Zazen di Osho

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Zazen di Osho

Tratto da:
OSHO RAJNEESH
MEDITAZIONE: LA PRIMA E ULTIMA LIBERTÀ
Una guida pratica alla meditazione redatta da Swami Deva Wadud

Traduzione di Sw. Anand Videha, Ma Prem Sharda, Ma Deva Manisha, Ma Deva Arattha

Opere di Osho Rajneesh pubblicate dalle Edizioni Mediterranee

Zazen

Lo Zen invita a stare semplicemente seduti. Senza far nulla. Stare
seduti senza far nulla è la cosa più difficile del mondo.
Ma quando hai capito il trucco, se perseveri nello stare seduto alcuni
mesi, per qualche ora al giorno, senza saltare un solo
giorno, pian piano accadranno molte cose. Ti sentirai assonnato,
sognerai. La tua mente verrà affollata da molti pensieri, da
molte cose. La mente dirà: “Perché sprechi il tuo tempo? Avresti
potuto guadagnare un po’ di soldi. Per lo meno avresti
potuto andare al cinema, svagarti, oppure rilassarti e spettegolare.
Avresti potuto guardare la TV o ascoltare la radio, o
quanto meno leggere il giornale che ancora non hai scorso. Perché
sprechi il tuo tempo?”

La mente ti controbatterà in mille modi, ma se continui ad ascoltare,
senza preoccuparti di lei… opererà ogni sorta di
tranelli; produrrà allucinazioni, sogni, assopimento. Farà tutto il
possibile per trascinarti fuori dal tuo semplice restare
seduto. Ma se perseveri, se sei costante, un giorno sorgerà il sole.

Un giorno accade, non ti sentirai più assonnato, la mente si sarà
stancata di te, si sarà stufata, lascerà perdere l’idea che ti
può intrappolare, chiuderà ogni contatto con te!

Non ci sarà più sonno, né allucinazioni, né sogni, né pensieri. Sarai
semplicemente seduto, senza far nulla… e tutto sarà
silenzio, quiete e beatitudine. Sei entrato in Dio, hai raggiunto la verità.

Puoi stare seduto ovunque, ma qualsiasi cosa guardi non dovrebbe
essere troppo stimolante. Ad esempio, gli oggetti non
dovrebbero muoversi troppo. Diventerebbero una distrazione.

Puoi guardare gli alberi, non sono un problema perché non si muovono e
la scena rimane immobile. Puoi guardare il cielo,
oppure stare semplicemente seduto in un angolo e guardare il muro.

Inoltre, non guardare qualcosa in particolare: guarda il semplice
vuoto. Visto che gli occhi sono presenti si deve guardare
qualcosa, ma tu non guardi qualcosa di specifico. Non mettere a fuoco,
né ti devi concentrare, su qualcosa: l’immagine
dev’essere soffusa. E una cosa che rilassa moltissimo.

E come quarta cosa, rilassa il tuo respiro. Non respirare, lascia che
accada. Lascia che sia naturale e questo ti rilasserà ancor
di più.

La quarta cosa da ricordare è questa: lascia che il tuo corpo resti il
più immobile possibile.

Come prima cosa trova una posizione confortevole. Puoi sederti su un
cuscino o su un materasso o su qualsiasi cosa ti faccia
sentir comodo, ma quando ti sei sistemato, resta immobile, perché se
il corpo non si muove, automaticamente la mente cade
in silenzio.

In un corpo in movimento, anche la mente continua a muoversi, perché
corpo-mente non sono due cose separate. Sono una
cosa sola… è una sola energia.

All’inizio sarà un po’ difficile, ma dopo qualche giorno godrai
moltissimo questa meditazione. E col tempo, vedrai cadere
Strato dopo strato la tua mente, e verrà il momento in cui sarai
semplicemente senza mente.

– Istruzioni –

Siediti di fronte a un muro vuoto, all’incirca alla distanza di un
braccio. Gli occhi dovrebbero essere semiaperti, quindi
lascia che lo sguardo si riposi con leggerezza sul muro. Tieni la
schiena diritta, e adagia le mani l’una nell’altra con i pollici
che si toccano, a formare un ovale, all’altezza dell’ombelico. Resta
quanto più fermo ti è possibile per trenta minuti.
Mentre sei seduto, concediti una consapevolezza priva di fuoco, non
dirigere la tua attenzione su qualcosa in particolare, ma
resta quanto più recettivo e sveglio ti è possibile, attimo dopo attimo.

– La risata dello Zen –

Un giorno Buddha annunciò che avrebbe tenuto un discorso speciale, e
migliaia di discepoli giunsero da ogni dove.
Quando Buddha comparve, teneva in mano un fiore. Il tempo passava, ma
Buddha non diceva nulla. Si limitava a guardare
il fiore. La folla divenne impaziente, ma Mahakashyapa, che non riuscì
più a trattenersi, rise.

Buddha gli disse di farsi avanti, gli porse il fiore, e disse alla
folla: “Io possiedo l’occhio del vero insegnamento. Tutto ciò
che ho potuto dare tramite le parole l’ho dato a voi tutti; ma con
questo fiore, dò a Mahakashyapa la chiave di questo
insegnamento”.

E uno degli aneddoti più significativi, perché in questo modo venne
trasmessa la tradizione dello Zen. Buddha fu la fonte,
Mahakashyapa fu il primo Maestro, il Maestro fondatore dello Zen, e
questa storia è l’origine di tutta la tradizione Zen, una
delle più belle e più vive mai esistite sulla terra.

Cercate di capire questa storia. Una mattina Buddha si presentò alla
folla che come al solito si era riunita. Molte persone
aspettavano di sentirlo parlare.

Ma una cosa era nuova: aveva in mano un fiore. Mai, in precedenza,
aveva portato qualcosa. La gente pensò che qualcuno
glielo avesse regalato.

Buddha si fece avanti, si sedette sotto l’albero. La folla aspettò e
aspettò ma lui non iniziava a parlare. Non guardava
neppure i presenti. Continuava a guardare il fiore. Passarono i
minuti, le ore, e la gente divenne molto impaziente.

Si dice che Mahakashyapa non riuscì a trattenersi: rise sonoramente.
Buddha lo chiamò, gli diede il fiore e disse alla folla
riunitasi: “Tutto ciò che può essere detto tramite le parole, l’ho
detto a voi tutti, e ciò che non può essere detto attraverso le
parole, lo dono a Mahakashyapa. La chiave non può essere trasmessa
attraverso le parole. E io dono la chiave a
Mahakashyapa”.

Ma per lo Zen questa< fu l'origine. Mahakashyapa divenne il primo
detentore della chiave. Dopo di lui, in successione,
esistettero in India sei detentori, fino a Bodhidharma. Egli fu il
sesto detentore della chiave, ma cercò a lungo in tutta l’India,
senza riuscire a trovare un uomo che avesse le capacità di
Mahakashyapa, un uomo che potesse comprendere il silenzio. Per
cercare l’uomo a cui poter trasmettere la chiave dovette lasciare
l’India, altrimenti sarebbe andata perduta.

Con Bodhidharma alla ricerca di un uomo a cui passare la chiave, un
uomo in grado di comprendere il silenzio, capace di
parlare cuore a cuore senza essere ossessionato dalla mente, un uomo
che non avesse una testa, il buddhismo entrò in Cina.
Questa comunicazione al di là delle parole è possibile solo da cuore a
cuore. Per cui, per nove anni, Bodhidharma cercò in
tutta la Cina, e alla fine riuscì a trovare un solo uomo.

Un cinese divenne il settimo Maestro. E fino a oggi la chiave ha
viaggiato. Esiste ancora; qualcuno ancora la detiene. Il
fiume non si è ancora inaridito.

Perfino a un Buddha chiediamo che parli, perché è la sola cosa che
riusciamo a comprendere. E sciocco! Con un Buddha
dovreste imparare a stare in silenzio, perché solo in quel caso egli
può entrare in voi. Con le parole può bussare alla vostra
porta, ma non potrà mai entrare; tramite il silenzio può entrare in
voi, e se non riesce a farlo, non vi accadrà nulla. Il suo
entrare in voi introdurrà un elemento nuovo nel vostro mondo; il suo
entrare nel vostro cuore vi darà un nuovo battito e una
pulsazione nuova, sprigionerà in voi una nuova vita, ma solo se entra in voi.

Mahakashyapa rise della stupidità dell’uomo. I presenti erano inquieti
e pensavano: “Quando si alzerà Buddha e finirà di
stare zitto, così poi potremo andarcene a casa?”, e lui rise.

Con Mahakashyapa iniziò la risata, e nella tradizione Zen è
proseguita, secolo dopo secolo. Non esiste un’altra tradizione in
grado di ridere: nei monasteri Zen, si è continuato a ridere e si ride ancora.

Mahakashyapa rise, e questa risata porta con sé molte dimensioni. La
prima è riferita alla stupidità di quella situazione, in
cui un Buddha è zitto e nessuno lo capisce, tutti si aspettano che
parli. Per tutta la sua vita Buddha ha ripetuto che la verità
non può essere espressa a parole, eppure tutti si aspettano che parli.

La seconda dimensione: egli rise anche di Buddha, della commedia che
aveva creato, stando seduto con un fiore in mano,
guardandolo, creando tanto disagio, tanta inquietudine, in tutti. Egli
rise di questo gesto teatrale di Buddha, rise a crepapelle.
La terza dimensione: egli rise di se stesso. Come era riuscito a non
capire, fino a quel momento? Era una cosa elementare,
semplicissima. E il giorno in cui comprendi, riderai, perché vedrai
che non c’è nulla da comprendere. Non esistono difficoltà
da risolvere. Tutto è sempre stato semplice e chiaro. Come hai potuto
non capire?

Con Buddha seduto in silenzio, il canto degli uccelli sugli alberi, la
brezza che scorre tra i loro rami, e tutti i presenti a
disagio, Mahakashyapa comprese.

Cosa comprese? Comprese che non c’è nulla da comprendere, non c’è
nulla da dire, nulla da spiegare. L’intera situazione è
semplice e cristallina: nulla è nascosto. Non occorre ricercare,
perché ogni cosa è dentro di te, qui e ora.

Rise anche di se stesso, dell’assurdità di uno sforzo protrattosi per
vite intere, solo per capire questo silenzio, rise di tanto
pensare.

Buddha lo chiamò, gli diede il fiore e disse: “Ecco, ti dono la chiave”.

Quale chiave? Il silenzio e la risata sono la chiave: silenzio
all’interno e la risata all’esterno. E quando la risata scaturisce dal
silenzio, non è di questo mondo, è divina.

Quando la risata scaturisce dal silenzio, non ridi alle spalle di
nessuno. Ridi semplicemente di questo immenso scherzo
cosmico. Ed è veramente una barzelletta! Per questo continuo a
raccontarvi barzellette, perché hanno più sostanza di
qualsiasi testo sacro.

E una barzelletta, perché dentro di te hai tutto, e tu ne sei alla
ricerca ovunque. Esiste barzelletta migliore?

Sei un re, e ti comporti come un mendicante; non solo reciti la parte
del mendicante, non solo inganni gli altri, inganni
anche te stesso, credendoti un mendicante. Hai in te la fonte di ogni
sapere e poni domande; possiedi il Sé senziente e pensi
di essere ignorante; possiedi in te l’immortalità e temi la morte e la malattia.

Questa è una barzelletta splendida, e se Mahakashyapa rise, fece
benissimo. In seguito Mahakashyapa rimase in silenzio, e
in silenzio il fiume interiore ha continuato a scorrere: la chiave è
stata passata ad altri, ed è ancora viva, ancora apre quella
porta.

Questi sono i due elementi: il silenzio interiore, un silenzio così
profondo che nel tuo essere non è presente vibrazione
alcuna; tu esisti, ma non esistono increspature; sei un semplice
stagno, privo di onde, non una sola cresta si solleva; tutto il
tuo essere è in silenzio, immobile; all’interno, al tuo centro, il
silenzio. E alla periferia, la celebrazione e la risata. E solo il
silenzio può ridere, perché solo il silenzio è in grado di comprendere
lo scherzo cosmico.

A dirti la verità, il silenzio che esiste accompagnato dalla tristezza
non può essere reale. Qualcosa non è andato per il giusto
verso. Ti sei allontanato dal sentiero; hai perso la strada.

Solo la celebrazione può darti la prova che è accaduto il vero silenzio.

Che differenza esiste tra un silenzio reale e un silenzio falso? Un
silenzio falso è sempre forzato. Lo si consegue con lo
sforzo. Non è spontaneo, non è accaduto al tuo essere: tu lo hai fatto
succedere.

Sei seduto in silenzio e in te esiste un profondo tumulto. Lo reprimi,
per cui non puoi ridere. Diventerai triste, perché la
risata sarà pericolosa: se ridi, perderai quel silenzio, perché nella
risata non riuscirai a reprimerti. La risata è contraria a ogni
repressione. Se vuoi reprimerti, non dovrai ridere; se ridi, tutto
verrà a galla. Nella risata affiorerà ciò che è reale, e ciò che è
irreale andrà perduto.

Questa è la chiave: il silenzio è il suo lato interiore, e quello
esterno è la celebrazione, la risata. Sii in festa e in silenzio: crea
intorno a te occasioni sempre nuove per celebrare: non costringere la
sfera interiore a essere in silenzio, crea semplicemente
occasioni sempre nuove di festa, così che il silenzio interiore possa fiorire.

La meditazione non ti conduce al silenzio. La meditazione si limita a
creare la situazione in cui accade il silenzio. E questo
dovrebbe essere il criterio: ogni volta che il silenzio accade, nella
tua vita sorgerà anche la risata. Intorno a te avverrà una
celebrazione della vita.

Quando il silenzio diverrà incontenibile, affiorerà come risata. Sarà
così straripante che inizierà a dilagare in tutte le
direzioni. Mahakashyapa rise. Dev’essere stata una risata folle, e in
quella risata non esisteva più Mahakashyapa alcuno. Il
silenzio rideva. Il silenzio era giunto a fiorire.

La tua illuminazione è perfetta solo quando il silenzio arriva a
celebrare. Per questo insisto perché si celebri, dopo ogni
meditazione. Dopo essere stato in silenzio, ne devi godere, devi fare
un atto di ringraziamento. Devi dimostrare una
profonda gratitudine verso il Tutto, per avere la semplice occasione
di esistere, di poter meditare, di poter essere in silenzio,
di poter ridere.

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