Il silenzio sufi di Hazrat Inayat Khan

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Il silenzio

Da “Purificazione della Mente” di Hazrat Inayat Khan

Vi è un detto: ” Le parole sono preziose, ma più prezioso è il silenzio “.
Questo detto risulta sempre profondamente vero. Più ne capiamo il
significato, più realizziamo questa verità. Quante volte durante il giorno
ci capita di dire qualcosa che sarebbe stato meglio tacere! Quante volte
disturbiamo la pace del nostro ambiente con una involontaria mancanza di
silenzio. Quante volte riveliamo le nostre limitazioni, la nostre
meschinità, la nostra grettezza, che avremmo potuto nascondere, se solo
avessimo taciuto! Quante volte, benchè desiderosi di rispettare gli altri,
non riusciamo a farlo, perchè non sappiamo tacere. Per un uomo che vive in
questo mondo un grande pericolo sta in agguato, il pericolo di confidarsi
con una persona, con la quale non volevo confidarsi.

Corriamo questo pericolo non sapendo tacere. Un grande interprete
della vita, il poeta persiano Sa’di dice:

“Che valore ha il buon senso, se non viene in mio soccorso prima che io
pronunzi una parola! “

Questo ci dimostra che malgrado la nostra saggezza, possiamo fare uno
sbaglio, se non abbiamo un buon controllo nelle parole che usiamo. Di questa
verità troviamo facilmente degli esempi: coloro che parlano molto, hanno
minor potere di coloro che parlano poco.

Una persona loquace può non essere in grado di esprimere un’idea in mille
parole, mentre chi è padrone del silenzio, sa esprimersi con una sola
parola. Tutti possono parlare, ma non tutte le parole hanno la stessa
potenza. Inoltre, una parola dice meno di quanto sappia esprimere il
silenzio. La nota fondamentale di una vita armoniosa è il silenzio.

Nella vita di ogni giorno esistono preoccupazioni a cui non sempre possiamo
far fronte e allora solo il silenzio può aiutarci. Poiché, se vi è una
religione, se vi è un modo per mettere in pratica la religione, è quello di
compiacere Dio, compiacendo l’uomo.

L’essenza della religione è di capire il prossimo. E non possiamo vivere
questa religione se non dominiamo la parola – e se non ci rendiamo conto del
potere del silenzio. Spesso ci sentiamo di aver ferito un amico; avremmo
potuto evitarlo, con un maggior controllo sulle parole.

Il silenzio è lo scudo degli ignoranti e la protezione dei saggi. Perché
l’ignorante cela la sua ignoranza col tacere, e il saggio non getta le perle
ai porci, se conosce il valore del silenzio. Che cosa ci dà potere sulle
parole? Che cosa ci dà questa forza, che può essere ottenuta col silenzio?
La risposta è: la forza di volontà; e ancora: è il silenzio che ci dà il
potere del silenzio. Quando una persona parla troppo, dà segno di
irrequietezza. Più parole vengono usate per esprimere un’idea, meno forza
hanno. È un vero peccato che si pensi cosi spesso a risparmiare i centesimi
e mai a risparmiare le parole. E come conservare ciottoli e gettare vie
perle. Un poeta indiano dice:

“Conchiglia, da dove viene il tuo prezioso contenuto? Dal silenzio; per anni
e anni le mie labbra son rimaste chiuse “.

Per un po’ di tempo, si lotta con se stessi; si cerca di controllare gli
impulsi; poi però, la stessa cosa si trasforma in forza. Veniamo ora alla
spiegazione più scientifica e metafisica del silenzio.

Le parole consumano un certo quantitativo di energia e il respiro, che
dovrebbe portare nuova vitalità al corpo, viene ostacolato nel suo ritmo
normale, se si parla costantemente. Non è che una persona nervosa parli
troppo; è il parlare tanto che la innervosisce. Da dove viene il grande
potere dimostrato da fachiri e da yogin? Dall’aver imparato a praticare
l’arte del silenzio.

Questa è la ragione per cui nell’est, nelle case e nelle corti in cui i
fachiri meditavano,vi era silenzio. Certe volte diverse civiltà del mondo,
veniva insegnato alla gente, quando si riuniva per festeggiare, di tacere,
per un po’ di tempo. È molto triste che questo problema attualmente sia cosi
trascurato e che pochi ci pensino. È un problema che riguarda la salute, che
tocca l’anima, lo spirito, la vita. Più pensiamo a questo argomento e più ci
accorgiamo di essere continuamente coinvolti in qualche attività. Dove ci
porta ciò, quale ne sarà l’esito? Per quanto possiamo vedere, ci porti i
battaglie, rivalità e situazioni sempre più aspre. Visti i risultati,
constatiamo che tutto ciò non fa che procurarci maggiori preoccupazioni,
fastidi e lotte.

Vi è un detto indù: “Più si cerca la felicità, più infelicità si trova “. La
ragione è che quando la felicità viene cercata in direzione errata, ci si
procura infelicità. La nostra esperienza è sufficiente a farcelo capire; ma
la vita ci stordisce, le azioni ci assorbono e non ci fermiamo mai a
pensarci.

Pare che il mondo si stia svegliando agli ideali spirituali; tuttavia vi è
più attività – non solo attività esterna – ma anche attività mentale.
Veramente l’umanità ha i nervi a pezzi per la mancanza di silenzio e per la
superattività, del corpo e della mente. Quando il corpo riposa, l’uomo dice
che dorme.

La sua mente però continua ad agire, come di giorno. In questo mondo
competitivo, l’uomo è cento volte più indaffarato di quanto lo sia mai stato
prima. Naturalmente egli necessita di più riposo, quiete e pace, che non una
persona che vive nella foresta e che ha tempo a disposizione. Quando
l’attività cresce a tal punto e si perde l’arte del silenzio, che cosa ci si
può aspettare?

Dove imparare il raccoglimento? Nel silenzio. Dove praticare la pazienza?
Nel silenzio, Il silenzio praticato durante la meditazione è ancora un’altra
cosa. Silenzio significa che dovremmo badare a ogni parola e a ogni azione
che facciamo: questa è la prima lezione. Ogni persona veramente meditativa,
ha imparato a servirsi del silenzio, naturalmente, nella vita di ogni
giorno. Chi ha imparato il silenzio nella vita di ogni giorno, ha già
imparato a meditare. Una persona può riservare mezz’ora al giorno per la
meditazione, ma quando, di fronte a mezz’ora al giorno per la meditazione,
ve ne sono dodici o quindici di attività, l’attività priva di forza la
meditazione. Quindi le due cose devono camminare insieme.

Una persona che desidera imparare l’arte del silenzio deve decidere, per
quanto lavoro abbia da fare, di conservare nella mente il pensiero del
silenzio. Se non si tiene conto di questo, non si raggiungerà mai il pieno
beneficio della meditazione. È come una persona che va in chiesa una volta
alla settimana e negli altri sei giorni tiene i propri pensieri il più
lontano possibile dalla chiesa.

A un re persiano, molto pio, il primo ministro chiese: ” Voi meditate gran
parte della notte e lavorate tutto il giorno. Come è possibile? “. E lo Shah
disse: ” Durante la notte sono io che inseguo Dio, durante il giorno è Dio
che mi segue “. La stessa cosa avviene col silenzio: chi cerca il silenzio,
sarà cercato dal silenzio. Ed è cosi con tutte le cose che desideriamo: se
le cerchiamo abbastanza, esse, col tempo, ci seguono da sole.

Ci sono molte persone che poco si curano di fare del male a qualcuno, se
sono convinte di dire la verità. Si sentono giustificate e non badano se
l’altro piange o ride. Vi è comunque una differenza tra la verità e il fatto
puro e semplice.

Il fatto è ciò di cui si può parlare – la verità ciò che non può essere
tradotto in parole. La pretesa di ” dire la verità ” cade da sola, quando ci
si rende conto della differenza che ce tra fatto e verità. La gente discute
di dogmi, di credenze, di principi morali, in base alle proprie nozioni.

Ma arriva un momento, nella vita di un uomo, in cui tocca la verità, ma non
sa trovare le parole adatte a esprimerla e tutte le discussioni, le dispute
e le argomentazioni crollano. In quel momento egli dice: ” Non importa chi
ha sbagliato, tu o io. Ora desidero soltanto correggere il torto “. Giunge
anche il tempo, in cui le continue domande che uno fa a se stesso, su questo
e su quello, si esauriscono, poiché la risposta sorge dall’anima ed è
ricevuta in silenzio.

La tendenza generale dell’uomo è quella di ascoltare tutto ciò che giunge da
fuori – e non è solo l’orecchio ad essere aperto al mondo esterno,
all’orecchio è attaccato il cuore. Il cuore che ascolta le voci provenienti
dal mondo esterno dovrebbe voltargli le spalle e attendere pazientemente
fino a quando non riuscirà a udire le voci che giungono dall’interno.

Vi è una voce udibile e una voce non udibile, di coloro che vivono e di
coloro che non vivono, di tutta la vita. Ciò che l’uomo riesce a esprimere
in parole, dice poco. Si può forse parlare di gratitudine, di evoluzione, di
ammirazione? Giammai, perché le parole saranno sempre inadeguate. Ogni
sentimento profondo ha una voce propria: non può venir espresso con parole
esterne. Questa voce arriva da ogni anima – ogni anima può essere udita solo
dal cuore. E come si prepara il cuore? Col silenzio.

Non deve sorprenderci che alcune persone hanno cercato la foresta e la
montagna, che hanno preferito le regioni impervie agli agi della vita
mondana. Esse hanno cercato qualcosa di prezioso. Inoltre, esse hanno
trasmesso in parte l’esperienza raggiunta col loro sacrificio. Ma non è
necessario seguirli nella foresta o nelle grotte di montagna. L’arte del
silenzio si può imparare ovunque: in tutta la vita, per quanto impegnati, si
può mantenere il silenzio.

Il silenzio è qualcosa che – consciamente o inconsciamente cerchiamo in ogni
momento della vita. Cerchiamo il silenzio e lo fuggiamo, nello stesso tempo.
Dove si ascolta la parola di Dio? Nel silenzio. I veggenti, i santi, i
saggi, i profeti, i maestri hanno udito la voce che viene dall’interno,
avendo reso se stessi silenziosi.

Con ciò non voglio dire che si potrà udire la voce; perché si è silenziosi.
Intendo dire che, una volta che si è raggiunto il silenzio, ci sarà la
possibilità di udire la parola che giunge costantemente dall’interno. Quando
la mente è stata acquietata, si può comunicare con chiunque si incontri. Non
c’è bisogno di molte parole; quando gli sguardi s’incontrano, ci si capisce.
Due persone possono parlare e discutere per tutta la vita e non capirsi;
altre due, se hanno acquietata la mente, si guardano e in un momento tra
loro il contatto è stabilito.

Da dove provengono le differenze che ci sono tra le persone? Dall’interno.
Dalla loro attività. E da dove l’armonia? Dalla quiete della mente. È il
rumore, che ostacola la voce, che udiamo distante – è l’acqua agitata della
sorgente, che ci impedisce di vedere la nostra immagine riflessa nell’acqua.

Quando l’acqua è quieta, il riflesso è chiaro; quando la nostra atmosfera è
quieta, udiamo la voce che giunge costantemente al cuore di ogni persona.
Cerchiamo consiglio, cerchiamo la verità, cerchiamo il mistero. Il mistero è
dentro di noi, i consigli, la guida è nella nostra anima.

Spesso s’incontra una persona, il cui contatto rende inquieti, nervosi. La
ragione è che questa persona non è riposante, non è tranquilla – e non è
facile rimanere calmi e conservare la propria tranquillità in presenza di
chi è agitato o inquieto. L’insegnamento di Cristo: ” Non resistere al male
“, significa: ” Non reagire alle condizioni turbate di una persona agitata
“. Sarebbe come afferrare un fuoco, che ci brucerà.

La via per sviluppare – in noi stessi – il potere di resistere a tutte le
influenze perturbatrici che incontriamo nella vita di ogni giorno, è di
acquietarsi, per mezzo della concentrazione.

La nostra mente è come una barca mossa dalle onde e influenzata dal vento.
Le onde sono le nostre stesse emozioni e le nostre passioni, i pensieri e le
immagini; il vento è l’influenza esterna, a cui dobbiamo far fronte. Per
poter arrestare la barca, bisognerebbe avere un’ancora. Fermiamoci un
momento a considerare quest’ancora: se è troppo pesante, fermerà la barca;
se è leggera, la barca continuerà a muoversi, non si arrestera, perché in
parte è nell’acqua e in parte nell’aria.

In questo modo, tuttavia ci limitiamo a controllare la barca: utilizzarla è
ben altra cosa. La barca non è fatta per rimanere immobile; è fatta per uno
scopo. Sembra che non tutti se ne rendano conto, ma la barca è fatta per
andare da un porto all’altro. Perché la barca possa navigare ci vogliono
varie condizioni: per esempio, che non sia sovraccarica. Cosi il nostro
cuore non va caricato troppo pesantemente, con le cose I cui ci atracchiamo;
altrimenti la barca non galleggerà. La barca non deve restare sempre nello
stesso porto, deve arrivare al porto a cui era destinata.

Inoltre, la barca deve reagire al vento, che la porterà nel porto cui era
diretta: questa è la sensazione che l’anima riceve dal lato spirituale della
vita. Questa sensazione, questo vento, ci aiuta a proseguire verso il porto,
al quale tutti siamo destinati. Una volta concentrata, la mente dovrebbe
agire come la bussola – che indica sempre la stessa direzione. Un uomo i cui
interessi vanno in mille direzioni diverse, non è maturo per viaggiare in
questa barca. E’ l’uomo che ha una cosa sola in mente e che considera tutte
le altre cose secondarie, che può andare da questo porto verso l’altro.
Questo è il cammino chiamato misticismo.

“Tratto dalla mailing list Sadhana

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