Aiutare in sintonia

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Aiutare in sintonia

(di Bert Hellinger)

Cosa significa: aiutare in sintonia? Significa innanzitutto che sono in
sintonia con la mia anima e con ciò a cui essa mi collega. Questo significa
che sono in sintonia con la mia origine, con mio padre, con mia madre e con
tutti quelli che oltre a loro appartengono alla mia famiglia, dunque anche
con i miei fratelli e le mie sorelle, i miei nonni, i miei zii e le mie zie
e con i morti della mia famiglia.

Essere in sintonia con loro significa che li rispetto così come sono o
erano, che a loro, così come sono o erano, do un posto nel mio cuore e nella
mia anima, che mi sento uno e collegato con loro così come sono o erano,
anche con il loro destino, la loro sofferenza e la loro morte. Essere con
loro in tale sintonia, significa che la mia anima diventa ampia e aperta e
permeabile a tutto ciò che da loro fluisce a me e che da me fluisce agli
altri. Allora la mia anima non appartiene più solo a me. In essa sono in
sintonia con qualcosa di più grande, di più vecchio e di più ampio,
appartengo a questo e da questo sono portato e guidato, ma nello stesso
tempo anche stimolato ad andare ampiamente al di là di ciò che posso
personalmente volere o pianificare.

Aiutare in sintonia però significa anche che sono in sintonia con altri
esseri umani, con quelli a cui voglio bene e che mi sono cari, con quelli
senza i quali non potrei né essere né agire. Ma anche con quelli che mi
sfidano con il loro essere diversi, tramite i quali posso crescere e farmi
valere, e che io stesso smuovo con il mio essere diverso. Ma significa anche
essere in sintonia con quelli che mi minacciano e contro i quali mi armo,
per i quali mi rafforzo fino a essere pronto ad andare agli estremi, se le
circostanze lo richiedono e lo permettono.

Ma in questo caso può anche significare che mi ritiro e aspetto e alla fine
anche mi rassegno al mio destino e mi arrendo fino a essere pronto alla
morte. Chi è in tale sintonia con la sua anima, è in sintonia anche con la
sua forza, con le sue possibilità, le sue capacità, la sua esperienza, il
suo sapere, la sua percezione, la sua grandezza, la sua dignità, ma anche
con i suoi limiti, i suoi fallimenti e la sua colpa. Egli agisce in
sintonia, spera in sintonia, ama in sintonia, prende e dà in sintonia e,
dove diventa necessario, anche lascia in sintonia.

Ora cosa c’entra tutto questo con l’aiutare in sintonia? Per aiutare
veramente qualcuno, quando si tratta di qualcosa di essenziale, allo stesso
modo in cui sono in sintonia con la mia anima devo essere in sintonia anche
con l’anima sua e con ciò a cui essa lo collega. Dunque anche in sintonia
con suo padre, sua madre e con tutti quelli che oltre a loro appartengono
alla sua famiglia: con i suoi fratelli e le sue sorelle, con i suoi nonni,
con i suoi zii e le sue zie e con i morti della sua famiglia.

Essere in sintonia con loro significa che li rispetto così come sono o
erano, che do loro un posto nel mio cuore e nella mia anima, che mi sento
uno e collegato a loro così come sono o erano, anche con il loro destino, la
loro sofferenza e la loro morte. Essere in sintonia con loro significa che
la mia anima con loro diventa ampia e a aperta e permeabile per tutto ciò
che da loro fluisce a me e che da me fluisce verso altri, soprattutto verso
chi devo e poi anche voglio aiutare.
Poi non siamo più solo lui ed io quelli che fanno e vogliono qualcosa.

Entrambi siamo collegati a qualcosa di più grande e di più vecchio e di più
ampio, da cui siamo anche guidati e stimolati. Allora tutto ciò ch’è
superficiale ed è un preteso passa in secondo piano e fa spazio a ciò ch’è
essenziale. In conclusione ciò significa che con il mio aiutare porto l’altro
in sintonia con la sua anima e con tutto ciò con cui essa lo collega e che
io, appena gli ho dato questo aiuto, mi ritiro in silenzio, affidandolo alla
sua grande anima.

Questo aiutare allora non è solo qualcosa che va da me a lui. Siccome in
questo modo sono in sintonia con la sua anima e con qualcosa di più grande,
che va al di là di essa, anch’io mi ritiro con la sensazione che mi è stato
donato molto.

————

– Il mio avversario –

Il mio avversario sono io. Ho bisogno di ciò che da fuori mi si contrappone,
perché solo così ciò che in me era nascosto può entrare nella mia visuale e
solo così lo posso sentire. Se lo combatto, ciò che in me è nascosto diventa
ancora più nascosto, e allora mi viene sottratto come una parte di me. E
così la campagna contro ciò che mi si contrappone, nella mia anima mi rende
stretto. Vado “fuori di me”, nel senso specifico che mi allontano da
qualcosa che mi appartiene.

Quanto più vado fuori di me e combatto la controparte che mi dà fastidio,
tanto più potentemente nel corso del tempo essa mi terrà in suo possesso,
con il risultato che quanto più tempo passa, tanto più mi coalizzo con essa,
finché alla fine mi accorgo con sgomento che è una parte di me, che è
qualcosa che sono io. Allora tramite il mio avversario rinsavisco e in lui
mi riconcilio con me stesso, e appena tramite lui divento la persona che già
ero, ma ora purificato e modesto, ed anche lui che mi combatte cresce allo
stesso modo con me.

Anche qui vale: la guerra è il padre di tutte le cose. È mio padre quello
che mi fa diventare quello che sono. In queste guerre ci sono tuttavia anche
perdenti.- Sono quelli che cercano la pace senza il conflitto. Per loro il
vero e proprio nemico è la pace. Ma anche in questo nemico trovano se
stessi.

– Il pregiudizio –

Pregiudizio significa che colleghiamo qualcosa che non conosciamo a qualcosa
che conosciamo o, peggio ancora, che lo colleghiamo a qualcosa che nemmeno
conosciamo.

I pregiudizi sono sia positivi che negativi. Da entrambi ci si sveglia se si
impara a conoscere ciò che fino a quel momento ci era sconosciuto. Per
esempio se dopo l’innamoramento, che è pur sempre un pregiudizio, si vede e
si è anche costretti a vedere l’altro così com’è, nella sua diversità.
Questo poi spiana la via per l’apprezzamento, che si apre all’altro e ci fa
uscire dalla strettezza in cui si è stati fino a quel momento, mettendoci in
condizione di avere una visuale più ampia ed aperta.

Il pregiudizio ha sempre a che vedere con strettezza e con il giudicare
secondo idee e immagini che conosciamo e che quindi sono limitate. Come del
resto lo è anche ogni giudizio sul valore delle cose, sia quello positivo
che quello negativo, dato che separa una cosa dall’altra e si chiude a ciò
che gli si contrappone. Tramite il giudizio sul valore noi differenziamo e
ci chiudiamo alla molteplicità. Tuttavia solo a un livello cognitivo, non
con l’anima. L’anima collega ciò che si contrappone e mostra proprio così la
sua ampiezza e la sua forza.

Naturalmente la cosa che ci restringe di più è il pregiudizio negativo o il
giudizio sul valore negativo, soprattutto perché è accompagnato da una
sentimento di superiorità. Spesso anche da un sentimento di sdegno, a cui
sono anche connessi pensieri di vendetta e desideri di vendetta.

Molti pregiudizi e giudizi sul valore delle cose sono connessi al fatto che
osserviamo gli altri dal punto di vista della nostra coscienza, che
suddivide gli altri in quelli che possono appartenere e in quelli che devono
essere esclusi.

Questi pregiudizi sono anche connessi al fatto che riteniamo che gli altri,
che sono diversi da noi, sono liberi e che basterebbe che mostrassero buona
volontà per cambiare ed essere come noi. Ma né noi né loro siamo liberi con
i nostri pregiudizi e i nostri giudizi sul valore delle cose. Sia noi che
loro siamo in vari modi irretiti nei destini dei nostri antenati e del
nostro gruppo. Se ci rendiamo conto di questo, diventiamo cauti e miti, sia
nei confronti degli altri che nei confronti dei nostri giudizi e di noi
stessi. Allora forse riusciamo anche a dimenticarli.

– Onorare –

Se onoro i miei genitori, do loro un posto davanti a me, equiparato a tutti
gli altri. Li vedo così come anche loro si vedono, equiparati a tutti gli
altri genitori, al servizio della stessa vita. Se li onoro riconosco la loro
grandezza. Allo stesso tempo apro il mio cuore a ciò che tramite loro e da
loro mi viene donato. Questa apertura mi mette in grado e in diritto di
prendere tutto ciò da loro, in tutta la sua pienezza.

Allora anch’io posso mettermi accanto a loro e a tutti gli altri esseri
umani, come uno dello stesso rango e con lo stesso diritto e con la stessa
forza di prendere e dare qualcosa di speciale, al servizio della vita. Così
davanti a tutti gli altri mi onoro allo stesso modo in cui ho onorato i miei
genitori e come questi davanti a tutti gli altri divento grande.

Onorando in questo modo me e i miei genitori davanti a tutti gli altri, apro
anche il cuore a ciò che questi sono per me e a ciò che io sono per loro.
Siccome onoro loro accanto a me come onoro me e i miei genitori, essi sono
disposti ad onorare anche me e a condividere quel che hanno di speciale. Lo
stesso vale se onoro il mio gruppo, la mia professione, la mia attività, la
mia particolare esperienza, ma anche il mio popolo e i miei antenati, e se
onoro il mio destino e quello degli altri.
Ogni persona che onora sé e gli altri, trova amici, trova riconoscimento, è
al servizio della pace ed è anche al servizio del futuro.

– Ringraziare veramente –

Ringraziare mi rende grande. Poiché se ringrazio, prendo come un dono ciò
che l’altro mi dà. Esso mi arricchisce perché lo prendo. Allo stesso tempo,
ciò che prendo ringraziando non lo posso più perdere. Il ringraziamento mi
permette di serbarlo e di moltiplicarlo. Ha l’effetto del sole e della
pioggia calda su di una giovane piantina. Essa prospera.

Il ringraziare collega. Ringraziando, le nostre relazioni prosperano. Perché
a chi ringrazia si dà volentieri. Viceversa, quello che prende ringraziando
diventa interiormente ampio e non può far altro che dare a sua volta e
donare ad altri ciò che ha preso come un dono ringraziando. Per questo, il
ringraziare rende ricco e felice non solo me, ma anche gli altri.

Chi ringrazia, apprezza ciò che gli viene donato, e in questo modo apprezza
anche quelli che gli fanno questo dono. In questo modo, ringraziando divento
grande sia io, sia ciò che mi viene dato e sia quelli che danno.

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