(Bomba atomica) La prima storia non raccontata

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(Bomba atomica)

(Bomba atomica) La prima storia non raccontata

di Marco Saba

Tra i risultati di una ricerca condotta sulla storia dell’uranio, per la parte recente sull’uranio
impoverito per conto dell’Osservatorio Etico Ambientale, vi è sicuramente un risvolto molto
interessante che riguarda proprio l’inizio del progetto Manhattan.
Nel 1945 gli USA bombardarono il Giappone con due bombe atomiche, dopo aver effettuato la prima
esplosione ad Alamogordo nel New Mexico (16 luglio 1945 – attenzione alla data!).
Quello che i nostri lettori forse non sanno è da dove arrivava l’uranio utilizzato per queste ultime
due esplosioni, Hiroshima (6 agosto 1945) e Nagasaki (9 agosto 1945). Intanto occorre precisare che
si lanciarono due bombe sul Giappone, invece di una, per dimostrare che la prima non era l’unica e
ultima bomba atomica posseduta dagli USA.
E poi, e questa è la rivelazione, bisogna sapere che alcuni componenti fondamentali delle due bombe
arrivarono dalla… Germania, da un carico che si vuole in origine destinato ad uno scambio di
materiali bellici tra Hitler ed Hirohito, l’imperatore del Giappone. La versione comunemente
accreditata dice che le prime tre bombe atomiche vennero prodotte dagli USA con un costo di due
miliardi di dollari e cinque anni di lavoro di un’armata di scienziati di alto livello, con l’aiuto
della Gran Bretagna. E’ vero che gli USA avevano avuto successo nell’arricchimento dell’uranio – il
componente principale della bomba atomica – ma le prove scoperte indicano chiaramente che a causa
della fretta e dei ritardi tecnologici, solo grazie alla sorprendente opportunità di poter ottenere
dalla Germania i componenti necessari, che erano scarsi negli USA, fu possibile per il Progetto
Manhattan di completare le sue bombe in tempo per il bombardamento sul Giappone previsto per la fine
dell’agosto 1945.

Quello che scioccherà il lettore sarà lo scoprire che questi materiali non vennero catturati durante
una fortunata azione di guerra, bensì erano una contropartita di una transazione segreta tra la
Germania e gli USA: l’accordo prevedeva che i nazisti ricevessero una garanzia d’impunità, ancorché
vivendo nascosti per decenni dopo la fine della seconda guerra mondiale, dopo essere fuggiti
dall’Europa. Vi sono documenti degli Archivi di Stato degli USA a dimostrazione di questa tesi che
gettano luce anche sulla politica di alcuni presidenti statunitensi nei decenni successivi
all’armistizio. Si tratta proprio di effettuare una revisione storica di enorme portata, alla luce
dei dati e dei documenti acquisiti, che chiarirà molti aspetti altrimenti destinati a rimanere
oscuri.
Tra questi documenti vi è la lista dei materiali immagazzinati all’interno del sommergibile tedesco
(Unterseeboot) U-234 XB, tra i quali troviamo 560 kg di ossido di uranio in dieci contenitori ed
altre tecnologie belliche naziste che all’epoca erano allo stato dell’arte. Ad esempio, due aerei
jet da caccia Messerschmidt 262 completamente smontati (il Messerschmidt fu il primo aviogetto e
venne utilizzato durante la seconda guerra mondiale).

Inoltre vi erano i silenziosi siluri a propulsione elettrica e vari progetti tra cui quelli per
costruire i temuti missili V-2 a propulsione chimica ed i proiettili all’uranio impoverito destinati
alla difesa contraerea. Un Messerchmidt 262 Schwalbe.
Le casse contenenti i caccia Me262 vennero trasferite presso la base aerea di Wright Field, Dayton
(Ohio), dove l’ingegnere Bingewald provvide a ricostruirne un esemplare che, a quanto pare, volò nel
maggio/giugno 1945. In seguito Bringewald diventerà il direttore del progetto per la costruzione del
nuovo caccia a reazione F-105 Thunderchief (primo volo il 22/10/1955) ed era semplicemente
l’evoluzione di un precedente (ma riuscitissimo) caccia: l’F-84 thunderjet, il quale fu impiegato in
maniera considerevole dagli USA
nel dopoguerra, nella guerra di Corea e nelle prime fasi della guerra del Vietnam prima di essere
sostituito proprio dall’ F-105.
(Anche se appare illogico che gli USA volessero copiare il motore a reazione tedesco dato che
nè disponevano uno nel ’42 (il Bell P-59 Airacomet, il quale compì il suo primo volo già il
1/10/1942) semmai la cosa può essere spiegata dal fatto che gli USA volessero capire fino a che
punto si era spinta la ricerca tedesca. Servì insomma per aiutare gli ingegneri americani – Ndr).

L’esistenza del sottomarino U-234 (dal nome troppo casualmente corrispondente ad un isotopo
dell’uranio) e del suo carico è un argomento di cui ogni tanto si vagheggia. L’elemento clou della
discussione consiste nella seguente domanda: il carico trovato nel sommergibile è stato utilizzato
nella guerra contro il Giappone? Fino ad oggi non vi erano prove, non lo si poteva dimostrare. Il
primo indizio importante ritrovato consiste nella scoperta di un dispaccio segreto del Comando delle
Operazioni Navali di Washington che indicava che l’uranio era stato immagazzinato per il trasporto
in barili assieme a dell’oro. Ricerche successive mostrarono che l’oro, che è un metallo molto
stabile, era semplicemente usato per poter maneggiare l’uranio già arricchito e allo scopo di
evitare la contaminazione e la corrosione. L’uranio arricchito è una componente essenziale per la
costruzione della bomba atomica, poiché è fissile.
In valuta del 1945, una oncia di uranio valeva 100.000 dollari, quindi non stupisce che si usasse
dell’oro per isolarlo. L’oro non sarebbe stato usato se l’uranio trasportato fosse stato uranio
naturale e non del tipo arricchito, poiché il valore dell’uranio naturale non avrebbe giustificato
la spesa. Negli Stati Uniti, all’epoca, l’uranio naturale veniva trasportato in barili di acciaio o
contenitori imbottiti senza alcun tipo di protezione contro la corrosione.

Un’altra prova del fatto che l’uranio trasportato dall’U-234 era uranio arricchito, viene dalla
testimonianza di un marinaio del sommergibile che era presente al caricamento ed allo scaricamento
dell’imbarcazione. Questo marinaio ha raccontato in due memorie che i container dell’uranio avevano
la scritta “U-235” (nome ancora troppo casualmente corrispondente ad un isotopo dell’uranio)
dipintavi sopra poco prima dell’imbarco. La sigla U-235 è quella che scientificamente indica
l’isotopo 235 dell’uranio, ovvero l’uranio cosiddetto arricchito. Quello che rimane dal processo
estrattivo, è invece il cosiddetto uranio impoverito, ovvero un uranio privato di circa la metà
della quantità dell’isotopo U-235 normalmente presente nell’uranio naturale (ovvero 0,3 % invece del
normale 0,7 %).
Lo stesso sommergibilista racconta che il personale della Marina degli Stati Uniti in seguito ha
testato con dei contatori geiger alcune parti del sommergibile per verificarne la radioattività. Gli
strumenti registrarono una forte contaminazione radioattiva. Senza capire il significato della
scritta U-235, il marinaio pensava che l’uranio fosse stato dimenticato in Germania prima della
partenza. Ovvero nel reattore per la produzione di plutonio che non funzionò ma che venne ampiamente
pubblicizzato. Ma anche se prove evidenti dimostrano che l’uranio contenuto nel sommergibile era
uranio arricchito, questo non vuol dire automaticamente che fosse stato usato nel conflitto col
Giappone.

Per provare che questi due episodi sono collegati, abbiamo copie di documenti degli archivi
nazionali USA che dimostrano dei collegamenti tra il progetto Manhattan e il sommergibile U-234. Uno
dei documenti è un cablogramma segreto, sempre dal comando navale di Washington, che ordina ad una
pattuglia di tre uomini di prendere possesso del carico dell’U-234. Secondo il documento
l’accompagnatore dei due uomini era il Maggiore John E. Vance del corpo del genio (l’Army Corps
Engineer), il corpo che lavorava al progetto Manhattan. Altri documenti mostrano che poco dopo
l’arrivo di Vance, quando venne fatto un ulteriore inventario del carico, l’uranio era scomparso dai
materiali in carico alla Marina. Alcune trascrizioni di telefonate che avvennero circa una settimana
dopo tra due agenti segreti del progetto Manhattan, attestano che il carico di polvere di uranio era
consegnato ed affidato esclusivamente ad una persona indicata solo come “VANCE”.
Sarebbe una coincidenza poco probabile che si tratti di un altro Vance e non dell’ufficiale che
aveva fatto il sopralluogo sul sottomarino, e addirittura che si tratti di un’altra polvere di
uranio e non quella catturata nell’imbarcazione. Un secondo collegamento documentario tra il
Progetto Manhattan e l’U-234, che trasportava otto persone che non erano della ciurma oltre al
pericoloso carico, era che due delle persone catturate avevano avuto contatti con un sedicente
ufficiale dei servizi della Marina USA identificato in altri documenti come “Comandante Alvarez” o
“Signor Alvarez”.
(nella stessa occasione (3 maggio, a Urfeld liberata) “catturarono” anche Heisemberger, il
“cervello” atomico più ambito dagli Usa.)

Questa persona -Alvarez- è quella -guarda caso- che ha preso in carico il prigioniero Dott. Heinz
Schlicke, uno degli scienziati a bordo del sommergibile, che era appunto diventato prigioniero di
guerra. Il Dott.Schlicke era un esperto di tecnologia delle alte frequenze, come ad esempio il radar
e gli infrarossi. Cercando tra gli allievi ufficiali dell’Esercito e gli ufficiali di Marina tra il
1943 ed il 1945 non si sono trovati nominativi corrispondenti ad “Alvarez”. Ma si sa che il Generale
Groves, capo del progetto Manhattan, era solito fornire coperture militari a scienziati del progetto
Manhattan per lasciarli operare più agevolmente, quando necessario, all’interno della struttura
militare.
Infatti troviamo Luis W. Alvarez indicato come uno degli eroi del progetto Manhattan e si tratta
proprio dell’Alvarez che era chiamato “Comandante Alvarez”, travestito da militare per ottenere
informazioni scientifiche più facilmente dal Dott. Dr. Heinz Schlicke. Proprio Luis Alvarez era lo
scienziato che all’ultimo momento tirò fuori dal cilindro la soluzione per far detonare
contemporaneamente i 32 inneschi della seconda (in realtà della terza bomba, essendo stato tenuto
nascosto fino a pochi anni fa il test ad Alamogordo), quella al plutonio, la bomba poi sganciata su
Nagasaki.

E pensare che prima di questa improvvisa soluzione gli uomini del Progetto Manhattan avevano
lavorato un anno e mezzo senza cavare un ragno dal buco. Proprio Alvarez, secondo documenti
dell’archivio di stato, era a capo dell’equipe di tre scienziati incaricati di trovare la soluzione
per gli inneschi. Il Dott. Schlicke, mentre era a bordo del sommergibile, aveva in carico un nuovo
sistema d’innesco a base raggi infrarossi. Ancora in un cablogramma segreto possiamo trovare traccia
del fatto che Schlicke venne riaccompagnato a bordo del sommergibile da due ufficiali per ritrovare
gli inneschi agli infrarossi che vi erano rimasti. Questi inneschi funzionano sul principio della
luce ed alla velocità della luce.
La prima bomba USA ad implosione, quella del New Mexico, aveva un sistema di innesco multi-punto
basato su detonatori filocomandati e solamente in seguito si passò ad un sistema di accensione
basato sulla luce per proteggerlo dalle interferenze elettromagnetiche che avrebbero potuto
provocare un innesco accidentale. Allora si usavano come inneschi dei “thyrotron” all’idrogeno ad
alta tensione prodotta da alimentatori ad alta tensione collegati con fili elettrici alla testata.
Il sistema descritto invece è molto simile a quello del flash. Questo sistema d’innesco della
detonazione è molto più accurato e meno suscettibile all’interferenza dei campi elettromagnetici. Le
prove mostrano che Alvarez ed il Comandante Alvarez erano la stessa persona, inoltre Alvarez usò la
tecnologia ad infrarossi del Dott. Schlicke per accendere simultaneamente i 32 inneschi risolvendo
così il problema dell’accensione della bomba al plutonio, quindi la sua trasportabilità, quindi il
suo impiego come arma.

Alvarez, prima di essere assegnato al progetto Manhattan, lavorava sulla tecnologia delle alte
frequenze, incluso il radar, lo stesso campo in cui Schlicke era un esperto. Sulla base dei
curriculum di chi era addetto al progetto Manhattan, solo Alvarez avrebbe potuto essere
l’interlocutore di Schlicke negli USA. Dopo la guerra, il Dr. Schlicke divenne uno dei tanti assunti
a contratto nel progetto segreto denominato “Operazione Paperclip”.
Luis Alvarez vinse il premio Nobel 1968 per la fisica per il suo studio sulle alte frequenze, fu
lui a costruire nel dopoguerra a Berkeley il primo acceleratore lineare di particelle elementari, e
fu anche quello che propose la teoria, all’epoca derisa, secondo la quale i dinosauri si sarebbero
estinti a causa di un meteorite che avrebbe colpito la terra.

Queste rivelazioni sul sommergibile U-234 ed i suoi passeggeri sono destinate a causare delle
discussioni tra gli studiosi e gli appassionati della Seconda Guerra Mondiale, ma certamente il
fatto che tutto sia basato su un accordo tra i nazisti e gli americani accenderà ancor più il
dibattito. Esiste infatti tutta una serie di prove che testimoniano del fatto che gli alti ufficiali
di Hitler avevano avuto contatti con alti ufficiali dei servizi USA e con militari per fare
l’accordo dello scambio tra l’U-234 e la loro libertà.
Ad esempio, Martin Bormann capo del partito nazista e segretario personale di Hitler, probabilmente
l’uomo più potente nell’entourage di Hitler, trattò lo scambio col sommergibile U-234 prima della
caduta di Berlino nell’aprile 1945. Alcuni storici sostengono che Bormann morì durante la fuga da
Berlino il primo maggio 1945 (vedere cfr.: www.us-israel.org/jsource/Holocaust/bormann.html).

La “prova” principale proviene dalla testimonianza dell’autista di Hitler, Erich Kempka e di Arthur
Axmann, capo della gioventù hitleriana, i quali erano profondamente legati e furono fedeli al
nazismo fino alla loro morte. Almeno per questo le loro motivazioni sono da considerare sospette.
Nonostante che nessuno dei due avesse detto di aver visto con certezza Bormann morto, tuttavia
questa è la tesi che viene normalmente accreditata. Bormann venne condannato in contumacia per
crimini di guerra durante il processo di Norimberga e venne elevata una taglia sul suo arresto che
venne mantenuta per molti anni. Addirittura un mandato di cattura venne emesso nella Germania Ovest
nel 1967 sulla base di varie testimonianze che lo davano per vivo e vegeto. Vennero fatti molti
avvistamenti di Bormann nei trent’anni che seguirono la guerra. La pretesa tomba del compagno di
fuga di Bormann, il capo della Gestapo Heinrich Mueller (ma altri dicono che il suo compagno di fuga
fosse il dottor Stumpfegger) venne dissotterrata nel 1963 e si trovò che conteneva tre scheletri, ma
nessuno dei quali corrispondenti a Mueller (e tantomeno Stumpfegger).

La storia tradizionale contiene molte lacune. L’ultima versione attesta che Bormann ed il capo della
Gestapo Mueller, cercarono di scappare insieme passando attraverso i sotterranei attorno alla
Cancelleria del Reich prima di incontrare la morte in uno scontro sulla strada, il corpo di Bormann
sarebbe stato poi avvistato nella Invalidenstrasse, a nord del fiume Spree a Berlino. E’ possibile
che siano scappati assieme, ma quello che non torna è che i sotterranei furono allagati dalle SS
causando tra l’altro la morte di migliaia di donne e bambini che vi si erano rifugiati per sfuggire
ai bombardamenti o perché le loro case erano state bombardate. Le SS inondarono i sotterranei per
evitare che le truppe Russe si avvicinassero in segreto ed attaccassero il bunker di Hitler dal di
sotto.
La storia della fuga attraverso i sotterranei si dimostra una montatura predisposta per facilitare
la fuga di Bormann e di Mueller. Ma questa versione non teneva conto del fatto che le SS avrebbero
allagato questi sotterranei. Una versione più plausibile, logica e credibile, della fuga di Bormann
venne raccontata dagli agenti dell’intelligence di Josif Stalin. Stalin stesso disse a Harry
Hopkins, consulente politico e uomo di fiducia dei Presidenti Roosevelt e Truman, in seguito
segretario di Stato, che gli agenti sovietici gli avevano riferito che Bormann era fuggito a notte
fonda il 29 aprile, da Berlino, con un piccolo aereo ed in compagnia di tre uomini, uno vistosamente
bendato, ed una donna. Da quel punto, Stalin continua, i suoi agenti ne avrebbero seguite le traccie
fino ad Amburgo dove si sarebbe imbarcato in un grande U-boat e avrebbe lasciato la Germania.

Molti dettagli suonano plausibili. Per esempio, si sa che mentre Berlino era bombardata e l’élite
nazista era presa dal panico od era fuggita, Martin Bormann mantenne contatti radio segreti con
l’Ammiraglio Karl Doenitz (anche lui non finì sulla forca a Norimberga, se la cavò con qualche anno
di prigione (!?)) il comandante di tutti gli U-boat della Germania, e che aveva fatto progetti per
scappare dal quartier generale dei sommergibili di Doenitz. Doenitz all’inizio fece resistenza ma
alla fine ricevette ordini da Hitler (presumibilmente su indicazioni di Bormann) per accogliere
Bormann al suo quartier generale.
(MA ALLORA SORGE IL DUBBIO, PERCHE’ ACCOGLIERE BORMANN E NON ANCHE LUI ?)

Ma vediamo nel dettaglio gli elementi a disposizione:

1) Hanna Reitsch, la famosa donna pilota amica di Hitler che faceva da controcanto ad Amelia
Earhart, nella sua biografia descrive come aveva fatto fuggire il Generale dell’Aviazione tedesca
Ritter von Greim, appena promosso da Hitler a capo della Luttwaffe, fuori Berlino e a notte fonda
negli ultimi giorni di guerra. Altre testimonianze confermano il volo nel 29 aprile 1945, la stessa
notte di cui riferiscono gli agenti di Stalin a proposito della fuga di Bormann su di un piccolo
aereo. La Reitsch racconta di come andarono al quartier generale di Doenitz “per un ultimo saluto al
Grande Ammiraglio Doenitz” prima di volare a sud verso il confine svizzero-austriaco. Una strana
deviazione di centinaia di chilometri con a bordo l’importante Generale von Greim gravemente
ferito… Si trattava di qualcosa di più che di un viaggio per fare un saluto. (C’ERA SU ANCHE
HITLER?)

2) Un altro racconto sulla fuga del capo della Gestapo Heinrich Mueller, segue un percorso simile,
ma qui si dice che Bormann è fuggito da solo da Berlino. In questa versione, Mueller si sarebbe
allontanato dalla capitale Berlino la stessa notte del racconto della Reitsch, in un aereo Fieseler
Storch, lo stesso aereo della storia della Reitsch, nelle stesse circostanze descritte da lei.
Mueller non parla di un volo per incontrare per l’ultima volta l’Ammiraglio Doenitz, ma parla di un
volo diretto al confine austro-svizzero molto simile a quello raccontato dalla Reitsch.

Ci sono evidentemente delle discrepanze tra queste storie, come ci sono in tutte le storie relative
a quegli eventi. E’ difficile sapere qual’è quella vera e quella prefabbricata, ma la somiglianza
dei racconti con il rapporto degli agenti di Stalin che parlano di tre uomini, uno ferito, ed una
donna che lasciavano Berlino a bordo di un piccolo aereo sono evidenti. Di fatto Stalin identifica
Bormann e Mueller per nome, poi parla di un uomo molto bendato che corrisponde proprio alla
descrizione del von Greim del tempo. La donna poteva benissimo essere Hanna Reitsch, probabilmente
l’unica donna al mondo che ci si aspetterebbe di trovare in simili circostanze, in quel posto ed in
quel momento. Le tre versioni sono troppo simili per non apparire interconnesse tra loro.
L’operatore radio dell’U-234 descrive come a metà aprile aveva ricevuto almeno un messaggio su una
frequenza ad alta priorità (e probabilmente almeno un altro in codice) direttamente dal bunker di
Hitler a Berlino mentre il sommergibile era di stanza a Kristiansand in Norvegia. L’ordine recitava:
“U-234. Salpate solamente su ordini di alto livello. Quartier generale del Fuerher.” Questo implica
varie cose, tra cui il fatto che c’era qualche tipo di collegamento ed accordo tra l’U-234 e
qualcuno nel quartier generale di Hitler. Un ordine successivo di Doenitz sembra che voglia cercare
di far tornare l’U-234 sotto la sua autorità. Probabilmente disse: “U-234. Salpa solo su miei
ordini. Non salpare di tua iniziativa.”

Il sommergibile U-234 era il più grande della flotta della Marina tedesca. Salpò dopo poche ore
diretto da Kristiansand verso sud, proprio verso Amburgo dove le spie di Stalin avevano affermato
che Bormann vi sarebbe salito nelle prime ore del mattino del primo maggio 1945.
Anche tra questi racconti ci sono delle discrepanze, come ad esempio il fatto che ci sarebbe voluto
solo un giorno per una imbarcazione come l’U-234, per raggiungere Amburgo da Kristiansand. Mentre
secondo i dati, l’U-234 lasciò Kristiansand a metà aprile e non avrebbe imbarcato Bormann che il
primo maggio. Ma dell’U-234 non si sarebbe più saputo niente fino al 12 maggio 1945, un mese dopo
aver salpato da Kristiansand. Allora l’U-234 era localizzato a 500 miglia da Newfoundland. Se
l’imbarcazione avesse seguito la rotta attribuitagli dal suo capitano e dalla storia che dice che
era diretta in Giappone, allora avrebbe viaggiato ad una velocità di un miglio e mezzo all’ora,
ovvero meno che a passo d’uomo. Molto più lentamente della velocità tipica di quella imbarcazione.

In realtà si pensa che l’U-234 abbia pattugliato il mare del nord silenziosamente secondo dei piani
prestabiliti tra Bormann ed il quartier generale di Hitler, finché Bormann non fosse stato in grado
di trovare un accordo con Doenitz. Mentre si avvicinava la fine della guerra, l’imbarcazione si
avvicinò alla baia di Amburgo col favore della notte e prese a bordo Martin Bormann e Heinrich
Mueller (E PERCHE’ NON HITLER?) Dopodiché continuò il suo viaggio facendo tappa in Spagna (dove si
trovava la struttura di intelligence tedesca che si occupava del sud america, chiamata “Sofindus”)
per scaricare Bormann ed infine arrendersi alla flotta USA sempre sotto accordi misteriosi.
Bormann venne poi avvistato nel 1946 in un monastero del nord Italia. Nello stesso anno sua moglie
Gerda (una nazista fanatica, figlia del Giudice Supremo del Partito Walter Buch) morì di cancro nel
Sud Tirolo (alle ore 22,30 del 23 marzo 1946, all’ospedale di Merano; ed è sepolta nel cimitero di
questa città) ma i suoi dieci figli sopravvissero alla fine della guerra. Pare poi che Bormann sia
scappato via Roma, come altri fedeli nazisti, in America Latina (Cile, Argentina, Brasile?). Dicono
che abbia vissuto da miliardario in Argentina e che fu visto anche in Brasile ed in Cile. Una
negoziazione portata avanti con successo tra Bormann e Doenitz spiegherebbe non solo lo scambio di
messaggi radio ma anche perché Doenitz, che non aveva esperienza politica e nessun seguito degno di
nota, diventò improvvisamente il successore designato di Hitler. (CHE METTE IN SALVO LUI E NON PENSA
A SE STESSO?)
Una serie di eventi altrimenti inspiegabili sarebbe così chiarita dagli accordi segreti che
trovarono il compimento nel giorno della resa in mare il 16 maggio 1945.

Il sommergibile venne trasferito a Portsmouth, nel New Hampshire, il 19 maggio 1945. Alcuni
giornalisti ne furono testimoni. Infine c’è una fotografia presa da un fotoreporter di un giornale
locale, quando l’U-234 era all’ancora, che mostra un misterioso prigioniero civile molto somigliante
a Heinrich Mueller. Questi sbarcò dalla navetta che era usata per sbarcare il personale dall’U-234.
L’uomo nella foto è proprio l’ex capo della Gestapo che sbarca sul territorio americano. La sua
missione consisteva nell’assicurarsi della consegna del materiale per le bombe atomiche e di altro
materiale che era stato concordato con gli USA, in cambio dell’immunità e della protezione per i
nazisti che l’hanno ricevuta per decenni fino ad oggi.
Il 20 novembre 1947, il sommergibile U-234 venne affondato con un siluro dalla USS Greenfish durante
degli addestramenti, a circa 40 miglia a nord-est di Cape Cod sulla costa orientale USA.

Dopo il suicidio di Hitler (VERO?) il suo delfino Martin Bormann, da lui nominato nel testamento
del 29 aprile 1945, fece un patto con il servizio segreto Usa, l’Oss all’epoca guidato da Allen
Dulles: in cambio di un sommergibile pieno di scienziati e materiali tecnologicamente innovativi, si
assicurò l’immunità per sé e per alcuni altri gerarchi nazisti. (MENO HITLER?)
Si trattava del sommergibile “Unterseeboot 234 XB”. Tra i graziati vi era anche Heinrich Muller, un
feroce capo delle SS. Il sommergibile partì da Amburgo e portò Muller e Bormann nel golfo di Biscay
in Spagna dove li attendeva un’altra imbarcazione. Dopodiché continuò il viaggio verso gli Usa per
arrendersi il 14 maggio alla nave Uss Sutton.

Ecco l’elenco di parte delle 300 tonnellate del prezioso carico: 560 chili di uranio arricchito
(ossido di uranio 235), 465 chili di atabrina (chinino sintetico), benzil cellulosa (utilizzabile
come moderatore per un reattore nucleare), tre aerei Messerschmitt smontati, proiettili anticarro (i
precursori degli attuali proiettili all’uranio impoverito), tre tonnellate di progetti vari, alcuni
tipi di bombe ed altro.
Ufficialmente gli Usa non dicono che l’uranio trovato era arricchito, tuttavia in un documento di
disciplina militare del 1995 firmato da McNair ed intitolato “Risposte radicali a regimi radicali”,
troviamo: ”… il sommergibile da trasporto tedesco aveva 550 chili di uranio non specificato… ”.
Una richiesta di chiarificazione sulla reale natura dell’uranio, avanzata da parte della Cnn a metà
degli anni Novanta, si è scontrata con l’opposizione da parte del governo Usa, del segreto per
motivi di sicurezza nazionale. E già, perché con tutti quei soldi e mezzi che avevano dispiegato nel
progetto Manhattan, nel novembre 1944 erano solo riusciti a produrre pochi grammi di uranio
arricchito… poi arriva il sommergibile nazista, a maggio, ed ai primi di agosto le bombe sono già
pronte! Salvato in corner quindi tutto lo staff del progetto che avrebbe altrimenti dovuto
faticosamente giustificare il fallimento del progetto più costoso della storia degli Usa.

Sarebbe lungo qui elencare tutta la documentazione che prova senza ombra di dubbio che: 1) senza
l’uranio del sommergibile non sarebbe stato possibile fabbricare la bomba all’uranio di Hiroshima;
2) senza la benzil cellulosa, usata come moderatore, non sarebbe stato possibile sintetizzare il
plutonio; 3) senza l’aiuto dello scienziato Schickle che era a bordo del sommergibile, il suo
contraltare americano nel progetto Manhattan, Louis Alvarez, non sarebbe riuscito a progettare in
tempo l’innesco ad implosione per la bomba al plutonio di Nagasaki! Altri due scienziati, ingegneri
aeronautici che erano a bordo del sommergibile, vennero riciclati all’interno dell’industrie
Fairchild da cui uscirà negli anni cinquanta il famoso aviogetto F-105 usato nella guerra del
Vietnam.
Si trattava di August Bringewald (ma guarda un po chi è costui !) braccio destro dello stesso Willi
Messerschmitt, e di Franz Ruf, che assieme avevano partecipato in Germania alla costruzione del
Messerschmitt 262 Schwalbe, il primo aviogetto.

Operazione “graffetta”. Per arrivare a costruire la bomba atomica, così vuole la tradizione, vennero
spesi due miliardi di dollari in quello che verrà ricordato come “progetto Manhattan”.
Questa operazione occupò negli Usa uno stuolo di scienziati che lavorarono avvolti nel più grande
segreto tra il 1942 ed il 1945. Le bombe, precedute da una di prova nel New Mexico, vennero
sganciate in agosto su due città giapponesi: Hiroshima e Nagasaki. Ci furono polemiche per il gran
numero di morti, nell’immediato centinaia di migliaia, polemiche perché era dato per scontato che il
Giappone ormai si sarebbe arreso comunque. La cosa in qualche modo bruciò agli Usa tant’è che questi
due bombardamenti nei loro annuali della storia nucleare, vennero registrati come dei “test”.

Subito dopo, nel novembre 1945, iniziò l’operazione Paperclip (testualmente: graffetta) che
consistette nel reclutare quanti più possibili scienziati tra quelli nazisti per sottrarli ad altri
paesi (soprattutto all’Urss) che potevano cercare di avvantaggiarsi similarmente dei progressi
scientifici compiuti dalla Germania nazista. Questa operazione in pratica consistette
nell’importazione di circa 20.000 tedeschi tra il 1945 ed i primi anni Settanta. L’origine vera del
nomignolo Paperclip è abbastanza triste. Il progetto di importazione di ex nazisti aveva avuto
l’approvazione da parte del Presidente Truman a patto che gli scienziati esfiltrati, come si dice
nel gergo dei servizi segreti, non fossero esageratamente nazisti. Pertanto alla Cia decisero di
“medicare” i curricula di quelli troppo coinvolti nel regime, cioè di riscriverli, e per
riconoscerli dai curricula che potevano invece passare così com’erano, appunto, vi apponevano una
graffetta.

Anche la Francia importò circa 800 scienziati tedeschi, mentre la Gran Bretagna – ma queste sono le
cifre ufficiali – ne importò 300. Quelli che non erano importanti per la scienza, cioè gli ex
gerarchi sia nazisti che fascisti più in vista, compresi i collaborazionisti come gli Ustascia
Croati, vennero esfiltrati in America Latina assieme alle ricchezze che in qualche modo si erano
procurati durante la seconda guerra mondiale – per lo più sottraendole ad ebrei e membri di altre
etnie che erano stati espropriati e/o eliminati nei campi di concentramento. Il Vaticano, ad
esempio, all’epoca aveva creato una “ratline”, un corridoio attraverso il quale questi personaggi
arrivavano a Roma, travestiti da porporati, venivano forniti di documenti falsi e spediti in
Sudamerica. Il giro dei soldi invece fu più difficile da scoprire, ma è evidente che vi furono
gigantesche operazioni di riciclaggio cui non pare estraneo il famoso Ior (Marcinkus, Calvi, Sindona
ecc. lo vedremo dopo alcuni anni)

Ma torniamo negli Usa. L’“Atomo per la pace” L’orrore procurato dalle bombe sul Giappone rischiava
di compromettere definitivamente la nascente scienza atomica, l’opinione pubblica era fortemente
contrastata. Fu pertanto necessario mettere in piedi una gigantesca operazione di propaganda che
venne chiamata “Atomo per la pace” e fu patrocinata dal Presidente Eisenhower. Le Nazioni Unite, ed
in particolare l’Organizzazione Mondiale della Sanità, si legarono tramite accordi bilaterali con
l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica al fine di subordinarle eventuali studi sull’impatto
della radioattività sull’uomo. Nessun organismo dell’Onu avrebbe potuto rivelare dati o fatti
contrari agli interessi della Aiea. In questo modo, si incaricò la volpe di guardare le galline. Si
individuarono a metà degli anni Cinquanta dei possibili campi di applicazione del nucleare per
distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica.

Nacque così la “radioterapia” contro il cancro – in realtà per necessità causata in massima parte
dalla contaminazione radioattiva, e le centrali nucleari elettriche – che in realtà servivano per
arricchire il combustibile per la corsa agli armamenti – ed altre amenità che per lo più servivano a
riciclare le scorie che già allora erano un problema. La principale, l’uranio cosiddetto impoverito,
venne usata in molte applicazioni dove ci si sarebbe aspettato di trovare il piombo: contrappesi di
aerei civili e militari, additivo di denti ed apparecchiature odontoiatriche, additivo nelle lenti
di occhiali e strumenti di precisione, zavorra, schermatura per altre sostanze radioattive, come ad
esempio il cobalto in ambito ospedaliero. Ma poi anche fertilizzanti, proiettili (i primi usati nel
Viet Nam nel 1966), container, vernici, elettrodi per le saldature per colorare prodotti in ceramica
e vetro. In seguito si usò irradiare anche per conservare il cibo, per testare prodotti industriali,
per vedere se i bambini delle elementari avevano la tubercolosi e per verificare la posizione dei
feti nelle donne incinte.

A fronte di una serie di usi ufficiali, almeno negli Usa, vi furono centinaia di migliaia di persone
sottoposte ad esperimenti radioattivi senza che ne fossero a conoscenza. Senza contare i lavoratori
del settore, minoranze etniche quali gli americani nativi che venivano usati come minatori nelle
miniere d’uranio e nel processo di costruzione delle armi nucleari.
Il tabù del cancro. In questi anni bui, che ancora non sono finiti, si è cercato sostanzialmente di
negare gli effetti della radioattività, primo tra tutti la pandemia di cancro. La comunità
scientifica, che viveva dell’indotto del complesso industriale-militare, era in qualche modo
ricattata dal sistema: se uno scienziato levava la voce, perdeva l’incarico di insegnamento, i fondi
per la ricerca e veniva inesorabilmente emarginato dai colleghi paurosi di fare la stessa fine. Il
cancro divenne un tabù e migliaia di miliardi di dollari vennero spesi annualmente per nascondere la
vera origine della pandemia, come l’anno scorso puntualizzò Karl Morgan, figura chiave del progetto
Manhattan, all’età di 93 anni. Allo stesso modo, se qualcuno faceva causa per il cancro preso magari
nella fabbrica d’uranio o perché come soldato era stato portato a vedere uno dei centinaia di test
nucleari, ingentissime somme venivano spese dal governo per evitare l’ammissione di responsabilità:
se si fosse creato un precedente, si sarebbe aperta la diga delle cause per danni.

Ma proprio l’anno scorso, negli Usa, lo scandalo è esploso ed il governo per la prima volta ha
dovuto ammettere, almeno per i lavoratori del settore, la relazione causa-effetto tra la
radioattività, il cancro ed altre malattie. Nel 1995 Clinton aveva creato una commissione per
indagare sugli esperimenti sull’uomo e, in un memorandum riservato, venne fuori che alcuni degli
scienziati nazisti esfiltrati col progetto Paperclip erano poi diventati i responsabili degli
esperimenti radioattivi sull’uomo. L’anno scorso invece venne creato un Comitato governativo che si
sta ancora occupando di indagare sui coinvolgimenti di società o enti americani con il nazismo;
questo è il risultato delle ricerche di Israele che hanno portato alla scoperta dei famosi conti
segreti in Svizzera e di tutta una serie di multinazionali che hanno sfruttato il lavoro dei
detenuti dei campi di concentramento.

Ne ricordiamo solo una a titolo di esempio: la Ig Farben. Dal dissolvimento di questa “Montedison”
tedesca nasceranno tra le altre, le seguenti società: Monsanto, Ciba (ora Novartis), Searle, Eli
Lilly, Roche e Bayer Ag. Le prime due sono coinvolte nei cibi transgenici, la terza è quella
dell’aspartame, il famoso dolcificante. Le ultime due producono i chemioterapici per la cura del
cancro che costano svariati miliardi al chilo e sono… cancerogeni (come si legge nei foglietti
delle controindicazioni).
Una breve lista di altre società che hanno sfruttato il lavoro degli internati nei campi di
concentramento: Adler Sa, Aeg, Astra (ora fa gli organismi modificati geneticamente), Auto-Union,
Bmw, Messerschmitt, Metall Union, Opta Radio, Optique Iena, Photo Agfa, Puch, Rheinmetall Borsig Ag
(ora produce le corazze all’uranio dei carri armati), Shell, Schneider, Siemens, Daimler Benz,
Dornier, Erla, Ford, Goldschmitt, Heinkel, Junker, Krupp, Solvay, Steyr, Telefunken, Valentin,
Vistra, Volkswagen, Zeiss-Ikon, Zeitz, Zeppelin.

Il “pericolo rosso”. Quello che gli americani non poterono prevedere, tuttavia, fu il fatto che
questa massiccia importazione di nazisti avrebbe drogato per 50 anni la politica estera del paese,
ma non solo: anche quella interna. Ad esempio Joan Clark, per anni rappresentante degli Usa presso
le Nazioni Unite era la nipote stessa del Von Braun delle V-2. Altro scienziato graziato dal
“lavaggio” del curriculum… Ricordate il Maccartismo? La persecuzione ossessiva di chiunque fosse
in odore di comunismo? Proprio negli stessi anni le maglie dell’immigrazione americana nei confronti
dei nazisti si aprirono completamente: non c’era più bisogno di avere un curriculum non nazista,
bastava che, anche se uno era stato capo di un campo di concentramento, dicesse che aveva combattuto
sul fronte contro i sovietici.

Ironia della sorte, le prime vittime di questa politica furono gli stessi americani che si trovarono
questi scienziati e medici nazisti, gli stessi degli esperimenti nei campi di concentramento, a capo
dei progetti più importanti di esperimenti sull’uomo condotti in America: da quelli della Nasa a
quelli della stessa Cia. Infatti Dulles, per eccesso di zelo, aveva salvato l’intera rete
spionistica nazista, la famosa Abwehr di Reinhard Gehlen, e l’aveva riciclata nel cuore dell’Europa,
nella Germania divisa, per combattere ad oltranza il “pericolo rosso”.
Inutile dire a questo punto, che l’agente italiano della rete Dulles-Gehlen era un famoso aretino,
ufficialmente imprenditore materassaio, con l’hobby della cospirazione in Italia, dentro i migliori
circoli bancari, amico di industriali molto riservati (che annotava in una “lista”) e con ottime
entrature latino-americane. Al giuramento del Presidente degli Stati Uniti, Reagan, il 20 gennaio
1981 era stato invitato ed era presente, lo vediamo al suo fianco in una fotografia.
Ma questa è un’altra storia.
Indovinate chi è, e cercatelo nei “MISTERI D’ITALIA”

Marco Saba

tratto da www.cronologia.it

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