Andare incontro… (seconda parte) – Krishnamurti

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Andare incontro… (seconda parte)

< Andare incontro... >

(seconda parte)

– di Jiddu Krishnamurti –

Liberamente tratto da “Andare incontro alla vita”, J. Krishamurti
Astrolabio Ubaldini Editore – Roma – Brano suggerito da Rocco

I guru che in India si moltiplicano come funghi e che prosperano in tutto il mondo hanno dato a
questa parola una grande varietà di significati. C’è la meditazione trascendentale – e io vorrei che
non avessero mai usato questa splendida parola – che è la ripetizione di certe espressioni, a
pagamento – tre volte al giorno, per venti minuti…!

La ripetizione ininterrotta di qualsiasi parola certamente vi darà una certa quiete perché avete
ridotto il cervello a una tranquillità meccanica. Ma in questo non c’è niente di più trascendentale
di quanto ve ne sia in qualsiasi altra cosa. .

E con ciò noi pensiamo di fare esperienza di qualcosa che è al di là del processo del pensiero
materiale.

L’uomo cerca esperienze diverse da quelle della vita ordinaria e quotidiana. Noi siamo annoiati, non
ne possiamo più di tutta l’esperienza che abbiamo fatto della vita, e speriamo di impadronirci di
un’esperienza che non sia il prodotto del pensiero. La parola esperienza significa, attraversare
fino in fondo qualsiasi cosa, non significa ricordarla e perpetuarla. Ma questo noi non lo facciamo.

Per riconoscere un’esperienza dovete averla già conosciuta; non è qualcosa di nuovo. Così, la mente
che cerca un’esperienza diversa dalla semplice esperienza fisica psicologica, che cerca qualcosa di
molto più grande e di molto superiore a tutto questo, farà esperienza della propria stessa
proiezione e quindi sarà ancora meccanicistica, materialistica; sarà ancora il prodotto del
pensiero. Quando voi non desiderate nessuna esperienza, quando avete capito l’intero significato del
desiderio – che come abbiamo detto molte volte è sensazione, più pensiero e la sua immagine – allora
non esistono ne distorsioni ne illusioni. Soltanto quando l’intera struttura della coscienza è
libera, soltanto allora la mente sarà capace di guardare a se stessa senza distorsione, senza
sforzo? La distorsione ha luogo quando c’è sforzo. Giusto?

Lo sforzo implica il me e qualcosa che io voglio realizzare, la separazione tra me e quella cosa. La
separazione porta invariabilmente il conflitto. La meditazione avviene soltanto quando il conflitto
cessa definitivamente. Quindi, quando ci sono sforzo, pratica e controllo ogni forma di meditazione
non ha senso.

Ve ne prego, non accettate quello che sto dicendo. Stiamo indagando insieme e quindi è importante
che voi non accettiate quello che viene detto; è importante che lo analizziate personalmente.

Quindi dobbiamo approfondire la questione del controllo.

Fin dall’infanzia noi venivamo educati al controllo: tutto il processo del controllo dei sentimenti.
Nel controllo c’è chi controlla e la cosa controllata, dove chi controlla pensa di essere diverso da
ciò che desidera controllare. In questo modo egli si è già spaccato, e da qui nasce sempre il
conflitto. Ciò significa che un frammento del pensiero dice a se stesso: “Devo control lare altri
frammenti del pensiero”; ma il pensiero che dice questo fa esso stesso parte del pensiero. Chi
controlla è la cosa controllata, chi fa esperienza è la cosa di cui fa esperienza, non si tratta di
due diverse entità o di due diversi movimenti. Chi pensa è il pensiero; se non c’è pensiero non
esiste chi pensa. Si tratta di una cosa molto importante perché quando la si comprende
completamente, profondamente, non a parole , non in teoria ma nella realtà, in quel momento il
conflitto cessa. Quando la si riconosce profondamente come la verità, come una legge, allora ogni
sforzo ha termine; e la meditazione può nascere soltanto quando non esiste sforzo di alcun genere.

Per scoprire se la vita abbia un senso è necessario meditare.

La meditazione pone le basi anche del retto comportamento: retto nel senso di accurato, non nel
senso di un ideale, di un modello, di una formula, ma un’azione che ha luogo quando c’è osservazione
completa di quanto accade in noi stessi. E attraverso la meditazione noi dobbiamo stabilire il retto
rapporto tra gli esseri umani, vale a dire un rapporto senza conflitto.

Il conflitto esiste quando c’è separazione tra due immagini, e ne abbiamo parlato a lungo;
l’immagine che voi avete di un altro e quella che un altro ha di voi. Nella meditazione non deve
esistere neanche l’ombra della paura psicologica; deve quindi avere fine il dolore, deve esserci
quello di cui abbiamo parlato altre volte: compassione e amore.

Questa è la base, il fondamento della meditazione. Senza di ciò, voi potete sedere a gambe
incrociate sotto un albero per il resto dei vostri giorni, respirare correttamente – conoscete bene
tutti i trucchi a cui si ricorre – ma niente di tutto questo servirà.

Perciò, quando avrete realmente, profondamente instaurato un certo stile di vita – che non è un
punto di arrivo, ma soltanto l’inizio – allora potremo procedere per scoprire se la mente – che è la
totalità, il cervello, l’intera coscienza – è quieta, non subisce alcuna distorsione.

Soltanto quando la mente è quieta, immobile, il vostro ascolto sarà corretto. Esistono diversi tipi
di silenzio: il silenzio tra due rumori, il silenzio tra due pensieri, il silenzio dopo una lunga
battaglia con se stessi, il silenzio tra due guerre, che voi chiamate pace. Tutti questi tipi di
silenzio sono il frutto del rumore. Questo non è silenzio. C’è un silenzio che non viene creato ne
coltivato, cosicché a osservare quel silenzio non c’è un me; c’è soltanto silenzio, quiete.

Abbiamo incominciato con la domanda: la vita ha un senso? In quel silenzio, questa domanda voi non
la ponete, veramente; abbiamo preparato il campo della mente che è capace di scoprire. E tuttavia
dobbiamo trovare una risposta. Dove la troveremo, e chi risponderà? Sarò io, un essere umano, a
rispondere? Oppure la risposta sta proprio in quel silenzio?

Voglio dire che quando non esiste distorsione causata dal movente, dallo sforzo, dal desiderio di
fare esperienza, dalla separazione tra colui che osserva e la cosa osservata, tra chi pensa e il
pensiero, non c’è spreco di energie. Ora, in quel silenzio c’è quell’energia superiore, e per poter
vedere al di là delle parole deve esserci quell’energia, quella vitalità, quella forza. Perché la
parola non è la cosa, e la descrizione non è la cosa descritta. Andare sulla luna, creare uno
strumento fatto di milioni di componenti richiede un’energia immensa e la cooperazione di
trecentomila persone per costruirlo. Ma si tratta di un’energia completamente diversa da quella di
cui stiamo parlando.

Vedete, io sono molto serio su questo punto.

Ne ho parlato per oltre cinquant’anni: poiché la mente della maggior parte di noi è prigioniera in
solchi più o meno profondi, noi dobbiamo continuamente vigilare per vedere che il cervello non crei
un solco dove si sente sicuro e indugia; infatti, se si rimane in un solco, per quanto bello, per
quanto piacevole, per quanto confortante, la mente manterrà un funzionamento meccanico, ripetitivo e
perderà la sua profondità, la sua bellezza. Perciò chiedo: il silenzio è meccanicistico? È un
prodotto del pensiero che dice: “Deve esserci qualche altra cosa oltre me, e per scoprirlo devo
rimanere in silenzio, devo controllarmi, devo soggiogare ogni cosa per scoprirlo?”.

Questo è ancora un movimento del pensiero, giusto? Perciò noi dobbiamo capire la differenza tra
concentrazione, consapevolezza e attenzione.

La concentrazione implica volgere l’energia in una direzione particolare, a esclusione di tutte le
altre, costruendo una barriera contro qualsiasi altra cosa, opponendo resistenza. La consapevolezza
è relativamente semplice, se non la rendete complicata. Significa essere consapevoli di tutto quanto
vi circonda, semplicemente osservare.

Allora c’è attenzione. L’attenzione implica l’assenza di un centro dal quale voi prestate
attenzione. Il centro è il me e se la consapevolezza parte da quel centro, allora l’attenzione è
limitata. Il centro esiste quando esiste la scelta, e dove c’è scelta c’è sempre il me, la mia
esperienza, la mia conoscenza, l’io separato dal tu.
Ora, ciò di cui stiamo parlando è l’attenzione dove non esiste alcun centro.

Se voi state attenti in questo modo ora, mentre siete seduti qui, vedrete che la vostra attenzione è
vasta, che non esistono confini, e che tutta la vostra mente – tutto – è completamente attenta, non
fa scelte, e quindi non esiste un centro, non esiste un me che dice: “Io sono attento”. In
quell’attenzione c’è silenzio, un silenzio dove è contenuta l’energia che non viene più sprecata.
Solo una mente di questo genere può trovare la risposta, può scoprire – purtroppo se lo descrivo
diventerà irreale – qualcosa che è al di là di tutto questo travaglio, di tutta questa infelicità.
Se a questo voi dedicherete la vostra energia, il vostro tempo, la vostra capacità, non condurrete
più una vita vuota e priva di senso.

E tutto ciò è meditazione, dal principio alla fine.

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