbero venire rilassati nella espirazione;
questa eliminazione della tensione può essere trasmessa a tutti gli
altri muscoli del corpo, ottenendo così un rilassamento generale.

Il rilassamento fisico è soltanto un primo e necessario passo verso
quello, più importante, del rilassamento psicologico. Questo comprende
il rilassamento emotivo e mentale, che devono essere conseguiti in due
fasi distinte, corrispondenti ai differenti livelli del mondo interno
sui quali opereremo – l’emotivo e il mentale. Ciascuno deve essere
fatto separatamente e nel modo adatto.

Se, dopo esserci rilassati fisicamente, passiamo ad osservarci
psicologicamente, ci accorgiamo che, quasi sempre, varie emozioni e
sentimenti sono presenti in noi. Queste emozioni debbono essere
calmate. Non è bene reprimerle, ma il fatto stesso di osservarle, per
così dire, tranquillamente “dall’alto”, senza identificarci con esse,
fa loro perdere gradatamente la loro presa su noi cosicché smettono di
controllarci e si placano, se non completamente, almeno fino a non
costituire più un serio ostacolo. Ciò in un primo tempo è sufficiente.

Questa è la prima fase del rilassamento psicologico. La seconda è il
rilassamento mentale. La mente è per sua natura irrequieta ed in
continua attività, attività ed irrequietezza accresciute anche
dall’intenso ritmo della vita moderna e dagli stimoli emotivi. Se
avremo interrotto momentaneamente le attività della vita ordinaria e
se saremo riusciti ad acquietare le emozioni, sarà meno difficile
calmare l’innata irrequietezza della mente. Non importa se non
riusciamo a farlo in modo completo, perché compito principale in
questo stadio preparatorio è la concentrazione. Basta conseguire un
certo grado di disidentificazione dall’attività della mente
opponendoci alla tendenza della mente stessa a trascinarci qua e là.
Tale attività è ben diversa dalla coscienza del Sé, che potremmo
chiamare “l’Osservatore”. Queste sono le fondamenta su cui basare la
meditazione vera e propria.

Anche in questo caso non si tratta di reprimere con violenza o con
sforzo. Ciò crea tensione, perciò è controproducente. Il metodo da
usare è quello di non prestare attenzione e di non alimentare col
nostro interesse tutti i pensieri vaganti o le immagini che si
affacciano alla mente. Così facendo essi non interferiranno seriamente
con l’azione interna della meditazione. Questa preparazione potrebbe
essere descritta come “far posto” nel campo della coscienza agli
esercizi di concentrazione che debbono seguire. Non è necessario in
questo stadio preliminare, tentare di liberare completamente l’intera
area.

Questo ci porta naturalmente alla domanda: Quale parte di noi è il
vero meditatore? Non sempre realizziamo che la natura umana è
costituita di differenti aspetti, e che ognuno di essi ha il proprio
genere di vita ed espleta il proprio ruolo nel complesso della
personalità. Ognuno di essi dà il suo contributo ed ha le proprie
necessità. Ognuno deve essere anche controllato dall’ “Io” centrale
così come una pariglia di cavalli deve avere qualcuno che tenga le
redini e che conosca la direzione in cui devono andare.

Nel caso della meditazione, dobbiamo riconoscere che il meditatore non
è la mente, come all’inizio si potrebbe supporre, ma l’ “Io” al centro
che usa la mente. La seguente Tecnica di Disidentificazione e
Riconoscimento del Sé sarà di grande valore per pervenire ad una reale
interiore consapevolezza di questo. Può quindi diventare il primo
esercizio da praticare, prima di procedere alla meditazione, poiché è
un eccellente metodo di orientarci e stabilire un più sano equilibrio
tra i vari aspetti della nostra natura. Dopo averla praticata per un
periodo scopriremo le implicazioni profonde di ogni affermazione;
avremo un nuovo quadro di noi stessi e degli altri, ed avremo una
migliore comprensione dei problemi psicologici che ognuno di noi deve
affrontare. Ecco una forma semplice della tecnica:

TECNICA DI DISIDENTIFICAZIONE

Sedete in posizione comoda ed eretta.

Rilassatevi. Fate tre respiri per tranquillizzarvi e portare la
respirazione ad un ritmo più lento in cui vi sentiate a vostro agio.

Adesso dite:

“Pongo il mio corpo in posizione confortevole e rilassata, con gli
occhi chiusi. Fatto ciò, affermo: io ho un corpo, ma non sono il mio
corpo. Il mio corpo può trovarsi in differenti condizioni di salute o
di malattia, può essere riposato o stanco, ma non ha nulla a che fare
con me stesso, col mio vero “io”. Il mio corpo è un prezioso strumento
di esperienza e di azione nel mondo esterno, ma è soltanto uno
strumento. Ne ho buona cura; faccio in modo di mantenerlo in buona
salute, ma non è me stesso. Io ho un corpo, ma non sono il mio corpo.”

“Io ho delle emozioni, ma non sono le mie emozioni. Le emozioni sono
innumerevoli, contrastanti, mutevoli, mentre io rimango sempre io, me
stesso, nell’avvicendarsi della speranza e dello scoraggiamento, della
gioia o del dolore, dell’irritazione o della calma. Poiché posso
osservare, comprendere e giudicare le mie emozioni, e quindi
dominarle, dirigerle ed utilizzarle sempre più, è evidente che esse
non sono me stesso. Io ho delle emozioni, ma non sono le mie
emozioni.”

“Io ho una mente, ma non sono la mia mente. Essa può essere più o meno
sviluppata ed attiva; è indisciplinata, ma poco a poco posso dominarla
e dirigerla. é un organo di conoscenza sia del mondo esterno sia del
mondo interno, ma non è me stesso. Io ho una mente, ma non sono la mia
mente.”

“Dopo questa disidentificazione dell’Io dai suoi contenuti di
coscienza (sensazioni, emozioni e pensieri), io riconosco ed affermo
di essere un centro di pura autocoscienza. Io sono il Sé, un centro di
volontà, in grado di dominare, dirigere ed usare tutti i miei processi
psicologici ed il mio corpo fisico.”

Malgrado questo esercizio possa sembrare semplice, esso implica dei
riconoscimenti profondi e non facili da compiersi, come può sembrare
in un primo momento. Ci siamo, per abitudine, identificati con parti
diverse della nostra natura, e allontanarsene e osservarli,
riconoscendo la realtà che non siamo loro, e mantenere
quest’atteggiamento durante le vicissitudini del vivere quotidiano,
richiede tempo e persistenza. Ma l’uso giornaliero della tecnica lo
costruirà gradualmente stabilendolo sia nell’inconscio che nella
coscienza. In breve tempo ci accorgeremo che sapremo affrontare con
maggiore distacco le burrasche della vita e mantenere il sereno
atteggiamento dell’osservatore delle azioni e reazioni dei vari
aspetti della personalità che man mano perverranno sotto il nostro
controllo. Soprattutto, iniziamo a realizzare la nostra natura
essenziale; diventa chiaro che è il centro di autocoscienza che sta
cercando di meditare, e tramite la meditazione raggiungere le Sorgenti
superiori che esso sente, e a cui occasionalmente risponde, ma che
ancora conosce solo debolmente.

IV

CONCENTRAZIONE

È evidente che l’arte della meditazione porta ad avere il controllo
della nostra mente. E ciò è qualcosa che non si ottiene facilmente; in
effetti questo primo requisito è forse il più difficile di tutti per
molte persone. Quindi non dovremo scoraggiarci se all’inizio non vi
riusciamo. È, comunque, un aspetto essenziale della pratica della
meditazione in tutte le sue tappe, perciò dobbiamo essere preparati a
lavorare per acquisirlo con pazienza e persistenza.

È opportuno anzitutto comprendere bene la differenza tra
concentrazione spontanea, automatica, e concentrazione deliberata e
diretta. Esse sono diverse tanto per natura, quanto per il modo nel
quale operano. Quella che chiamiamo concentrazione spontanea è
determinata dal funzionamento della mente sotto l’impulso di un forte
interesse, desiderio o sentimento, che fa funzionare la mente lungo
una certa linea. Un esempio tipico è quello dell’uomo d’affari che fa
progetti per il successo della sua impresa. Un altro esempio è la
concentrazione dello studente sugli argomenti sui quali si aspetta di
essere esaminato.

Coloro che possono concentrarsi in tal modo si illudono che il loro
potere di concentrazione sia buono. Ciò indica un certo grado di
concentrazione, ma la capacità di mantenere la mente fissa su di un
lavoro od argomento, allorché è spinta da interesse intenso, bisogno o
paura, non significa che possano farlo quando manchino quegli
incentivi. Se tentiamo di concentrarci su qualche argomento astratto o
su qualche cosa che non comporti alcun interesse o beneficio
personale, troviamo difficile farlo, e scopriamo che in realtà non
abbiamo un effettivo dominio sulla nostra mente.

Tale scoperta è umiliante, ma salutare. Dimostra quanto siamo in balia
delle nostre istanze e, in questo senso, negativi e passivi, anche se
esternamente possiamo essere positivi ed attivi. Si può dire che i
nostri pensieri, emozioni ed impulsi agiscano in noi in modo quasi
automatico ed indipendente costituendo delle forze a sé nella nostra
vita. In altre parole, siamo trascinati da essi, non siamo noi a
scegliere, dirigere e controllare.

Questo è uno dei motivi per cui nell’uomo comune gli interessi
intellettuali e spirituali non hanno la potenza trainante degli
interessi personali. Ciò avviene anche perché vi è una differenza
nella natura di quegli interessi. Gli argomenti astratti sono troppo
“sottili”, sono troppo intangibili perché la mente possa afferrarli e
focalizzarli facilmente, per cui essa, non abituata a questo metodo di
funzionamento più faticoso e sottile, è recalcitrante a farlo e si
distrae. È un nuovo tipo di attività e generalmente parlando,
qualunque argomento o area di conoscenza nuovi presentano delle
difficoltà all’inizio. Le nostre menti non amano iniziare lavori in
campi nuovi, poiché in quelli che sono loro familiari la maggior parte
del lavoro è stato già fatto, l’esperienza e le relazioni facilitano
il lavoro, mentre un soggetto nuovo richiede più concentrazione e
sforzo.

Ciò spiega la riluttanza di molti ad accettare nuove idee ed a
cambiare le loro convinzioni ed i loro interessi. Temono o detestano
il nuovo e vi oppongono resistenza. Un esempio divertente, che ora
sembra quasi incredibile, è la dichiarazione di un eminente astronomo
francese, il quale nel 1884 disse che non c’era più nulla da scoprire
nel campo dell’astronomia!

La constatazione che non siamo padroni della nostra mente può
sorprenderci, ma se ciò avviene è bene in quanto ci spinge a compiere
sforzi per acquistarne la padronanza aiutandoci a creare l’incentivo
emotivo che prima mancava. Un altro importante risultato di queste
scoperte su noi stessi è la consapevolezza della differenza tra noi,
la nostra mente e le nostre emozioni. Lo sforzo infruttuoso per
dominare la mente dimostra che vi è un conflitto, e conflitto
significa che vi sono due parti in contrasto. Perciò questa
consapevolezza del conflitto è preziosa in quanto mette in evidenza la
distinzione tra l’ “Io”, con la sua volontà, e la mente che spesso è
indisciplinata, pigra o ribelle, e che ha per certi versi una vita
propria.

Questi riconoscimenti preliminari, ma importanti, costituiscono le
basi necessarie per imparare a concentrare la mente a volontà. Inoltre
ci aiutano a comprendere noi stessi e ci danno l’incentivo che occorre
per divenire padroni di questo prezioso strumento, la mente, che è un
ottimo servitore quando è dominata, ma che può essere causa di grossi
problemi quando non è controllata.

La tecnica da seguire per acquisire dominio sulla mente e capacità di
concentrarla ed usarla è opposta a quella frequentemente usata
nell’educazione per destare l’interesse dell’allievo. Questo interesse
rende l’acquisizione della conoscenza più facile, ma non sviluppa un
vero controllo e padronanza sulla mente. Per ottenere una
concentrazione deliberata su soggetti difficili e astratti, la tecnica
è quella di iniziare la concentrazione su soggetti semplici e neutri.
In tal modo impariamo a mantenere fissa la mente, senza l’aiuto del
desiderio e dell’interesse personali. Esistono vari tipi di esercizi
di concentrazione che possiamo praticare per allenarci. L’osservazione
è uno dei mezzi più semplici e quindi più adatto per cominciare. é un
esercizio di attenzione, non di uso dei processi del pensiero, e
sviluppa una capacità elementare di focalizzare l’attenzione; questo è
il primo passo verso più difficili e complicati processi di
meditazione su argomenti astratti.

Un semplice esercizio di percezione visuale consiste nell’osservare
rapidamente una serie di oggetti. Osservate, ad esempio, gli oggetti
in una stanza, per mezzo minuto, e quindi scrivetene un elenco il più
dettagliato possibile. Lo stesso esercizio può essere fatto guardando
le vetrine di un negozio, oppure osservando un quadro. Questo
esercizio ci dà la possibilità di accertare il grado di sviluppo della
nostra capacità poiché lo possiamo verificare statisticamente se
usiamo il giusto tipo di immagine,

Tali esercizi dimostrano anche che la capacità di osservare varia
molto secondo i diversi tipi psicologici. Alcune persone trovano
questo genere di esercizio relativamente facile perché sono
interessati al mondo esteriore ed osservano abitualmente quello che li
circonda. Per costoro questi esercizi sono inutili. Sono invece
particolarmente utili per chi ha tendenza a vivere con l’attenzione
rivolta verso l’interno, su livelli di vita più astratti, il cui
interesse è diretto principalmente verso i mondi dell’emozione,
dell’immaginazione e del pensiero puro. Questi esercizi aiutano ad
osservare ed a concentrarsi su quello che meno interessa. Ciò porta a
sviluppare un lato relativamente poco coltivato della nostra natura.
L’intento è di sapersi concentrare quando lo si voglia, su ogni
livello di vita e su ogni particolare argomento o oggetto, a
prescindere dal nostro interesse.

Gli esercizi di osservazione di oggetti esterni sono una preparazione
per la concentrazione sugli oggetti interni, su immagini o figure
interne. Un esercizio che costituisce una via di mezzo tra i due è
quello di osservare un’immagine per venti o trenta secondi, quindi, ad
occhi chiusi, cercare di trattenerla davanti all’“occhio della mente”
o “occhio interiore”. Tutti noi abbiamo questo potere d’immaginazione,
nel senso di poter raffigurare oggetti, volti e immagini che ci sono
familiari. é più sviluppato e vivido in alcune persone che in altre,
ma per lo scopo che ci si propone qui non è tanto importante la
vividezza e la potenza dell’immagine quanto la capacità di mantenere
l’immagine fissa davanti all’occhio della mente, e di poter
concentrare l’attenzione su di essa. Guardare l’immagine per un po’
aiuta considerevolmente ad avere un’immagine chiara e quindi a
mantenerla.

Il primo obiettivo consiste nell’evocare un’immagine e mantenerla
saldamente per un breve periodo senza averla guardata prima. Si può
cominciare con qualche oggetto ben noto quale un edificio che si vede
ogni giorno, un panorama che si conosce bene, o una persona di
famiglia. L’immagine dovrebbe essere costruita con precisione, con
concentrazione sui dettagli, e poi tenuta fissa per un certo tempo.
Nel farlo si crea una vera lotta, un’interessante ma talvolta
esasperante schermaglia tra la nostra volontà di mantenere saldamente
l’immagine, e la natura fluida dell’immaginazione che è abituata a
passare da un soggetto all’altro in modo rapido e spesso in
successione disordinata. La mente giocherà ogni sorta di tiri.
Distorcerà l’immagine, la ingrandirà, vi aggiungerà qualche elemento
estraneo, la dividerà in due o più parti, la sostituirà con qualche
altra; farà insomma qualsiasi cosa per non lasciare l’immagine ferma
davanti all’occhio della mente.

Anche questo fatto è umiliante per noi, ma al tempo stesso rivelatore.
Una volta di più ci troviamo di fronte all’evidenza che non siamo
padroni del nostro meccanismo e che vi è conflitto tra esso e noi
stessi. Il processo di autodominio comincia veramente qui, nel senso
di controllare, dirigere ed usare a volontà il nostro “intero
meccanismo”.

Non passate il tempo pensando alla Buona Volontà, all’Eguaglianza,
alla Cooperazione. Notateli solamente, scriveteli e riportate la
vostra attenzione ai Giusti Rapporti Umani. Poi chiedetevi: “Cosa
implicano ancora?” Considerate i Giusti Rapporti Umani. Scrivete
ancora qualsiasi idea vi venga in mente. Insistete ancora per
permettere alle idee di venire in superficie anche dopo averne scritte
parecchie e quando la mente vi sembra vuota e non viene fuori altro.
Questo esercizio può essere inserito nella meditazione riportata alla
fine di questo opuscolo. Non solo è un aiuto per la concentrazione ma
vi dà anche un modello per riflettere sul tema.

La chiave per conseguire il potere di concentrazione è, come in ogni
altro campo, una perseverante pazienza o una pratica ripetuta.
L’evocare delle immagini, oltre a sviluppare la nostra capacità di
concentrazione, ci dà modo di sviluppare l’immaginazione. Le immagini
hanno una loro propria forza che può essere utilizzata sia
coscientemente che inconsciamente. Questo tema sarà comunque esaminato
in seguito, quando tratteremo dell’uso della visualizzazione quale
parte importante della tecnica della meditazione; per ora consideriamo
la visualizzazione soltanto come una fase della concentrazione.

Indipendentemente da questi specifici esercizi tecnici, vi sono
numerose occasioni per allenare la nostra concentrazione durante la
vita quotidiana. Possiamo farlo col prestare piena attenzione alle
attività che stiamo svolgendo, senza lasciar vagare la mente. Le
azioni abituali vengono spesso compiute in modo più o meno automatico,
con pensieri estranei che ci distraggono ed occupano il campo della
coscienza. Ciò crea uno stato di dissociazione passiva che può
arrivare a proporzioni dannose, ed è in ogni caso uno spreco di
energia. Più innanzi, nel corso dei nostri studi, prenderemo in esame
la possibilità di fare due cose contemporaneamente, il che vuol dire
essere coscienti e attivi su due differenti livelli simultaneamente,
ma ciò è cosa del tutto diversa. In questo caso siamo ben consapevoli
ed attivi su entrambi i livelli, invece nel primo caso vi è una
esecuzione più o meno automatica di attività fisiche mentre l’immagine
va per conto suo, senza controllo e in contrasto con il nostro volere.

A tale proposito si può dire che molte persone non vivono nel
presente. La massima parte del loro interesse, della loro attenzione,
della loro vita psicologica è diretta o al passato, o al futuro, e
cosi ricordano o rimpiangono cose passate, o si crucciano per cose che
potrebbero accadere. Questo atteggiamento è dannoso, e dovrebbe essere
eliminato. Riassumendo, concentrazione significa capacità di vivere
nel presente, e specificamente in quella parte o area del presente che
riguarda il nostro compito immediato.

Vi è poi un tipo di concentrazione più importante e superiore a quelli
finora indicati. È quella dell’Osservatore o Spettatore interno il
quale, perfettamente concentrato, osserva il mutevole panorama della
vita psicologica – quella che William James chiamò la “corrente
mentale” – e la percepisce in modo distaccato, la regola e, quando
occorre, interviene per mutarla. Non è facile mantenere questo
atteggiamento interiore. Trovandoci per così dire “sulla sponda” del
flusso mentale, tendiamo ad essere travolti dalle sue correnti.
L’attenzione è facilmente assorbita da qualche ondata di emotività, da
qualche idea interessante, da qualche impulso, e dobbiamo
continuamente riportarla verso il centro di concentrazione, verso il
Sé consapevole, quella parte in noi che persiste ed è immutabile in
mezzo a tutti i cambiamenti del flusso psicologico.

Il dedicare i primi due mesi a questo lavoro preparatorio di
concentrazione, costituisce una passo necessario per la futura pratica
della meditazione. Occorre tuttavia evitare due estremi. Uno è quello
di eseguire questi esercizi apparentemente non interessanti, in modo
più o meno meccanico, come una specie di routine; eseguiti così
superficialmente non raggiungerebbero lo scopo. L’altro è quello di
eseguirli con troppo sforzo o tensione. In questo lavoro non dovrebbe
esserci alcuno sforzo. Inoltre non dovremmo tentare di eseguirli
quando siamo stanchi, poiché allora vi è una limitata probabilità di
riuscita, ed ogni progresso fatto avrà un costo troppo elevato.

Un altro avvertimento è che non ci si dovrebbe scoraggiare per degli
insuccessi, specialmente per quel che riguarda l’incapacità di
mantenere fissa la concentrazione per un certo tempo. All’inizio è già
abbastanza se si può conseguire una vera concentrazione per dieci o
venti secondi; un minuto o due sono già molti. Perciò è meglio
compiere vari esercizi brevi con qualche successo, anziché cercare di
mantenere a forza l’attenzione concentrata per un periodo più lungo.

Infine vi sono due atteggiamenti utili che, quale Osservatore,
ciascuno di noi dovrebbe cercare di mantenere durante tutti gli
esperimenti ed esercizi. Il primo è la pazienza verso noi stessi, o
più esattamente verso il nostro “meccanismo” – l’atteggiamento che
adotteremmo verso un fanciullo indisciplinato nella speranza di
ottenerne a poco a poco la collaborazione. L’altro è la fiducia nella
perseveranza, che porterà al successo. Le seguenti parole di H.
Keyserling – dal suo “Diario di Viaggio di un Filosofo”- potranno
rafforzare la nostra fiducia così come enfatizzare il valore di ciò
che cerchiamo di raggiungere.

“Indubbiamente il potere di concentrazione è un reale potere
propulsore della totalità del nostro meccanismo psichico. Nulla eleva
la nostra capacità di azione quanto il suo accrescimento. Ogni
successo, non importa in quale sfera, può essere riferito
all’intelligente sfruttamento di questo potere. Nessun ostacolo può
resistere a lungo all’eccezionale potere della massima concentrazione.
L’attenzione costringe ogni problema a rivelare, prima o poi, tutti
quegli aspetti che possono essere riconosciuti.”

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