COME VIVERE SERENAMENTE

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COME VIVERE SERENAMENTE

di Arya Bhushan Bhardwaj

(Articolo – saggio, tratto dal libro
del dottor Arya Bhushan Bhardwaj
“Ayurveda for western mind”)

Poter godere di una vita serena e piena di salute è vivo desiderio di ogni uomo sulla terra. E
tuttavia, perché, ci si chiede, esiste una così grande quantità di sofferenza, di dolore, di
dispiaceri, di tensioni, di malattie, di pesanti fardelli da portare avanti?

Questo è il problema: come un enorme rompicapo sul quale si sono cimentati, da tempi immemorabili
vari filosofi, ciascuno con una diversa visione dell’esistenza e una diversa filosofia, per non
parlare dello sforzo e del contributo dato da ogni religione in questo campo, ciascuna secondo
l’esempio dei suoi massimi rappresentanti, sempre allo scopo di migliorare la vita dell’uomo, per
ridurne o meglio ancora annullarne la sofferenza.
Il fatto è che più riflettiamo, pensiamo e analizziamo il problema, più esso tende a sfuggirci; ci
confondiamo e non riusciamo ad arrivare ad una soluzione; tant’è vero che l’infelicità viene
generalmente accettata da molti come inevitabile compagna della nostra esistenza.
Eppure ci sono stati dei grandi esempi di uomini nella storia delle religioni, da Gesù Cristo a
Maometto alle guide spirituali dei Veda , e ciascuno ha indicato il proprio cammino, ha codificato
le regole d’oro per assicurare a se stessi una vita serena e felice.
Ognuno di noi ha sempre comunque cercato di attenersi, in linea di massima, a tutti questi principi,
facendosene un valore nell’ambito della propria religione. Nonostante questo, la sofferenza permane.
Perché?

L’Ayurveda, come parte integrante dei Vedas, non ha naturalmente mancato di dare una sua risposta,
del tutto scientifica e razionale, al problema della sofferenza umana.
Ne ho accennato nel primo capitolo, raccontando la leggenda delle origini dell’Ayurveda; quando I
grandi Rishi, gli illuminati, andarono da Brahma, creatore dell’universo, per sottoporgli il
problema della sofferenza dell’umanità.
Come è già stato detto, i motivi che possono provocare dolore e sofferenza nella vita di un uomo
possono ridursi sostanzialmente a due:

1. Mithyaharavihara (cibo non adatto, assunto nel momento sbagliato e in quantità sbagliata, con
conseguente squilibrio causato agli organi di senso a livello fisico e mentale).

2. Pragnapradha (intrattenere pensieri impuri e negativi che generano azioni peccaminose), Kala
(tempo ) e Adharma (agire contrariamente a ciò che ci suggerisce la voce interna della nostra
coscienza). Voglio sottolimeare che è una specifica prerogativa dell’essere umano la capacità di
superare queste debolezze per ottenere una vita piena di pace e di salute.

L’Ayurveda ci offre un insegnamento veramente sistematico e approfondito, frutto di una ricerca
millenaria, su come applicarci, anche da un punto di vista tecnico, per allontanare da noi la
sofferenza. Non vengono tenuti in considerazione suggerimenti legati a rituali specifici che possono
dipendere da un credo religioso prescelto.

In Ayurveda si parla di religione in senso lato, o meglio di un senso religioso che pervade la
concezione della vita tutta e dell’umanità.

All’origine, infatti, siamo tutti solo e soltanto degli esseri umani, e come tali il nostro compito
è di esserlo o di diventarlo nel senso più competo e migliore del termine.

Si deve quindi aspirare a un ideale di umanità perfetta come ad un vero ideale religioso; soltanto a
questa condizione un uomo può, a sua scelta, diventare un vero cristiano, oppure un vero hindu, un
vero musulmano ecc. La nostra religione sia dunque quella di diventare degli esseri umani nel vero
senso della parola.

Ogni uomo deve scoprire il suo Swadharma, cioè il principio, la legge sua propria, che può anche
discostarsi da quello che ha ricevuto in eredità dalla sua cultura di appartenenza, ma che
rappresenta per lui comunque il meglio di quanto abbia scoperto, cui egli sinceramente crede. Il
segreto di una vita tranquilla e felice è tutto qui. Si può dire, in altre parole, che basterebbe
semplicemente “vivere la vita, comprendendo la vita”, così come tutte le grandi religioni di questo
mondo ci hanno da sempre raccomandato.

Ora ci occuperemo brevemente delle cause fondamentali della sofferenza umana sopra menzionate, per
comprendere nei particolari i meccanismi che tendono a determinarla.
Cominciamo dal concetto di “Mithyahara-vihara”. Il termine “Mithya” indica un’idea falsa o priva di
fondamento. “Ahara” significa il cibo che è necessario ad un organismo umano per mantenersi in
salute.
Parlando in generale, la gente ha un’idea sbagliata o distorta di quello che dovrebbe essere il cibo
e di tutto quello che riguarda l’alimentazione. Spesso ci confondiamo, tendiamo ad assumere
automaticamente che tutto quello che mangiamo o beviamo, dal mattina alla sera, debba sempre
gratificare il nostro palato.

Quando ci sediamo a tavola, ci dimentichiamo che il nostro stomaco dispone di uno spazio limitato e
che abbisogna solo di una limitata quantità di cibo; possibilmente del tipo più adatto al nostro
organismo e solo quando è necessario. Purtroppo , invece, tendiamo a servirci del cibo per scopi che
non lo riguardano, come ad esempio per superare stati d’animo dovuti a tensioni mentali o emotive.
Facciamo un esempio. Se una persona eccede nel consumare del cibo, di conseguenza il suo corpo ne
soffrirà fino ad ammalarsi.
Tuttavia, a livello mentale, questa persona tenderà a non assumersi la responsabilità del suo agire
e giustificherà la sua debolezza, confortandosi al pensiero che, se si sente poco bene, potrà andare
sicuramente dal medico che gli darà delle medicine per riprendersi.

Mahatma Gandhi, una delle più grandi personalità del ventesimo secolo, ha definito questo fenomeno
”Mithyahara Vihara” e lo ha descritto in maniera originale.
Nel suo famoso libro ”Hind Swaraj” (Indian Home Rule), che risale al 1908, egli critica
pesantemente, sotto forma di un dialogo che si svolge tra il lettore e l’autore, sia medici che
ospedali. Il modo in cui si esprime è talmente efficace che vale la pena di citare le sue parole.
Sta di fatto che, nel bel mezzo di un diverbio con il lettore, Gandhi esclama: “Dunque, se io mangio
troppo, soffro di indigestione; se ho l’indigestione vado dal medico; lui mi dà delle medicine e io
guarisco. Ma poi ancora mangio troppo, e ancora prendo le medicine e di nuovo guarisco. Ma se io non
le avessi prese fin dall’inizio, avrei certo dovuto subire i disagi conseguenti al mio errore, ma
questi sarebbero stati per me una punizione sufficiente a scoraggiarmi dal mangiare troppo di nuovo.
A che cosa è servito l’intervento del medico se non, in fondo, a preparare il terreno per il mio
prossimo sbaglio?
Il mio corpo ha ricevuto una agevolazione, ma la mia mente e la mia volontà si sono indebolite.”

Gandhi continua la sua requisitoria circa le conseguenze di una condotta improntata ad una eccessiva
indulgenza verso se stessi e aggiunge: “ Supponiamo che io mi lasci andare ad un vizio, al punto da
contrarre malattia, e il medico mi guarisca. Ci sono, naturalmente, delle probabilità che io ripeta
quell’errore. Ora, se il medico non intervenisse, la natura avrebbe tempo di fare il suo corso,
dandomi la possibilità di acquisire padronanza su me stesso. Sarei perciò in grado di liberarmi dal
vizio e la mia vita potrebbe aprirsi alla felicità.”

L’aperta critica di Gandhi ai medici e alle loro istituzioni è ancora oggi valida e dimostra, tra
l’altro, la profonda comprensione che egli aveva delle cause fondamentali sopra citate circa i
motivi della sofferenza umana indicate dai Rishi vedici nei testi classici dell’Ayurveda. Gandhi ha
seguito le loro indicazioni con grande coerenza per tutta la vita, godendo sempre di ottima salute.
Era, tra i suoi colleghi, il più felice e il più sereno di tutti. Chi ha avuto la fortuna di
lavorare con lui ricorda come gli bastasse semplicemente un pisolino di dieci minuti per ritrovare
una grande energia, e spesso proprio nel mezzo di importanti riunioni, nei decisivi e accesi
incontri politici che avvenivano in continuazione nel corso dei tempestosi eventi che
caratterizzarono il periodo della difficile lotta contro la dominazione inglese. Egli praticava ciò
in cui credeva, era l’esempio vivente degli straordinari benefici che la natura concede a chi segue
fedelmente le sue leggi.

L’Ayurveda sottolinea ed enfatizza l’importanza di mantenere una armoniosa relazione triangolare tra
le tre principali attività del corpo inteso come unità psico- fisica. Queste attività sono: Ahara
(cibo, alimentazione), Nidra (sonno e riposo), e Brahamacharya (controllo degli organi sensoriali).
Una corretta interazione fra queste diverse attività è di importanza fondamentale; tant’è vero che
la scienza Ayurvedica arriva ad affermare che quando esse si trovano in un rapporto ottimale
l’individuo può considerarsi libero dalla sofferenza. Tuttavia, in linea di massima, le persone
difficilmente sanno mantenere tale equilibrio; in modo particolare risulta loro difficile
controllare gli organi di senso e mantenere il Brahamacharya.

È importante comprendere, anche da un punto di vista pratico, i meccanismi di relazione tra questi
tre fattori che coinvolgono il corpo-mente-spirito.
Così sperimentando, ci accorgeremo ben presto che, tra i tre (Ahara, Nidra e Brahamacharya), il più
arduo e difficile da padroneggiare è l’organo di senso deputato al gusto, la lingua (Ahara); tanto
da poter dire che la persona che è in grado di tenerlo sotto controllo può di conseguenza gestire
senza difficoltà il suo equilibrio a livello psico-mentale.
Quindi, la causa primaria della sofferenza sta nello scarso dominio del nostro palato.

Cerchiamo ora di comprendere la seconda causa della sofferenza umana; cioè Pragnapradha. La parola
risulta dalla combinazione di due termini: “Pragna” e “Apradha”. Pragna indica l’insieme delle
facoltà mentali che Dio ci ha assegnato: energie non visibili che sbocciano e si esplicano quando
abbiamo consapevolezza della nostra interiorità. “Apradha” significa invece crimine.
“Pragnapradha” è il pensiero negativo contrario alla virtù, che ci spinge fisicamente a compiere
azioni prive di etica e di moralità. Ciò avviene quando la persona sopprime la voce della propria
coscienza interiore, in reazione al peso di pressioni esterne. In questi casi la sofferenza mentale
e psicologica che ne deriva è di gran lunga superiore alla semplice sofferenza fisica.

È la classica sofferenza che inevitabilmente provoca problemi di tipo psicosomatico. Questi tipi di
disturbi, quando diventano cronici, determinano malattie gravi come il cancro, l’ipertensione, gli
esaurimenti nervosi e le malattie di cuore.
Questo è il motivo per cui l’Ayurveda insiste tanto sull’equilibrio dei Tridosha e dei Triguna. Le
loro condizioni , però, dipendono dall’uso proprio e corretto delle facoltà “Pragna”. Di
conseguenza, quindi, il “pensiero positivo” diventa un obbligo, al fine di una vita sana e felice.

Il terzo fattore da prendere in considerazione è “Kala”, che indica il tempo. Naturalmente, esso ha
a che vedere con fenomeni di tipo esterno. Un esempio pratico di “Kala” portatore di sofferenza è la
malattia o la morte dei nostri cari; oppure quando si compie un’azione al momento sbagliato, come
mangiare quando non si ha appetito, consumare cibi e bevande di ogni tipo e a qualunque ora del
giorno, o ancora avere rapporti sessuali subito dopo mangiato o quando il corpo non in è buone
condizioni di salute.

La quarta causa di sofferenza è “Adharma”. Essa rappresenta la somma delle altre tre, (mithyahara
vihara, pragnapradga e kala). Quando la mente di un uomo è dominata dalle forze dei Guna tamasici,
gli organi di senso danno via libera alla soddisfazione di istinti che poi sfociano in comportamenti
scorretti. Il risultato ultimo di queste azioni è “Adharma”, cioè pensare e agire contro le leggi
della natura, contro la Prakriti o contro la voce della coscienza interiore. Le persone che hanno
una fede religiosa definiscono questo comportamento negativo come “agire contro la volontà di Dio”.

Nell’ introduzione di questo libro ho accennato ai quattro scopi principali della vita umana, che
sono Dharma, Artha , Kama e Moksha. Qualunque sia la natura, il luogo, il tempo e il sistema della
nostra vita di tutti i giorni, sempre dobbiamo cercare di tener presente questi obiettivi; essi sono
stati prescritti nei testi dei Veda e dell’Ayurveda e sono la regola d’oro per una vita felice.

Se siamo capaci di attenerci a queste verità, saremo liberi da tensioni e da angosce. Per avere la
“tranquillità dell’anima” bisogna stare all’erta dalle pressioni continuamente esercitate dagli
organi di senso, I quali sono accecati dalle forze tamasiche.
Nello stesso tempo, ci si deve impegnare a crescere in direzione ascendente, per salire e progredire
da uno stato di consapevolezza puramente fisico ad uno stato di consapevolezza mentale, per
raggiungere infine lo stato più elevato che è quello della consapevolezza spirituale. In altre
parole si può anche dire che il percorso di evoluzione dell’individuo segue le tre tappe dello stato
di consapevolezza : prima il Tamasico, poi il Rajasico ed infine il Sattvico.

Prima di concludere questo capitolo, vorrei chiedere al lettore di accettare di interpretare un
ruolo in una situazione inventata. Questo esercizio non è basato solo su una supposizione di tipo
teorico; in quanto io stesso l’ho sperimentato moltissime volte e l’ho trovato utile dal punto di
vista pratico, insieme a tante altre persone che l’hanno sperimentato. La situazione di cui si parla
è quella di un viaggiatore che si sta spostando in un autobus, in treno, in pullman o in aereo.

In fondo, noi tutti spesso viaggiamo. Che cosa facciamo dopo essere saliti sull’autobus o sul treno?
Cerchiamo un posto dove mettere il nostro bagaglio prima di sederci, o facciamo il check-in se il
viaggio è in aereo. Avete mai visto qualcuno che si tiene in braccio o in testa il bagaglio mentre
viaggia?

Quello che c’è dietro questo discorso è molto semplice: sappiamo tutti che l’autobus, l’aereo o il
treno in cui siamo seduti si muove grazie alla spinta del motore.
Non è detto che noi dobbiamo avere conoscenza diretta di quel tipo di motore, forse non lo abbiamo
mai nemmeno visto, tuttavia abbiamo chiaro in mente il concetto che esiste una certa tecnologia che
sta alla base di quel mezzo di locomozione.
Così non ci preoccupiamo troppo, e, dopo aver sistemato il bagaglio, ci sediamo comodamente per
goderci il viaggio.

La nostra vita è come un viaggio; non importa se in aereo o in treno, in pullman o in autobus. Ma
allora perché non ci sediamo tranquilli e non ci godiamo il viaggio? Perché viviamo sotto stress con
tanta fatica, pena, dolore, paura e sofferenza? Perché siamo del tutto ignari del motore, della
potenza o della tecnologia che lavora per noi durante il viaggio della vita. Siamo del tutto
convinti che l’ “Io” sia il motore della nostra vita , e quindi continuiamo a tenerci addosso il
peso del bagaglio.
Questa è la vera causa da cui nasce la sofferenza . Cerchiamo invece, sforziamoci, di sviluppare una
visione che possa aiutarci a riconoscere il vero motore che sta spingendo la nostra vita. Solo così
potremo essere veramente felici e in pace.

“ Se non ci fosse la morte non ci sarebbe la vita. Vita e morte sono le due facce opposte della
stessa moneta. Sono loro che mantengono l’equilibrio. La seconda è come un amico potente e
infallibile che alla fine raggiunge tutti, senza deludere nessuno.”

Kakasaheb Kalelkar

Arya Bhushan Bhardwaj

www.ayurvedam.it/articoli/come_vivere_serenamente.htm

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