Le Quattro Nobili Verità 8

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Le Quattro Nobili Verità 8

del Venerabile Ajahn Sumedo

– ottava parte

LA TERZA NOBILE VERITÀ’

Qual’è la Nobile Verità della Cessazione della Sofferenza? E’ la completa
scomparsa ed estinzione della brama, la rinuncia ad essa e il suo
abbandono, la liberazione e il distacco da essa. Ma dove questa brama può
essere abbandonata, dove può essere estinta?

Ovunque nel mondo vi siano cose apparentemente dilettevoli e piacevoli, là
questa brama può essere abbandonata, là può essere estinta.

Ce la Nobile Verità della Cessazione della Sofferenza: questa fu la
visione, l’intuizione, la saggezza, la conoscenza e la
chiarezza che sorsero in me su cose mai udite prima. Questa Nobile Verità
deve essere penetrata realizzando la Cessazione della Sofferenza…

Questa Nobile Verità è stata peretrata realizzando la Cessazione della
Sofferenza: questa fu la visione, l’intuizione, la saggezza, la conoscenza
e la chiarezza che sorsero in me su cose mai udite prima. [Samyutta Nikaya
IVI, 11]

La Terza Nobile Verità, nei suoi tre aspetti, è: ‘Vi è la cessazione della
sofferenza o dukkha. Bisogna realizzare la cessazione di dukkha. La
cessazione di dukkha è stata realizzata”.

Lo scopo dell’insegnamento buddhista è sviluppare la mente riflessiva
affinché lasci andare le illusioni. Le Quattro Nobili Verità insegnano a
lasciare andare, utilizzando l’investigazione, l’osservazione e la
contemplazione del “perché è così?”

Riflettiamo ad esempio sul perché i monaci si rasano la testa o perché le
immagini del Buddha hanno quella determinata apparenza. Contempliamo
soltanto… La mente non si forma un’opinione su queste cose, non si chiede
se siano buone o cattive, utili o inutili. La mente si apre e si chiede:
“Che cosa significa ciò? Cosa rappresentano i monaci? Perché vanno in giro
con la ciotola delle elemosine? Perché non possono maneggiare denaro?
Perché non possono coltivare il proprio cibo?” Poi contempliamo come questo
modo di vivere abbia conservato la tradizione e abbia permesso che essa
fosse tramandata, dal tempo del suo originale fondatore, Gotama il Buddha,
fino ai giorni nostri.

Riflettiamo, quando vediamo la sofferenza, quando vediamo la natura del
desiderio, quando riconosciamo che l’attaccamento al desiderio è
sofferenza. Avremo quindi l’intuizione di lasciare andare il dolore e di
realizzare la non-sofferenza, la cessazione della sofferenza. Queste
intuizioni si possono avere solo attraverso la riflessione; non si possono
avere per fede. Con la volontà non potete indurvi a credere o a realizzare
un’intuizione. Le intuizioni ci giungono per mezzo della contemplazione e
della meditazione su queste verità. Giungono quando la mente è aperta e
ricettiva agli insegnamenti, poiché non è auspicabile né utile una fede
cieca. Anzi, la mente deve essere consciamente ricettiva e meditativa.

Questo stato mentale è molto importante, poiché è la strada che ci porta
fuori dalla sofferenza. E lo può fare la mente che è aperta alle Quattro
Nobili Verità e che riflette su ciò che vede all’interno della propria
mente; non quella mente che ha idee fisse e pregiudizi, che pensa di sapere
tutto e che prende per verità tutto ciò che un altro dice.

Raramente la gente realizza la non-sofferenza, proprio perché occorre avere
un grande ardore di conoscenza per andare oltre le apparenze e le ovvietà,
per investigare e meditare, per osservare chiaramente le proprie reazioni,
per vedere gli attaccamenti e contemplare “che cos’è l’attaccamento?”.

Per esempio, vi sentite felici o liberati quando siete attaccati al
desiderio? E’ eccitante o deprimente? Queste sono le cose da investigare.
Se scoprite che essere attaccati ai desideri è liberatorio, allora andate
avanti. Rimanete attaccati ai desideri e osservatene il risultato.

Nella mia pratica ho visto che l’attaccamento al desiderio è sofferenza.
Non ho dubbi che molte sofferenze nella mia vita siano state causate
dall’attaccamento alle cose materiali, alle idee, alle paure. Posso vedere
tutta l’infelicità che ho procurato a me stesso con l’attaccamento, poiché
non conoscevo di meglio. Sono cresciuto in America, la terra della libertà,
che sancisce il diritto a essere felici, ma che in effetti sancisce il
diritto ad essere avidi di tutto. L’America spinge a credere che più
oggetti si comprano, più ci si sente felici.

Tuttavia, se lavorate con le Quattro Nobili Verità, dovete capire e
contemplare l’attaccamento; e da qui sorgerà l’intuizione per il
non-attaccamento. E non sarà un’imposizione o un ordine della mente che vi
dirà di non essere avidi; avrete una spontanea intuizione del
nonattaccamento e della non-sofferenza.

LA VERITÀ’ DELL’IMPERMANENZA

Qui ad Amaravati recitiamo il Dhammacakkappavattana Sutta nella sua forma
tradizionale. Quando il Buddha tenne il sermone sulle Quattro Nobili
Verità, uno solo dei cinque discepoli lo capì veramente; solo uno ebbe
un’intuizione profonda. Agli altri piacque e pensarono: “E’ proprio un
bell’insegnamento”, ma solo uno di essi, Kondanna, comprese perfettamente
ciò che il Buddha voleva dire.

Anche i devas stavano ad ascoltare il sermone. I devas sono creature
celesti, eteree, molto superiori a noi. Non hanno rozzi corpi come noi;
hanno corpi eterei e sono belli, gentili, intelligenti. Ma anch’essi,
seppur dilettati da quel sermone, non ne furono illuminati.

Si dice che furono molto contenti dell’illuminazione del Buddha e che,
all’udire l’insegnamento del Buddha, lo acclamarono attraverso tutti i
cieli. Cominciarono i devas del primo livello e poi quelli del secondo
livello e presto tutti i devas di tutti i livelli ne gioirono, su su fino
al più alto, al regno di Brahma. Tutti erano contenti che si fosse messa in
moto la Ruota del Dhamma; eppure, dei cinque discepoli, solo Kondanna, fu
illuminato, ascoltando il sermone. Alla fine del sutta, Buddha lo chiamò
Anna Kondanna. Anna significa ‘profonda conoscenza’, per cui Anna Kondanna
significa ‘Kondanna che sa’.

Cosa sa Kondanna? Quale fu l’intuizione che il Buddha gli riconobbe alla
fine del sermone? Fu questa: “Tutto ciò che è soggetto a nascere è soggetto
anche a cessare”. Può darsi che non ci sembri una grande intuizione, eppure
essa implica una verità che riguarda l’universo intero: tutto ciò che è
soggetto alla nascita è soggetto anche alla cessazione; è impermanente,
senza un sé… Perciò non siate avidi, non lasciatevi illudere da ciò che
nasce e cessa. Non cercate protezione rifugiandovi e credendo in ciò che
nasce, poiché è destinato a cessare.

Se volete soffrire e sprecare la vostra vita, andate a cercare ciò che
nasce; inevitabilmente vi porterà alla fine, alla cessazione, e non per
questo diverrete più saggi. Anzi, andrete in giro ripetendo sempre vecchi
modelli di comportamento e alla morte vi accorgerete di non aver imparato
nulla di importante durante la vita.

Invece di pensarci soltanto, contemplate che “tutto ciò che è soggetto a
nascere, è soggetto a cessare”. Applicatelo alla vita in generale, ed alla
vostra esperienza in particolare. Comincerete allora a capire. Prendete
nota: “inizio… fine”. Contemplate come stanno le cose. Tutto il mondo
sensoriale nasce e cessa, comincia e finisce; e in tal modo si può avere la
comprensione perfetta (*samma ditthi*) ancora in questa vita. Non so quanto
tempo Kondanna visse dopo il sermone del Buddha, ma sicuramente in quel
momento raggiunse l’illuminazione e da allora in poi ebbe sempre una
perfetta comprensione.

Vorrei sottolineare l’importanza di sviluppare questo modo di riflettere.
Invece che pensare soltanto a sviluppare un metodo per tranquillizzare la
mente – che comunque è una parte importante della pratica – cercate di
capire che meditare vuol dire soprattutto dedicarsi ad una ricerca
profonda. Richiede il coraggioso sforzo di guardare profondamente dentro
alle cose, senza però soffermarsi ad analizzare se stessi e a giudicare le
cause della sofferenza solo a livello personale; richiede di impegnarsi con
serietà a proseguire il cammino fino a raggiungere una profonda conoscenza.
E questa perfetta comprensione è basata sul sorgere e cessare. Una volta
capita questa legge, tutto assumerà la giusta proporzione. Enunciare che
‘tutto ciò che è soggetto a nascere, è anche soggetto a cessare’ non è un
insegnamento metafisico. Non concerne la realtà ultima – la realtà della
non-morte – ma se riuscite a capire e ad intuire profondamente che tutto
ciò che è soggetto a nascere è anche soggetto a cessare, realizzerete la
verità ultima, la non-morte, le verità immortali. Questa è la giusta via
verso la realizzazione finale: non è un’affermazione metafisica, ma ci
porta alla realizzazione metafisica.

MORTE E CESSAZIONE

Riflettendo sulle Nobili Verità, portiamo a livello di coscienza il
problema stesso dell’esistenza umana con quel suo senso di alienazione e di
cieco attaccamento alla coscienza sensoriale ed agli oggetti esteriori che
si presentano alla coscienza. A causa dell’ignoranza, ci attacchiamo al
desiderio di piaceri sensoriali, ci identifichiamo con ciò che è mortale o
destinato a morire, con ciò che non dà soddisfazione, e proprio questo
attaccamento è sofferenza.

I piaceri sensoriali sono tutti piaceri mortali. Qualsiasi cosa vediamo,
udiamo, tocchiamo, gustiamo, pensiamo o sentiamo è mortale, destinato a
morire. Quindi, quando ci aggrappiamo ai sensi, ci attacchiamo alla morte.
Se non abbiamo contemplato o capito questa verità, ci attacchiamo
ciecamente alla morte, pur sperando di poterne rimanere immuni per un po’.
Fingiamo di essere particolarmente felici con le cose alle quali ci teniamo
aggrappati; ma poi ci sentiamo disillusi, disperati, ingannati. Forse
riusciremo a diventare ciò che vogliamo, ma anche questo è mortale. Ci
stiamo attaccando semplicemente ad un’altra condizione mortale. E allora,
desiderando morire, ci attacchiamo al suicidio o all’annullamento, ma anche
la morte è una condizione destinata a morire. Nel campo di questi tre
desideri, a qualunque cosa ci attacchiamo, in effetti ci attacchiamo alla
morte, e questo vuol dire che sperimenteremo solo frustrazione e
disperazione.

La morte della mente è disperazione; la depressione è una specie di
esperienza mentale della morte. Come muore il corpo con la morte fìsica,
così anche la mente può morire: muoiono gli stati mentali e le condizioni
mentali; e noi a questi stati diamo il nome di disperazione, noia,
depressione, angoscia. Se, quando siamo in preda alla bramosia, al
desiderio, proviamo noia, depressione, angoscia o dolore, cerchiamo subito
qualche altra condizione mortale come contrappeso. Per esempio, se siete
disperati e pensate: “Voglio un po’ di torta al cioccolato”, per un po’
sarete assorbiti dal delizioso sapore della torta, ma non potrete andare
avanti per molto. Trangugiate la torta e cosa ne rimane? E allora dovete
fare qualcos’altro. Questo è ‘divenire’.

Siamo accecati, intrappolati nel processo del divenire sensoriale. Ma, se
si riesce a conoscere il desiderio sensuale senza giudicarlo bello o
brutto, arriveremo a vedere il desiderio così com’è. Questa è conoscenza.
Poi, lasciando da parte i desideri senza attaccarci ad essi, sperimenteremo
nirodha, la cessazione della sofferenza. Questa è la Terza Nobile Verità,
che dobbiamo realizzare da soli. Contempliamo la cessazione, dicendo: ‘c’è
la cessazione’ e così sappiamo quando qualcosa cessa.

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