La Malattia: un’amica e una maestra

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La Malattia: un’amica e una maestra

di Vamshi Vihari Dasa

Dopo sette giorni di malattia, la febbre dovuta alla malaria mi aveva ridotto a pelle e ossa e la
perdita di appetito e le allucinazioni avevano aggiunto ulteriori sofferenze. Ogni giorno mi
sforzavo di praticare il canto Hare Krishna, ma in questi sette giorni ho beneficiato di questa
esperienza in un modo che non sarebbe stato possibile se non mi fossi ammalato. Dobbiamo accettare
la realtà che inevitabilmente ci ammaleremo. Sri Krishna nella Bhagavad-gita (8.15) spiega che la
sofferenza è naturale in questo mondo. Perciò chiunque siamo, non possiamo essere così ottimisti da
pensare a una vita senza malattie.

Il metodo della coscienza di Krishna può però aiutarci ad evitare collassi emotivi quando siamo
ammalati, purché manteniamo l’atteggiamento giusto. Oltre alla sofferenza fisica a noi non piace la
malattia perché ci impedisce di continuare la nostra routine quotidiana. Tendiamo a centrare la
nostra vita su un’attività particolare, come un impegno o un servizio, ed ogni ostacolo viene
percepito come una minaccia al mantenimento della normalità. La malattia metteva a rischio la mia
vita spirituale perciò quando mi ammalai mi chiesi: “Perché riteniamo che solo la buona salute sia
favorevole a servire Krishna? Non possiamo servire quando la malattia ci obbliga ad essere meno
attivi?”

La malattia non ci obbliga a non praticare la devozione, anzi può elevarci spiritualmente. Il
servizio devozionale viene definito apratihata, cioé ininterrotto in ogni circostanza. In altre
parole, nessuna situazione materiale è così potente da impedire il servizio devozionale. I nostri
corpi e le nostre malattie sono materiali, ma il servizio devozionale è trascendentale ad essi. La
malattia può rendere inattivo il nostro corpo, ma con un atteggiamento opportuno possiamo agire sul
piano dell’anima. Ne abbiamo alcuni esempi. Il santo Gaudiya Vaisnava Srila Haridasa Thakura cantava
ogni giorno molti santi nomi di Krishna perfino quando la vecchiaia lo privò delle sue forze. Srila
Prabhupada proseguì nel suo servizio devozionale di traduzione dello Srimad-Bhagavatam anche sul suo
letto di morte. [Vedi l’inserto “L’Esempio di Srila Prabhupada”]

Capire lo Scopo di Krishna

Se comprendiamo perché Krishna ci mette in queste difficoltà, l’amarezza della malattia può ridursi
o perfino trasformarsi in dolcezza. Dobbiamo convincerci che Krishna è il nostro miglior amico (Gita
5.29) e non ci manda sofferenze inutili. Da tempo immemorabile abbiamo appesantito la nostra
esistenza con un fardello illimitato di attività colpevoli. Questo fardello è un ostacolo al nostro
viaggio verso Krishna (Gita 7.28). Per riportarci a Lui, Krishna ha la necessità di purificare la
nostra vita – talvolta concedendoci la salute e permettendoci di compiere vari servizi devozionali e
talvolta dandoci malattie e sofferenze. Come un fuoco purifica l’oro, il fuoco della sofferenza ci
purifica dalle reazioni colpevoli.

La malattia c’insegna anche lezioni importanti non solo essenziali per la nostra crescita interiore
e altrimenti difficili da imparare. Uno dei miei amici devoti ha condiviso con me la sua
realizzazione che Krsna corre il rischio di essere biasimato: “Oh! Io cerco si servirTi, Krishna, e
tu mi dai dei problemi. Che genere di Dio sei?” Da vero benefattore, Krishna non Si preoccupa di
essere biasimato, ma piuttosto di far finire più presto possibile la nostra esistenza materiale.
Naturalmente nelle difficoltà Egli provvede a fornirci la forza di sopportarle. Come un medico
impegnato a far guarire il paziente, Krishna opera per farci purificare.

Accettare i Suoi modi senza lamentele e senza biasimo Lo incoraggia a continuare nella cura, mentre
un atteggiamento non cooperativo può incoraggiarLo a smettere. Perciò dovremmo essere grati a
Krishna, che sta offrendo così tanta energia per il nostro beneficio. La malattia ci rende umili.
Normalmente possiamo essere molto attivi, ma la malattia interrompe le nostre attività. Possiamo
essere orgogliosi delle nostre abilità e della nostra forza, ma la malattia rivela la nostra totale
dipendenza da Krishna. La malattia può rivelare il vero livello della nostra connessione spirituale
mostrando se le nostra fondamenta sono superficiali o profonde – cioé basate su un genuino desiderio
di praticare la coscienza di Krishna in qualsiasi circostanza.

Se siamo disponibili, possiamo trovare la rivelazione che ci rende umili, utile per la vita
spirituale. Così, la malattia può costituire un punto di svolta della nostra vita. Possiamo
comprendere che abbiamo costretto Krishna a metterci in queste difficoltà per toglierci l’illusione
che la vita nel mondo materiale è una “buona vita”. Durante la malattia la riduzione delle nostre
attività e delle pratiche spirituali giornaliere e l’aumento della nostra dipendenza da altri può
renderci umili di fronte ad amici e parenti, urtando il nostro falso ego. Anni fa lessi la poesia
“Reduced” di Satsvarupa Dasa Goswami: La mia lista di cose da fare non conta. Tutto quello che
faccio è riposare. Eppure una preghiera a Krishna vale cento giorni trascorsi nell’orgoglio. La
malattia può diventare occasione d’oro per farci realizzare la nostra piccolezza e la nostra
inutilità e farci prendere rifugio in Krishna.

Sviluppare le Relazioni

Una buona salute può darci la sensazione di essere indipendenti e di non aver bisogno dell’aiuto
degli altri. Questo atteggiamento non è favorevole alla vita spirituale. Per porvi rimedio Krishna
misericordiosamente ci toglie la salute e ci costringe ad accettare la nostra dipendenza dagli altri
per attività fondamentali come mangiare, pulire il nostro corpo, assumere le medicine e spostarci.
Avevo la mentalità che se gli altri non mi servivano, allora non dovevano aspettarsi che li
servissi. La malattia rompe questo duro macigno dell’impersonalismo e dell’egoismo. Prendersi cura
degli altri è un elemento essenziale del comportamento Vaisnava. Esso conduce alla gratitudine e ci
aiuta a sviluppare buone relazioni. Ricevere servizio dagli altri ci rende umili e ci ispira a
servirli a nostra volta.

Ci rendiamo conto della futilità delle nostre forze e realizziamo che gli altri ci sono necessari
perfino per mantenere la nostra vita materiale, che dire poi della nostra vita spirituale. A volte
la nostra frenetica routine quotidiana non ci consente di avvicinarci alle persone sul lavoro o
nella nostra vita privata. La malattia ci fornisce invece l’opportunità di comprendere che abbiamo
bisogno delle persone e delle loro preghiere. Quando siamo malati particolarmente i devoti, aprono
il loro cuore e pregano per il nostro benessere. La malattia può portare i devoti ad essere più
vicini tra loro. Quando qualcuno è malato e soprattutto ha bisogno del nostro servizio è una buona
occasione per mostrargli il nostro amore.

Per cinque anni ho avuto la fortuna di assistere i devoti malati del nostro tempio. In quel periodo
ho assistito alla nascita e al fiorire di molte amicizie. Quando facciamo qualcosa di gradito agli
altri, in particolare ai devoti di Krishna, Egli ci concede la Sua misericordia senza limiti. Egli
desidera sempre servire i Suoi devoti e se vede che noi Lo aiutiamo a farlo, Si sente obbligato
verso di noi. La malattia può anche contribuire alle relazioni aiutandoci a sviluppare empatia. Come
dice il proverbio: “Una donna sterile non può comprendere la sofferenza del parto.” La nostra
malattia può aiutarci a sentire la sofferenza degli altri quando sono malati e può ispirarci ad
offrire loro un servizio amichevole.

In un episodio del Mahabharata, qualcuno chiese a Yudhisthira, il re di Hastinapur, di definire la
cosa più stupefacente di questo mondo. “Ad ogni istante vediamo che altri muoiono,” rispose “ma
pensiamo che noi non moriremo mai.” Non facciamo eccezione all’inevitabilità della morte, sebbene
abbiamo la tendenza a dimenticarcene sempre. Quando le cose vanno bene, la vecchiaia e la morte
sembrano irrilevanti o molto lontane da noi. La malattia, specialmente se cronica, brucia
l’illusione che le cose andranno bene per sempre. Maharaja Pariksit, ultimo erede della dinastia di
Pandu, apprese di avere solo sette giorni di vita. Un giorno potremmo ricevere queste informazioni:
“Ti sono rimasti solo quattro mesi di vita” oppure “Ora devi vivere con questa malattia.”

La malattia ci rivela i nostri attaccamenti. Siamo felici che Krishna ci purifichi? O siamo
disturbati dal fatto di perdere il corpo e le cose ad esso relative? Un giorno dovremo lasciare
tutto. La malattia ci fa intravedere l’inevitabile e ci offre l’opportunità di prepararci. Il re
Vaisnava Kulashekhara scrisse: “Mio Signore, o Krishna, prego che il cigno della mia mente possa
immergersi subito sugli steli dei piedi di loto della Tua Signoria e che rimanga impigliata nella
loro rete; altrimenti al momento del mio ultimo respiro, quando la mia gola sarà soffocata dalla
tosse, come potrò pensare a Te?” Ciascuno di noi dovrebbe aspirare a questa coscienza di Krishna e a
questa liberazione dalla coscienza fisica.

Sentire l’Amore di Krishna

Nella Bhagavad-gita (7.16) Sri Krishna ci dice che la sofferenza ci aiuta a prendere rifugio in Lui.
Un devoto di Krishna non aspetta di ammalarsi per prendere rifugio in Krishna, ma quando si ammala
cerca di vedere in tutto questo la Sua misericordia. Invece di concentrarci sul nostro corpo che
deperisce, se in qualche modo diventiamo spiritualmente coscienti, nei momenti difficili possiamo
sentire la presenza e l’amore di Krishna. I devoti Hare Krishna lo fanno cantando quotidianamente un
numero fisso di nomi di Krishna, possibilmente perfino quando sono ammalati. Praticando queste
attività spirituali realizziamo che Krishna è nostra madre, nostro padre e il nostro migliore amico.
Dobbiamo ricordare che se Krishna permette che ci accada qualcosa, è per il nostro bene.

Ho incontrato devoti che pensano che il momento migliore della loro vita in coscienza di Krishna è
stato quando hanno attraversato delle difficoltà. Non trovando un altro rifugio, con intensità hanno
preso rifugio in Krishna sentendo la Sua presenza in modo più evidente che in ogni altra occasione.
Questo è il motivo per cui Kunti Devi, la gloriosa madre dei Pandava, pregò Krishna di mandarle un
numero maggiore di sventure. “Perché,” ella pensava “le sventure mi ispirano a contemplare il Suo
volto di loto, il che significa che non vedrò più in faccia le nascite e le morti ripetute.”
Comunque non è necessario imitare Kunti Devi chiedendo altre difficoltà; le sofferenze che ci sono
destinate dovrebbero essere sufficienti a farci rivolgere a Krishna.

Avere Cura del Corpo

Poiché il nostro corpo è uno strumento con cui eseguire il servizio devozionale, prendersene cura
non è un’attività materiale. Qualsiasi cosa usata per il servizio al Signore viene spiritualizzata.
Inoltre, il nostro corpo è proprietà di Dio e questa è un’altra ragione per prendercene cura. A
questo proposito la Caitanya-caritamrita riporta un avvenimento istruttivo. Una volta Sanatana
Gosvami aveva il corpo coperto da pustole purulente. Senza tenerne conto Sri Caitanya abbracciò
Sanatana. Nauseato, Sanatana decise di suicidarsi gettandosi sotto le ruote del carro di Jagannatha
durante il festival del Rathayatra. Quando Caitanya venne a conoscenza delle intenzioni di Sanatana,
lo rimproverò: “Il tuo corpo Mi appartiene. E colui che distrugge la proprietà altrui è considerato
un ladro.”

Perciò non dovremmo pensare che se non facciamo qualcosa a livello fisico, non possiamo contribuire
alla società dei devoti. Prima o poi, la malattia è inevitabile per tutti. Durante la malattia
possiamo mantenere alto il nostro umore ed essere grati. Se lo facciamo, offriamo un esempio agli
altri trasformando la nostra malattia in una dolce benedizione. Quale servizio è migliore
dell’essere d’ispirazione agli altri nella vita spirituale? Se riacquistiamo la salute, non è
necessario imitare Kunti Devi invocando nuovamente la malattia, ma neppure dovremmo rammaricarci del
nostro periodo di malattia, lamentarcene o incolpare Krishna. Possiamo iniziare ad apprezzare le
cose spirituali che altrimenti avremmo considerato a buon prezzo. Questa disposizione d’animo ci
aprirà le porte del mondo spirituale, dove non si sono nascita, morte, vecchiaia o malattia.

L’Esempio di Srila Prabhupada

LUGLIO 1997: Quando lavorava allo Srimad-Bhagavatam era completamente trascendente alle sue
condizioni fisiche, nonostante le costanti palpitazioni cardiache, la voce fievole e le generale
debolezza. Perfino sedersi era difficile e tuttavia una volta che aveva cominciato a lavorare niente
poteva fermarlo. Parlando al microfono del suo dittafono, dimentico delle sue condizioni fisiche,
Prabhupada con pazienza e metodo descrisse il modo in cui il sacerdote della famiglia di Nanda
Maharaja, Gargamuni, compì la cerimonia del nome per il bambino Krishna. Nelle sue spiegazioni,
spesso Srila Prabhupada parlò delle sue esperienze e realizzazioni personali.
– Srila Prabhupada Lilamrita (Vol. 6, Cap. 8)

Vamshi Vihari Dasa è il vice-redattore di Bhagavad-darshan, l’edizione in hindi di BTG.

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