Morte: la grande avventura 2

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Morte: la grande avventura 2

(Citazioni dai volumi di Alice A. Bailey – compilato da due studenti)

– Parte seconda –

Perché non accettare lietamente la Transizione? Impara a compiacerti dell’esperienza che è il dono della saggia età avanzata e guarda avanti verso la Grande Avventura che ti aspetta. Tu sai bene – nei tuoi momenti d’elevazione – che questa Tran­sizione significa realizzazione senza alcuna limitazione del piano fisico.

(Il Discepolato nella Nuova Era Vol. II° – 696)

Le ragioni per le quali un discepolo deve per lo meno cercare di non rilassarsi

troppo e procedere, nonostante la fatica (fatica degli anni di vita), i crescenti “scric­chiolii” del meccanismo umano e l’inevitabile tendenza proveniente dal servizio co­stante e dal continuo contatto con gli altri, potrebbero essere elencate così:

1. Deve sforzarsi di mantenere il ritmo di servizio e di vita produttiva quando, libero

dal corpo fisico, sta dall’altra parte del velo. Non deve esserci alcuna interruzione in quel servizio.

2. Deve sforzarsi, per quanto è possibile, di mantenere la continuità della sua co­scienza come discepolo attivo e non permettere alcuna interruzione fra il suo attua­le punto di tensione e quello che sopravviene dopo l’esperienza della morte.

3. Deve sforzarsi di chiudere l’episodio dell’esperienza di questa vita, in modo da e­videnziare che egli è un membro di un Ashram; non deve permettere che avvenga­no fratture nei rapporti instaurati o che venga a cessare, suo tramite, l’afflusso di vita ashramica sul mondo degli uomini. Non è questa un’attività facile, dato il na­turale e normale deterioramento del veicolo fisico che invecchia; richiede una pre­cisa concentrazione nello sforzo, aumentando così la tensione nella quale vive sempre un discepolo.

I discepoli del mio Ashram hanno la duplice responsabilità di mantenersi saldi nel preservare il riconoscimento, se così posso esprimermi. Questa fermezza non deve essere allentata in nessun modo quando si avvicina la vecchiaia e non deve scomparire con la transizione della morte stessa. Il Maestro di un Ashram opera mediante il pensiero cosciente ed ininterrotto di un gruppo congiunto di discepoli. Il servizio esterno attivo di un gruppo di discepoli non è di principale importanza (benché abbia necessariamente uno scopo vitale) come il coerente e integrato pen­siero di gruppo, così potente nell’effettuare cambiamenti nella coscienza umana.

Il problema particolare della crisi mondiale attuale e gli
straordinari riadattamenti nella coscienza umana, inerenti
all’inaugurazione di una nuova cultura, civiltà e religione mondiali, giustificano la mia offerta di tale opportunità ai membri del mio Ashram (ed ai gruppi affiliati come il tuo) di mantenere intatte e scevre da ogni deterioramento il loro “stato mentale” lungo i rimanenti anni di vita, durante il processo di dissoluzione, fino alla libertà dall’altra parte del velo. Non è un com­pito facile mantenere l’integrità consapevole; si richiede comprensione ed uno sforzo molto deciso. (Il Discepolato nella Nuova Era – Vol. II¡- 502/4)

… Quando si saprà la vera natura del Servizio, lo si intenderà come un aspetto di quella divina energia che obbedisce al distruttore, in quanto demolisce le forme per rida­re libertà. Esso è una
manifestazione del Principio di Liberazione, che si palesa in due modi: come morte e come servizio. Entrambi infatti salvano, liberano e affrancano, a

vario livello, le entità imprigionate.
(Trattato di Magia Bianca – 537)

… Gli Esseri (Che attuano la volontà divina) non sono per nulla identificati con la forma, e quindi possono valutare con giustezza l’importanza relativa di vivere in una forma, la cui distruzione non è, per Essi, la morte quale intesa dall’uomo, ma un puro e semplice processo di liberazione. La paura della morte è sempre alimentata dalla ristret­tezza di vedute di chi si identifica con la forma. L’epoca attuale ha visto la massima di­struzione di forme umane verificatasi sul pianeta: ma non un solo uomo è andato perdu­to. Notate queste parole. Proprio grazie a questo colossale processo distruttivo l’umanità ha compiuto un gran balzo verso un atteggiamento più sereno di fronte alla morte. Ciò non è ancora evidente, ma fra non molto sarà apprezzabile, e la paura della morte a poco a poco scomparirà dal mondo. Tutto ciò sarà anche dovuto, in gran parte, alla migliore capacità reattiva dell’organismo umano, con il conseguente riorientarsi all’interno della mente, con effetti imprevedibili. La causa di ogni guerra si annida sem­pre nel senso di separazione. È un individualismo radicale, un isolazionismo deliberato e compiaciuto che scatena le cause secondarie della guerra: avidità, che sconvolge l’assetto economico; odio, che genera attrito fra i popoli e al loro interno; crudeltà, che causa sofferenza e distruzione. Profonde sono dunque le radici della morte; nel senso comune, essa annienta il ciclo di separazione proprio dell’individuo fisico, e quindi riu­nifica. Se sapeste penetrare alquanto l’argomento, vedreste che la morte sprigiona la vita individuale in un’esistenza meno confinata e contratta, e – quando agisce su tutti e tre i veicoli – la restituisce all’universale. E questo è un livello d’indicibile beatitudine.

(Trattato dei Sette Raggi Vol. IV¡ – Guarigione Esoterica – 431/3)

A proposito del prolungamento della vita, ottenuto dalle conquiste scientifiche del secolo scorso, vi faccio notare che le vere tecniche e le possibilità dell’azione integrata dell’Anima sono sempre parodiate e falsamente espresse a livello fisico da attività scientifiche precedenti, che hanno giusti intenti, ma non sono che un simbolo, esteriore, dell’azione futura dell’anima. La durata della vita sarà un giorno abbreviata o prolunga­ta dall’anima consapevole di servire, che impiega il corpo come strumento per attuare il Piano. Oggi accade sovente che si tengano in vita forme … che la natura (se lasciata a se stessa) non userebbe più, ed estinguerebbe. Notate questa parola. Ipervalutando la vita della forma, per il generale terrore della morte, – quel grande trapasso che attende cia­scuno – per l’incertezza sull’immortalità dell’anima, e per l’attaccamento radicato alla forma, l’uomo tende ad arrestare i processi naturali e a trattenere la vita, che invece lotta per svincolarsi, costretta in corpi ormai inadatti ai fini dell’anima. … Affermo con enfasi che la Legge del Karma è sovente violata quando si preservano in espressione coerente forme, che se lasciate al loro corso naturale cesserebbero la loro manifestazione. Nella maggior parte dei casi ciò avviene per volontà di coloro che circondano il paziente, e non del paziente stesso, … e ciò costituisce una precisa “interferenza nel karma”.

(Trattato dei Sette Raggi Vol. IV° – Guarigione Esoterica – 350/1)

PARTE IV

Morte e malattia sono condizioni inerenti alla sostanza; finché l’uomo si identifi­ca con la forma, è soggetto alla Legge del Dissolvimento, che è una delle basi della na­tura, cui obbedisce la vita delle forme di ogni regno.

(Trattato dei Sette Raggi Vol. IV° – Guarigione Esoterica – 501)

Non è detto che la liberazione dell’anima, tramite malattia e morte, sia una disgra­zia. È indispensabile coltivare una disposizione nuova e migliore nei confronti della morte, e ciò è essenziale e possibile. Non è il caso che io mi soffermi su ciò. Voglio in­vece imprimere in voi un nuovo vigore nel considerare la malattia e la morte.

(Trattato dei Sette Raggi Vol. IV° – Guarigione Esoterica – 350)

Il male è talora dovuto al ritirarsi dell’anima dalla sua dimora, ed è parte di quel processo. Noi lo chiamiamo morte, e può essere istantaneo, o protrarsi a lungo, poiché l’anima può impiegare mesi ed anni per lasciare lentamente la forma, che allora muore

poco a poco. (Trattato dei Sette Raggi Vol. IV° – Guarigione Esoterica – 41)

La malattia può essere una morte graduale e lenta, che libera l’anima. La cura non è possibile, ma bisognerà sicuramente ricorrere a lenimenti e palliativi. Si potrà prolun­gare alquanto la vita, ma certo non guarire in modo permanente e definitivo. Questo di solito il guaritore mentale manca nel considerarlo. Egli fa della morte un orrore, mentre è un’amica benefica. La malattia può essere il comando improvviso ed ultimo che il corpo lasci libera l’anima per altro servizio.

In tutti questi casi è bene fare quanto possibile secondo la chirurgia e la medicina moderne, con l’aiuto delle discipline che oggi vi collaborano numerose. Molto si può fa­re a livello mentale e spirituale, con l’aiuto della psicologia. Un giorno tutti questi me­todi dovranno collaborare assieme, a forze unite.

(Trattato dei Sette Raggi Vol. IV° – Guarigione Esoterica – 42)

Pare evidente, al pensatore superficiale, che molte infermità e morti siano dovute a situazioni ambientali di cui il soggetto non è responsabile. Esse variano da eventi del tutto esteriori alle predisposizioni ereditarie. Elenchiamole così:

1. Incidenti, dovuti a negligenza personale, ad eventi collettivi, ad incuria altrui, ad ope­razioni belliche o eventi d’altro genere.

Possono anche essere causati dall’attacco di certi animali, da avvelenamento acciden­tale e da occorrenze consimili.

2. Infezioni provenienti dall’esterno e non ascrivibili alle condizioni peculiari del sangue del soggetto. Comprendono le malattie dette infettive e contagiose, e soprattutto le epidemie. Aggrediscono mediante i contatti quotidiani, durante il lavoro, o perché
grandemente diffuse nell’ambiente.

3. Malattie da denutrizione, specie nei giovani. L’organismo denutrito è predisposto alla malattia, poiché la sua resistenza e vitalità sono minori; i poteri di difesa sono neutra­lizzati, e si soccombe ad una morte prematura.

4. Ereditarietà. È noto che esistono tare ereditarie che predispongono a certe malattie e alla morte, o che lentamente e di continuo minano la vitalità dell’individuo; vi sono inoltre forme di appetiti pericolosi che instaurano abitudini indesiderabili, indeboli­scono il morale e la volontà e rendono inetti a reagire. Si soccombe allora, e si paga il prezzo di quei vizi, cioè malattia e morte.

(Trattato dei Sette Raggi Vol. IV° – Guarigione Esoterica – 18/9)

Voglio inoltre chiarire due questioni, che dovrete illustrare all’infermo:

1. La guarigione non è garantita. Il malato deve rendersi conto che la continuazione del­la vita fisica può anche non essere la meta suprema. Può esserlo se il servizio da ren­dere è di reale importanza, se restano doveri da compiere, lezioni da apprendere. La vita corporea non è il bene supremo: quel che importa ed è veramente benefico è svincolarsi dalle limitazioni del corpo. Il malato deve riconoscerlo e rassegnarsi al karma.

2. La paura non giova a nulla. Uno dei primi obiettivi del guaritore è aiutare l’infermo ad attendere con buon senso e serenità il proprio futuro – qualunque esso sia. (Trattato dei Sette Raggi Vol. IV° – Guarigione Esoterica – 387)

È pertanto doveroso essere efficienti, poiché l’effetto è pari a ciò che si è. Se si è magnetici e si irradia la forza dell’anima, il malato perviene più facilmente al fine desi­derato – e questo può essere la salute completa, o uno stato mentale che gli consenta di vivere in pace con se stesso e col suo male, non ostacolato dalle limitazioni imposte dal karma. O la liberazione (con gioia e senza sforzo) dal corpo e recuperare la salute per­fetta oltre i cancelli della morte.

(Trattato dei Sette Raggi Vol. IV° – Guarigione Esoterica – 8)

Molti sono i guaritori che ritengono cosa di suprema importanza liberare il veicolo fisico dal male e strapparlo alla morte. Sovente, invece, meglio sarebbe che la malattia seguisse il suo corso e la morte spalancasse all’anima i cancelli della sua prigione. Giunge inevitabile, per tutti gli incarnati, l’ora in cui l’anima si libera dal corpo e dalla forma, e la natura provvede con saggezza. Quando intervengono per effetto della tempe­stiva decisione dell’anima, malattia e morte devono essere intesi come agenti di libera­zione. La forma fisica è un aggregato di atomi, edificati in organismo e corpo coerente, e tenuti assieme dal volere dell’anima. Se questa volontà si ritrae nel proprio mondo, o (come si suol dire in occultismo) se “l’anima rivolge lo sguardo altrove”, per il ciclo presente ne conseguono, inevitabili, male e morte. Non per errore mentale, o per non aver riconosciuto il divino, o perché si soccombe al male. Ma perché, in realtà, la forma si risolve nei suoi componenti e nell’essenza. La malattia è un aspetto basilare della morte. È il processo per cui materia e forma si apprestano a separarsi dell’anima.

(Trattato dei Sette Raggi Vol. IV° – Guarigione Esoterica – 111)

Nessuno, che per karma debba morire, viene mai riportato indietro dai “cancelli della morte”; il ciclo di vita fisica, in tal caso, termina – a meno che non si tratti di un di­scepolo avanzato, di notevoli capacità, la cui opera e la cui presenza siano necessarie per completare la sua missione terrena. Allora il Maestro può aggiungere la Sua cono­scenza ed energia a quelle del guaritore o del paziente, e posporre temporaneamente il trapasso. Ma sia il malato che il guaritore non devono farvi assegnamento, perché non sanno quali siano le circostanze che lo consentono.

(Trattato dei Sette Raggi Vol. IV° – Guarigione Esoterica – 704)

Quando il male prende il sopravvento il medico si accorge che ormai è solo que­stione di tempo, e anche il guaritore spirituale può imparare a notare quei sintomi. In quei frangenti, invece del silenzio mantenuto oggi sia da quello che da questo, che non lo annunciano al morente, occorre impiegare il tempo che resta (sempre che le sue con­dizioni lo consentano) a prepararlo al “benefico e felice” ritrarsi dell’anima; parenti ed amici vi prenderanno parte. La nuova religione mondiale inculcherà questo atteggia­mento verso la morte sin dal suo primo apparire. La morte sarà intesa in modo comple­tamente diverso, basato sul ritiro cosciente, e i servizi funebri, o meglio la cremazione, saranno occasione di gioia, appunto per la libertà riconquistata e per il ritorno.

(Trattato dei Sette Raggi Vol. IV° – Guarigione Esoterica 652/3)

Se dovessi dire qual è il compito principale dei gruppi di guarigione che verranno promossi in futuro, affermerei, appunto, che è preparare gli uomini a quello che do­vremmo considerare come l’atto di restituzione insito nella morte, conferendo a questa temuta nemica un volto nuovo e più sereno. Procedendo a pensare e lavorare in tal sen­so, vi accorgerete che il tema della morte ricorre di continuo, e che come risultato appa­riranno nuovi atteggiamenti nei suoi confronti, un’attesa felice di quell’evento inevitabi­le e familiare. I guaritori devono prepararsi ad affrontare questa condizione che è fon­damentale per tutto ciò che vive, e gran parte dell’opera loro sarà appunto rivolta a chia­rire il principio della morte. L’anima deve tornare là donde venne. Oggi, questa restitu­zione è coatta e paventata, incute terrore e induce a pretendere con forza la salute del corpo fisico, accentuandone l’importanza, e facendo ritenere che la cosa più rilevante fra tutte sia prolungare l’esistenza terrena. Ma nell’epoca che ci attende questi errori cesseranno; la morte sarà vista come un processo normale, ben compreso, come la na­scita, anche se meno doloroso e pauroso di questo. Notate queste parole, che hanno un senso profetico. (Trattato dei Sette Raggi Vol. IV° – Guarigione Esoterica – 389/90)

PARTE V

C’è una tecnica del morire, come c’è una tecnica del vivere…

(Trattato di Magia Bianca – 302)

È stridente la differenza attuale fra la cura scientifica con la quale si assiste la na­scita, e la totale cecità e crassa ignoranza, sovente pervasa di terrore, con cui si accom­pagna il trapasso. Cerco di iniziare, in occidente, un modo nuovo e più scientifico per
assecondare la morte, e voglio essere perfettamente chiaro. Ciò che dirò non vuole a­brogare i palliativi e le cure della medicina attuale. Intendo semplicemente presentare un approccio più sano a questo tema; voglio soltanto suggerire che quando la sofferenza si è esaurita ed è intervenuto uno stato di debilitazione, sia permesso al morente prepa­rarsi, sia pure in modo apparentemente inconscio, al grande trapasso. Non dimenticate che si prova dolore solo quando si è forti e si ha forte presa sull’apparato nervoso. È for­se impossibile concepire la morte come conclusione trionfale della vita? È
impossibile pensare che un giorno le ore trascorse sul letto di morte saranno preludio glorioso all’esodo cosciente? Che l’occasione di sbarazzarsi dell’intralcio del corpo fisico può essere, anche per gli astanti, una conclusione a lungo attesa e gradita? Potete immagina­re che un giorno il morente e i suoi cari stabiliranno d’accordo l’ora della dipartita, che anziché essere accompagnata da pianti, paura, rifiuto di rassegnarsi all’inevitabile, sarà occasione gaudiosa per tutti? Che la mente di chi rimane sarà impenetrabile al dolore, e la morte sarà generalmente riconosciuta come evento più felice ancora che la nascita o il matrimonio? Vi dico che fra non molto ciò sarà profondamente vero per gli uomini più intelligenti, e poi, a poco a poco, per tutti.

Si dice che per ora si può credere all’immortalità, ma senza prove sicure. Una convalida sta nel cumulo delle testimonianze, nell’intima certezza del cuore, nel concet­to di persistenza eterna radicato nelle menti umane. Ma prima che siano trascorsi cento anni convinzione e conoscenza si faranno strada, perché un certo evento e una
rivela­zione muteranno la speranza in certezza e la fede in sapere. Nel frattempo, coltivate una diversa attitudine verso la morte, inaugurate una nuova scienza. Non consideratela più

come qualcosa d’indomabile e destinata a trionfare, ma sottoponete a controllo il trapasso e cercate di capirne la tecnica.
(Trattato di Magia Bianca – 499/500)

Consideriamo dunque, in questa sezione, il problema della morte, o l’arte di mori­re. Tutti coloro che sono gravemente ammalati sono inevitabilmente alle prese con que­sto enigma, e chi è in buona salute dovrebbe prepararvisi, con equilibrato pensiero e giusta preveggenza. L’atteggiamento morboso assunto dalla gran parte degli uomini a questo riguardo, che rifiutano di pensarci quando sono sani, deve mutare completamen­te. Il Cristo dimostrò ai Suoi discepoli qual è il giusto atteggiamento, allorché alluse alla morte prossima per mano dei Suoi nemici; li rimproverò quando si mostrarono costerna­ti, ricordando loro che Egli ritornava dal Padre. Quale altissimo iniziato, con ciò inten­deva dire che, in senso occulto, “restituisce alla Monade”; ma chi non è pervenuto alla terza iniziazione “restituisce all’anima”.

(Trattato dei Sette Raggi Vol. IV¡ – Guarigione Esoterica – 391/2)

Il regno della paura della morte, è ben prossimo alla fine, e presto inizierà un pe­riodo di conoscenza e certezza che lo scalzerà dalle radici. Per eliminare la paura della morte basta elevare l’argomento su un piano più scientifico, e in tal senso insegnare come si muore. C’è una tecnica del morire, come c’è una tecnica del vivere, ma in Oc­cidente è in gran parte perduta, e anche in Oriente non è ormai conosciuta che da piccoli nuclei di saggi.
(Trattato di Magia Bianca – 302)

Seconda questione da comprendere sta nel fatto che è possibile una tecnica del morire, e che durante la vita ci si può preparare in modo da saperla usare.

A questo proposito darò alcuni cenni che verseranno nuova luce su molta parte della disciplina spirituale cui vi sottoponete. I Fratelli maggiori che da molti secoli gui­dano l’umanità sono attivamente impegnati a prepararla ad una nuova, grande conqui­sta. Ne deriverà la continuità di coscienza, che spazzerà via qualsiasi paura della morte, legando il mondo fisico e l’astrale in modo così intimo, da farne in realtà uno solo. Co­me l’uomo deve unificare i suoi vari aspetti, la vita planetaria deve fare altrettanto: i suoi vari piani devono unificarsi come anima e corpo. Fra il fisico denso e l’eterico tale processo è già in stato avanzato, e deve ora rapidamente svilupparsi anche fra il fisico e l’astrale.

Le ricerche che si compiono in tutti i campi della vita e del pensiero lo favorisco­no, e la preparazione cui ora sono sottoposti gli aspiranti seri e coscienziosi ha anche al­tri scopi, oltre che unificare in loro anima e corpo. Però non li si mette in risalto, perché l’uomo facilmente insiste dove non dovrebbe. È legittimo insomma domandare se è possibile disporre di norme semplici per chi intenda imporsi un ritmo che consenta non solo di organizzare e rendere costruttiva la propria vita, ma anche di lasciare senza diffi­coltà l’involucro esterno, quando ne giunga l’ora. Ecco dunque quattro regole semplici che riassumono e legano molto di ciò che già state compiendo:

1. Imparate a focalizzarvi nella testa, visualizzando, meditando e con la pratica assidua della concentrazione; imparate sempre meglio a vivere come un re, assiso sul trono fra i sopraccigli. Lo si può fare in qualsiasi occupazione quotidiana.

2. Servite con il cuore, ma senza intromettervi emotivamente nelle attività altrui. Per ciò è utile rispondere a due domande, prima di dedicarsi a tale servizio: “Mi comporto da individuo ad individuo, o agisco come membro di un gruppo verso un altro gruppo? Il movente è egoico, o sono spinto dall’emozione, dall’ansia di rifulgere, dalla brama di essere amato e ammirato?”.

Queste due prime attività servono a concentrare l’energia vitale sopra il diaframma, negando il potere attrattivo del plesso solare. Quest’ultimo diverrà sempre più inatti­vo, e sempre minore il pericolo che si perfori il velo eterico ivi presente.

3. Imparate, quando vi disponete al sonno, a ritrarre la coscienza entro la testa. Lo si do­vrebbe fare ogni sera, come preciso esercizio. Non ci si dovrebbe permettere di cade­re senza coscienza nel sonno, ma tentare di preservarla intatta sino a passare
consa­pevolmente nel mondo astrale. Dovreste mirare a distendervi, a concentrare l’attenzione e assiduamente ritrarvi nella testa, poiché fin quando non si ha continua consapevolezza di tutti i processi che inducono il sonno, nello stesso tempo mante­nendosi positivi, l’esercizio può essere pericoloso. I primi passi devono essere cauti, e praticati per molti anni, prima di acquisire la capacità di astrarsi agevolmente.

4. Notate e osservate tutti i fenomeni connessi a tale processo, sia durante la meditazio­ne che nel disporvi al sonno. Ad esempio molti si destano con un sussulto quasi pe­noso non appena si assopiscono. Ciò avviene perché la coscienza sguscia attraverso un orifizio solo parzialmente sgombro. Altri invece odono un forte schiocco sonoro nella testa, causato dalle arie vitali ivi esistenti e di cui normalmente non si è consci, e da una sensibilità interiore che rivela suoni sempre presenti di solito non percepiti. Altri ancora, nell’atto di addormentarsi, vedono luci, o nubi colorate, bande o striatu­re violette. Si tratta di fenomeni eterici, privi di reale importanza, dipendenti dal cor­po vitale, dalle emanazioni praniche, dalla rete di luce.

L’applicazione di queste norme per anni rendono assai più agevole il trapasso, e chi ha imparato a governare il proprio corpo quando si addormenta si troverà in vantaggio rispetto a chi non vi ha mai dedicato attenzione.

In rapporto alla tecnica del morire, non posso per il momento che dare alcuni consigli. Essi non riguardano chi assiste, ma facilitano alquanto il trapasso dell’anima.

Per prima cosa vi sia silenzio intorno al morente. Ciò è consueto. Ma si ricordi che la sua incoscienza può essere solo apparente. In novecento casi su mille, il cervello è perfettamente consapevole degli avvenimenti, ma è del tutto paralizzata la volontà di esprimere e di generare l’energia necessaria per dare segno di vita. Se l’ambiente è si­lenzioso e vi regna la comprensione, l’anima in procinto di partire può governare il proprio strumento fino all’ultimo istante, e prepararsi.

In avvenire, quando si saprà meglio cos’è il colore, nella camera del morente sa­ranno usate solo luci arancione, con debita cerimonia e solo quando si sia certi che la guarigione è ormai impossibile. Quel colore aiuta a concentrarsi nella testa, come il rosso stimola il plesso solare e il verde agisce nettamente sul cuore e sulle correnti vi­tali.

Quando poi si conoscerà meglio la natura del suono si useranno anche musiche adatte, ma per ora non ne esistono che possano agevolare l’anima nel ritirarsi dal cor­po, salvo forse qualche nota emessa da un organo. Se nell’istante esatto della morte si suonasse la nota peculiare del morente, si otterrebbe l’effetto di coordinare le due cor­renti di energia e spezzare il filo della vita, ma oggi sarebbe troppo pericoloso insegna­re queste cose, e bisogna attendere.

Dirò ora di certe scoperte future, e delle vie che gli studi seguiranno in questo campo.

Si scoprirà che la morte viene facilitata comprimendo certi centri nervosi e certe arterie: è questa una tecnica che, come alcuni sanno, è custodita e praticata nel Tibet. Si vedrà che la pressione praticata sulla vena giugulare, su alcuni cordoni nervosi della testa e su un punto particolare del midollo allungato è assai efficace a questo riguardo. Si formerà sicuramente tutta una scienza del morire, ma solo dopo che si sarà scientifi­camente accertata la realtà dell’anima e i suoi rapporti con il corpo.

Si farà uso, inoltre, di mantram, impressi nella coscienza del morente da chi lo as­siste, o mentalmente ripetuti da lui stesso. Il Cristo ne diede esempio quando esclamò: “Padre, nelle Tue mani rimetto lo spirito”. Altro esempio lo abbiamo nelle parole: “Si­gnore, fa che il Tuo servo se ne vada in pace”. La parola sacra, ripetuta di continuo, sot­tovoce e su una tonalità particolare (quella cui reagisce il morente) farà parte, un giorno, del rituale di transizione, assieme all’estrema Unzione, praticata dalla Chiesa cattolica, che ha un valore occulto e scientifico. Inoltre, la testa sarà simbolicamente rivolta a le­vante, e le mani e i piedi disposti in croce. Solo incenso di legno di sandalo sarà brucia­to, ad esclusione di qualsiasi altro, perché lavora su una gamma energetica che è distrut­tiva, e l’anima in quel momento demolisce la propria dimora.

Questo è quanto posso comunicare e pubblicare per ora su questo argomento. Ma vi prego con insistenza di studiare la morte e la sua tecnica per quanto possibile, e di investigarne la natura occulta. (Trattato di Magia Bianca – 502/7)

Al fine di prepararsi in vita al passaggio che la morte svelerà è possibile praticare un semplice esercizio prima di addormentarti la sera.

Dopo aver trovato la posizione più comoda possibile, cerca di assumere un atteg­giamento interiore di tranquillo abbandono del corpo fisico, mantenendo l’intero concet­to sul piano mentale, ma rendendoti conto che è una semplice attività cerebrale. Il cuore non deve essere in alcun modo implicato. Il tuo obiettivo è di mantenerti cosciente men­tre ritiri la coscienza dal cervello e passi sui livelli più sottili di consapevolezza. Non abbandoni definitivamente il corpo fisico, quindi non è implicato il filo della vita anco­rato nel cuore. Lo scopo è di essere per qualche ora e mentre sei avvolto nei veicoli a­strale e mentale, consapevolmente cosciente altrove.

Per tua determinazione diventi un punto di coscienza focalizzato ed interessato, deciso ad uscire dall’involucro del corpo fisico. Ti aggrappi a quel punto rifiutandoti di occuparti del veicolo fisico o delle preoccupazioni, interessi e circostanze della vita quotidiana, aspettando fermamente il momento in cui il tuo atteggiamento negativo ver­so il piano fisico e il tuo atteggiamento positivo verso i piani interiori ti porteranno un istante di liberazione, forse un lampo di luce, la percezione di una via di uscita o il rico­noscimento di ciò che ti circonda, oltre all’eliminazione di ogni sorpresa o l’attesa che si verifichi qualche fenomeno.

Nel praticare quest’esercizio di ritiro, realizzi semplicemente un comune processo quotidiano. Se riesci a farlo con facilità, quando arriverà l’ora della morte, potrai fare automaticamente e facilmente – dato che il corpo fisico non oppone alcuna resistenza ma rimane negativo e quiescente – la Grande Transizione senza preoccupazione o paura dell’ignoto. Questo è un esercizio che sarebbe a tutti molto utile. Esso richiede solamen­te di mantenere costantemente un atteggiamento ed una ferma determinazione di ag­grapparsi al punto di coscienza che è il Sé permanente e attendere vivamente. Ho scelto queste parole con cura e vi chiedo di studiarle con eguale cura.

(Il Discepolato nella Nuova Era – Vol. II¡ – 488/9)

PARTE VI

Non si scorge il nesso tra sonno e morte. Ma questa, dopo tutto, non è che un in­terludio maggiore fra due operazioni fisiche: si è “via” per un periodo più lungo.

(Trattato di Magia Bianca – 495)

Per gli uomini di scarsa evoluzione, la morte è letteralmente un sonno, un oblio, poiché la mente non è desta quanto basta per reagire, e la memoria è praticamente vuota di ricordi.

Per l’uomo di medio livello, buon cittadino, dopo la morte il processo vitale, gli interessi e le tendenze proseguono nella sua coscienza. Questa, e la consapevolezza, restano uguali e inalterate.
(Trattato di Magia Bianca – 300)

Tenete presente che la coscienza permane la stessa, sia nella vita fisica che in quella incorporea, e che lo sviluppo può essere perseguito in questa con tranquillità maggiore, poiché non più limitato e condizionato dalla coscienza cerebrale.

(Il Discepolato nella Nuova Era – Vol. I¡ – 81)

Per la massa comune dell’umanità, focalizzata in tutte le sue attività ed i suoi pen­sieri sul piano fisico, il periodo dopo la morte è di semicoscienza, incapacità di ricono­scere il luogo e di
disorientamento emotivo e mentale. Per quanto riguarda i discepoli, si mantiene il contatto con le persone (generalmente con quelle alle quali erano associati) durante le ore di sonno; permane la ricezione delle impressioni provenienti dall’ ambien­te e dai collaboratori, e continua ad esserci il riconoscimento del rapporto (come sulla terra) incluso il senso di responsabilità.

(Il Discepolato nella Nuova Era – Vol. II¡- 487/8)

Per l’uomo ordinario, quali sono dunque le prime reazioni e attività, dopo che ha restituito il corpo fisico alla riserva generale della sostanza? Elenchiamone alcune:

1. Prende coscienza di sé, con una chiarezza di percezione sconosciuta a chi vive nel mondo fisico.

2. Il tempo (cioè la successione degli eventi registrata dal cervello fisico) non esiste più nel senso usuale; l’uomo volge l’attenzione al proprio sé, più nettamente emotivo, e, in ogni caso, ciò provoca un istante di diretto contatto con l’anima. Infatti, l’ora della completa restituzione non passa inosservata per quest’ultima, anche se si trattasse dell’individuo più rozzo ed ignorante. È un po’ come un forte strappo impresso alla corda di una campana: per breve istante l’anima risponde, in modo tale che l’uomo, nel suo corpo astrale-mentale, rivede la vita appena trascorsa, come su uno schermo. Egli registra il senso dell’eternità.

3. Come risultato di queste esperienze, egli isola i tre fattori principali che ne hanno go­vernato la vita appena conclusa e che saranno la nota fondamentale di quella, futura, che lo attende. Ogni altra cosa viene scordata e sfugge alla sua memoria: egli ha co­scienza solo di quei tre sensi che esotericamente sono chiamati “semi del futuro”. Questi sono peculiarmente connessi agli atomi permanenti fisico e astrale, insieme ai quali compongono la forza quintupla che creerà la forma futura. Si può asserire che:

a. Dal primo seme dipenderà la natura dell’ambiente fisico in cui l’uomo dovrà tor­nare a vivere. Esso è dunque connesso alle qualità delle future circostanze, e alle condizioni dell’opportuna sfera di rapporti.

b. Dal secondo dipenderà la qualità del veicolo eterico, per il cui tramite le energie fondamentali agiranno sul corpo denso. Esso delimita la struttura eterica o rete vi­tale in cui circoleranno le energie, ed è connesso in particolare a quel centro dei sette, che nella prossima incarnazione sarà più desto e attivo.

c. Il terzo predetermina l’involucro astrale, ove l’uomo sarà allora polarizzato. Parlo dell’uomo comune, non di quello progredito, del discepolo o dell’iniziato. Questo seme – con le forze che attira – lo rimette in rapporto con coloro che ha amato, o con cui ha lavorato e vissuto. È verità di fatto che qualsiasi incarnazione è gover­nata, in senso soggettivo, dall’idea di gruppo in quanto si ritorna nella vita fisica

non solo per il desiderio individuale di quelle particolari
esperienze, ma anche per impulso e karma di gruppo. È bene insistere su questa verità. Compresa che sia, buona parte del terrore generato dal pensiero della morte svanirà. I familiari, le persone amate, restano gli stessi, proprio perché quel rapporto è stato saldamente affermato per molte vite. Ecco cosa ne dice un Vecchio Commentario:

“I semi del riconoscimento non sono pertinenti all’individuo soltanto, ma anche al gruppo, nel cui ambito legano l’uno all’altro nel tempo e nello spazio. Coloro che stanno in tale rapporto trovano la vera esistenza solo nei tre inferiori. Quando l’anima conosce l’anima, nel luogo d’incontro entro il richiamo del Maestro, questi semi
spariscono”.

È quindi evidente quanto sia necessario educare i fanciulli a trarre profitto dall’esperienza, e a riconoscerla, poiché ciò agevola di molto questa terza attività astrale dopo la morte.

4. “Isolate” queste esperienze, l’uomo crea e trova coloro che l’influsso del terzo seme gli indica aver parte continua nella vita del gruppo di cui fa parte, in modo conscio o no. Ristabiliti i contatti (se si tratta di individui che hanno eliminato il corpo fisi­co), si comporta con loro come avrebbe fatto nel mondo con gli intimi, secondo il suo carattere e il grado evolutivo. Se invece le persone che più ama – o odia – sono ancora viventi fisicamente, resterà accanto a loro – proprio come prima – consape­vole delle loro attività, anche se queste (se non molto evolute) non ne hanno co­scienza. Non posso illustrare in dettaglio quali sono gli scambi reciproci, né le mo­dalità di questi rapporti. Ogni uomo è un essere diverso; ogni carattere è unico. Ba­sti aver chiarito le linee fondamentali della condotta prima del processo di elimina­zione.

Queste quattro attività hanno durata variabile – per chi “vive in basso”, beninteso, perché chi vive nell’astrale non è consapevole del tempo. A poco a poco le illusioni (di qualsiasi natura) cadono, e l’uomo perviene a sapere – poiché la mente è ora più incisiva e dominante – di essere pronto alla seconda morte e a eliminare del tutto il veicolo astrale-mentale. (kama-manas)

(Trattato dei Sette Raggi Vol. IV¡ – Guarigione Esoterica – 491/4)

Subito dopo la morte, specie dopo la cremazione, l’uomo, entro il guscio astrale-mentale, è desto e conscio dell’ambiente come lo era quando viveva nel fisico. La con­sapevolezza e la capacità
d’osservazione variano, così come differiscono da uomo a uomo le facoltà di registrare le circostanze o di acquisire esperienza. Ma essendo la gran parte degli uomini più reattivi alle emozioni che al mondo fisico, e accentrati soprattutto nel veicolo astrale, di solito avviene che il deceduto si ritrova in uno stato di coscienza che gli è ben familiare. Ricordate, a questo proposito, che un “piano” è uno stato di co­scienza, non un luogo, come sembrano credere molti esoteristi. Esso è riconosciuto tra­mite la reazione focalizzata dell’autocoscienza della persona che- nettamente e sempre conscia di sé – percepisce la qualità del suo ambiente e dei desideri che ne derivano, o sente (se si tratta di entità progredita, accentrata sui livelli astrali superiori) l’amore e l’aspirazione che da esso emanano; l’uomo, insomma, s’interessa a ciò che attirava la sua attenzione e provocava il suo desiderio durante l’esistenza incarnata. Ricordate che al punto attuale d’evoluzione, dopo la morte non c’è più un livello fisico in grado di re­agire agli impulsi dell’uomo interiore, e neppure il sesso esiste più, dal punto di vista fi­sico. Gli spiritisti farebbero bene a ricordarlo: capirebbero quanto sono stolti, oltre che impossibili, quei matrimoni spiritici che alcuni fra loro insegnano e praticano. Quando dimora nel corpo astrale, l’uomo non prova più quegli impulsi di natura animale che so­no normali e giusti nel mondo fisico, ma privi di senso nella nuova condizione.

(Trattato dei Sette Raggi Vol. IV¡ – Guarigione Esoterica – 490/1)

Nell’esaminare la coscienza dell’anima che si ritrae (notate la frase) allorché compie la restituzione, vi ripeto che su questo argomento non sussistono prove fisiche tangibili. È accaduto, talora, che qualcuno ritornasse alla vita quando già era nell’istante preciso della restituzione. Ciò è possibile fin tanto che l’entità cosciente è nel suo invo­lucro eterico, anche se il corpo denso fosse ormai
abbandonato a tutti gli effetti. Quello compenetra questo, ma è un poco più esteso, e il corpo astrale e mentale restano ancora accentrati nell’eterico anche se è già intervenuta la morte fisica, cioè se il cuore si è ar­restato e tutte le energie eteriche sono già concentrate nella regione della testa, del cuo­re, o del plesso solare, e l’astrazione già iniziata.

(Trattato dei Sette Raggi Vol. IV° – Guarigione Esoterica – 460)

Separato che sia dai veicoli fisico ed eterico, l’uomo è consapevole del passato e del presente; al termine dell’eliminazione, nell’istante del contatto con l’anima, quando il corpo mentale sta disintegrandosi, è repentinamente conscio anche del futuro, poiché la prescienza è dote dell’anima, cui egli allora partecipa. Vede quindi passato, presente e futuro come una cosa sola; di vita in vita, durante il continuo ripetersi delle rinascite, si sviluppa in lui il senso dell’eterno Presente. È appunto questo stato di coscienza (carat­teristica normale dell’uomo molto evoluto) che è detto “devachan” (dal sanscrito “la dimora degli Dei”. Uno stadio intermedio tra due vite fisiche dove l’Ego entra dopo la sua separazione dal corpo fisico).

(Trattato dei Sette Raggi Vol. IV° – Guarigione Esoterica – 496/7)

Per l’aspirante, la morte segna l’ingresso immediato in una sfera di servizio e di espressione cui è assuefatto, e che subito riconosce. (Trattato di Magia Bianca – 301)

Non intendo descrivere le tecniche dell’eliminazione. Non è possibile farlo, per­ché gli uomini in realtà sono ciascuno in fasi diverse, intermedie fra le tre prima abboz­zate.

È relativamente facile capire l’eliminazione per logoramento: il corpo astrale si dissolve perché, senza sostanza fisica che ne stimoli il desiderio, non ha alimento. Esso si forma per il reciproco rapporto fra il piano fisico – che non è un principio – e il princi­pio del desiderio; nel processo della rinascita, l’anima nel corpo mentale impiega il de­siderio con intento dinamico per il suo richiamo, cui la materia risponde.

L’uomo prettamente astrale, dopo lungo periodo di logoramento, resta in un corpo mentale embrionale, ma la sua vita semi-mentale è brevissima: l’anima infatti le pone termine allorché, improvvisamente, “guarda colui che attende”, e con il suo potere diret­to lo riorienta all’istante sulla via discendente della rinascita.

L’uomo astrale-mentale segue un processo di astrazione, in risposta alla spinta e­sercitata dal corpo mentale in rapido sviluppo. Questo ritirarsi si fa sempre più rapido e dinamico fino a che, quando egli è discepolo in prova, per via del contatto sempre più stabile con l’anima, frantuma il corpo astrale-mentale, quale unità, con un atto di volon­tà mentale promosso dall’anima. Osservate che lo stato di “devachan”, per questi casi, che sono la maggioranza, è
necessariamente di minor durata che nel caso precedente, perché la tecnica sua propria, di riconsiderare e riconoscere il contenuto delle esperien­ze, va a poco a poco affermandosi nell’uomo anche quando vive fisicamente, sì che questi scopre l’importanza del significato e impara continuamente dalle esperienze della vita. In tal modo sviluppa per gradi anche la continuità di coscienza, e la sua consapevo­lezza interiore comincia ad imporsi anche all’esterno, dapprima mediante il cervello fi­sico, poi in modo indipendente da esso. Questi due concetti alludono ad una questione che sarà oggetto d’indagine nei prossimi due secoli.

L’uomo mentale, la personalità integrata, opera, come si è visto, in due maniere, che naturalmente dipendono dal grado di integrazione conseguita, che è di due specie:

1. Integrazione della personalità, accentrata nella mente e in rapporto sempre più stretto con l’anima.

2. Integrazione del discepolo, la cui personalità integrata rapidamente si unifica con l’anima, che l’assorbe.

In questa fase di sviluppo e continuo controllo mentale (poiché la coscienza è fo­calizzata nel corpo mentale in modo definito e permanente) la distruzione preliminare del corpo astrale per logoramento e “negazione dinamica” avviene durante l’incarnazione fisica. L’uomo rifiuta di comportarsi secondo il desiderio; quel che resta dell’illusorio corpo astrale è regolato dalla mente, e gli impulsi a soddisfare i desideri sono dominati in modo deliberato e cosciente, sia per le ambizioni egoiste e gli intenti mentali della personalità integrata, sia perché l’anima ispira il suo volere, cui subordina la mente. Conseguito questo livello evolutivo, l’uomo può dissolvere gli ultimi desideri residui mediante illuminazione. Nelle prime fasi della vita puramente mentale, l’ottiene con la luce della conoscenza, e implica soprattutto luce inerente alla sostanza mentale. In seguito è la luce dell’anima che promuove e accelera il processo, quando essa è ormai in intimo rapporto con la mente. Il discepolo allora impiega metodi più occulti, di cui però non parleremo. Il corpo mentale non è più distrutto dal potere dirompente della lu­ce stessa, ma è smantellato dalla vibrazione di certi suoni emessi dal livello della volon­tà spirituale; il discepolo li riconosce, e ha il permesso di usarli con forma verbale ap­propriata a lui, comunicata da un iniziato del gruppo a cui appartiene, o dallo stesso Maestro, quando la vita volge al termine.

(Trattato dei Sette Raggi Vol. IV¡ – Guarigione Esoterica – 497/9)

Enuncio ora un’altra Legge, che sostituisce quella della Morte e vale solo per i di­scepoli ormai alle ultime fasi del loro sentiero e per gli iniziati.

LEGGE X

Ascolta, o chela, l’appello del Figlio alla Madre, e obbedisci. Esso annuncia che la for­ma ha assolto il suo compito. Il principio mentale (il quinto) si organizza e ripete la Pa­rola. La forma in attesa risponde e si distacca. L’anima è libera.

502 Rispondi, o Risorgente, all’appello che giunge dalla sfera dell’obbligo, riconosci la vo-
ce che viene dall’Ashram o dal Concilio, ove attende il Signore della Vita. Il Suono vi­bra. Anima e forma devono rinunciare entrambe al principio della vita permettendo così alla Monade di essere libera. L’anima risponde. La forma spezza il legame. La vita è li­bera, sa di sapere e possiede il frutto di tutte le esperienze. Sono i doni dell’anima e del­la forma fusa insieme.

Ho voluto chiarire la distinzione fra malattia e morte sperimentate dall’uomo co­mune, e il corrispondente dissolvimento consapevole che è proprio del discepolo esperto e dell’iniziato. Quest’ultimo implica una tecnica, appresa gradualmente, per cui (all’inizio) il discepolo è ancora vittima delle tendenze alla malattia insite nella sua co­me in tutte le forme naturali. Passando per stadi mitigati di malattia e quindi per la mor­te pacifica e serena, egli perviene ad altre fasi in cui questa è provocata da un atto del volere – tempo e modalità essendo stabiliti dall’anima e percepiti coscientemente nel cervello. La sofferenza si fa sentire in entrambi i casi, ma sul Sentiero dell’Iniziazione è ridotta a poca cosa, non perché l’iniziato cerchi di evitarla, ma perché la forma non è più reattiva a certi contatti dolorosi, e pertanto non li percepisce. Il dolore, in effetti, è il cu­stode della forma e ne protegge la sostanza; avverte del pericolo; segna certe fasi del processo evolutivo; dipende dal fatto che l’anima è identificata con la sostanza. Ma quando non è più così, dolore, malattia e morte allentano la presa sul discepolo; l’anima non è più loro sottoposta e l’uomo è libero, perché malattia e morte sono qualità della forma, di cui seguono le vicende vitali.

(Trattato dei Sette Raggi Vol. – IV° – Guarigione Esoterica – 501/2)

PARTE VII

Il miglior concetto che ci si possa fare della morte è considerarla come una esperienza che ci libera dall’illusione della forma … (Da Betlemme al Calvario – 243)

I Tibetani parlano del processo della morte come dell’“entrare nella chiara luce fredda”. Probabilmente il miglior concetto che ci si possa fare della morte è considerarla come un’esperienza che ci libera dall’illusione della forma; ciò ci permette di compren­dere
chiaramente che quando parliamo della morte ci riferiamo ad un processo relativo alla natura materiale, il corpo, con le sue facoltà psichiche ed i suoi processi mentali.

(Da Betlemme al Calvario – 243)

L’errore dell’uomo sta, oggi, nell’atteggiamento di fronte alla morte, per cui in­terpreta come catastrofe la scomparsa della vita dalla percezione visiva e il disintegrarsi della forma.
(Trattato dei sette Raggi Vol. IV° – Guarigione Esoterica – 13)

La distruzione della forma… ha poca importanza per coloro che sanno che la rein­carnazione è una legge fondamentale della natura e che la morte non esiste. Le forze della morte continuano ad essere presenti, ma è la morte della libertà di parola, la morte della libertà nell’attività umana, la morte della verità e dei valori spirituali superiori, che rappresentano i fattori vitali della vita dell’umanità; la morte della forma fisica è un fat­tore trascurabile rispetto a quelli, e vi si rimedia facilmente con il processo di rinascita e nuova opportunità. (Esteriorizzazione della Gerarchia – 232)

Si è propensi a credere che la morte sia la fine, mentre, per quanto riguarda l’idea di fine, i valori di cui trattiamo sono persistenti, non ammettono interferenze – che del resto sarebbero impossibili – e hanno in sé i semi dell’immortalità. Pensateci, e sappiate che tutto ciò che ha vero valore spirituale è duraturo, senza tempo, immortale ed eterno. Muore solo ciò che è privo di valore, e per quanto concerne l’umanità muoiono gli ele­menti pertinenti alla forma o che da questa traggono importanza. Ma i valori che si reg­gono su un principio e non sull’apparenza hanno in sé quel principio immortale che gui­da l’uomo “dalla porta della nascita, attraverso le porte della percezione, fino alla porta del proposito”, come dice l’Antico Commentario.

(Trattato dei sette Raggi Vol. IV° – Guarigione Esoterica – 684)

Morte e limitazione sono sinonimi. Quando la coscienza è accentrata nella forma e si identifica del tutto con il principio di limitazione, vede come morte la liberazione dal­la vita formale; ma, per
evoluzione, essa di continuo sposta la focalizzazione e diviene consapevole di ciò che non è forma, del regno del trascendente o dell’astratto, o meglio di ciò che è astratto dalla forma e
focalizzato in sé. Per inciso, ciò definisce la medita­zione come scopo e conseguimento. Si medita veramente quando si usa la mente, rifles­so della volontà, nei suoi tre aspetti: per aprire l’ingresso nel mondo dell’anima, per in­fluire sulla vita personale e infine per imporre e ottenere la piena espressione del propo­sito egoico (animico). (Trattato dei Sette Raggi Vol. III° Astrologia Esoterica – 615/6)

La morte stessa è parte della grande illusione ed esiste soltanto a causa dei veli addensati attorno a noi.
(Il Discepolato nella Nuova Era Vol. I°- 463)

La Paura della morte, del futuro, del dolore, dell’insuccesso, e altre, minori, cui l’umanità soccombe, e la Depressione, sono, per l’uomo di quest’epoca, il Guardiano della Soglia. Sono sintomo di una reazione senziente ai fattori psicologici, e non si pos­sono curare con altri fattori dello stesso genere, come il coraggio. Ma, tramite la mente, si possono vincere con l’onniscienza dell’anima – non con l’onnipotenza. Queste parole contengono un cenno occulto.

(Trattato dei Sette Raggi Vol. IV° – Guarigione Esoterica – 443)

La preparazione per questo regno, è compito del discepolato, e costituisce l’ardua disciplina della quintuplice via dell’iniziazione. Il lavoro del discepolo consiste nel fon­dare il regno e la
caratteristica fondamentale dei suoi cittadini è l’immortalità. Essi sono membri della Razza Immortale, e l’ultimo nemico che debbono superare è la morte; essi agiscono coscientemente dentro e fuori del corpo e non se ne preoccupano; essi hanno la vita eterna perché hanno in loro ciò che non può morire, essendo della stessa natura di Dio.

( Da Betlemme al Calvario – 276)

PARTE VIII

La morte non è che un interludio in una vita d’esperienza
costantemente acquisita… essa segna una precisa transizione da uno stato di coscienza ad un altro.

( Da Betlemme al Calvario Ð 242)

Morte, in realtà, è non aver coscienza di una certa attività vitale. La riserva di vita è il luogo della morte, e questa è la prima lezione per il discepolo…

(Trattato dei sette Raggi Vol. IV° – Guarigione Esoterica – 445)

La morte è un fenomeno che riguarda essenzialmente la coscienza. In un dato momento siamo consci del mondo fisico, e l’istante dopo siamo ritratti in un altro mondo, impegnati in altre attività.
(Trattato di Magia Bianca – 494)

Nel caso di un iniziato, le cose sono alquanto diverse, perché è frequente che resti in piena coscienza per tutto il processo della morte.

(Trattato dei sette Raggi Vol. IV° – Guarigione Esoterica – 540)

La distruzione della forma, non è, per Essi, la morte quale intesa dall’uomo, ma un puro e semplice processo di liberazione.

(Trattato dei sette Raggi Vol. IV°- Guarigione Esoterica 432)

Mediante l’allineamento, l’anima usa il tempo in modo esatto; o dirò, meglio, che il cervello, l’unico organo umano ad averne coscienza, non è più l’elemento dominante; la mente, quale agente dell’anima (la cui coscienza include passato, presente e futuro) vede la vita e l’esperienza per quel che sono. La morte è dunque intesa come un episo­dio, un passaggio in una lunga serie di transizioni. Quando sarà compreso questo atteg­giamento dell’anima, tutto il modo di vivere, e quindi anche di morire, muterà radicalmente.
(Trattato dei sette Raggi IV° – Guarigione Esoterica – 351)

La morte va considerata soltanto come un altro passo compiuto sul cammino che porta alla luce e alla vita.
(Da Betlemme al Calvario – 233)

Negli ultimi stadi di vita, abbiamo la cristallizzazione della forma e l’uomo si ren­de conto della sua insufficienza. Giunge allora la liberazione chiamata morte, il gran momento in cui “lo spirito prigioniero” sfugge dalle mura che lo costringono entro una forma fisica.
(La coscienza dell’Atomo – 64)

La morte che dico è la Grande Liberatrice, che spezza le forme che uccidono quanto racchiudono. (Trattato dei Sette Raggi Vol. III° – Astrologia Esoterica – 545)

Molte volte ho ripetuto che l’uomo spirituale agisce solo sull’aspetto sostanziale, cioè sull’anima umana, e che – agli occhi del Maestro – la forma è relativamente senza importanza. La liberazione dalla triplice forma è sempre considerata, dall’uomo spiri­tuale, come il massimo bene, purché avvenga secondo la legge, come risultato del suo destino spirituale e delle decisioni karmiche; non come atto arbitrario, per evadere dalla vita e dalle sue conseguenze fisiche, o per auto-decisione.

(Trattato dei sette Raggi Vol. IV° – Guarigione Esoterica – 661)

È interessante notare come la morte sia regolata dal Principio di Liberazione, e non da quello di Limitazione. Le vite auto-coscienti la riconoscono come un semplice fattore di cui tener conto, ma gli umani non la comprendono, perché sono le più illuse fra tutte le vite incarnate. (Trattato di Magia Bianca – 534)

La morte è semplicemente Portatrice di Trasformazione. (Da Betlemme al Calvario – 241/2)

… la morte stessa è parte del processo creativo di sintesi.

(Trattato dei sette Raggi Vol. IV° – Guarigione Esoterica – 680)

Io parlo della Morte in quanto la conosco sia nella sua espressione mondana ed e­sterna, quanto nella verità della vita interiore, dove non esiste. Si entra, semplicemente, in una vita più vasta.
(Trattato di Magia Bianca – 300)

La Legge della Morte e del Sacrificio regola la graduale
disintegrazione delle forme concrete e il loro sacrificio alla vita che evolve …

(Trattato dei Sette Raggi Vol. IV° – Guarigione Esoterica – 414)

La Legge del Sacrificio e della Morte governa il piano fisico. La distruzione de­forma, perché la vita progredisca, è uno dei metodi fondamentali dell’evoluzione. (Trattato dei Sette Raggi Vol. IV° – Guarigione Esoterica – 413)

Il Maestro impara il significato della limitazione della forma; quindi assume il controllo ed applica la legge a livello di quella forma. In tal modo, dopo averla trascesa, la scarta, in cerca di altre migliori. In tal modo procede, sempre mediante sacrificio e morte della forma. La riconosce come limite e la sacrifica e respinge per elevare sempre più la vita. La via della resurrezione passa per la morte sulla croce, ma poi giunge al monte dell’Ascensione.

(Trattato dei Sette Raggi Vol. IV° – Guarigione Esoterica – 459/60)

L’intero deve essere considerato come più importante che la parte: non si tratta di un sogno, o di una visione, di una teoria, non è una vana speranza, un semplice anelito. È una necessità innata e
imprescindibile. Implica la morte, ma come bellezza, come gioia, come spirito in atto, come perfezione del bene.

(Trattato dei Sette Raggi Vol. IV° – Guarigione Esoterica – 437)

La morte è solo un metodo per riconcentrare l’energia, prima di rinnovare l’attività, che tende sempre e senza sosta al miglioramento.

(Trattato dei Sette Raggi Vol. IV° – Guarigione Esoterica – 297)

… per l’anima prendere forma e quindi immergersi in essa, e morire, sono sinonimi. (Trattato dei Sette Raggi Vol. IV° – Guarigione Esoterica – 439)

Il terrore e la morbosità evocati normalmente dal pensiero della morte, e la reni­tenza ad affrontarlo a dovere per comprenderlo, sono dovuti all’importanza che si annet­te al corpo fisico, con il quale è tanto facile identificarsi; ma è anche basato sul timore innato della solitudine e della perdita di ciò che è familiare. Eppure, la solitudine speri­mentata dopo la morte, allorché ci si trova privi di corpo fisico, è nulla se paragonata a quella che ci coglie alla nascita. Qui l’anima si ritrova in un ambiente nuovo e confitta in un corpo ancora inadatto per badare a se stesso, e per lungo tempo anche incapace di stabilire contatti intelligenti con le circostanze. L’uomo nasce senza memoria dell’identità o dell’importanza del gruppo di anime incarnate con cui si trova in rappor­to; questo isolamento scompare a poco a poco solo quando egli avvia i suoi propri rap­porti personali, scopre individui congeniali e raccoglie attorno a sé un gruppo di uomini che chiama amici. Ma dopo la morte non è così, poiché dall’altra parte del velo ritrova coloro che gli sono noti e gli sono stati accanto nella vita terrena, e quindi non è mai so­lo, almeno nel senso che si intende di norma la solitudine; inoltre è conscio di quelli che ancora vivono incarnati; può vederli, può sentirne le emozioni e persino i pensieri, poi­ché non è più impedito dal cervello fisico, che agisce come deterrente. Se gli uomini fossero più saggi, temerebbero assai più la nascita che la morte, poiché quella getta dav­vero l’anima in carcere, mentre questa è il primo passo verso la libertà.

(Trattato dei Sette Raggi Vol. IV° – Guarigione Esoterica – 392/3)

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