Morte: la Grande avventura – di A. e Roberta Nardi – Capitolo 12, e fine

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Morte: la grande avventura

– Capitolo 12, e fine –

a cura di Adriano e Roberta Nardi

La morte è un atto di intuizione trasmesso dall’anima alla personalità e quindi reso conforme al
volere divino da parte di quello individuale. Abbiamo indagato alquanto i processi che hanno luogo
non appena il principio vitale si ritira o viene estratto dal corpo. Esiste una differenza tra i due
meccanismi, dovuta al processo evolutivo. Ci siamo occupati dell’astrazione del principio vitale e
della coscienza dai corpi sottili, ma adesso passiamo a considerare non più soltanto l’uomo
ordinario o poco progredito, ma l’azione cosciente che l’anima esercita sulla forma. Nel caso in
cui il principio vitale si ritira dal corpo, criterio che interessa l’uomo ordinario, l’anima non ha
parte molto attiva nel processo di morte: il suo contributo si limita a decidere il termine dell’
incarnazione, in vista del prossimo ritorno al mondo fisico.

I «semi della morte» sono inerenti alla forma e si dimostrano come malattia o senilità (tecnicamente
intesa), ma l’anima persegue i propri interessi sul suo piano finché l’evoluzione non giunge alla
situazione in cui l’integrazione e lo stesso rapporto tra l’anima e la forma, siano così reali che
l’anima si identifica profondamente con la sua espressione manifesta. Si può dire che allora l’anima
è, per la prima volta, veramente incarnata, veramente «discesa in manifestazione» con tutta la sua
natura. Questa è una verità poco compresa e poco nota. Infatti per le prime incarnazioni e per la
gran parte del ciclo dell’ esperienza vitale l’anima ha scarso interesse per quel che accade. La
redenzione (o sacralizzazione) della sostanza di cui sono fatte tutte le forme segue il suo corso
naturale, e la forza che all’inizio governa è il «karma della materia»; le succede poi il karma
generato dalla fusione fra anima e forma, nel quale la prima ha (all’inizio) scarsissima
responsabilità Ciò che avviene nel suo triplice involucro è necessariamente effetto delle tendenze
inerenti alla sostanza. Ma con il susseguirsi delle incarnazioni la qualità egoica entrostante
gradualmente evoca la coscienza, e tramite la coscienza si è condotti all’uso della discriminazione.
A mano a mano che la mente assume il potere, la coscienza stessa si desta appieno.

Il primo sintomo ne è il senso della responsabilità, il quale a poco a poco induce l’anima a
identificarsi sempre meglio con il suo veicolo, il triplice uomo inferiore. Allora i corpi si
affinano; i semi di morte e di malattia sono meno virulenti; cresce la percezione interiore
dell’anima e viene l’ora in cui il discepolo-iniziato, quando muore, è per suo volere spirituale o
per necessità di karma di gruppo, nazionale o planetario. Quando chi muore è uomo di scarso
livello, la battaglia fra l’elementale fisico (per elementali si intende la moltitudine delle vite
di natura che formano la totalità della materia di un piano; queste, su onde di energia, mediante
l’impulso del respiro, e per effetto dell’azione vibratoria, sono spinte in tutte le forme, quali ci
appaiono sul piano fisico) e l’anima è la cosa più notevole …; se è un uomo comune, focalizzato
nell’emotivo, il conflitto è fra l’elementale astrale e l’anima …; per i discepoli la lotta si fa
più mentale e sovente s’accende fra la volontà-di-servire … da una parte e la volontà-di-astrazione
…, dall’altra. Per gli iniziati non esiste alcun conflitto: l’astrazione è cosciente e deliberata.
Strano a dirsi, se un contrasto si verifica, è fra le due forze che restano nella personalità, cioè
fra l’elementale fisico e il mentale. Non esiste infatti un elementale astrale nell’assetto di un
iniziato di alto ordine: il desiderio è stato completamente superato, per quanto riguarda la sua
natura individuale.

Altra questione che voglio trattare è in rapporto con il perpetuo conflitto in atto tra le dualità
del corpo denso ed eterico. L’elementale fisico (nome per indicare la vita integrata di questo
corpo) e l’anima che cerca di astrarre e dissolvere tutte le energie dell’involucro eterico, si
combattono con violenza, e questo stato di cose è penoso e dura molte volte a lungo; è denotato dal
«coma», più o meno protratto, che è caratteristica frequente della morte. Quest’ultimo, per
l’esoterista, è di due specie: il «coma della lotta», che precede la vera morte; e quello «del
ristabilimento», quando l’ anima, ritratto il filo della coscienza ma non quello della vita,
consente all’elementale fisico di riprendere potere sull’organismo, per ristabilire la buona salute.
La scienza moderna per il momento non li distingue, ma in avvenire, quando la visione eterica, o
chiaroveggenza, sarà più comune, sarà possibile accertare di quale coma si tratti, escludendo con
ciò sia la speranza che la disperazione. Amici e parenti del morente in stato di coma sapranno con
certezza se assistono alla grande, ultima astrazione dall’ esistenza fisica, o ad un processo di
riparazione. In questo secondo caso, l ’anima mantiene la presa sull’organismo denso mediante i
centri, ma temporaneamente si astiene dal distribuire energia, se non al centro del cuore, della
milza, e ai due minori dei polmoni: questi restano vivificati in modo normale, o poco meno, e
bastano a conservare il controllo. Se l’ anima vuole veramente la morte, per prima cosa astrae
energia dalla milza, poi dai due centri minori, e per ultimo dal cuore – e l’uomo muore.

Durante il processo d’integrazione della personalità, durante il quale le influenze dell’anima si
fanno sempre più importanti, i mutamenti che si producono scatenano un violento conflitto, sul
Sentiero della Prova, che aumenta sino all’inizio della Via del Discepolo. La potenza della
personalità che da dominante viene soggiogata, induce intense reazioni karmiche. Nell’esperienza del
discepolo eventi e circostanze si succedono e si moltiplicano con velocità impetuosa. Il suo
ambiente è improntato alle più elevate qualità nei tre mondi; oscilla fra gli estremi; paga con
rapidità crescente i debiti karmici e il prezzo degli errori commessi. Per tutto questo periodo le
incarnazioni si succedono, e il processo consueto della morte si ripete, fra l’una e l’altra. Ma le
tre morti fisica, astrale e mentale – sono sperimentate con consapevolezza sempre maggiore, poiché
la mente inferiore si sviluppa; l’uomo non esce più inconsapevole, assopito, dai suoi veicoli
eterico, astrale e mentale, ma ciascuno di tali trapassi gli è noto al pari della morte fisica.
Viene, al fine, il tempo che il discepolo muore di sua volontà e in perfetta coscienza, poiché sa
come spogliarsi dei vari involucri. L’anima rafforza il suo controllo, ed egli decide la morte con
atto di volontà egoica, sapendo esattamente quello che fa.

L’uomo assai progredito presagisce sovente il tempo della morte; ciò dipende dal contatto con l’ego
e dalla coscienza della sua volontà. Talvolta la sua previsione riguarda anche le modalità del
trapasso, e fino all’ultimo istante l’auto-determinazione perdura. L’iniziato va ben oltre. La
comprensione intelligente delle leggi dell’astrazione gli consentono di lasciare il corpo fisico in
piena coscienza di veglia, per vivere nell’ astrale. Ciò implica la capacità di serbare la
continuità di coscienza, senza interruzioni fra la consapevolezza fisica e lo stato «post-mortem».
Egli sa di essere esattamente quello di prima, sebbene privo dello strumento dei contatti fisici.
Rimane consapevole dei sentimenti e dei pensieri di coloro che ama, anche se non è in grado di
percepirne il veicolo fisico denso. Può comunicare con loro a livello astrale o per telepatia
mentale, se il rapporto lo consente, e gli sono precluse soltanto, necessariamente, quelle
trasmissioni che comportano l’uso dei cinque sensi.

Ma bisogna rammentare che il rapporto astrale e mentale può essere più intimo e sensibile di prima,
poiché non intralciato dal corpo fisico. Due condizioni, tuttavia, vi si oppongono: il dolore
intenso e le violente perturbazioni emotive dei rimasti, e – nel caso dell’uomo comune – la sua
propria ignoranza e lo sbigottimento che prova di fronte a condizioni nuove per lui, anche se in
realtà ben antiche, se solo se ne rendesse conto. Quando gli uomini avranno superato la paura della
morte e compreso il mondo di là, senza isterismo né allucinazioni, non più basandosi sulle
descrizioni (spesso poco intelligenti) del medium comune, che è dominato dalla forma-pensiero
costruita da lui stesso e da chi interviene alle sedute, il processo letale potrà essere posto sotto
rigoroso controllo. Si curerà in modo particolare lo stato dei rimasti, per evitare la rottura dei
rapporti e inutili dispendi di energia. Vi ricordo che la volontà e il proposito dell’anima, cioè
la determinazione di essere e di agire, utilizza la linea d’energia che collega l’uomo fisico con la
Monade attraverso l’Ego, la corrente vitale, quale mezzo di espressione formale. Quando penetra nel
corpo tale corrente si biforca, e si «fissa», per così dire, in due punti distinti. Ciò simboleggia
il fatto che lo Spirito, si differenzia in due riflessi: anima e corpo. L’anima, nell’ aspetto
coscienza, ciò che fa dell’uomo un’entità razionale e pensante, si «ormeggia» con uno dei due
aspetti del filo, in un punto del cervello presso la ghiandola pineale. L’aspetto vita invece, che
anima ogni atomo del corpo ed è il principio coesivo e integratore, penetra nel cuore, e vi si
ancora.

L’uomo spirituale domina l’organismo intero da questi due punti. In tal modo è possibile l’esistenza
fisica ed oggettiva, quale temporanea modalità espressiva. L’anima, in quanto assisa nel cervello,
fa dell’uomo un essere raziocinante e intelligente, auto-consapevole capace di auto-governo conscio
in varia misura nel mondo in cui vive, secondo il grado evolutivo e il conseguente sviluppo del
proprio apparato. Quest’ultimo è triplice: (1) i piccoli conduttori di forza del corpo eterico che
sorreggono tutto il sistema nervoso e i sette centri di forza, (2) il sistema nervoso, anch’esso
tripartito (cerebro-spinale, simpatico, periferico), e (3) il sistema endocrino, da considerare come
l’esternazione più densa delle altre due partizioni. L’anima, in quanto assisa nel cuore, è la
vita, l’auto-determinazione, il nucleo centrale di energia positiva che tiene al loro posto tutti
gli atomi del corpo e li subordina alla propria «volontà-di-essere». Questo principio vitale usa
come veicolo di espressione e agente direttivo la corrente sanguigna, e l’intimo rapporto esistente
fra questa e il sistema endocrino pone in contatto i due aspetti dell’attività egoica, e ne risulta
l’uomo come essere vivente, conscio, governato dall’anima, di cui adempie il volere in tutte le
attività quotidiane. La morte è dunque, in senso letterale, il ritrarsi dalla testa e dal cuore di
quelle due correnti di energia, con conseguente perdita di coscienza e disgregazione del corpo. Essa
differisce dal sonno solo in quanto entrambe le correnti si staccano: nel sonno si disormeggia solo
quella che è fissata nel cervello, e perciò si perde coscienza, o meglio questa si polarizza
altrove.

L’attenzione non è più allora rivolta al fisico e al tangibile, ma ad altra modalità dell’essere, e
si accentra in un altro apparato. Alla morte, ripeto entrambe le correnti si ritraggono o si
riuniscono in una sola; l’energia vitale non circola più portata dal sangue, il cuore cessa di
battere, il cervello di registrare, e subentra il silenzio: la casa è vuota. Ogni attività è
sospesa, tranne quella, sorprendente e immediata, che è prerogativa della materia stessa e che si
manifesta come decomposizione. Quando il discepolo o l’iniziato si immedesima con l’anima e
costruisce il ponte coscienziale con il principio vitale, trascende quella legge universale, e
prende o elimina il corpo a volontà, per comando del volere spirituale o per i fini d’ordine
superiore. Per quanto riguarda la morte, essa è, in ultima analisi, dipendente dall’ anima, la cui
volontà è obbedita, in modo conscio o inconsapevole, quando decide la morte; ciò ha molte
implicazioni che sarebbe bene meditare. I processi d’astrazione (come potete vedere) sono connessi
con l’aspetto vita; sono messi in moto da un atto della volontà spirituale e costituiscono «il
principio di resurrezione che si cela nell’opera del Distruttore», come dice un antico detto
esoterico. La manifestazione più bassa di questo principio si vede nel processo di ciò che
chiamiamo morte, che in realtà è un mezzo d’astrazione del principio vita, saturo di coscienza,
dalla forma o dai tre corpi nei tre mondi. Emerge così la grande sintesi, e distruzione, morte e
dissoluzione in realtà non sono altro che processi di vita. L’astrazione indica processo, progresso
e sviluppo. Due grandi pensieri chiariscono il tema della morte.

Primo, il dualismo onnipresente nella manifestazione. Ciascuna delle dualità ha la propria
espressione, le sue leggi, i suoi fini. Ma – nel tempo e nello spazio – si mescolano a beneficio
dell’intero, e appaiono come unità. Spirito-materia, vita-apparenza, energia-forza: ciascuna
proviene dalla sua sorgente, è in rapporto con l’altra, ha uno scopo temporaneo, e assieme generano
quella corrente perpetua, quel ciclico flusso e riflusso della vita manifesta. Dal rapporto fra
Padre Spirito e Madre Materia nasce il figlio, che durante l’infanzia vive nell’aura della madre,
con cui si identifica, ma dalla quale continuamente cerca di fuggire. Giunto a maturità, il suo
problema si aggrava, l’attrazione del Padre lentamente spodesta la possessività della madre, finché,
finalmente, la presa di questa sul figlio (l’anima) si allenta. Allora questi, il Cristo bambino,
liberato dalla custodia e dalle mani materne, conosce il Padre. Sono simboli. Secondo:
l’incarnazione, la vita entro la forma e la restituzione (per azione del principio di morte) di
materia alla materia e di anima all’anima, sono processi regolati dalla grande Legge di Attrazione
universale. Pensate che un giorno la morte, prevista e benvista, sarà descritta da questa semplice
frase:«È giunta l’ora che l’attrazione dell’anima esige che io lasci il corpo e lo renda là donde
venne».

Pensate quale mutamento nella coscienza umana, quando la morte sarà considerata il semplice e
volontario abbandono della forma, temporaneamente assunta per due fini ben precisi: a. padroneggiare
i tre mondi; b. consentire alla sostanza della forma «rubata, presa in prestito o posseduta a buon
diritto» – secondo lo stadio evolutivo – di elevarsi a maggiore perfezione per impulso impressole
dalla vita, tramite l’anima. Sono concetti di notevole significato, già espressi prima d’ora, ma
trascurati perché ritenuti solo simbolici, capaci di confortare, ma nient’ altro che semplici
desideri. Ve li offro, invece, come veri, di inevitabile applicazione pratica, come tecniche e
processi consueti quanto una qualsiasi di quelle attività (ritmiche e periodiche) che si presentano
nella vita: alzarsi e coricarsi, mangiare e bere, e così via. È importante rilevare che la Morte è
regolata dalla Legge fondamentale di Attrazione, che è espressione dell’amore, secondo attributo
divino. Ciò non vale per le morti improvvise, che sono regolate dal primo aspetto, il distruttore.
Allora la condizione è diversa: l’evento può essere provocato non da necessità karmiche individuali,
ma da ragioni di gruppo e molto oscure – tanto che per ora non vale la pena parlarne. Il lettore non
sa abbastanza cosa sia il karma e le sue implicazioni, e ignora i rapporti e gli obblighi stabiliti
in vite passate. Se dicessi, ad esempio, che «l’anima può lasciare aperta la porta alle forze
letali, che possono introdursi senza appiglio all’interno, per espiare più rapidamente», capireste
quanto sia oscuro l’argomento. Qui mi limito a considerare la morte naturale, per effetto di
malattia o di vecchiaia, cioè per volontà dell’anima che, al termine di un ciclo prestabilito di
esistenza, usa i mezzi normali per conseguire i suoi fini. Allora la morte è «naturale», e il
genere umano deve comprenderlo, con pazienza e speranza maggiori.

L’anima, al termine di una vita, in modo deliberato, esercita un’attrazione tale da travolgere
quella inerente alla materia: ecco una chiara definizione della morte. Quando non esiste contatto
cosciente con l’anima, come per la maggior parte degli uomini oggi, la morte giunge inattesa, o
accolta con tristezza. Eppure è una vera e propria attrazione dell’anima. Questo è il primo grande
concetto spirituale da proclamare per combattere la paura di morire. La morte è regolata dalla Legge
di Attrazione, per cui il corpo vitale si estrae dal denso in modo scientifico e progressivo, e
l’anima interrompe ogni contatto con i tre mondi. La Legge di Attrazione spezza le forme e ne
restituisce i componenti alla fonte primordiale, prima di ricominciare a costruirle. Sul sentiero
evolutivo gli effetti di questa legge sono ben noti, non solo per la distruzione dei veicoli
eliminati, ma anche per il frantumarsi delle forme assunte dai grandi ideali … Tutto è destinato
ad infrangersi, per imperio di questa Legge. La consapevolezza della morte porta l’uomo a guardare
alla vita come Osservatore, non come chi sperimenta nei tre mondi (fisico, emotivo, mentale)… e
progredendo si è sempre meno consapevoli delle attività e reazioni personali, poiché certi aspetti
della natura inferiore sono ormai così purificati e regolati che scendono sotto la soglia della
coscienza, nell’istinto; non se ne ha notizia, come nulla si sa del respiro quando si dorme.

È una grande verità, poco conosciuta. È in rapporto al processo della morte, e può essere
considerata come una sua definizione; è la chiave per capire la frase «riserva di vita», che è assai
misteriosa. Morte, in realtà, è non aver coscienza di una certa attività vitale. La riserva di vita
è il luogo della morte, e questa è la prima lezione per il ricercatore. Abbiamo sin qui trattato la
morte del corpo fisico (evento molto familiare) nonché dell’astrale e del mentale – cioè di quegli
aggregati di energie qualitative che non sono usualmente riconosciuti, ma che la psicologia ormai
ammette e che supponiamo si debbano disintegrare a seguito del decesso fisico. Vi è mai occorso di
pensare, però, che la fase principale di tutto questo processo, per quanto riguarda l’uomo, è la
morte della personalità? Non parlo in termini astratti, come fanno gli esoteristi quando descrivono
la negazione delle qualità che caratterizzano il sé personale. Essi, infatti, parlano di
«sopprimere» questa o quella caratteristica, di «uccidere» il sé minore, eccetera. Io intendo,
invece, letteralmente l’ eliminazione, la dissoluzione, la dissipazione finale della personalità,
ben nota e beneamata. Preferisco il verbo eliminare anziché «distruggere». Infatti, quando essa si
dissolve, la struttura resta: scompare solo la vita separativa. La sua vita, ve lo rammento, passa
per tre stadi:

1. Lenta e graduale costruzione. Per molti cicli di incarnazione, l’uomo non è una personalità, è
solo un membro della moltitudine umana.

2. Durante quella fase, l’anima in pratica non è coscientemente identificata con la personalità.
Quel suo aspetto che è racchiuso fra gli involucri, per lunghissimo tempo è dominato dalla loro
vita, e si fa sentire solo come «voce della coscienza». Ma, col trascorrere del tempo, la vita
attiva e intelligente dell’uomo gradualmente viene stimolata e coordinata dall’energia irradiata
dallo stimolo egoico a conoscere, o dalla natura percettiva intelligente dell’anima dimorante nel
suo proprio mondo. Ne deriva l’integrarsi dei tre veicoli in un’unità vivente. L’uomo è allora una
personalità.

3. La vita personale dell’individuo così coordinato persiste per gran numero di incarnazioni, e
anche essa è divisibile in tre fasi:
a. Vitalità aggressiva e prepotente, egoista e molto individualista, condizionata da uno dei sette
aspetti energetici (o raggi).
b. Periodo di transizione, distinto da un conflitto in atto fra personalità e anima. Quest’ultima
vuole liberarsi dalla vita formale, eppure – in ultima analisi – la personalità dipende dal
principio vitale trasmessole dall’anima. In altri termini, la lotta è fra il raggio dell’una e il
raggio dell’altra, ed è quindi una guerra fra due concentrazioni energetiche. Ciò termina all’atto
della terza iniziazione.
c. Vittoria dell’anima, morte e distruzione della personalità. Il dissolvimento inizia quando
questa, che è il Guardiano della Soglia, sta al cospetto dell’Angelo della Presenza. La luce
dell’anima estingue quella della materia. Eliminazione della Forma-pensiero della Personalità Due
fattori bisogna rammentare mentre si esamina – molto brevemente – questo argomento.
1. Stiamo considerando unicamente un’idea della mente dell’anima, e l’ illusione che ha condizionato
l’intero ciclo dell’incarnazione, così imprigionando l’anima nella forma. Per essa, la personalità
significa:
a. La propria capacità di identificarsi con la forma; l’anima se ne accorge quando la personalità
raggiunge una certa misura di vera e propria integrità
b. Occasione di un processo iniziatico.
2. L’eliminazione della forma-pensiero della personalità, consumata alla terza iniziazione, è una
iniziazione maggiore per l’anima vivente nel suo mondo. Ecco perché la terza è considerata la prima
iniziazione maggiore: le due che la precedono hanno poco effetto sull’anima, in quanto agiscono solo
sul «frammento» incarnato. Queste verità sono poco note e sinora scarsamente segnalate nei testi
che trattano questi argomenti. Sinora ci si è limitati a insistere sulle iniziazioni per quanto
riguardano il discepolo, nei tre mondi. Ma io le intendo esplicitamente in quanto agenti sull’anima,
che adombra il proprio riflesso. Ciò che ho detto ha quindi poco senso per il lettore comune.
L’atteggiamento mentale del sé personale, che si considera essere il Guardiano della Soglia, è stato
descritto, in maniera inadeguata, come completamente obliterato dalla luce dell’anima; la gloria
dell’uomo spirituale, è tale che la personalità sparisce con tutte le sue esigenze e aspirazioni.
Non resta che il guscio, l’involucro, lo strumento mediante cui la luce solare si riversa in
soccorso dell’umanità. C’è del vero in tutto ciò, ma si tratta – in ultima analisi – di un tentativo
per dire in parole l ’effetto trasmutante e trasfigurante della terza iniziazione, il che è
impossibile.

Immensamente più difficile ancora è raffigurare, come cerco di fare, l’ atteggiamento e le reazioni
dell’anima, l’unico sé, il Maestro nel cuore, allorché riconosce la portentosa verità della propria
libertà essenziale, e realizza, una volta per sempre, di essere ormai del tutto incapace di
rispondere alle vibrazioni dei tre mondi inferiori, trasmesse da quello strumento di contatto che è
la forma personale. Quest’ultima, da quel momento, non è più in grado di farlo. Ciò compreso e
ammesso, l’anima, ormai libera, si rende conto che tale condizione impone dei doveri:
1. Servire nei tre mondi, così familiari e completamente trascesi.
2. Emettere amore, librato su chi è rimasto a cercare la liberazione. Essa, con la morte, a fatto
svanire la coscienza personale. Ora la coscienza è quella propria dell’anima, che non avverte
separazioni, che agisce per intuizione, che è spiritualmente posseduta dai piani superiori ed è
perfettamente insensibile al fascino o all’imperio della materia e della forma; ma risponde alla
sostanza-energia in cui è immersa, e la sua corrispondenza superiore vive ancora sui livelli
superiori che vanno dal piano intuitivo a quello spirituale della monade.

Tratto dalla mailing list Sadhana > it.groups.yahoo.com/group/lista_sadhana

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