Gli esperimenti di Helmholtz

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Gli esperimenti di Helmholtz

Hermann von Helmholtz (Potsdam 1821- Berlino 1894)

Spetta a von Hermann von Helmholtz, dal 1849 al 1855 professore di fisiologia all’Università di
Königsberg e quindi di anatomia e fisiologia a Bonn, aver definitivamente chiarito alcune questioni
di base della scienza dei colori.
Un primo merito di Helmholtz è quello di aver definitivamente chiarito la differenza tra fenomeni
oggettivi (dovuti alla composizione spettrale della luce) e fenomeni soggettivi della percezione del
colore.

I raggi luminosi di diversa lunghezza d’onda e colore si distinguono, per quanto riguarda la loro
azione fisiologica, dalle note di diversa frequenza di vibrazione per il fatto che ogni coppia dei
primi che agiscano simultaneamente sulla stessa fibra nervosa dà luogo ad una sensazione semplice
nella quale anche l’organo più esercitato non può distinguere i singoli elementi componenti, mentre
due note, sebbene eccitino con la loro azione unitaria la sensazione peculiare dell’armonia o della
discordanza, possono tuttavia essere sempre singolarmente distinte dall’orecchio.

L’unione delle impressioni di due diversi colori in un singolo colore è evidentemente un fenomeno
fisiologico, che dipende unicamente dalla peculiare reazione dei nervi visivi. Nel puro dominio
fisico, tale unione non ha obiettivamente mai luogo. Raggi di colori diversi procedono fianco a
fianco senza una qualunque azione reciproca e sebbene all’occhio possano apparire uniti, possono
sempre essere separati uno dall’altro con, mezzi fisici.

Helmholtz pubblica i suoi primi lavori sul colore nel 1852, prima del fondamentale lavoro di
Grassmann. Nel primo di questi lavori attacca la teoria dei colori anti-newtoniana di Brewster. Nel
secondo si rivolge al problema dei Grundfarben (colori primari) e cerca di determinare mediante
esperimenti quanti e quali siano. Gli esperimenti gli indicano che non esistono tre colori in natura
che possano generare per mescolanza tutti gli altri senza eccezioni (da qui la critica a Brewster
che postulava tre colori primari).

Così Helmholtz ritiene di poter respingere la teoria dei tre recettori di Thomas Young, avanzando la
tacita ipotesi che le sensazioni di colore corrispondenti ai primari di Young dovessero essere
colori spettrali.

In questo lavoro Helmholtz enuncia tra l’altro la fondamentale distinzione tra mescolanze additive e
mescolanze sottrattive di colori, sfidando la secolare credenza che la mescolanza di luci si
comporti allo stesso modo della mescolanza di pigmenti: in questo tranello era caduto anche Newton
in uno dei suoi esperimenti. La mescolanza di due luci è additiva, quella di due pigmenti è
sottrattiva in quanto ogni pigmento assorbe una parte dei colori dello spettro. due tipi di
mescolanza obbediscono a regole completamente diverse.

Con il suo apparato sperimentale, progettato in modo che si potessero mescolare due colori spettrali
senza altre interferenze, Helmholtz prova che il modello usato per i pigmenti non funziona per le
luci: una luce gialla e una blu, se mescolate in giusta proporzione, producono luce bianca e non
verde (pigmenti gialli e blu danno verde). E la luce gialla stessa è una mescolanza di luce rossa e
verde.

I colori complementari

Un ulteriore risultati degli esperimenti di Helmholtz, come abbiamo ricordato nella pagina su
Grassmann, fu che mescolando giallo e indaco si può formare un colore con le stesse caratteristiche
percettive del bianco, cioè che giallo e indaco sono colori complementari. Helmholtz non era però
riuscito a trovare nessun’altra coppia di colori complementari, cioè la cui mescolanza desse il
bianco, e ipotizzò che fossero in generale richiesti tre colori, uno da ognuna delle tre parti in
cui lo spettro viene diviso da giallo e indaco.
Questi risultati erano conformi a quelli di Newton, il quale aveva scritto che non era mai riuscito
a produrre un bianco perfetto mescolando colori spettrali. Helmholtz quindi nei suoi primi due
articoli sul colore difende e conferma la posizione di Newton, stranamente senza mai farne esplicito
riferimento. Probabilmente Helmholtz riteneva che la regola baricentrica di Newton fosse
perfettamente valida nella mescolanza sottrattiva di pigmenti, ma probabilmente non valida nella
mescolanza di luci.

Dopo la dimostrazione generale di Grassmann che, secondo la teoria di Newton e secondo gli stessi
precedenti esperimenti di Helmholtz, esistono un numero infinito di coppie complementari nello
spettro, Helmholtz adotta immediatamente la interpretazione “continua” di Grassmann, perfeziona i
propri strumenti, ripete gli esperimenti e trova che i colori da rosso a giallo di lunghezza d’onda
2082 sono complementari ai colori da verde (1818) a violetto.

In contrasto con Grassmann (e con Newton) Helmholtz trova però che i colori compresi tra giallo e
verde, non hanno complementari ma possono essere neutralizzati con mescolanze di rosso e violetto, i
colori viola. Il luogo di queste sensazioni dei colori (non spettrali) viola è un segmento
rettilineo ch congiunge violetto e rosso. Quindi il diagramma non è più un cerchio.

Helmoltz inoltre però che secondo la regola del baricentro i colori spettrali non possono essere
considerati ugualmente saturi e quindi non possono essere equidistanti dal punto bianco, e quindi il
diagramma non è nemmeno un cerchio. In altre parole, nelle varie coppie di complementari, i due
colori entrano in quantità diversa, uno maggiore dell’altro. Per esempio con il giallo e l’indaco,
la quantità di indaco è minima in confronto a quella di giallo. Questi risultati sono espressi da
Helmholtz in un diagramma (provvisorio, poiché i suoi esperimenti non gli forniscono dati completi)
che comunque costituiscono una prima revisione del diagramma circolare di Newton e Grassmann.

Il diagramma cromatico di Helmholtz

Nel 1856 Helmholtz pubblica la prima parte dell’Handbuch der physiologischen Optik, considerata tra
le più importanti opere della scienza europea del secolo scorso, le cui successive parti furono
pubblicate nel 1860 e 1867.
Nel 1869 J. J. Müller, sotto la direzione di Helmholtz, ripete gli esperimenti con apparecchi
perfezionati e trova che i colori dal rosso ad un verde/giallo possono essere, in modo approssimato,
disposti su un segmento retto. E così anche per i colori dal violetto ad un verde/azzurro. Tra
questo verde/giallo e questo verde/azzurro la curva è invece propriamente convessa.

Con questi esperimenti Helmholtz avvia quindi la revisione del cerchio cromatico di Newton, la cui
ipotesi che i colori dello spettro fossero disposti in un certo modo sulla circonferenza di un
cerchio va quindi via via precisandosi: non si tratta di un cerchio ma di una curva chiusa da un
segmento rettilineo.

Helmholtz tuttavia non introduce nessuna tecnica sistematica di sperimentazione pratica per la
precisa determinazione della curva. Grassmann aveva tracciato la teroia, Helmholtz l’aveva precisata
con importanti esperimenti, ma spetterà a Maxwell trasformare tutto questo in una procedura
matematica per la determinazione della forma del diagramma cromatico.

Tre tipi di coni (ed uno di bastoncelli)

Pur avendola considerata e respinta nel 1852, nel libro di ottica fisiologica del 1866, Helmholtz
adotta la tesi di Young (cioè che il colore dipende da un mosaico retinico di tre tipi di
recettori), che diviene da allora nota con il nome di teoria Young-Helmholtz (in precedenza
Helmholtz aveva sostenuto che tale ipotesi non fosse corretta in quanto i suoi esperimenti
mostravano che erano necessari cinque primari per produrre tutti i colori spettrali, ma dopo averla
meglio verificata cambiò idea).
La prova definitiva a favore dell’ipotesi di Young fu ottenuta tuttavia solo nel 1959 quando,
esaminando al microscopio la capacità di singoli coni di assorbire luce di diverse lunghezze d’onda,
due gruppi di ricercatori americani scoprirono solo tre tipi di coni. Assieme ai bastoncelli (che
sono di un solo tipo e sono responsabili della capacità di vedere con poca luce e in bianco e nero),
i tre tipi di coni formano i recettori visivi della retina.

La risposta dei coni agli stimoli di colore non sono “esclusive”. Oggi sappiamo che il primo tipo
reagisce con la massima intensità agli stimoli di 430 nm (nanometri) che corrisponde ad un blu, ma
anche a tutti gli stimoli tra 400 e 500 nm; il secondo tipo massimamente agli stimoli di 530 nm, un
verde, ma anche a tutti gli stimoli che vanno dal blu all’arancio; e il terzo agli stimoli di 560 nm
(un rosso) ma anche a tutti gli stimoli che vanno dal blu al rosso.

Nel diagramma qui sopra, la scala di sensibilità è logaritmica e l’asse delle x non rappresenta
assorbimento zero; anche al di sotto dell’asse delle x esiste un assorbimento, anche se
relativamente minore.
Come si vede dalle curve, non esistono tre colori “primitivi” esclusivi. Come dice Hubel se è
opportuno chiamare primari una serie di colori, allora la serie deve comprenderli tutti e quattro:
rosso, blu, giallo e verde … [e] il motivo per il quale tutti e quattro sono candidati al titolo
di colori primari ha poco a che fare con i tre tipi di coni e molto invece con i circuiti successivi
nella retina e nel cervello.

Riferimenti bibliografici

Le opere complete di Helmholtz sono raccolte in
Wissenschaftliche Abhandlungen von Hermann von Helmholtz, 3 volumi, Leipzig, J. A. Barth, 1892-1895

Gli articoli di Helmholtz sul colore sono

(1852) “Über Herrn D. Bewster’s neue Analyse des Sonnenlichts”, Poggendorff’s Annalen der Physik und
Chemie 86 501-523

(1852) “Über die Theorie der zusammengesetzen Farben”, Poggendorff’s Annalen der Physik und Chemie
87 45-66 e in Arch. f. Anat., Phys. u. wiss. Med., 1852, pag. 461-482 trad. ingl. “On the theory of
compound colours” in Philosophical Magazine, Serial 4, 4, 519–535.

(1855) “Über die Zusammensetzung von Spectralfarben” Poggendorff’s Annalen der Physik und Chemie 94
1-28

ed anche in

(1866) Handbuch der physiologischen Optik, L. Voss, Hamburg, 1866

www.boscarol.com/pages/storia/15-helmholtz.html

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