La meditazione- 2

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La meditazione- 2

di Bokar Rimpoche

(seconda parte)

– Possono gli scritti essere sufficienti per raggiungere la Realizzazione?

La pienezza della buddhità, altrimenti detta del Risveglio, é
descritta in termini dei tre Corpi di un Buddha, dove, in
questo contesto, Corpo non significa organismo fisico bensì aspetto dell’essere.

– Il Corpo Assoluto (sanscrito dharmakaya), letteralmente e
tecnicamente corpo di realtà ultima di ogni esistenza , é
non-manifestato, inaccessibile ad ogni determinazione, ineffabile,
simile allo spazio. Può essere detto eterno e
infinito o, ancora, a-temporale e a-spaziale sebbene in esso si
inscriva il gioco di ogni tempo e di ogni spazio.

– Il Corpo di Gloria (sanscrito sambhogakaya) detto anche Corpo di
completo godimento delle qualità del Risveglio,
é una manifestazione formale del Risveglio, non materiale, della
natura della luce, derivato dalla dinamica
propria del Corpo Assoluto. Invisibile agli esseri ordinari, viene
percepito dai bodhisattva delle tre terre
superiori. Non essendo soggetto alla natura provvisoria dei fenomeni,
non é soggetto ad alterazioni temporali.

– Il Corpo di Manifestazione (sanscrito nirmanakaya), designa un
Buddha che appare ad un grado di manifestazione
ordinaria come, ad sempio, il Buddha Sakyamuni. Espressione della
compassione, egli guida gli esseri verso la
liberazione.

Si aggiunge spesso un quarto Corpo, il Corpo d’Essenza stessa (
sanscrito svabhavikakaya)che non é di fatto che un
modo di esprimere l’indissociabilità essenziale dei tre precedenti.

Senza maestro, gli scritti sono insufficienti. Ciò che noi leggiamo nei
libri non lascia nella nostra mente un’impronta abbastanza profonda
mentre, quanto riceviamo dalla bocca di un maestro, lascia questa
impronta e genera una grande fiducia.

Quello che mi disturba nella meditazione, é la parola metodo.
Un metodo, é qualcosa che organizza, qualcosa che
condiziona la mente, che la orienta. Io mi domando come si
possa raggiungere, con questi metodi, qualcosa di
incondizionato e di non orientato. D’altra parte, il nostro
sapere, i nostri pensieri e le nostre emozioni, sono il risultato
del tempo. Ciò che mi disturba, inoltre, nei metodi, é che si
utilizza il tempo mentre liberarsi da ogni costrizione é
svincolarsi dal tempo.

Una volta che sia realizzata la natura ultima della mente, non vi
sono più metodi. Ma, per realizzare lo stato al di là dei metodi,
occorre basarsi sui metodi. Senza questo supporto, é impossibile
realizzare lo stato ultimo. I metodi implicano una progressione che
si inscrive nel tempo: é anche basandosi sul tempo che si arriva al
non-tempo.

Il tempo, esiste realmente o non é altro che la proiezione della
mente?

Dal punto di vista ultimo, quello dello Stato di Buddha, non esiste il
tempo. Ma per noi, fino a questa realizzazione ultima, il tempo
esiste. Noi percepiamo ora tre tempi – il passato, il presente e il
futuro – come reali. Concedere una realtà al passato o all’avvenire,
crea numerose sofferenze a causa dei ricordi, delle preoccupazioni
e dei progetti con cui mettiamo in agitazione la nostra mente. In
realtà, il passato non esiste più e il futuro non esiste ancora ma,
rendendo realili con il pensiero questi due poli illusori, noi soffriamo.
Dei tre tempi, sono il passato e l’avvenire quelli che, sebbene
inesistenti, ci creano maggiori sofferenze. E, in questo campo,
l’avvenireprevale sul passato. Noi concepiamo ora i tre tempi come
realmente esistenti; attraverso una progressione nel tempo,
approfondiamo gradualmente la comprensione dell’irrealtà dei tre
tempi finché non arriviamo al non tempo.

Dato che le cose sono impermanenti, ciò significa quindi che
hanno un tempo?

Il tempo, ora, per noi, esiste, e di conseguenza l’impermanenza. Il
non-tempo, é l’eternità.

Sfumature complementari
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IL CIELO E LA MENTE

Molte persone desiderano meditare. Esse capiscono chiaramente
che la meditazione concerne la mente, ma, generalmente, non
sanno che cosa essa sia precisamente.

E’ un po’ come il cielo. Tutti sanno che cos’é; nessuno vi dirà mai : “
Il cielo? Non lo conosco.” Ma l’idea che si ha del cielo é molto
imprecisa ed é molto difficile trovare qualcuno in grado di definirlo.
Se voi chiedete: ” Cos’é il cielo?” la persona interpellata non potrà
che puntare il dito verso il cielo e dire: ” Il cielo é questo. ” Lo stesso
succede per la meditazione: si sa che esiste, il più delle volte si
ritiene che sia una cosa positiva, ma non si sa veramente cosa
essa sia.

Cosa é il cielo?

Si dirà abitualmente che il sole é al centro del cielo, implicando la
nozione di centro quella di confini. Un Francese sarà incline a
concepire questo centro e questi confini in relazione alla Francia,
ma un abitante di un altro paese, applicherà il medesimo rapporto al
proprio paese. Questo basta a dimostrare che le nozioni di centro e
di confini del cielo sono soggettive e non corrispondono ad una
descrizione della realtà. Le persone che hanno la fortuna di abitare
in Provenza, dicono spesso: ” Com’é bello il cielo da noi!” Ma é
possibile delimitare un pezzo di cielo di cui si possa dire, in modo
esclusivo: ” Questa parte di cielo é il cielo della Provenza ?”
Tutti sanno inoltre che il cielo é azzurro ma ben poche persone
sanno il motivo di questo colore. Da dove deriva? E’ materiale?
Immateriale? E inoltre, qual é la dimensione del cielo?

La meditazione concerne la mente. La mente é molto simile al cielo:
senza forma, senza sostanza, senza dimensione. Proprio come il
cielo, tutti sanno che esiste ma molto pochi sono coloro che sanno
cosa sia effettivamente. Così come il cielo, la mente é privo di
centro e di limiti.

Tuttavia, noi non abbiamo l’esperienza di questo
stato illimitato; riduciamo invece l’infinito al finito e restiamo bloccati
nei ristretti limiti di ciò che noi chiamiamo < io >. Questo
restringimento, corrisponde alla limitazione soggettiva implicita nella
nozione di quando un Provenzale, ad esempio, si
riferisce al cielo del Sud della Francia, come se esistesse un pezzo
di cielo che si possa ritagliare e definire come se si rapportasse
specificatamente ad una regione. Nella mente infinita, senza centro
né confini, noi ci assimiliamo a una entità molto ridotta: l’ego. Da
ciò, hanno origine tutte le nostre sofferenze e le nostre difficoltà, sia
fisiche che mentali.

E’ vero che alcune sofferenze sono in relazione a circostanze
esteriori e che vi sono più o meno possibilità di intervenire
materialmente su di esse. Di fronte alle sofferenze interiori, invece,
qualsiasi rimedio materiale é vano.

Immaginiamo un re in un paese prospero e in pace, di notte, nel
suo palazzo ben custodito. Questo re, che é in possesso di tutte le
circostanze esteriori favorevoli alla felicità, dorme. Nel suo sogno,
appare un nemico che lo insegue e tenta di ucciderlo. Il re soffre
d’angoscia ed ha i brividi. Le sofferenze di questo sogno non
potrebbero essere alleviate da alcun rimedio esterno alla mente del
sognatore. Così noi, possiamo possedere tutte le condizioni
materiali necessarie per essere felici, ma questo é inutile per la
mente che soffre. Solo la via spirituale e la meditazione permettono
di liberarsi dalle sofferenze, dalle angosce e dalle difficoltà interiori.

L’EGO E I CINQUE VELENI

La nostra mente é fondamentalmente infinita, non é limitata dai
vincoli di un’esistenza individualizzata; non c’é ego. Sebbene esso
non esista, noi ci identifichiamo con questo ego illusorio. esso é il
centro e la pietra di paragone di tutte le nostre relazioni: tutto ciò
che rende confortevole la sua esistenza, tutto ciò che gli é
favorevole, diviene oggetto di attaccamento; al contrario, tutto ciò
che minaccia la sua integrità, diventa un nemico fonte di
avversione. D’altro canto, la presenza stessa dell’ego, occulta
l’autentica natura della nostra mente e dei fenomeni, ci rende
incapaci di distinguere tra il reale e l’illusorio. Noi siamo, in questo
senso, prigionieri dell’offuscamento mentale. L’ego genera pure la
gelosia di fronte ad ogni persona considerata come possibile rivale,
in qualsiasi campo. Infine, l’ego, pretende di essere superiore agli
altri: é l’orgoglio.

Attaccamento, avversione, offuscamento mentale, gelosia, orgoglio,
sono i cinque veleni di base generati dalla visione egocentrica. Essi
costituiscono un ostacolo irrevocabile alla pace interiore, generando
in continuazione inquietudini, turbamenti, difficoltà, angoscia e
sofferenza non solo per se stessi ma anche per gli altri. E’
evidente, per esempio, che la collera costituisce una sofferenza per
se stessi e per la persona verso cui é rivolta, che deve subire un
viso furioso, imprecazioni e parole che feriscono.

L’ego e i cinque veleni, ci portano inoltre a compiere degli atti di
carattere nocivo che imprimono nella nostra mente un potenziale
karmico6 negativo, la cui maturazione si esprimerà sotto forma di
circostanza dolorose.

6La legge del karma, che significa letteralmente legge di causalità
degli atti, vuole che ogni atto compiuto nella dualità
di un soggetto e di un oggetto, che questo atto sia fisico, verbale o
anche mentale, comporti un effetto di ritorno per
colui che agisce. Questo effetto é dapprima invisibile e
impercettibile, simile a un’impronta o a un seme che si
inscriverebbe negli strati più sottili della coscienza
individualizzata, al di là anche dell’inconscio degli psicanalisti,
nell’alayavijnana, ovvero nel serbatoio, o piuttosto, nel potenziale
di coscienza.

A partire da questo stato latente,
comincia un processo di maturazione che si dispiega generalmente su
più vite, anzi, su centinaia di vite, al termine del
quale il seme karmico si esprime determinando sia le circostanze
generali di un’esistenza (sesso, nazionalità, ricchezza,
caratteristiche fisiche, intellettuali, affettive ecc), sia delle
condizioni passeggere (una malattia, un incontro, un successo,
uno scacco ecc). Il tutto funziona – non é che un paragone- come in un
computer: i dati sono presenti in quantità
numerosissime, agiscono gli uno sugli altri, e l’aggiunta di nuovi
dati modifica, più o meno, i risultati. Per il fatto che noi
agiamo costantemente sotto il dominio della dualità – funzionamento
deformato che non cessa che con la liberazione – vi
é un flusso permanente di elementi nuovi che nutrono il nostro potenziale
karmico nello stesso momento in cui una costante maturazione elimina
delle vecchie impregnazioni. L’insieme del
processo, lungi dall’essere statico, é un continuo movimento. Non
bisogna dimenticare che tutti i fenomeni che reggono
la nostra vita sono l’espressione del nostro karma e che l’isolarne un
elemento é un errore che viene commesso
frequentemente. Pensare che, per esempio, se uno si ammala é un
risultato karmico, e che é quindi inutile curarsi, é una
concezione del tutto frammentaria, nel momento in cui dimentichiamo
che il nostro karma vuole che noi abbiamo pure
dei medici e degli ospedali a cui rivolgerci.

La legge del karma é di fatto una visione molto allargata delle leggi
fisiche che reggono il nostro universo. Se si semina
del grano, non spunterà del riso. Il caso non governa nella materia e
tantomeno ha un diritto di cittadinanza nelle
condizioni esistenziali degli individui. Molto complessa, giacché
dipendente dall’interazione di un’infinità di elementi, la
causalità Karmica si riassume pertanto in un principio molto semplice:
colui che genera la sofferenza, imprime nel
proprio intimo un potenziale di sofferenza, colui che genera felicità,
imprime un potenziale di felicità.

L’ego e il suo seguito, sono il nostro vero nemico, non un nemico
visibile che potrebbe essere vinto da armi o da qualche oggetto
materiale, bensì un amico invisibile che può essere sconfitto solo
dalla meditazione e dalla via spirituale. La scienza contemporanea
ha messo a punto delle armi di estrema potenza, delle bombe in
grado di uccidere in un colpo centinaia di migliaia di persone. Ma
nessuna bomba può annientare l’ego e i cinque veleni. In questo
campo, la vera bomba atomica, é la meditazione.

LA MENTE IN VACANZA

La nostra mente é, nel suo stato abituale, occupata
permanentemente da pensieri legati ai cinque veleni. Questi si
presentano ciascuno a suo turno: talvolta sotto l’influsso
dell’avversione, talvolta dell’attaccamento, talvolta dell’offuscamento
mentale, talvolta della gelosia, talvolta dell’orgoglio. L’intensità di
questi pensieri può variare di molto, ma non vi é un solo istante in
cui la nostra mente non ne sia agitata.

E’ una bella giornata di vacanza: nessun lavoro da fare, il cibo é
pronto, nessuna discussione da affrontare. Qualcuno può essere
seduto tranquillo senza nessuna preoccupazione esteriore. Eppure,
la sua mente si affatica. Continuamente perturbata, anche
leggermente, dal gioco dei veleni che la abitano, é incapace di
stabilirsi in una pace autentica. La mente non é in vacanza. La
mente non può prendersi delle vacanze che attraverso la
meditazione. Non che questa permetta la totale scomparsa dei
pensieri; ma, essi perdono forza e, a intervalli, si smorzano. La
mente conosce in quel momento più pace e benessere. Essa si
riposa.

Gli Occidentali lavorano molto durante tutto l’anno, in un ufficio o in
qualche altro posto, e dispongono di un mese o due di vacanze. E’
per loro la possibilità di recarsi all’estero, di raggiungere il mare, la
montagna, la campagna, con l’idea di trovarvi felicità e riposo.
Purtroppo la mente, non va affatto in vacanza: i cinque veleni, le
sofferenze e le difficoltà interiori, fanno parte del viaggio. In realtà,
sono solo delle semi-vacanze. Solo la meditazione procura delle
vacanze a tempo pieno.

MEDITAZIONE NELLA VITA

Un principiante deve necessariamente ritirarsi in un ambiente
calmo, adottare una postura specifica, mantenere il silenzio e
rispettare certe condizioni. Con l’instaurarsi dell’abitudine e
dell’esperienza, si acquisisce la capacità di meditare in tutte le
circostanze: camminando, lavorando, parlando, mangiando, ecc.
Da lì, si dispone di molto tempo per la meditazione. Oltre a ciò, in
tutte le circostanze, si mantiene la mente serena, aperta e distesa.
La meditazione é anche questa esperienza di trovarsi a proprio agio
e sereni. E’ anche un’esperienza di libertà. La libertà é un valore a
cui ai giorni nostri attribuiamo estrema importanza ma, per quanto
godiamo di ogni tipo di libertà esteriore, fintanto che la nostra mente
resterà prigioniera dei suoi veleni e dei suoi pensieri, non saremo
liberi.

Un guidatore principiante é molto teso al volante; teme di provocare
un incidente, di non saper guidare come si dovrebbe. Quando
sopravviene l’abitudine, il guidatore é invece in grado , pur essendo
pienamente presente a quanto fa, di parlare con la persona seduta
al suo fianco. La conversazione non gli impedisce di rimanere
concentrato sulla guida della vettura e di prestare attenzione alla
segnaletica stradale. Il meditante principiante, nello stesso modo,
deve prestare molta attenzione al solo esercizio della meditazione;
in seguito, progressivamente, sviluppa la capacità di continuare la
meditazione pur essendo pienamente occupato in altre attività,
parlando o lavorando. Si sperimenta allora, in ogni occasione, un
grande benessere interiore e una libertà autentica.

UN VISO APERTO

Man mano noi progrediamo nella pratica meditativa, i veleni della
mente diventano meno virulenti e i pensieri diminuiscono. Anche
quando essi restino presenti, perdono il loro carattere costrittivo e
non sono pertanto causa di sofferenza. La nostra mente si calma e
conosce la gioia. Questa si riflette sul nostro aspetto fisico: il nostro
viso é aperto, avvenente, gioioso. Diventiamo persone di contatto
facile e piacevole; gli altri hanno piacere di frequentarci. La pace e
la felicità interiori irradiano all’esterno.

SOGGETTIVITA’

Il nostro modo di percepire gli esseri e il mondo, dipende
principalmente dal nostro stato d’animo. Supponete di essere
invitati a pranzo da una persona nei cui riguardi provate una
profonda avversione. L’ambiente é piacevole, il cibo buono;
nonostante ciò, la vostra avversione, rende il cibo infetto ed il luogo
senza alcun fascino. Quando, invece, una persona a voi cara vi
invita in un luogo disadorno e vi serve del cibo mediocre, i piatti
diventano squisiti e l’ambiente un paradiso!

La differenza é generata dalla nostra modalità di percezione
condizionata dall’attaccamento o dall’avversione.

LA MEDITAZIONE GIA’ PRESENTE

La meditazione non é qualcosa di esterno che un Buddha o un
maestro ponga nella nostra mente. Essa é già insita alla mente
sebbene allo stato potenziale. Un maestro, non fa altro che indicare
questa presenza latente e ci mette a disposizione i mezzi per
scoprirla in noi stessi. Noi tutti possediamo lo stato di meditazione,
ma non sappiamo come servircene. Ci troviamo nella situazione di
uno che, disponendo di un’automobile bella, non la sapesse
guidare. Il veicolo, per quanto perfezionato possa essere, non può
condurre da nessuna parte. Però, ci si può rivolgere ad un istruttore
e imparare a guidare. Occorreranno un mese o due di
apprendimento, dopo di che i nostri sforzi, sotto la guida
dell’istruttore, ci permetteranno di servirci dell’autovettura,
inutilizzabile fino a quel momento.

Così, lo stato di meditazione e lo
Stato di Buddha, sono già presenti in noi ma, senza l’aiuto di un
istruttore qualificato, noi siamo incapaci di renderli operativi.
Sarebbe veramente strano possedere un’autovettura eccellente e
doverla lasciare in garage perché non si volesse imparare a
guidare. E’ pure veramente strano lasciare addormentato il
potenziale di Risveglio della nostra mente per il fatto che arretriamo
di fronte allo sforzo e alla perseveranza che l’apprendimento della
meditazione richiede.

LA PERSEVERANZA

Andare da Aix-en-Provence a Parigi in auto é un viaggio lungo. Non
avendo mai percorso il tragitto, potremmo pensare che un’ora sia
sufficiente per coprirlo. Di fatto, dopo un’ora di viaggio, siamo
costretti a constatare che ci rimangono molti chilometri da
percorrere. Se questa prospettiva ci scoraggia e preferiamo
fermarci lì, non arriveremo mai a Parigi.

Alcune persone, nello stesso modo, si mettono sulla via della
meditazione piene di speranza. Dopo qualche mese o solo alcuni
giorni di assiduità, non ottengono i risultati attesi, si stancano e
abbandonano. Un lungo viaggio in auto é faticoso, é per questo che
lo si interrompe con pause, ci si ferma per bere un the o un caffé,
quindi si riparte. Quando la stanchezza influisce sulla nostra
meditazione, invece di abbandonare per stizza o per disinteresse, si
fa pure una pausa per distendere la mente quindi, si riprende il
cammino.

I principianti, generalmente apprezzano la meditazione, ma trovano
delle difficoltà nell’esercitare uno sforzo. Essi hanno fiducia nella
via, l’intelligenza necessaria per comprenderla ma mancano di
diligenza e perseveranza che sono invece essenziali.

Gli esordi in meditazione sono spesso uniti a una grande speranza
di ottenere rapidamente delle esperienze interiori fuori dal comune.
Attesa delusa: nessuna esperienza meravigliosa, nessuno stato
straordinario. Noi abbiamo fretta, ma il mondo interiore non
corrisponde alla nostra impazienza. Succede allora che,
scoraggiati, ci si lanci su un’altra via che, a sua volta, delude, poi in
un’altra e in un’altra ancora.

Come progredire in queste condizioni?

Supponiamo che desideriate far spuntare un fiore: preparate la
terra, vi mettete il seme, innaffiate e concimate. Ben presto, appare
un germoglio che non ha niente a che vedere con la bellezza del
fiore. Delusi, voi strappate la pianta e, pensando di ottenere un
risultato migliore, seminate un altro seme. Inevitabilmente, il
risultato sarà il medesimo. Seminate pure quanti semi vorrete, ma
non vedrete mai il fiore. La pazienza e le cure costanti apportate
alla pianta sono indispensabili perché il fiore possa sbocciare un
giorno. Anche la meditazione richiede del tempo per rivelarsi
fruttuosa.

Pazienza, perseveranza e regolarità portano un giorno
allo schiudersi dello splendido fiore della mente. Meditare anche
solo dieci minuti al giorno ogni giorno senza tralasciare di farlo, é
già di profitto. In un mese, si sarà meditato per cinque ore.
Continuare così con regolarità nel corso dei mesi e degli anni,
permetterà certamente di progredire.

IL SAPORE DELLA MEDITAZIONE

Comprendere i benefici della meditazione é qualcosa di impossibile
senza un’esperienza personale, tanto impossibile come distinguere
il gusto di un alimento sconosciuto. Se non avendo mai provato il
cioccolato, voi mi chiedete di descrivervi il suo gusto, io potrei dirvi:

– Mmmm, é buono!

– Buono come?

– Ebbene, dolce!

– Dolce in che modo?

Attraverso dei paragoni, può darsi che io riesca a darvi un’idea
molto approssimativa del cioccolato; resterebbe comunque per voi
qualcosa di più o meno misterioso. Se, invece, mettete in bocca un
pezzo di cioccolato, ne conoscete immediatamente il sapore senza
nessuna esitazione. Una spiegazione, per qunto dettagliata, dei
benefici della meditazione, non sarà comunque in grado di farveli
comprendere. Solo una pratica personale e un’esperienza diretta
faranno scoprire il suo autentico sapore.

* * *

– Domande – Risposte –

Io medito da molti anni e, al momento, ho l’impressione di
regredire.

Ciò può essere dovuto al Karma, oppure al fatto che investite meno
sforzo e diligenza nella vostra pratica. Questa sensazione di
regressione é spesso un segnale di indolenza, di mancanza di
energia. Ma può consistere pure in un errore nel vostro modo di
meditare.

Nel momento in cui noi troviamo delle difficoltà a meditare, devono
essere apportati alcuni rimedi. Allo scopo di sostenere la
meditazione propriamente detta, occorre attivare delle tecniche per
purificarsi, accumulare il merito, aprirsi alla grazia del Maestro,
sviluppare l’aspirazione e la diligenza. Perché un fiore veda la luce,
non é sufficiente un seme: occorre anche che venga nutrito dalla
terra, dall’acqua, dal concime e dal calore. Meditare richiede altri
elementi oltre alla meditazione: purificazione, merito, grazia,
ascoltare frequentemente delle istruzioni, sforzo, perseveranza.
Solo un contesto completo di meditazione conduce al Risveglio.
Succede talvolta che, pur progredendo, si abbia la sensazione di
essere in stallo oppure che, essendo in stallo, si abbia la
sensazione di progredire! Si é spesso cattivi interpreti della propria
meditazione.

Non sono gli occidentali handicappati sulla via della
meditazione a causa della loro complessità mentale?

La differenza e la difficoltà non derivano dalla complessità della
mente delle persone. Vero é che in India e in Tibet, le condizioni di
vita erano più semplici, ma la mente degli uomini era ugualmente
complessa, gravata da ogni tipo di pensieri e preoccupazioni. Gli
Occidentali coltivano molto di più le loro facoltà intellettuali rispetto
agli Orientali, a detrimento dei valori spirituali. Gli Orientali, da parte
loro, hanno una fede e una diligenza molto maggiori. Questa é
senza dubbio la vera differenza.

Lo stato di Buddha consiste solo nella pace dello spirito o
implica pure una conoscenza particolare?

Lo stato proprio di un Buddha é la pace infinita. Inerenti a questa
pace, si rivelano delle qualità che si esprimono per il bene degli
altri. Un Buddha, ha la conoscenza totale della natura ultima di tutti i
fenomeni. Egli vede, nello stesso tempo, che gli esseri ordinari,
sprovvisti di questa conoscenza, soffrono: é da lì che si
manifestano amore e compassione che egli rende effettivi e attivi
attraverso il suo potere di soccorrere.

Rimpoche, potrebbe fare un esempio per far comprendere
l’illusione?

Noi prendiamo le apparenze come reali. La meditazione ci porta a
comprendere il loro carattere illusorio: esse sono simili a un riflesso
in uno specchio. Nello stesso modo é percepita la natura illusoria
dei suoni: essi sono simili a un’eco. I nostri pensieri, ritenuti a torto
come qualcosa di reale, sono di fatto simili a un miraggio. Attribuire
un’esistenza reale, inerente alle apparenze, ai suoni e ai pensieri,
genera la sofferenza. Percepire l’irrealtà delle apparenze, dei suoni
e dei pensieri, non significa la cessazione della manifestazione, ma
la comprensione che la manifestazione é priva di realtà intrinseca.
Nel contempo, essa perde ogni potere di generare la sofferenza.
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La Pacificazione mentale

Shiné

PRATICHE PREPARATORIE E
CONTESTO DELLA MEDITAZIONE
1. LE QUATTRO RIFLESSIONI

Allo scopo di realizzare, da questa vita, la non-morte ultima, il vero
modo di essere della mente, attraverso la pratica del mahamudra7,
é, prima di tutto, indispensabile prendere profondamente coscienza:

-della natura transitoria di tutti i fenomeni manifesti,

-della difficoltà di ottenere un’esistenza umana tra tutte le possibilità
di rinascita,

-del carattere ineluttabile degli effetti delle nostre azioni, che
condizionano la natura felice o dolorosa delle nostre vite future,

-dell’ immanenza della sofferenza in tutti i tipi di esistenza
condizionata.

Prescindendo dal riflettere attentamente su questi quattro punti e
dall’esserne impregnati, la meditazione profonda é impossibile.
7Il termine mahamudra (il grande sigillo) designa la rivelazione
della natura ultima dello spirito, libero da ogni illusione
e da ogni errore. Lo si impiega tuttavia per indicare tre livelli:

– lo spirito ultimo allo stato potenziale presente in ogni essere,

– il cammino che conduce alla messa in atto di questo potenziale,

cammino in cui la pacificazione mentale e la visione
sono incluse.

– la messa in atto stessa, sia come meditazione che come stato permanente.

2. I QUATTRO PRELIMINARI SPECIFICI

E’ quindi necessario stabilirsi saldamente e ampliare la propria
fiducia attraverso la pratica della presa di Rifugio, fondamento della
via del Buddha, di definire anche la giusta motivazione per lo
sviluppo della bodhicitta, lo spirito del Risveglio, l’aspirazione cioé a
ottenere il Risveglio non per se stessi ma per acquisire la capacità
di soccorrere l’insieme degli esseri.

In secondo luogo, occorre purificarsi dai veli e dalle impurità
accumulate dai tempi senza inizio; questa purificazione viene
effettuata attraverso la pratica di Dorje Sèmpa ( sanscrito
Vajrasattva)..

Non solo, ci si sforza di rimuovere gli impedimenti della mente, ma
la si ristruttura positivamente attraverso la doppia accumulazione di
merito e di saggezza, compiuta attraverso l’ offerta del Mandala.
Infine, si apre la propria mente alla grazia del maestro spirituale
attraverso la pratica dell’ unione spirituale (sanscrito Guru-Yoga).
Queste quattro pratiche preliminari specifiche devono essere
effettuate con applicazione.

3. LE QUATTRO CONDIZIONI

La condizione causale: tutti gli aspetti del ciclo delle esistenze
condizionate ( sanscrito samsara) sono sofferenza per loro natura.
Non che la felicità ne sia totalmente assente, ma é presente in
modo fuggitivo, superficiale, privo di autenticità, fondamentalmente
mutevole. Riconoscere questa natura dolorosa del ciclo delle
esistenze e, parallelamente, aspirare alla realizzazione del modo di
essere ultimo della mente, il mahamudra, che permette di
liberarsene, é la condizione causale della meditazione, lo slancio
iniziale dato al nostro cammino.

Fintanto che, invece, consideriamo la nostra condizione nel mondo
come felice, non avremo nessuna ragione per cambiare cammino.
6 I preliminari specifici qui menzionati appartengono propriamente
al contesto del Vajrayana, ovvero dei Tantra. La
spiegazione della loro pratica deve pervenire da un lama.
La condizione del maestro: l’aspirazione a liberarsi non é
sufficiente in se stessa. Ci occorre anche che il cammino ci venga
mostrato da un maestro. Sulla condizione causale deve innestarsi
la condizione del maestro. Il maestro può essere considerato sotto
quattro aspetti, di cui il primo é un passaggio obbligato per
accedere agli altri tre:

La persona umana come maestro si riferisce a colui che ci espone
la via spirituale e ci delucida il modo di essere della mente.
Accontentarsi dei libri non é sufficiente per un primo approccio. Solo
la viva parola di un maestro può imprimere in noi una convinzione
sufficientemente profonda.

La parola del Buddha come maestro: una volta comprese le
diverse sfaccettature del Dharma, una volta acquisita la
comprensione del modo di essere grazie alle spiegazioni di un
maestro, noi possiamo, avendo iniziato a meditare, confrontare la
nostra esperienza con la Parola perfetta del Buddha così come con
i commentari ed i trattati redatti da maestri competenti. Esaminiamo
così la validità e il senso delle nostre scoperte interiori.

Le apparenze come maestro: una volta che abbiamo acquisito una
buona esperienza della meditazione e un sistema di riferimenti
teorici su cui appoggiarci, le apparenze esteriori divengono degli
ausili della meditazione. La terra é così la base solida su cui vivono
gli uomini e gli animali, crescono le piante, vengono eretti degli
edifici. Su di essa posa ogni possibilità di esistenza nel nostro
mondo. La fede e la fiducia hanno questa stessa qualità di fondo:
senza di esse, non é possibile alcun cammino spirituale . Vedere la
terra, sarà allora il richiamo alla fede. La corrente continua delle
acque di un ruscello esprime, da parte sua, ciò che deve essere il
nostro sforzo: una perseveranza senza discontinuità. Il fuoco
simbolizza il fuoco della conoscenza. Il movimento del vento ricorda
la natura transitoria e mutevole dei fenomeni. Quando le apparenze
percepite evocano così una corrispondenza con gli elementi del
nostro cammino interiore, esse hanno quindi la funzione di maestro
spirituale.

La realtà ultima come maestro: noi sviluppiamo infine la
realizzazione che tutti i fenomeni, esteriori o interiori, animati o
inanimati, non esistono in modo separato, ma sono l’espressione
della chiarezza della mente stessa . Questa realizzazione
dell’indivisibilità delle apparenze esteriori e della mente, significa
che la realtà ultima é divenuta il maestro spirituale.

La condizione oggettiva definisce il giusto oggetto della
meditazione, ovvero il saper-meditare: la mente del meditante resta
libera da sovrimpressioni mentali, la sua esperienza é priva di
considerazioni quali “la mia mente é chiara” o anche “la mia mente
é felice”, o anche “la mia mente é vuota”. La mente viene lasciata
libera così come é naturalmente. La meditazione non consiste
affatto nell’aggiungere qualcosa allo stato naturalmente semplice,
spazioso e calmo della mente. Non si medita qualche cosa nel
senso di fabbricare un nuovo stato che vada ad aggiungersi alla
mente così come essa é. La meditazione, é ritrovare lo stato
naturale. Lo spirito dimora senza distrazione nella propria essenza,
nel proprio modo di essere. Conoscere cosa sia così la meditazione
é la condizione oggettiva.

La condizione immediata: “Lasciare la mente tale e quale, senza
intervento mentale, é la meditazione?”. “Io spero che la mia
meditazione sarà buona”.” Purché la mia meditazione non sia
cattiva! Tali dubbi, speranze e timori, contraddicono lo spirito di
meditazione. Bisogna dimorare semplicemente nel presente.

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