CULTURA, STORIA E SOCIETÀ 16

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CULTURA, STORIA E SOCIETÀ 16

da “Enciclopedia olistica”

di Nitamo Federico Montecucco ed Enrico Cheli

Jyoti Carlotta, come vedi tu l’educazione migliore per un essere umano?

“Nell’adulto la comunicazione è andata via via scemando; gli sono rimaste solo tante proiezioni che
creano tante separazioni e quindi più sofferenza. I bambini sono portatori della comunicazione della
semplicità. Ciò che l’adulto si porta dietro dall’infanzia è, in genere, solo l’immaturità. Ho
deciso di insegnare l’educazione alla pace interiore anche ai bambini, sebbene il mio lavoro si
svolga soprattutto con gli adulti, perché nei loro occhi vedo chiaramente quello spazio infinito,
bellissimo, con poche strutture ancora e disposto alla vera comprensione e non solo al capire
intellettuale. Se il bambino capisce comprende fino in fondo, porta ciò che coglie con l’intelletto
nella sua esperienza; non si accontenta di sapere ma vuole vivere l’insegnamento. Tuttavia proprio
per questo motivo è molto difficile educare i bambini alla pace interiore: impossibile spiegare loro
il Dharma (l’insegnamento) senza mostrare contemporaneamente un esempio concreto, diretto in cui
possano osservare l’insegnamento stesso in azione. Sono molto pratici, non si accontentano dei
concetti e delle belle parole. Così si insegna loro attraverso tutte le situazioni del vivere
quotidiano: guardando la televisione, mangiando il gelato, correndo nei prati, facendo il bagno con
l’idromassaggio. I bambini sanno apprendere divertendosi e questa è una delle qualità della loro
semplicità. L’adulto, in genere, si nutre di sapere intellettuale e non si occupa del vero vivere;
pensa di dover essere serio, quando invece è solo triste. La via della pace non deve essere vissuta
come un lavoro faticoso, ma piuttosto come un gioco nel quale bisogna dare il meglio di sé usando
amore, coraggio e saggezza.”

A Jyoti Carlotta piace ricordare un aneddoto molto significativo della profondità d’animo che hanno
i bambini, prima che intervengano gli adulti per togliergliela. Un giorno, mentre si stavano
allenando nell’esercizio di cogliere insegnamenti da tutto ciò che vediamo, sentiamo e percepiamo,
chiese ai suoi studenti che cosa avrebbero potuto imparare dal bel tappeto persiano sul quale erano
seduti. Velocemente, l’unico bambino del gruppo, un bambino di undici anni che ama frequentare corsi
e ritiri per adulti e che si distingueva da loro per la chiarezza e la purezza della sua mente,
rispose: “Quando il tappeto viene calpestato dalle persone non perde la sua bellezza. Così anche
noi, se veniamo calpestati, aggrediti dagli altri non possiamo perdere la nostra bellezza. La vera
natura della nostra mente è magnifica e indistruttibile.” Jyoti Carlotta ha il potere di trasmettere
una grande pace a chi le sta vicino e mi ha meravigliata con la sua semplicità e la sua umiltà, un
atteggiamento che a mio vedere ha un che di divino. Lei è Buddista ma io non posso fare a meno di
intravvedere in questa ragazza generosa tanti insegnamenti di Nostro Signore. Non dice praticamente
niente che non possa essere anche stato detto da Gesù ed è per quello che non posso che convincermi
sempre di più che tutte le maggiori Religioni abbiano qualcosa in comune, anzi molte cose. Mi dice
cose come: “Io non sono nessuno, solo un piccolo messaggero di pace, ma con un grande desiderio:
sentire il sorriso degli insetti, degli esseri più insignificanti, e con tutti gli esseri viventi
echeggiare nell’universo intero.”

Ma com’è possibile raggiungere l’energia di pace nel mondo, mettere d’accordo gli individui di ogni
razza e Religione, affinché non ci siano più guerre, raggiungere la serenità interiore per poter
dare amore? Per i buddisti la pace deve cominciare da noi: solo se parte da ogni singolo individuo
raggiungerà le altre persone, e dalle altre persone ad altre persone ancora fino a raggiungere tutti
gli angoli della terra. Se insegniamo ai nostri bambini queste semplici verità, la massa di pace
aumenterà sempre di più tanto da soverchiare tutte le forme di energia negativa che ancora esistono
ed avere la meglio sul Male, proprio come sta scritto nel Vangelo. Come dovrà essere la scuola dei
miei figli? Finalmente anche per nostro figlio o nostra figlia arriva il grande giorno: il primo
giorno di scuola! Il lavoro che hanno condotto fino adesso con non poco impegno è stato importante
ma era preminentemente giocoso. D’ora in poi dovranno imparare a concentrarsi su quello che stanno
facendo, su quello che la persona preposta a trasmettere loro cultura, la maestra, dirà durante le
ore passate in classe. Sperando che la maestra sappia rendersi interessante e abbia quel modo di
comunicare con i bambini che viene dal cuore senza essere noioso o troppo freddo e distaccato.
Sperando che abbia una mente elastica e aperta, che non faccia il suo lavoro come una routine
faticosa, che consideri il suo lavoro una missione. Di solito, passato il primo periodo di novità,
come per l’asilo incomincia un periodo di crisi. Purtroppo i bambini vengono educati fin dall’inizio
della loro “carriera” scolastica ad una cultura di paura. La paura del voto, della figuraccia con i
compagni di classe, l’ansia del giudizio e molti di loro considerano le loro prime esperienze
scolastiche molto stressanti.

La forzosa immobilità dei banchi di scuola è difficile da accettare, ma se il bambino o la bambina
hanno imparato a superare i momenti di crisi, qualunque essi siano, e con la respirazione incanalare
l’energia, si accorgeranno che stare attenti e magari trovare interessanti le cose dette dalla
Maestra, non sarà una grande fatica. Da parte nostra è importantissimo, innanzitutto, saper
risvegliare una viva curiosità nei bambini rispondendo con intelligenza e molta chiarezza a tutte le
domande che ci pongono. Con risposte interessanti si possono suscitare altre curiosità e così
apprendere diventerà per loro più facile che a scuola. Anche con loro, però, sarà bene essere
onesti: se non sappiamo rispondere, indirizziamoli a chi può saperne più di noi oppure indichiamo
loro un buon libro che tratti l’argomento in questione dove potrà trovare le risposte che cerca. In
questa maniera risveglieremo in loro progressivamente il gusto per lo studio fatto seriamente, con
costanza e metodo per amore del sapere. Al di là di tutti i costosissimi giochi che normalmente
vengono acquistati per comprare i nostri piccoli, questo è il dono più prezioso che possiamo fare a
loro: abituarli piano piano ad amare ad apprendere e piano piano farsi una cultura. In questo modo
se la scuola non è proprio come ce l’aspettavamo, Pierino sarà in grado, in futuro, di essere
autonomo e saprà discernere quello che interessa a lui senza farsi influenzare troppo da un metodo
che non condivide, saprà vedere con la sua mente quella che sarà la sua strada all’interno della
scuola prima, e nella vita poi. Quante persone con bambini piccoli hanno già pensato alle
caratteristiche che la loro futura scuola dovrà avere? Il livello delle scuole in Italia, se
confrontato con quello di altri paesi, è piuttosto buono, malgrado l’impressione che si trae
leggendo le cronache, che periodicamente si rincorrono, sui problemi organizzativi che questa
istituzione può avere (scioperi, rinnovo del contratto per i docenti, malcontento degli studenti
ecc…).

E’ noto tuttavia, che gli studenti italiani che vanno a studiare all’estero, specialmente in
America, si trovano molto bene perché i loro coetanei hanno un livello di preparazione inferiore,
perciò si può dire che la scuola italiana dia una buona preparazione culturale ai ragazzi, e
specialmente, almeno per quanto è stata la mia esperienza, la scuola pubblica. Quando i bambini
erano piccoli e c’era da cominciare a ragionare sul tipo di scelta scolastica da fare, mio marito ed
io abbiamo fatto lo stesso ragionamento di molte altre famiglie che volevano assicurarsi una
continuità nella qualità dell’educazione dei loro bambini ed abbiamo iscritto i nostri figli ad una
scuola privata, condotta da suore che osservava principii che sembravano sani a prima vista. Mi fu
consigliato di iscrivere mia figlia già alla scuola materna di quel complesso scolastico per
alleggerire il grande salto di vita che Costanza avrebbe dovuto fare passando da lì alla scuola
elementare e mi è sembrata una buona idea. Per farla breve, mi accorsi ben presto che la prima era
nettamente superiore all’altra per quanto riguarda l’impostazione educativa. Il corpo insegnante
prescolare, per esempio sosteneva l’importanza di avere tre classi divise non per età ma con le tre
categorie insieme: piccoli, mezzani e grandi tutti in una classe. In questo modo ottenevano una
buona interazione fra le tre età, che in questa fase della vita è molto importante da imparare. Ho
visto bambini grandi che accompagnavano i piccolini al bagno e li aiutavano a far pipì o a lavarsi
le mani, che li imboccavano a tavola se occoreva, sentendosi importanti oltre ad avere la piacevole
sensazione di rendersi utili alla maestra che ha già tante cose da fare e non può distogliere la sua
attenzione dalla classe.

Questa convivenza fra grandi e piccini creava una sorta di comunità ideale e dava ai piccolini una
ulteriore sensazione di sicurezza, come quella che ti da la presenza di un fratello o una sorella
più grande, valore sempre meno frequente nella società odierna a causa del calo delle nascite. La
direttrice di questo asilo, Suor Pierangela, è una donna illuminata, che filtra tutto con il cuore
oltre che con la ragione e ha fatto di questa scuola materna un modello. Purtroppo però il percorso
educativo di quel complesso scolastico subiva una interruzione alla fine della scuola materna e
prendeva una direzione opposta per la scuola elementare. Durante il primo anno di elementari mia
figlia ha sofferto abbastanza per il cambiamento radicale che si era instaurato nel suo rapporto con
il corpo insegnante. Essendo una bambina molto affettuosa verso chi si occupava di lei e le dava
attenzione era sempre portata ad esternare il suo affetto in modo prorompente e per la prima volta
sperimentava un muro di freddezza che mi ha lasciato sconcertata e delusa. Poco per volta scoprii
che il loro concetto di scolarizzazione ed educazione era basato sulla paura. Incutevano la paura
del voto, la paura del giudizio umano della direttrice; la direttrice, una suora arcigna che
incuteva timore solo a guardarla veniva chiamata da Costanza “la Diavolaccia”, perché metteva in
ansia i bambini per ottenere impegno ed applicazione nell’apprendere.

In un articolo di Giulio Benedetti sul Corriere della Sera del 13 settembre 1997 che aveva catturato
la mia attenzione, emerge una indagine Eurispes che rivela un fatto ben poco edificante per la
scuola italiana di oggi. Si legge che per un ragazzo su due la scuola è solo un dovere; uno strazio
insomma, per la maggior parte degli studenti italiani. Un posto che si frequenta malvolentieri,
fonte di ansia o addirittura di paura. Su di una fetta di 2 mila 514 alunni di 136 scuole italiane,
il 42,2 % dei ragazzi dopo essersi faticosamente alzato, ci va solo per senso del dovere, un altro
10,7% ne è quotidianamente affaticato e per il 9,5% viene preso dall’ansia e dalla paura alla sola
vista di un banco. In opposizione a questo deprimente scenario troviamo un modestissimo 19,6% che
prova piacere nello studio e solo un misero 4,6% che si dichiara entusiasta. Questo disagio riguarda
soprattutto gli aspetti della vita in classe: i risultati (36,2%), il clima (33,1%), il rapporto con
i compagni (23,7%), mentre stranamente il rapporto con gli insegnanti influisce pochissimo. Che
siano scontenti come i loro alunni? Per uno studente su tre (27,8%) il disagio provato in aula
proviene dai rapporti con la famiglia.

Oltre a ciò, gli studenti delle scuole superiori lamentano il fatto che la scuola non approfondisce
i programmi (per il 37,6%) non è al passo con i tempi usando metodi troppo “tradizionali” per
insegnare (69,5%) o addirittura “superati”(9,8%) Oltre la metà degli intervistati vorrebbe
l’introduzione dell’informatica tra le materie obbligatorie, ma l’accusa più grave che mi vede molto
solidale con loro è la mancanza di valorizzazione delle reali capacità e dell’intelligenza dei
ragazzi. In questo la scuola si rivela totalmente incapace per il 9,3% degli intervistati.
Controbatte il Professor Benedetto Vertecchi, esperto di sistemi internazionali di istruzione, che
il saper leggere e scrivere correttamente resta per tutta la vita mentre un calcolatore ed il suo
linguaggio resistono fino alla prossima generazione di macchine. Sono assolutamente contraria a chi
dota il proprio figlio di un computer già in tenera età (conosco chi glielo ha addirittura piazzato
in camera da letto insieme alla televisione a cinque anni!).

E’ un’abitudine malsana che crea problemi di salute fisica e mentale allo stesso tempo, creando
campi magnetici dannosissimi per la salute limitando la fantasia e la cultura generale. Io penso che
si possa imparare ad usare il computer verso i nove/dieci anni, una volta raggiunto un buon livello
di conoscenza nella propria cultura generale percui l’intelletto e il sapere di ogni studente sappia
già trovare la sua naturale espressione attraverso il saper leggere ed il saper scrivere. Solo
allora si potrà avere un equilibrato e competente utilizzo del mezzo mediatico. Cosa possiamo
dedurre da questa indagine? Che sempre di più nel nostro paese, la trasmissione del sapere viene
affidata ai criteri di comunicazione di massa, cioè alle trasmissioni televisive, dove prevale per
l’appunto l’emotività, un criterio che sta all’opposto degli scopi che la comunicazione educativa si
prefigge, cioè fornire delle competenze diverse. Che gli insegnanti, presi da una crisi di identità,
si siano fatti attrarre anche loro dalla musa televisiva? Io spero di no perché la mia concezione di
scuola e di trasmissione del sapere ha poco a che fare con il tubo catodico.

Amare ad apprendere il messaggio di Mère

La mia concezione di educazione scolastica e non scolastica, si avvicina molto a ciò che ho appreso
dagli scritti di Mirra Alfassa detta Mère, una delle donne più carismatiche di questo secolo, moglie
di un pittore francese, Henry Morrisset e amica di Rodin, Matisse e dei grandi pittori
impressionisti. Nel 1914 a Pondicherry, Mère conobbe Sri Auribondo, grande maestro indiano con il
quale lavorò fino al momento in cui lasciò definitivamente il suo corpo. Oggi ancor più che
cent’anni fa, l’istruzione di un giovane essere umano era considerata come educazione mentale
necessaria. Una volta imbottito il cervello di un bambino per anni con nozioni e calcoli, crediamo
di aver fatto il necessario perché riesca ad integrarsi nella società; in realtà gli abbiamo dato
solo un ammaestramento per quanto fatto con misura e discernimento, rimane pur sempre una buona
ginnastica mentale, ottima per l’agilità del cervello ma non abbastanza utile per il suo completo
sviluppo mentale. Albert Einstein sosteneva che l’Uomo utilizza solo il 10% delle sue facoltà
mentali; questo fatto mi ha sconvolto quando l’ho sentito la prima volta e mi affascina che noi
tutti abbiamo insospettate potenzialità maggiori di quelle che normalmente usiamo per far lavorare
il nostro cervello. Secondo Mère la vera educazione dell’uomo e della donna del terzo Millennio è
quella che li preparerà ad una vita superiore, raccogliendo l’invito del grande scienziato a fare
uso del cervello con più impegno di quello che abbiamo impiegato finora al fine di ottenere una
qualità di vita migliore per tutti. Una vita superiore a quella che già vivono, superiore allo stile
mediocre che si percepisce globalmente alla fine di questo travagliato Secolo. Un’utopia?

Questo tipo di educazione ha cinque fasi principali: 1) Lo sviluppo del proprio potere di
concentrazione e della capacità di attenzione. 2) Lo sviluppo delle capacità di espansione,
allargamento, complessità e ricchezza del proprio potenziale mentale. 3) La capacità di organizzare
le proprie idee attorno ad un’idea centrale, un ideale superiore o comunque un’idea sovrana e
luminosa che servirà da guida nella vita. 4) Il controllo dei propri pensieri, rifiutando quelli
indesiderati per abituarsi a pensare solo a ciò che si vuole e quando lo si vuole. 5) Lo sviluppo di
un silenzio mentale, una perfetta calma che diviene ricettività sempre più grande alle ispirazioni
provenienti dalle regioni superiori dell’essere.

Come ho potuto constatare da quando mi interesso di piccoli esseri umani, una delle cose che
ostacola di più il loro progresso mentale è la costante dispersione del pensiero che usa vagare di
qua e di là come una farfallina da un fiore all’altro, e che, per fermarlo e stabilizzarlo, loro
fanno un grande sforzo. Tuttavia ho anche notato che come li si interessa ad una cosa, la loro
attenzione è totale, distrarli diventa difficile oltre che abbastanza sbagliato. Credo che favorire
l’attenzione e la concentrazione sia molto utile. Basterebbe anche solo non interromperli in quello
che si sono impegnati a fare, cosa piuttosto difficile, ma non impossibile se si è padroni di sé, se
ci sta a cuore lo sviluppo armonico dei nostri figli e soprattutto se disponiamo di una grande
pazienza. Rimane comunque tutto affidato all’abilità di chi educa i giovani, renderli a poco a poco
capaci di un costante sforzo di attenzione e di un potere di assorbimento sempre più totale rispetto
al lavoro che c’è da fare. Sono validi tutti i mezzi per sviluppare questa facoltà, dai giochi alle
ricompense ma se vogliamo possiamo ottenere grandi cose con l’ attenzione psicologica verso il
bambino per suscitare l’interesse, il gusto per il lavoro, la volontà per progredire. L’importante è
ottenere l’amore per l’apprendere, e tutte le circostanze tutti gli avvenimenti abituali sono
occasioni costantemente rinnovate di apprendere ancora e sempre di più. E’ fondamentale che, a
scuola come a casa, i piccoli vengano stimolati molto di più sulla crescita della comprensione che
su quella della memoria. Non si può sapere che ciò che si è compreso e ciò che si è comprende non si
scorda più. E guai a rifiutarsi di spiegare il come ed il perché delle cose.

E’ molto facile risvegliare l’intelligenza dei piccoli se si risponde con chiarezza alle loro
innumerevoli domande. La ragione per cui molti bambini a scuola fanno fatica a concentrarsi per
imparare può essere trovata, oltre che per il fatto di essere in troppi in classe con cui dividere
il sapere, anche nell’incapacità dell’insegnante a rendersi interessante. Per prevenire questo danno
sarà importantissimo cercare di provocare in loro il gusto per la buona lettura: tutti i giornalini
che si trovano in commercio adesso lasciano il tempo che trovano, ma un buon libro adatto alla loro
età, può fare miracoli; un libro di qualità, letto a puntate ogni sera prima di dormire si imprime
nella memoria durante il sonno e facilmente favorisce sogni bellissimi. Mia figlia comincia adesso
che ha sette anni a leggere con un po’ di disinvoltura e vedo che ogni occasione è buona per lei per
soddisfare la sua naturale curiosità della parola scritta. Lo fa con un godimento che mi commuove e
farò del mio meglio per stimolare nella maniera giusta questa sua inclinazione. Un mio carissimo
amico di Vicenza, dotato di una buona cultura ed un ottimo uso della parola e del cervello, mi
raccontava che nei suoi ricordi di bambino una delle abitudini più belle che i suoi genitori gli
avevano trasmesso era che quando uscivano al sabato per andare a fare quattro passi rilassanti in
centro lo lasciavano, come premio per essere stato bravo, anche un’ora da Galla, la libreria più
fornita della città a sognare tra tutti quei libri, dandogli la possibilità di sceglierne uno per
portarselo a casa al loro ritorno. Questi genitori forse non hanno creato un genio con ciò ma
sicuramente una persona dalla mentalità aperta e disponibile al dialogo, una persona che è riuscita
a sviluppare un potenziale mentale superiore alla media. Per aumentare l’elasticità mentale dei
bambini non si deve solo badare al numero e alla varietà delle materie studiate ma far loro
comprendere che ci sono molti modi per affrontare uno stesso problema sia pratico che intellettuale,
di considerarlo e di risolverlo. Questo toglie rigidità al loro cervello, arricchendo il loro
pensiero e li preparerà ad una sintesi più complessa e comprensiva.

In questo modo acquisiranno il senso della relatività del sapere mentale e piano piano risveglieremo
in loro l’aspirazione ad una fonte di conoscenza più vera. Crescendo poi, la sfera mentale del
bambino matura ed acquisisce una maggiore capacità di avere idee generali e con loro un logico
bisogno di certezze per creare la base di una costruzione mentale che permetterà di mettere in
ordine tutte le nozioni che si sono accumulate nel cervello. Una classificazione necessaria contro
l’inevitabile caos che si produrrebbe nel suo cervello, che deve essere guidata con saggezza da chi
si sta occupando della sua educazione. Insegnamo loro a considerare ogni problema da tutti i punti
di vista possibili, per ottenere da loro pensieri attivi e creativi e per ottenere ciò il pensiero
dovrà essere la sintesi naturale e logica di tutti i punti di vista adottati. Se vogliamo creare una
forza dinamica e costruttrice dovremo aver molta cura nella scelta dell’idea centrale nella nostra
sintesi mentale perché questa le darà valore e dovremo coltivare questa abitudine con costante
dedizione. La sfera mentale per mantenere la sua giovinezza nel tempo ed il suo naturale vigore,
dovrà progredire giorno per giorno, rivedere le nozioni alla luce di nuove conoscenze, allargare la
propria visione globale, riorganizzare costantemente le proprie idee affinché siano tutte al loro
posto, per avere un armonioso ordine mentale.

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