E’ arrivata l’Internet quantistica (o forse no)

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E’ arrivata l’Internet quantistica (o forse no)

17 febbraio 2018

Le reti che sfruttano fenomeni della fisica quantistica come l’entanglement e il teletrasporto
potrebbero garantire un balzo in avanti in termini di capacità di calcolo, sicurezza e opportunità
di ricerca scientifica. Ma nonostante i notevoli progressi, ancora non è facile prevedere quando le
reti quantistiche diventeranno realtà

di Davide Castelvecchi/Nature

Prima di diventare una fisica teorica, Stephanie Wehner era una hacker. Come la maggior parte delle
persone in quell’ambiente, ha imparato tutto da sola fin dalla giovane età. A 15 anni, aveva speso i
suoi risparmi per acquistare il suo primo modem analogico da usare a casa dei suoi genitori a
Würzburg, in Germania. E a vent’anni aveva già una reputazione sufficiente a ottenere un lavoro ad
Amsterdam, presso un provider Internet olandese gestito da altri hacker.

Qualche anno dopo, mentre lavorava come network-security specialist, Wehner si era iscritta
all’università. Lì aveva imparato che la meccanica quantistica offre qualcosa che manca
disperatamente alle reti attuali: il potenziale per rendere le comunicazioni inviolabili. Ora sta
trasformando la sua vecchia ossessione in una nuova aspirazione. Vuole reinventare Internet.

La capacità delle particelle quantistiche di vivere in stati indefiniti – come il proverbiale gatto
di Schrödinger, sia vivo sia morto – è usata da anni per migliorare la crittografia dei dati. Ma
Wehner, ora alla Delft University of Technology, nei Paesi Bassi, e altri ricercatori sostengono che
la meccanica quantistica potrebbe essere usata per fare molto di più, sfruttando la misteriosa
capacità della natura di collegare, grazie all’entanglement, oggetti lontani tra loro e
teletrasportare informazioni da uno all’altro. All’inizio tutto sembrava molto teorico, dice Wehner.
Ora “c’è la speranza di realizzarlo”.

I sostenitori affermano che un’Internet di questo tipo potrebbe aprire un intero universo di
applicazioni che non sono possibili con le comunicazioni classiche, come collegare tra loro computer
quantistici, costruire telescopi a risoluzione elevatissima usando osservatori molto distanti tra
lodo e anche definire nuovi metodi per rilevare le onde gravitazionali. Alcuni la vedono come una
cosa che un giorno sostituirà Internet nella sua forma attuale. “Personalmente, ritengo che in
futuro la maggior parte delle comunicazioni, se non addirittura tutte, saranno di tipo quantistico”,
afferma Anton Zeilinger fisico dell’Università di Vienna, che nel 1997 ha effettuato uno dei primi
esperimenti sul teletrasporto quantistico.

Un gruppo di Delft ha già iniziato a costruire la prima vera rete quantistica, che collegherà
quattro città dei Paesi Bassi. Il progetto, che dovrebbe concludersi nel 2020, potrebbe essere la
versione quantistica di ARPANET, una rete di comunicazione sviluppata dalle forze armate
statunitensi alla fine degli anni sessanta che ha aperto la strada all’Internet di oggi.

Wehner, che è coinvolta nel progetto, sta anche coordinando un progetto europeo più ampio, chiamato
Quantum Internet Alliance, che mira a estendere l’esperimento olandese su scala continentale. Come
parte di questo processo, lei e altri stanno cercando di riunire scienziati informatici, ingegneri
ed esperti di sicurezza della rete per progettare la futura Internet quantistica.

Molti dettagli tecnici devono ancora essere chiariti, e alcuni ricercatori sottolineano che è troppo
presto per dire esattamente quanto potrebbe offrire un’Internet quantistica. Ma pensando in primo
luogo alla sicurezza, Wehner spera di evitare le vulnerabilità che Internet ha ereditato da ARPANET.
“Forse avremo la possibilità di fare tutto bene fin dall’inizio”, afferma.

Chiavi quantistiche

Le prime proposte relative alle modalità di comunicazione quantistica risalgono agli anni settanta.
Stephen Wiesner, allora giovane fisico della Columbia University di New York, intuì il potenziale di
uno dei principi più basilari della meccanica quantistica, secondo cui è impossibile misurare una
proprietà di un sistema senza cambiarlo.

Wiesner suggerì che le informazioni avrebbero potuto essere codificate negli stati di oggetti come
atomi isolati, i cui “spin” possono puntare verso l’alto o verso il basso – come 0 e 1 di un bit
classico – ma possono anche trovarsi in entrambi gli stati contemporaneamente. Queste unità di
informazione quantistica sono ora comunemente chiamate bit quantistici, o qubit. Wiesner sottolineò
che poiché le proprietà di un qubit non possono essere misurate senza cambiare il suo stato, è anche
impossibile farne copie esatte o “cloni”. Diversamente, qualcuno potrebbe estrarre informazioni
sullo stato del qubit originale senza influenzarlo, semplicemente misurando il suo clone. In seguito
questo divieto divenne noto come teorema di no-cloning quantistico e si rivelò un vantaggio per la
sicurezza, perché un hacker non può estrarre informazioni quantistiche senza lasciare traccia.

Ispirati da Wiesner, nel 1984 Charles Bennett, informatico dell’IBM a Yorktown Heights, New York, e
il suo collaboratore Gilles Brassard, dell’Università di Montreal, in Canada, elaborarono uno schema
ingegnoso con cui due utenti possono generare una chiave di crittografia inviolabile, che solo loro
conoscono. Lo schema dipende dal fatto che la luce può essere polarizzata, in modo che le onde
elettromagnetiche oscillino in un piano orizzontale o verticale. Un utente converte una sequenza
casuale di 1 e 0 in una chiave quantistica codificata in questi due stati di polarizzazione e la
invia in streaming a un’altra persona. In una sequenza di passaggi, il destinatario misura la chiave
e stabilisce che la trasmissione non è stata disturbata dalle misurazioni di uno spione. Fiduciosi
nella sicurezza della chiave, le due parti possono quindi crittare qualsiasi messaggio costituito da
bit classici, per esempio un’immagine, e inviarlo come se fosse un qualsiasi altro messaggio
crittografato sull’Internet convenzionale o qualsiasi altro canale.

Nel 1989, Bennett guidò il gruppo che per primo dimostrò sperimentalmente questa “distribuzione
quantistica di chiavi” (quantum key distribution, QKD). Oggi, i dispositivi QKD che usano schemi
simili sono disponibili in commercio e generalmente sono venduti a organizzazioni finanziarie o
governative. ID Quantique, per esempio, un’azienda fondata nel 2001 a Ginevra, in Svizzera, ha
costruito un collegamento quantistico che ha protetto i risultati delle elezioni svizzere per oltre
dieci anni.

L’anno scorso, il satellite cinese Micius, nato da un’idea del fisico Pan Jianwei dell’Università
cinese di Scienza e Tecnologia a Hefei, ha effettuato alcune delle dimostrazioni più evidenti
dell’approccio. Usando una variante del protocollo di Bennett e Brassard, il satellite ha creato due
chiavi, poi ne ha inviata una a una stazione di terra a Pechino e un’altra a Vienna mentre ci
passava sopra. Un computer di bordo poi ha combinato le due chiavi segrete per crearne una nuova,
che ha trasmesso con un canale classico. Dotati delle loro chiavi private, i gruppi di Vienna e di
Pechino potevano decifrare quella chiave combinata essenzialmente sottraendo la propria, e conoscere
così la chiave segreta dell’altro. Con entrambe le chiavi, una squadra poteva decodificare una
trasmissione che l’altra squadra aveva crittografato con la propria chiave. Lo scorso settembre, Pan
e Zeilinger hanno usato questo approccio per stabilire la prima videochat intercontinentale protetta
in parte con una chiave quantistica.

I satelliti come Micius potrebbero contribuire ad affrontare una delle principali sfide per rendere
sicure le comunicazioni quantistiche: la distanza. I fotoni necessari per creare una chiave di
cifratura possono essere assorbiti dall’atmosfera o, nel caso delle reti terrestri, da una fibra
ottica che rende impraticabile la trasmissione quantistica dopo diverse decine di chilometri.

Poiché gli stati quantistici non possono essere copiati, non è possibile inviare più copie di un
qubit nella speranza che ne arrivi almeno una. Al momento, quindi, la creazione di collegamenti QKD
a lunga distanza richiede la costruzione di “nodi fidati” che agiscano da intermediari. Se una
persona accedesse illecitamente a un nodo fidato, che gestisce le chiavi nelle loro forme sia
quantistiche sia classiche, sarebbe in grado di copiare le chiavi senza essere rilevato – e così,
naturalmente, potrebbe farlo il governo o l’azienda che gestisce il nodo. Questo vale sia per i nodi
fidati a terra sia per Micius. “Il satellite sa tutto”, dice Pan. Ma i satelliti in transito
potrebbero ridurre il numero di nodi fidati necessari per collegare punti distanti.

Pan sostiene che i nodi fidati sono già un passo avanti per alcune applicazioni, poiché riducono il
numero di punti in cui una rete è vulnerabile agli attacchi. Lo scienziato ha anche diretto la
creazione dell’estesa dorsale di comunicazione quantistica tra Pechino e Shanghai. Lanciata a
settembre, essa connette quattro città con 32 nodi fidati usando più di 2000 chilometri di fibra
ottica e attualmente è testata per comunicazioni bancarie e commerciali, come per esempio il
collegamento ai data center del gigante di shopping on line Alibaba, dice Pan.

Connessioni quantistiche

Ma le reti che coinvolgono i nodi fidati sono quantistiche solo in parte. La fisica quantistica ha
un ruolo solo nel modo in cui i nodi creano la chiave di crittografia; la successiva cifratura e
trasmissione delle informazioni è del tutto classica. Una vera e propria rete quantistica sarebbe in
grado di sfruttare entanglement e teletrasporto per trasmettere informazioni quantistiche su lunghe
distanze, senza la necessità di nodi fidati vulnerabili.

Una delle principali motivazioni per la costruzione di reti simili è permettere ai computer
quantistici di dialogare tra loro, sia tra paesi diversi sia in una stessa stanza. Il numero di
qubit che possono essere inseriti in un sistema informatico potrebbe essere limitato, per cui il
collegamento in rete dei sistemi potrebbe aiutare i fisici a incrementarlo. “Al momento è onesto
dire che probabilmente saremo in grado di costruire un computer quantistico con forse un paio di
centinaia di qubit”, dice Mikhail Lukin, fisico della Harvard University a Cambridge, in
Massachusetts. “Ma per andare oltre, l’unico modo è usare questo approccio modulare, che coinvolge
la comunicazione quantistica.”

Su scala più ampia, i ricercatori immaginano un cloud per il calcolo quantistico, con macchine
altamente sofisticate accessibili attraverso un’Internet quantistica dalla maggior parte dei
laboratori universitari. “La cosa più interessante è che anche questo calcolo quantistico su cloud è
sicuro”, dice Ronald Hanson, fisico sperimentale della Delft. “Le persone al server non sono in
grado di sapere che tipo di programma stai eseguendo e quali dati hai”.

I ricercatori hanno presentato tante altre proposte di applicazioni per Internet – come aste,
elezioni, negoziati contrattuali e scambi commerciali rapidi – che potrebbero sfruttare i fenomeni
quantistici per essere più veloci o più sicuri rispetto alle loro controparti classiche.

Ma l’impatto più grande di un’Internet quantistica potrebbe essere sulla scienza stessa. Secondo
alcuni ricercatori, la sincronizzazione degli orologi usando l’entanglement potrebbe migliorare la
precisione delle reti di navigazione simili al GPS da metri a millimetri. Inoltre, Lukin e altri
hanno proposto di usare l’entanglement per combinare orologi atomici distanti tra loro in un singolo
orologio con una precisione notevolmente migliorata, che, sempre secondo Lukin, potrebbe portare a
nuovi modi di rilevare le onde gravitazionali, per esempio. In astronomia, le reti quantistiche
potrebbero collegare telescopi ottici distanti migliaia di chilometri, in modo da dare loro la
risoluzione di una singola parabola che copre la stessa distanza. Questo processo, chiamato
interferometria a base molto ampia (very long baseline interferometry), è applicato di routine nella
radioastronomia, ma il funzionamento alle frequenze ottiche richiede una precisione temporale che
attualmente è fuori portata.

Sicurezza fantasmatica

Nell’ultimo decennio circa, gli esperimenti pionieristici di Christopher Monroe, fisico
dell’Università del Maryland a College Park, e altri hanno dimostrato i fondamentali necessari alla
costruzione di una rete veramente quantistica, come teletrasportare le informazioni codificate in
qubit da un luogo a un altro (si veda l’infografica di “Nature”).

Per vedere come funziona il teletrasporto (proposto anche da Bennett e Brassard), immaginiamo di
avere due utenti: Alice e Bob. Alice ha un qubit, che potrebbe essere uno ione intrappolato o un
altro sistema quantistico e desidera trasferire a Bob le informazioni in esso memorizzate. Per un
colpo di fortuna, Alice e Bob entrano in possesso di due particelle “proxy” – anch’esse qubit – che
sono entangled tra loro. Se Alice può stabilire un entanglement tra la sua particella proxy col
qubit, allora per estensione il qubit sarà anche entangled con la particella di Bob. Per fare ciò,
Alice esegue un particolare tipo di misurazione congiunta sulle sue due particelle. Poi condivide i
risultati della misurazione (che sono dati ordinari, classici) con Bob. Per completare il processo
di teletrasporto, Bob usa poi queste informazioni per manipolare la sua particella in modo che
finisca nello stesso stato in cui era originariamente il qubit di Alice.

Ai fini pratici, non importa come Alice e Bob ottengano le particelle proxy entangled. Potrebbero
essere singoli atomi consegnati in una valigetta, per esempio, o fotoni trasmessi alla coppia da un
terzo soggetto. (Lo scorso anno uno degli esperimenti di Micius ha inviato coppie entangled di
fotoni a due stazioni terrestri in Cina su una distanza record di oltre 1200 chilometri.) Alice e
Bob potrebbero anche generare un entanglement tra i qubit in loro possesso, inviando fotoni per
interagire in una terza posizione.

La bellezza del teletrasporto quantistico è che le informazioni quantistiche non viaggiano
tecnicamente lungo la rete. I fotoni che viaggiano sono usati solo per stabilire un collegamento tra
Alice e Bob in modo che l’informazione quantistica possa essere trasferita. Se una coppia di fotoni
entangled non riesce a stabilire una connessione, lo farà un’altra coppia. Ciò significa che
se anche si dovessero perdere i fotoni, non si perderebbe l’informazione quantistica.

Collega e ripeti

Un’Internet quantistica sarebbe in grado di generare entanglement su richiesta tra due utenti
qualunque. I ricercatori ritengono che questo implicherà l’invio di fotoni attraverso reti in fibra
ottica e collegamenti satellitari. Ma collegare utenti distanti richiederà una tecnologia in grado
di estendere la portata dell’entanglement, ritrasmettendolo da utente a utente e lungo punti
intermedi.

Nel 2001, Lukin e collaboratori hanno proposto un modo per far funzionare un ripetitore quantistico
del genere. Il loro schema prevede l’impiego di piccoli computer quantistici, che possono
memorizzare qubit ed effettuare semplici operazioni su di essi, per generare un entanglement tra un
qubit in una stazione a monte e uno a valle. Alla fine, l’applicazione ripetuta di questo processo
di “scambio di entanglement” lungo il percorso di una rete produrrebbe un entanglement tra due
utenti.

Nel 2015, Hanson e collaboratori hanno mostrato come costruire un pezzo di una rete quando hanno
collegato due qubit realizzati con impurità di un atomo in cristalli di diamante e separati da una
distanza di 1,3 chilometri. I fotoni emessi dai due qubit viaggiavano verso una stazione intermedia,
dove poi interagivano, stabilendo un entanglement. “Questo dimostra che si può veramente stabilire
un entanglement robusto e affidabile tra due elaboratori d’informazione quantistica distanti”, dice
Seth Lloyd, fisico del Massachusetts Institute of Technology.

I ricercatori stanno studiando altri modi per costruire e manipolare i qubit, compreso l’uso di
singoli ioni sospesi nel vuoto – di cui Monroe e altri sono i pionieri – e di sistemi che accoppiano
atomi e fotoni che rimbalzano tra due specchi all’interno di una cavità.

Come il sistema dei diamanti ideato da Hanson, questi qubit potrebbero essere usati per costruire
sia ripetitori quantistici sia computer quantistici. Fortunatamente per le persone che sperano di
aumentare le comunicazioni quantistiche, i requisiti per un ripetitore possono essere meno
stringenti rispetto a quelli per un computer quantistico completo. Iordanis Kerenidis, un
ricercatore che si occupa di calcolo quantistico all’Université Paris Diderot, ha proposto questa
argomentazione in un seminario sui ripetitori quantistici a Seefeld, in Austria, lo scorso
settembre. “Se dici ai fisici sperimentali che hai bisogno di 1000 qubit, ridono”, ha detto. “Se
dici loro che ne hai bisogno dieci… beh, ridono meno.”

La prospettiva di creare un’Internet quantistica sta diventando un problema di ingegneria dei
sistemi. “Da un punto di vista sperimentale, sono state dimostrate varie unità elementari” per le
reti quantistiche, afferma Tracy Northup, fisico dell’Università di Innsbruck, Austria, il cui
gruppo lavora su qubit in cavità e fa parte della Quantum Internet Alliance di Wehner. “Ma
mettendole insieme in un unico luogo, tutti vediamo quanto sia difficile”, afferma Northup.

Per il momento, il progetto europeo di Wehner è ancora in una fase iniziale e sta cercando
finanziamenti pubblici e partner privati. Nel frattempo, la rete dimostrativa olandese, guidata da
Hanson, è andata avanti. Hanson e colleghi hanno migliorato la velocità dei loro sistemi, che
nell’esperimento del 2015 hanno ottenuto 245 coppie entangled di qubit per un tempo equivalente a
circa nove giorni. Un’altra sfida cruciale è stata convertire in modo affidabile i fotoni dalle
lunghezze d’onda visibili che escono dai qubit a diamante a quelli più ampie, nell’infrarosso, che
possono viaggiare bene lungo le fibre ottiche; questo è un compito arduo, perché il nuovo fotone
deve ancora trasportare le informazioni quantistiche di quello vecchio, ma senza la possibilità di
clonarlo. All’inizio di quest’anno, Hanson e colleghi hanno raggiunto questo risultato facendo
interagire i fotoni con un fascio laser di lunghezza d’onda più grande. Questa tecnica permetterebbe
ai qubit di essere collegati su distanze di decine di chilometri su fibra.

Il gruppo di Hanson sta ora costruendo un collegamento tra Delft e L’Aia, a dieci chilometri di
distanza. Entro il 2020, i ricercatori sperano di aver collegato fino a quattro città olandesi, con
una stazione in ciascun sito che funziona come un ripetitore quantistico. In caso di successo, il
progetto sarebbe la prima vera rete di teletrasporto quantistico al mondo. Il gruppo mira ad aprirlo
ad altri gruppi interessati a effettuare esperimenti di comunicazione quantistica da remoto, proprio
come Quantum Experience di IBM, che permette a utenti in remoto di accedere a un computer
quantistico rudimentale.

La rete potrebbe essere un banco di prova per i ricercatori che sperano di risolvere alcuni dei
difetti di Internet, non ultima la facilità con cui gli utenti possono falsificare o rubare le
identità. “L’idea di poter entrare in una rete senza un’identità certa è un problema degli inizi”,
ha dichiarato all’incontro di Seefeld Robert Broberg, ingegnere di rete per CISCO, un colosso delle
apparecchiature per le telecomunicazioni. Wehner e altri hanno proposto tecniche quantistiche che
permetterebbero agli utenti di dimostrare la propria identità certificando di possedere il codice
segreto corretto (una serie di bit classici) senza mai trasmetterlo. Utente e server usano il codice
per creare una sequenza di qubit e inviarli a una “scatola nera” che si trova in mezzo. La scatola
nera – che potrebbe essere, per esempio, un bancomat – può quindi confrontare le due sequenze per
vedere se corrispondono, senza mai conoscere il codice sottostante.

Ma alcuni ricercatori mettono in guardia dal sopravvalutare la portata potenziale della tecnologia.
“L’Internet di oggi non sarà mai del tutto quantistica, non più di quanto saranno del tutto
quantistici i computer”, dice Nicolas Gisin, fisico dell’Università di Ginevra e co-fondatore di ID
Quantique. Inoltre molte delle cose che si sperano di ottenere con le reti quantistiche potrebbero
essere fatte con tecnologie più convenzionali. “A volte, all’inizio qualcosa sembra una grande idea,
poi però si capisce che può essere realizzata facilmente senza effetti quantistici”, dice Norbert
Lütkenhaus, fisico dell’Università di Waterloo, in Canada, che sta aiutando a sviluppare gli
standard per la futura Internet quantistica.

Solo il tempo potrà dire se la promessa di un’Internet quantistica si concretizzerà. Per quanto ne
sappiamo, il teletrasporto è un fenomeno che, sebbene fisicamente possibile, non avviene in natura,
dice Zeilinger. “Quindi tutto questo è nuovo per l’umanità. Potrebbe volerci del tempo”.

La familiarità di Wehner con la fisica e la sicurezza della rete l’ha resa un punto di riferimento
per le persone del settore. E dopo aver lavorato molto sulla teoria quantistica di base, sta
cogliendo l’opportunità di plasmare queste reti del futuro. “Per me – dice – è davvero il compimento
di un ciclo”.

(L’originale di questo articolo è stato pubblicato su Nature il 14 febbraio 2018. Traduzione ed
editing a cura di Le Scienze. Riproduzione autorizzata, tutti i diritti riservati.)
www.nature.com/articles/d41586-018-01835-3

dx.doi.org/10.1038%2F37539

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www.nature.com/articles/nature15759

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