STORIA DELL’OLISMO – 9

pubblicato in: AltroBlog 0
STORIA DELL’OLISMO – 9

di Nitamo Federico Montecucco ed Enrico Cheli

La “struttura che connette” di Gregory Bateson
di Michael Talbot

da “Beyond the Quantum”

Per tutta la vita, Bateson, figlio del genetista William Bateson e sposato, per un certo tempo, con
Margaret Mead, dedicò molto del suo tempo a formulare un criterio in grado di definire la mente.
“Mind and Nature” del 1980, l’ultimo libro pubblicato prima della sua morte, contiene le sue
conclusioni.

Sebbene Bateson non avesse mai menzionato il termine funzionalismo in alcuno dei suoi lavori, il suo
punto di vista è spesso identico a quello proposto dai funzionalisti. Per esempio, come i
funzionalisti, ritiene che la mente sia un principio esplicativo necessario alla comprensione del
comportamento umano, e come i funzionalisti, era anche insoddisfatto sia dal materialismo che dal
dualismo; ha scelto, infatti un terreno di mezzo dal quale la mente potesse essere considerata come
pura informazione. Secondo Bateson: “La mente è vuota; non è niente. Esiste solo nelle sue proprie
idee, e queste pure sono niente”.

Quello che separava Bateson dai funzionalisti era l’aveva riconosciuto la natura di “nothing”
(letteralmente non cosa) della mente, circa mezzo secolo fa, e da allora l’essere andato avanti
dedicando una grossa fetta della sua vita professionale a comprendere come “something” (lett.
qualcosa), che sembrava essere “no thing”, potesse produrre tanti fenomeni diversi come il nostro
senso del sì, l’abilità di apprendere e assimilare nuove informazioni, la nostra saggezza, la nostra
follia, l’intero panorama del comportamento umano.

La risposta cui Bateson pervenne era che questo “nothing” possedeva una complessa dinamica e, pur
non essendo né sostanza né energia, scorreva in complessi rivoli all’interno delle menti e fra le
menti, compenetrando tutto quello che conosciamo come umano, in disegni che possiedono una
misteriosa regolarità. Secondo Bateson è la regolarità dei disegni a fornirci il miglior criterio
per definire la mente. Nelle dinamiche della mente umana è stata rilevata una notevole regolarità:
l’informazione coinvolta nei processi mentali fluisce in catene circolari e/o più o meno complesse,
non solo all’interno della mente ma fra la mente e l’ambiente circostante. Pertanto, quando si trova
un “something”, un qualcosa che emette informazioni, come un faro, e non importa quanto sembri
intelligente l’informazione, non c’è comunque ragione di ritenere che quel qualcosa stia funzionando
come una mente a meno che non sia anche in grado di ricevere l’informazione ed incorporarla in
qualche modo con l’informazione che sta mandando fuori.

Un secondo importante criterio di definizione della mente che Bateson ha proposto, consiste nel
fatto che il “something” usa spesso questo flusso circolare di informazione per autoregolarsi e
mantenere la propria identità. Per esempio, se il “something”, il qualcosa, riceve l’informazione di
pericolo, magari in forma di forte calore, non resterà passivo ma reagirà in qualche modo.
Differenti “something” reagiranno, naturalmente, in modo differenti ai differenze ti tipi di
informazioni, ma tutte le “cose”, che definiremmo menti, utilizzeranno almeno alcuni dei flussi
circolari di informazione che li attraversano per l’auto- preservazione.

È ovvio che la mente umana adempie ad entrambi i criteri di Bateson.

In ogni caso, quello che diventa ovvio è che sistemi non viventi, come le tartarughe robot di
Walter, adempiono pure di due criteri di definizione di mente. I robot elaborano flussi circolari di
informazione, ed utilizzano il circuito di informazione per auto regolarsi, come, quando, per
esempio, hanno “mangiato” abbastanza elettricità e si allontanano dai contatti elettrici all’interno
della loro struttura.

Il fatto che la mente umana e certi sistemi non viventi operino in modo simile è la tesi centrale
della scienza cibernetica lo studio dei sistemi autorelogantisi sia meccanici che biologici fondata
nel 1940 dal matematico M.I.T. Norbert Weiner. La scienza di Weiner ha dato un grande aiuto alla
coesione del pensiero di Bateson su questa materia. Fu, comunque, il genio di Bateson ad espandere
il concetto ulteriormente ed a vedere che i medesimi criteri di definizione di mente in una miriade
di fenomeni fra i più inaspettati.

Per esempio, mentre studiava la tribù Iatmul sul fiume Sepik un Nuova Guinea, Bateson evidenziò che
il flusso di informazione, nelle dinamiche culturali della tribù, seguiva gli stessi principi
cibernetici che egli stava tentando di definire per i due criteri di mente. Da ciò Bateson si rese
conto che praticamente tutte le organizzazioni sociali, da quelle cosiddette primitive a quelle
moderne sono organizzate in armonia con i principi cibernetici. Come le tartarughe robot di Walter,
le comunità di persone prendono le informazioni al proprio interno e le mandano fuori in disegm
circolari. Allo stesso modo, certo forze sociali come l’amento di una nuova industria possono
operare per dividere la comunità, fondata su valori che tutte le culture umane possiedono quali
consuetudini, rituali e sistemi di credenze che funzionano come meccanismi di salvaguardia e
preservare se stesse.

Bateson percepì che gli stessi principi cibernetici operano anche nel mondo naturale. Una foresta
pluviale impiega complesse catene circolari di energia e informazione per autoregolarsi e mantenere
se stessa. In modo simile, inquinanti come il DDT seguono pure i principi cibernetici, nel modo in
cui circolano attraverso l’ecosistema planetario. In breve, Bateson ha iniziato a percepire che i
suoi criteri di mente operavano, praticamente, in tutte le attività biologiche del pianeta, dal modo
in cui gli alcolisti razionalizzano la loro assuefazione, alla comunicazione apparente che ha luogo
fra i delfini, al modo in cui si sviluppa la schizofrenia, al modo in cui prendono forma le
conchiglie.

Ma più importante di tutto è che Bateson ha visto che il processo di evoluzione, il modo in cui la
vita sulla terra ha assorbito il retaggio di informazioni dal passato ancestrale per svilupparsi nel
tempo e raggiungere lo stato attuale era esso stesso un gigantesco processo cibernetico. In altre
parole, i processi di pensiero e di evoluzione seguono entrambi le stesse regole. A causa di questa
scoperta Bateson aveva concluso che la mente è immanente in natura.

Bateson non stava tentando di provare l’esistenza del supernaturale, al contrario voleva mettere in
rilievo che questo “nothing” che chiamiamo informazione fluisce in giro in tutti i sistemi biologici
con modalità estremamente simili.

Bateson chiamò questa similarità “la struttura che connette”, e in una privata conversazione, alcuni
anni prima della sua morte, confessò di credere che il riconoscimento e lo studio di questo disegno
coesivo era lo sviluppo più importante del pensiero occidentale negli ultimi 2000 anni. Questo
sentimento lo portò, per una grossa parte della vita, a tentare di insegnare ai suoi numerosi
studenti l’importanza di questo disegno. Era sempre sorpreso quando vedeva altri attorno a lui che
insegnavano lunghi elenchi i fatti senza spiegare l’elemento coesivo che li teneva tutti insieme.
Nel “Mind and Nature” lamentava: “perché non insegnano quasi nulla di questo disegno che connette?”

E’ forse perché gli insegnanti sanno di portare il bacio della morte che renderà senza gusto e senza
senso qualsiasi cosa essi tocchino, così saggiamente non vogliono toccare o insegnare niente di
reale importanza per la vita? O forse essi portano con sé la morte proprio perché non osano
insegnare nulla di importanza vitale? Proprio perché è il “no-thing” dell’informazione, o la
struttura che connette determina gli aspetti più importanti di un sistema, Bateson aveva suggerito
persino che le relazioni, non gli oggetti, dovrebbero essere la base di tutte le definizioni
scientifiche. spiegato malissimo – Sho

Indicò che il modo giusto era forse di iniziare a pensare fenomeni come la mente non in termini di
parti componenti ma in termini di danza delle parti interagenti solo secondarie, fissate dalle
costruzioni fisiche del sistema a cui corrispondono.

La Gnosi di Princeton – la scienza alla ricerca di una religione
di Raymond Ruyer.

Dopo secoli di lotte ed incomprensioni, alla fine degli anni sessanta, quindi vicinissimo all’inizio
della cosiddetta Età dell’Acquario, esce allo scoperto un modo di pensare unitario tra scienza e
religione che riconosce come suo vangelo il libro americano La Gnosi di Princeton – di Raymond
Ruyer. La nuova gnosi americana – movimento riservato se non addirittura segreto – è sorta in questi
ultimi quindici anni a Princeton e a Pasadena, negli ambienti scientifici dei fisici, degli
astronomi e dei biologi. Pur rimanendo prettamente scientifica, si considera religiosa nello
spirito. Libro sconcertante, La Gnosi di Princeton tende a rovesciare numerose prospettive e a
rinnovare i rapporti tra scienza, filosofia e religione. Ve ne proponiamo alcuni brani.

“…La tesi fondamentale della Nuova Gnosi è quella di tutte le gnosi. Il mondo è dominato dallo
spirito, fatto dallo spirito, o da spiriti delegati. Lo spirito trova (o piuttosto si crea lui
stesso) una resistenza, una opposizione: la materia. L’uomo, per mezzo della scienza, una scienza
superiore, traslata o spiritualizzata, può accedere allo spirito cosmico e, se è saggio e nello
stesso tempo intelligente, trovarvi la salvezza.”

La Nuova Gnosi precisa la tesi e soprattutto perviene a renderla rispettabile e conforme alla
scienza più positiva.

La Nuova Gnosi radicalizza la tesi gnostica. Lo spirito non trova la materia come opponente, esso la
costituisce, ne è la stoffa, la sola essenza. La materia, i corpi materiali ne sono solo l’apparenza
o il sottoprodotto per effetto di molteplicità disordinata”.

” . . . Io non posso pensare che qui-ora. Ogni pensiero, in altri termini ogni presenza a se stesso,
è un qui-ora sono convertibili. Non si può pensare altrove, o un’altra volta, o domani. Si pensa
ora-qui. Se c’è pensiero, c’è “qui e ora” e reciprocamente se c’è “qui e ora”, c’è pensiero. Segno
che la distinzione è artificiale: essa non può mai esser fatta realmente né esser mai considerata
reale”.

“… Poiché ogni essere è “coscienza”, ogni essere è dunque intelligente e tutti gli esseri – poiché
la proprietà è essenziale – sono egualmente intelligenti. Essi differiscono solo per il contenuto
d’applicazione e per i dati del problema di formazione che hanno da risolvere. Un primitivo è
altrettanto intelligente di un civilizzato, un ritardato o un sottosviluppato (culturale o
biologico), lo è altrettanto di un ben dotato. Differisce solo il contenuto di applicazione mentale.
Un cane è intelligente come un uomo, un infusorio come un cane, una molecola come un infusorio. Solo
che, per intelligente, noi intendiamo troppo spesso non un essere che attende ai propri affari, ma
uno che potrebbe comprendere i nostri e di cui noi potremmo comprendere i suoi”.

“… L’individualità biologica donde emerge il mio io rimonta senza soluzioni di continuità, di
generazione in generazione, alle cellule viventi più primitive, e queste alle molecole previtali,
alle individualità fisiche che sussistono nel tempo per mezzo della continuità semantica della loro
azione. Nessuna delle coscienze che dicono io, nessuno dei neuroni i cui legami manifestano quelle
coscienze nello spazio, nessuna delle cellule di un vivente attuale sono mai morte – nemmeno questa
cellula epidermica che si essicca e sta per staccarsi dalla mia pelle. Nessuno dei viventi attuali è
ancora mai morto. Tutti risalgono, come me, al principio del mondo”.

“… Al di là dei miti della sopravvivenza e dell’immortalità individuale, vi è il “mito vero” dello
Spirito divino. Per i neognostici tutti gli esseri individualizzati e temporalizzati sono solo delle
idee divine, alle quali è permessa provvisoriamente una certa autonomia. Le coscienze
individualizzate sono così una specie di inconscio divino, di “sogno di Brahma”, una sorta di altri
io di Brahma, dai quali Brahma si lascia trasportare pur partecipandovi trasversalmente.

Quando Brahma si risveglia, il sogno, nella sua autonomia, svanisce. La memoria interna del sogno
cessa di essere chiusa su se stessa ed è trasferita al Risvegliato. Il sognatore umano può così
ricordarsi il suo sogno: l’altro io, l’io mnemonico si fonde allora nell’io attuale, centrale. Si
può indifferentemente dire che il sognatore si risveglia (ed annulla il suo sogno, o meglio
l’autonomia del suo sogno), o che il sogno si risveglia e si annulla da se stesso nella sua
autonomia, per fondersi nella coscienza-io unica, e vedersi ancora lui stesso, però dal punto di
vista del risvegliato che si ricorda il suo sogno, e non dal punto di vista del sogno che si vive e
si vede nella sua sfera chiusa.

Così, in questo senso, morire non è ritornare al niente, è ridiventare il Dio unico. Gli individui
viventi sono gli altri io, sognanti, di Dio”.

Proprio nel 1975 esce Il Tao della Fisica dello sconosciuto fisico-teosofo americano Fritjof Capra:
è subito un successo mondiale. Capra ha fatto un acuto parallelismo tra le ultime acquisizioni della
fisica con i più antichi testi orientali, in particolare indù e cinesi. Il principio ispiratore del
libro è ancora attualissimo e la scienza, da allora, si è ancor più avvicinata alla religione.

Riportiamo alcuni brani fondamentali.

“… Attualmente, nella fisica moderna si è manifestato un atteggiamento molto diverso. I fisici
sono giunti a comprendere che tutte le loro teorie dei fenomeni naturali, comprese le “leggi” che
formulano, sono creazioni della mente dell’uomo; proprietà della nostra mappa concettuale della
realtà, più che proprietà della realtà stessa. Questo schema concettuale è necessariamente limitato
e approssimato, come lo sono tutte le teorie scientifiche e le leggi della natura che esso contiene.
Tutti i fenomeni naturali sono in definitiva interconnessi, e per spiegare uno qualsiasi di essi
dobbiamo comprendere tutti gli altri il che, ovviamente, è impossibile. I grandi successi della
scienza sono dovuti alla possibilità di introdurre approssimazioni. In tal modo, se ci si accontenta
di una conoscenza approssimata della natura, si possono descrivere gruppi di fenomeni opportunamente
scelti, ignorandone altri meno importanti. Così è possibile spiegare un gran numero di fenomeni a
partire da alcuni di essi, e di conseguenza si possono capire diversi aspetti della natura in modo
approssimativo senza dover comprendere tutto quanto in una volta sola. Questo è il metodo
scientifico; tutte le teorie e i modelli scientifici sono approssimazioni della vera natura delle
cose, ma l’errore che si introduce con l’approssimazione è spesso sufficientemente piccolo da
giustificare questo modo di procedere. I fisici costruiscono quindi una sequenza di teorie parziali
e approssimate, ognuna delle quali, pur essendo più precisa della precedente, non rappresenta una
descrizione completa e definitiva dei fenomeni naturali.

Come queste teorie, anche le leggi della natura che esse delineano sono mutevoli destinate a essere
sostituite da leggi più precise quando le teorie vengono perfezionate. Di solito, il carattere
incompleto di una teoria si rispecchia nei suoi parametri arbitrari, o “costanti fondamentali”, cioè
in quantità i cui valori numerici non sono spiegati dalla teoria, ma devono essere inclusi in essa
dopo essere stati determinati empiricamente. La meccanica quantistica non è in grado di spiegare il
valore usato per la massa dell’elettrone, né la teoria dei campi rende conto della carica
dell’elettrone, e neppure la teoria della relatività spiega il valore della velocità della luce.
Nella concezione classica queste quantità erano considerate costanti fondamentali della natura che
non richiedevano alcuna spiegazione ulteriore. Nella concezione moderna si ritiene che il loro ruolo
di costanti fondamentali sia temporaneo e rispecchi i limiti delle teorie attuali. Secondo la
filosofia del bootstrap le teorie future, a mano a mano che aumenterà la loro precisione e il loro
campo d’applicazione, dovrebbero essere in grado di spiegare, una dopo l’altra, queste costanti.
Quindi ci si dovrebbe avvicinare alla situazione ideale – senza mai raggiungerla – nella quale la
teoria non contiene alcuna costante fondamentale non spiegata, e tutte le sue leggi derivano dalla
condizione di coerenza interna complessiva.

Tuttavia è importante rendersi conto che anche questa teoria ideale deve contenere qualcosa di non
spiegato, sebbene non necessariamente nella forma di costanti numeriche. Fino a quando continuerà ad
essere una teoria scientifica, essa richiederà che vengano accettati senza spiegazione alcuni dei
concetti sui quali si basa il linguaggio scientifico. Spingere alle sue estreme conseguenze l’idea
del bootstrap significherebbe andare al di là della scienza:

In senso lato, l’idea del bootstrap, sebbene affascinante ed utile, non è scientifica… La scienza
come la conosciamo richiede un linguaggio basato su alcune strutture non discutibili. Da un punto di
vista semantico, perciò, il tentativo di spiegare tutti i concetti può difficilmente essere definito
“scientifico “.

E evidente che una concezione della natura di tipo completamente bootstrap, nella quale tutti i
fenomeni dell’universo siano determinati unicamente dalla loro coerenza reciproca, si avvicina molto
alla visione orientale del mondo. Un universo indivisibile, nel quale tutte le cose e tutti gli
eventi sono interconnessi, difficilmente avrebbe senso se non possedesse una coerenza interna. Da un
certo punto di vista, la condizione della coerenza interna, che costituisce la base dell’ipotesi del
bootstrap, e l’unità e l’interrelazione di tutti i fenomeni, posti in così grande rilievo nel
misticismo orientale, sono soltanto aspetti diversi della stessa idea. Questa stretta connessione è
espressa nel modo più chiaro nel Taoismo. Per i saggi taoisti, tutti i fenomeni nel mondo facevano
parte della Via cosmica, il Tao, e le leggi seguite dal Tao non erano state date da alcun
legislatore divino, ma erano inerenti alla sua stessa natura.

Le principali scuole del misticismo orientale concordano quindi con la concezione della filosofia
del bootstrap secondo la quale l’universo è un tutto interconnesso in cui nessuna parte è più
fondamentale delle altre, cosicché le proprietà di una parte qualsiasi sono determinate da quelle di
tutte le altre. In questo senso, si potrebbe dire che ogni parte “contiene” tutte le altre e, in
realtà, una percezione di mutua incorporazione sembra essere una caratteristica dell’esperienza
mistica della natura. Come dice Shri Aurobindo: “Per il senso supermentale non vi è nulla di
realmente delimitato: esso si fonda sulla percezione del tutto in ogni cosa e di ogni cosa nel
tutto’ Questa idea del tutto in ogni cosa e di ogni cosa nel tutto ha trovato la sua elaborazione
più ampia nella scuola Avatamsaka del Buddhismo Mahayana che viene spesso considerata il punto più
alto e conclusivo del pensiero buddhista”.

“… Così si esprime Sir Charles Eliot: “Si dice che nel cielo di Indra esiste una rete di perle
disposta in modi tale che, se ne osserva una, si vedono tutte le altre riflesse in essa. Ne] lo
stesso modo, ogni oggetto nel mondo non è semplicemente se stesso ma contiene ogni altro oggetto, e
in effetti é ogni altra cosa. In ogni particella di polvere, sono presenti innumerevoli Buddha”. C.
Elliot, Japanese Buddhism, Barnes & Noblel, New York 1969. pp. 109.

da “Enciclopedia olistica” – www.globalvillage-it.com/enciclopedia

Condividi:

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *