Sapienza Antica 10

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Sapienza Antica 10

di Annie Besant

COMPENDIO DEGLI INSEGNAMENTI TEOSOFICI

DEDICATO
CON GRATITUDINE RIVERENZA ED AMORE
A
H. P. BLAVATSKY
CHE MI MOSTRÒ LA LUCE

Parte decima

CAP. IX

KARMA
Descritta così l’evoluzione dell’anima per mezzo della reincarnazione,
siamo ora in grado di studiare la grande legge di causalità sotto la
quale avvengono le rinascite, legge a cui si dà il nome di Karma.
Karma è una parola sanscrita che letteralmente significa azione:
poiché tutte le azioni sono effetti derivanti da cause precedenti, e
poiché ogni effetto diventa a sua volta causa di altri effetti, così
questa idea di causa ed effetto è parte essenziale dell’idea di azione
e la parola azione, o Karma, viene perciò usata per causalità, ossia
per la serie ininterrottamente concatenata di cause ed effetti che
costituiscono ogni attività umana. Perciò si usa talvolta, a proposito
di qualche evento, l’espressione: “questo è il mio karma”, vale a
dire: “questo evento è l’effetto di una causa generata da me in
passato”. Nessuna vita è isolata, ma è figlia di tutte le vite che la
precedettero e madre di tutte quelle che la seguiranno nell’aggregato
totale delle vite costituenti l’esistenza continuata dell’individuo.
“Fortuna” e “caso” non esistono; ogni evento è collegato ad una causa
precedente e ad un effetto susseguente; tutti i pensieri, le azioni,
le circostanze hanno un rapporto causale col passato ed avranno
un’influenza causale sul futuro.
La nostra ignoranza, nascondendoci tanto il passato che il futuro, fa
sì che gli avvenimenti ci appaiano spesso “accidentali” come se
uscissero improvvisamente dal nulla; ma questa apparenza è illusoria e
dovuta interamente alla nostra mancanza di conoscenza. Allo stesso
modo che il selvaggio, ignaro delle leggi dell’universo fisico,
ritiene incausati gli eventi fisici e considera come miracoli i
risultati di leggi fisiche a lui sconosciute, così pure molti,
ignorando le leggi morali e mentali, considerano gli eventi morali e
mentali come incausati ed i risultati di leggi morali e mentali
sconosciute come buona o cattiva “fortuna”.

Questa idea di una legge immutabile ed inviolabile in un regno
vagamente attribuito fino allora al caso può, quando si presenta per
la prima volta alla mente, produrre un senso di abbandono e quasi di
paralisi mentale e morale. L’uomo pare stretto nella morsa ferrea di
un destino inflessibile, e il kismet rassegnato del mussulmano sembra
l’unica espressione filosofica possibile. È appunto questo sentimento
che deve provare il selvaggio allorché l’idea di una legge fisica
spunta per la prima volta nella sua intelligenza sgomenta, ed egli
impara che ogni movimento del suo corpo, ogni movimento della natura
esterna avvengono sotto leggi immutabili. Gradatamente egli impara che
le leggi naturali non fanno che stabilire delle condizioni sotto le
quali le azioni devono essere compiute, ma non prescrivono le stesse
azioni; così che l’uomo resta sempre libero fra quelle, benché sia
limitato nelle sue attività esterne dalle condizioni del piano nel
quale quelle attività sono esplicate. Impara inoltre che, mentre le
condizioni lo dominano frustrando costantemente i suoi strenui sforzi
finché egli le ignora, o conoscendole va contro di esse, egli le
domina invece facendosi da esse servire ed aiutare quando le
comprende, ne conosce le direzioni e ne calcola le forze.

In verità la scienza è possibile nel piano fisico solo perché le sue
leggi sono inviolabili, immutabili; se non esistessero leggi naturali,
nessuna scienza potrebbe esistere. Un investigatore fa un certo numero
di esperimenti e dai loro risultati impara in quale maniera opera la
Natura; sapendo ciò, egli può calcolare come produrre un certo
risultato desiderato, e se non riesce nel suo intento sa che deve aver
omesso qualche condizione necessaria o la sua cognizione è imperfetta,
o si è ingannato nei suoi calcoli. Egli esamina le sue cognizioni,
analizza i suoi metodi, rivede i suoi calcoli, con la certezza
completa e serena che, se la sua questione sarà ben posta, la Natura
risponderà con invariabile precisione. Idrogeno ed ossigeno non gli
daranno oggi acqua e domani acido prussico; il fuoco non brucerà oggi
e ghiaccerà domani. Se l’acqua è un fluido oggi ed un solido domani, è
solo perché le condizioni di ambiente sono state mutate e il ritorno
alle condizioni originali riporterà il risultato originale.

Ogni nuova informazione sulle leggi della Natura non è una nuova
restrizione, ma un nuovo potere, poiché tutte queste energie della
Natura diventano forze che possono essere usate nella proporzione in
cui sono comprese. Da qui il detto che “sapere è potere” perché
nell’esatta misura del suo sapere l’uomo può utilizzare queste forze;
con lo scegliere quelle che fanno al suo caso, con l’equilibrarne una
con un’altra, col neutralizzare le energie contrarie che
interferirebbero col suo intento, egli può calcolare anticipatamente
il risultato e portare a compimento ciò che determina in precedenza.
Comprendendo e manipolando le cause, può predire gli effetti; in tal
modo quella stessa rigidità della Natura che dapprima sembrava
paralizzare ogni azione umana, può essere usata a produrre un’infinita
varietà di risultati.

La perfetta rigidità di ciascuna forza separata rende possibile una
perfetta flessibilità nelle loro combinazioni; poiché, essendovi forze
di ogni genere, mobili in ogni senso ed ognuna calcolabile, è
possibile fare una selezione e combinare quelle scelte in modo da
ottenere il risultato voluto. Determinato l’oggetto da conquistare,
questo può essere infallibilmente ottenuto equilibrando accuratamente
le forze nella combinazione preparata come causa. Ma, si ricordi, è
necessario sapere per guidare così gli eventi, per produrre dei
risultati desiderati. L’ignorante si scontra miseramente con leggi
immutabili e vede riuscir vani tutti i suoi sforzi, mentre l’uomo che
possiede il sapere procede pronto e diritto, prevedendo, causando,
prevenendo, adattando e producendo quello a cui tende, non perché è
fortunato, ma perché sa. L’uno è il trastullo, lo schiavo della
Natura, che viene trascinato nel turbine delle sue forze; l’altro ne è
il padrone, che si serve di quelle energie per avanzare nella
direzione scelta dalla sua volontà.

Ciò che è vero per il regno fisico della legge è vero anche per i
mondi mentale e morale, essi pure regni retti da leggi. Ed anche qui
l’ignorante è uno schiavo, il sapiente un sovrano; anche qui
l’inviolabilità e l’immutabilità, considerate dapprima come
paralizzanti, dimostrano poi le condizioni necessarie di un sicuro
progresso e di una oculata direzione del futuro. L’uomo può divenire
padrone del suo destino, solo perché quel destino è in un dominio di
leggi, dove il sapere può formare la scienza dell’anima e porre nelle
mani dell’uomo il potere di dirigere il proprio avvenire, di
scegliersi tanto il futuro carattere quanto le circostanze future. Per
tal modo la conoscenza del Karma, invece di paralizzare, diventa una
forza che ispira, che sostiene, che eleva.

Karma è dunque la legge di causalità, ossia la legge di causa ed
effetto. S. Paolo, il grande Iniziato cristiano, la esprimeva
formalmente con le parole: “Non v’ingannate; Iddio non si può beffare;
perché ciò che l’uomo avrà seminato, quello stesso mieterà”. (Galati,
VI, 7).
L’uomo emette continuamente delle forze anche in tutti i piani nei
quali agisce; queste forze, già per se stesse in quantità e qualità
effetti delle sue attività passate, sono cause che egli genera in
ognuno dei mondi che abita; esse producono effetti definiti tanto su
lui stesso come su altri, e siccome queste cause irradiano da lui come
centro su tutto il suo campo di azione, così egli è responsabile degli
effetti che ne derivano. Nello stesso modo che una calamita ha il suo
“campo magnetico”, ossia un’area entro la quale si esercitano tutte le
sue forze, più o meno grande a seconda della sua potenza, così anche
ogni uomo ha un campo di influenza, dentro il quale agiscono le forze
da lui emesse e queste forze agiscono secondo curve che ritornano a
colui che le emise, che rientrano nel centro donde uscirono.
Essendo il soggetto di una complessità estrema noi lo suddivideremo,
studiando poi le parti ad una ad una.

Le energie emesse dall’uomo nella sua vita ordinaria sono di tre
classi, appartenenti rispettivamente ai tre mondi che egli abita:
energie mentali nel piano mentale, originanti le cause che chiamiamo
pensieri; energie di desiderio nel piano astrale, originanti le cause
che chiamiamo desideri; energie fisiche mosse dai desideri che si
esplicano nel piano fisico generando le cause che denominiamo azioni.
Dobbiamo studiare ognuna di queste classi nella sua particolare
attività e comprendere quale categoria di effetti deriva da ciascuna
di esse, se desideriamo rettamente delineare la parte di ognuna nelle
complicate ed intricate combinazioni da noi generate, dette nella loro
totalità “il nostro karma.”. Allorché un uomo, progredendo più
rapidamente dei suoi simili, acquista la capacità di agire in piani
superiori, diventa per ciò il centro di forze superiori; ma per il
momento possiamo lasciare in disparte queste eccezioni e limitarci
all’umanità ordinaria che percorre il ciclo della reincarnazione nei
tre mondi.
Nell’esaminare queste tre classi di energie, dovremo distinguere tra i
loro effetti sulla persona stessa che le genera e gli effetti che
producono sugli altri che entrano nella sfera d’influenza di quella
persona; distinzione questa importantissima, perché senza di essa lo
studioso può spesso trovarsi sperduto in un labirinto inestricabile.

Bisogna poi ricordare che ogni forza agisce nel suo proprio piano e
reagisce nei piani inferiori in proporzione della sua intensità; il
piano nel quale è generata le dà la sua caratteristica speciale, e
nella sua reazione nei piani inferiori provoca delle vibrazioni nei
loro materiali più fini o più grossolani secondo la sua natura
originaria. Il movente che genera l’attività determina il piano a cui
appartiene la forza.

Sarà pure necessario distinguere: il karma maturo, pronto a
manifestarsi sotto forma di eventi inevitabili nella vita presente; il
karma di carattere, il quale si manifesta in tendenze che sono il
prodotto di esperienze accumulate, e che possono essere modificate in
questa vita dallo stesso potere (l’Ego) che le creò in passato; e
finalmente il karma in formazione, il quale darà origine ad eventi
futuri e ad un futuro carattere .

Inoltre dobbiamo persuaderci che, mentre un uomo crea il proprio karma
individuale, si va con esso legando anche ad altre persone, divenendo
così membro di vari gruppi: di famiglia, di nazione, di razza, e come
tale partecipa al karma collettivo di ognuno di quei gruppi.
Da ciò si vede quanto complesso sia lo studio del karma; però, con
l’afferrarne i princìpi fondamentali, quali li abbiamo esposti più
sopra, non sarà difficile formarsi una idea coerente della sua portata
generale, studiandone poi con maggior agio i particolari man mano che
se ne presenta l’opportunità. Sopratutto non si dimentichi mai, siano
o non siano compresi quei particolari, che ogni uomo prepara da sé il
proprio karma, creandosi tanto le capacità quanto le limitazioni e
che, lavorando in ogni tempo con quelle capacità e dentro quelle
limitazioni che sono opera sua, egli è sempre lui stesso, un’anima
vivente e può rafforzare o indebolire le sue capacità, allargare o
restringere le sue limitazioni.

Le catene che lo legano sono create da lui ed egli potrà spezzarle o
ribadirle più fortemente; la casa nella quale abita è di sua
costruzione ed egli volendo può migliorarla, lasciarla deteriorare o
ricostruirla. Noi lavoriamo sempre in un’argilla plastica che possiamo
modellare a piacere; ma questa argilla si indurisce come ferro,
mantenendo la forma che le abbiamo dato.

Un proverbio dell’Hitopadesha, riportato da Sir Edwin Arnold, dice:

“Guarda! la creta asciugando indurisce come ferro; ma il vasaio
modella la creta.”
“Il destino oggi è signore — L’uomo era signore ieri”.

Così tutti noi siamo padroni del nostro domani, per quanto inceppati
possiamo essere oggi dai risultati del nostro ieri.
Esaminiamo ora per ordine le divisioni già stabilite per facilitare lo
studio del Karma.
Tre classi di cause, coi loro effetti sul loro creatore e su quelli
che egli influenza. La prima di queste tre classi è composta dai
nostri pensieri. Il pensiero è il fattore più potente nella creazione
del karma umano, poiché con esso le energie del Sé agiscono nella
materia mentale, la materia che nelle sue qualità più sottili forma il
veicolo individuale ed anche nelle sue qualità più grossolane risponde
rapidamente ad ogni vibrazione dell’autocoscienza.
Le vibrazioni che chiamiamo pensiero, l’immediata attività del
Pensatore, danno origine a forme di sostanza mentale, ossia ad
immagini mentali le quali costruiscono o modellano, come già vedemmo,
il suo corpo mentale; ogni pensiero modifica questo corpo mentale e le
facoltà mentali innate di ogni vita successiva sono i risultati dei
pensieri delle vite precedenti. Un uomo non può possedere nessun
potere di pensiero, nessuna abilità mentale che non abbia creato da se
stesso con un pensare pazientemente ripetuto; d’altra parte, nessuna
delle immagini mentali che egli in tal modo ha create va perduta, ma
resta come materiale per farne delle facoltà, poiché sono appunto gli
aggregati di immagini mentali che vengono trasformati in una facoltà,
la quale diviene sempre più forte ad ogni nuovo pensiero o creazione
di un’immagine mentale dello stesso genere.

Conoscendo questa legge, l’uomo può gradatamente formarsi il carattere
mentale che desidera possedere e può farlo con la precisione e la
certezza con cui un muratore costruisce un muro. La morte non arresta
il suo lavoro, ma liberandolo dall’ingombro del corpo, facilita il
processo di elaborazione delle immagini mentali negli organi definiti
che noi chiamiamo facoltà, e che egli riporta con sé nella prossima
nascita sul piano fisico; una parte del cervello del nuovo corpo viene
modellata in modo da servire come organo di queste facoltà, nella
maniera che fra breve spiegheremo. Tutte queste facoltà riunite
insieme formano il corpo mentale dell’uomo per la nuova vita terrena;
il cervello ed il sistema nervoso sono preparati in modo da dare a
questo corpo mentale la possibilità di esprimersi nel piano fisico.
Così le
immagini mentali create in una vita riappaiono in un’altra come
caratteristiche e tendenze mentali, ed a questo si allude in uno degli
Upanishad, dove si legge:

“L’uomo è una creatura di riflessioni; quello su cui riflette in
questa vita egli diventa in avvenire.” (Chândogya Upanishad, IV, XIV,
I.) Tale è la legge, che pone la costruzione del nostro carattere
interamente nelle nostre mani; nostri il profitto ed il credito, se
fabbrichiamo bene; nostri il danno e il biasimo, se fabbrichiamo male.
Il carattere mentale, per ciò che riguarda la sua azione
sull’individuo che lo genera, è dunque un caso di karma individuale.

Ma l’uomo che noi stiamo considerando influenza coi suoi pensieri
anche gli altri. Le immagini mentali che formano il suo corpo mentale
eccitano delle vibrazioni, riproducendosi così in forme secondarie;
queste generalmente, essendo miste col desiderio, si attirano attorno
della materia astrale, ragione per cui altrove ho dato a queste forme
di pensiero secondarie il nome di immagini astro-mentali 1. Tali forme
lasciano il loro creatore e hanno una vita quasi indipendente, pur
mantenendo un legame magnetico con esso. Venendo in contatto con altre
persone ed influenzandole, esse stabiliscono dei vincoli karmici fra
queste altre persone e il loro autore ed è in tal guisa che quelle
forme avranno un’influenza considerevole sull’ambiente avvenire della
persona stessa.
Così si formano i legami che riuniscono in altre vite gli esseri per
il bene o per il male; che ci circondano di parenti, di amici o di
nemici; che mettono sul nostro cammino persone che ci aiutano e ci
beneficano, altre che ci ostacolano e ci danneggiano, persone che ci
amano senza che in questa vita abbiamo fatto nulla per meritarlo,
altre che ci odiano senza che il nostro presente operato giustifichi
il loro sentimento. Un grande principio si deduce dallo studio di tali
risultati, quello cioè che mentre i nostri pensieri producono il
nostro carattere mentale e morale con la loro azione su noi stessi,
coi loro effetti sugli altri concorrono a determinare gli esseri umani
che saranno a noi associati in avvenire.

La seconda grande classe di energie è composta dei nostri desideri,
ossia degli impulsi che sentiamo per oggetti del mondo esterno;
siccome un elemento mentale partecipa sempre nell’uomo a tali energie,
possiamo estendere anche ad esse il termine di “immagini mentali”,
benché trovino la loro principale espressione nella materia astrale.
Codeste immagini, nella loro azione sulla persona stessa che le creò,
modellano e formano il suo corpo del desiderio o corpo astrale,
decidono della sua sorte quando dopo la morte passa in Kamaloka e
determinano la natura del suo veicolo astrale nella futura nascita.

Nei desideri bestiali, crudeli, impuri, nella ubriachezza abituale, si
trovano le cause feconde di malattie congenite, di cervelli deboli ed
ammalati (che danno origine all’epilessia, alla catalessia e alle
infermità nervose d’ogni genere), di difetti e deformità fisiche e, in
casi estremi, di mostruosità. Bramosie bestiali anomali per genere e
per intensità possono creare nel mondo astrale dei legami che per un
certo tempo incatenano gli Ego, rivestiti dei corpi astrali modellati
da tali bramosie, ai corpi astrali di animali ai quali queste
propriamente appartengono, ritardando così la loro reincarnazione;
allorché si sfugge ad un tale fato, il corpo astrale così malformato
imprimerà alle volte le sue caratteristiche bestiali sul corpo fisico
in formazione durante la vita prenatale, producendo quei mostri
semiumani che di quando in quando vengono alla luce.

I desideri, appunto perché sono energie dirette al di fuori che si
attaccano agli oggetti, attraggono sempre l’uomo verso un ambiente in
cui possono essere soddisfatti; quindi i desideri per cose terrene,
legando l’anima al mondo esterno, lo attirano verso il luogo dove gli
oggetti agognati possono essere più prontamente ottenuti; ed è perciò
che si dice che l’uomo nasce secondo i suoi desideri 1. Essi sono una
delle cause che determinano il luogo della rinascita.

Le immagini astro-mentali originate dai desideri influenzano le altre
anime a somiglianza di quelle generate dai pensieri; perciò anch’esse
ci legano ad altre anime, e spesso coi più potenti vincoli dell’amore
o dell’odio, poiché allo stadio presente dell’evoluzione umana i
desideri di un uomo comune sono generalmente assai più forti e più
attivi dei suoi pensieri. Quelli hanno così una grande parte nel
determinare l’ambiente dell’uomo nelle vite future, nelle quali
possono porlo in contatto con persone ed influenze che gli sono, a sua
totale insaputa, strettamente vincolate. Si supponga che un uomo
emettendo un forte pensiero di odio e di vendetta concorra ad eccitare
in un altro uomo l’impulso che ha per risultato un omicidio; il
creatore di quel pensiero è legato per mezzo del suo karma all’autore
del delitto, anche senza averlo mai incontrato sul piano fisico ed il
male che gli ha fatto contribuendo a spingerlo ad un delitto,
ritornerà a lui come un danno nell’infliggere il quale avrà parte il
delinquente d’una volta.

Molti “fulmini a ciel sereno” che si ritengono del tutto immeritati,
sono effetti di tali cause e per loro mezzo l’anima impara e registra
una lezione, mentre la coscienza inferiore è oppressa da una
sensazione di ingiustizia. Nulla può colpire un uomo che egli non
abbia meritato, e la sua assenza di memoria non può impedire che la
legge agisca. Così impariamo che i nostri desideri, con la loro azione
su noi stessi, formano la nostra natura passionale, e che per mezzo di
questa influenzano considerevolmente i nostri corpi fisici nella
futura nascita; che essi hanno una grande parte nel determinare il
luogo dove andremo a rinascere; che, con il loro effetto sugli altri,
concorrono ad attirarci attorno le persone che saranno a noi associate
nelle vite future.
La terza grande classe di energie, manifestandosi nel piano fisico
come azioni, genera molto karma per i suoi effetti sugli altri, ma non
tocca che superficialmente l’Uomo Interiore. Tali energie sono effetti
dei suoi pensieri e desideri passati ed il karma che rappresentano
resta in massima parte esaurito col verificarsi di quelle azioni. Esse
toccano indirettamente l’Uomo interiore in proporzione dei nuovi
pensieri e desideri od emozioni che fanno sorgere in lui, ma la forza
generatrice sta in questi sentimenti e non nelle azioni stesse. Però,
se le azioni vengono spesso ripetute, esse danno origine ad una
abitudine del corpo, che agisce come una limitazione all’espressione
dell’Ego nel mondo esterno: limitazione che tuttavia svanisce col
perire del corpo, limitando così il karma dell’azione ad una singola
vita, per ciò che riguarda i suoi effetti sull’anima.

Ma è ben altra cosa quando studiamo gli effetti delle azioni sugli
altri, la felicità od infelicità cui danno origine, e l’influenza da
esse esercitata come esempi. Esse ci legano agli altri con questa
influenza, e formano così un terzo fattore nel determinare i nostri
futuri compagni umani, mentre sono il fattore principale nel
determinare ciò che si può dire il nostro ambiente non umano.
Generalmente parlando, la natura favorevole o sfavorevole dell’
ambiente fisico nel quale si nasce dipende dall’effetto che le nostre
azioni precedenti ebbero nel procurare felicità od infelicità ad
altri. I risultati fisici derivati ad altri dalle azioni nel piano
fisico, agiscono karmicamente ripagando il loro autore con un buono o
cattivo ambiente fisico in una vita futura. Se rese fisicamente felici
delle persone sacrificando ricchezze, tempo e fatiche, questa azione
gli riporterà per via karmica delle circostanze fisiche favorevoli che
lo condurranno ad una felicità fisica; e così pure se egli fu cagione
di miseria fisica, raccoglierà dalla sua azione delle tristi
circostanze fisiche che lo porteranno alla sofferenza fisica. E così
accade sempre qualunque sia stato in ogni caso il movente, fatto
questo che ci porta a considerare la legge seguente, e cioè che:

Ogni forza agisce nel suo proprio piano. Se un uomo semina felicità
per gli altri nel piano fisico, raccoglierà delle condizioni
favorevoli alla felicità per se stesso in quel piano ed il movente che
lo spinge ad agire non influisce sul risultato. Una persona può
seminare del frumento a scopo di speculazione e per rovinare il suo
vicino, ma il suo cattivo movente non farà certo nascere ortiche dai
chicchi di frumento. Il movente è una forza mentale o astrale, secondo
che deriva dalla volontà o dal desiderio, e reagisce quindi o sul
carattere mentale e morale, o sulla natura dei desideri. Il produrre
della felicità fisica con un’azione è una forza fisica la quale agisce
nel piano fisico.

“Con le sue azioni l’uomo influenza i suoi vicini sul piano fisico, e
sparge attorno a sé gioia od è causa di affanni, accrescendo o
diminuendo la somma della felicità umana. Questo aumento o diminuzione
di benessere può essere dovuto a cause assai differenti: buone,
cattive, o miste. Uno può compiere un atto che diffonda del godimento,
spinto da pura benevolenza, da un desiderio di dare della felicità ai
suoi simili. Per esempio, con una simile intenzione, egli regala un
parco ad una città per libero uso dei suoi abitanti. Un altro può fare
un atto consimile per semplice ostentazione, per desiderio di attirare
l’attenzione di coloro che possono dispensare delle onorificenze (lo
potrà dare cioè come prezzo d’acquisto di un titolo); un terzo farà
anche dono di un parco per ragioni miste, parte egoistiche, parte
disinteressate. I moventi agiranno separatamente sui caratteri di
queste tre persone nelle loro future incarnazioni, con un
miglioramento, una degradazione, o con qualche risultato meschino. Ma
l’effetto prodotto dall’azione col procurare del godimento a molta
gente non dipende dal movente del donatore; il popolo godrà ugualmente
il parco, non importa quale sia stato l’impulso che occasionò il dono,
e questa gioia, dovuta all’azione del donatore, diventa per lui un
credito karmico verso la Natura, che gli sarà scrupolosamente pagato.
“Egli si troverà a rinascere fra gli agi o nel fasto, e sarà questa la
sua ricompensa, il frutto karmico del passato sacrificio delle sue
ricchezze fisiche; ed a questa ricompensa egli ha diritto. Ma l’uso
che egli fa della sua posizione, la felicità che ricava dalla sua
ricchezza e dal suo ambiente dipendono principalmente dal suo
carattere, ed anche in questo gli verrà data la giusta ricompensa,
ogni seme portando il suo frutto appropriato” (Karma, pag. 50-51). In
verità le vie del karma sono uniformi: esso non priva l’uomo cattivo
del risultato che debitamente segue un’azione che diffonde della
felicità,, ma, al tempo stesso, gli dà il carattere deteriorato che si
è meritato per il suo cattivo movente, così che anche nell’opulenza si
sentirà malcontento ed infelice.

Né l’uomo potrà sfuggire a sofferenze fisiche se egli è causa di
dolori fisici con azioni sbagliate, anche se fatte con buona
intenzione; i dolori da lui causati gli riporteranno della sofferenza
nel suo ambiente fisico, ma le sue buone intenzioni, migliorando il
suo carattere, gli procureranno una sorgente di perenne felicità
interiore ed egli si conserverà paziente e contento in mezzo ai suoi
dolori. Più di un problema imbarazzante si può risolvere con
l’applicazione di questi princìpi ai fatti che ci vediamo intorno.

Questi effetti rispettivi del movente e dei risultati (o frutti) delle
azioni sono dovuti al fatto che ogni forza ha le caratteristiche del
piano nel quale fu generata e quanto più elevato è il piano, tanto più
potente e persistente è la forza. Il movente è quindi assai più
importante dell’azione, ed un’azione sbagliata fatta con buona
intenzione è feconda per il suo autore di un bene maggiore di quel che
non sia un’azione bene scelta, ma fatta con cattiva intenzione.

Il movente, reagendo sul carattere, dà luogo ad una lunga serie di
effetti, poiché le azioni future, guidate da quel carattere,
sentiranno tutte l’influenza del suo miglioramento o del suo
peggioramento; mentre l’azione, dando all’autore felicità od
infelicità fisica a seconda dei suoi risultati sugli altri, non ha in
sé alcuna forza generatrice, ma viene esaurita nei suoi risultati. Chi
conosce il karma, e nella scelta del sentiero della giusta azione è
reso incerto dal conflitto di apparenti doveri, egli cerca con ogni
cura di scegliere la via migliore facendo il miglior uso possibile
della sua ragione e del criterio; egli esamina scrupolosamente il
movente che lo anima, eliminando ogni considerazione egoistica e
purificando il suo cuore, quindi agisce senza timore. E se le sue
azioni risultano errate, volentieri accetta la sofferenza che ne
deriva, considerandola una lezione che gli sarà utile in futuro.
Frattanto, la sua intenzione elevata avrà nobilitato il suo carattere
per tutto il tempo avvenire.

Questo principio generale che la forza appartiene al piano nel quale è
generata, è di una immensa importanza. Se una forza è emessa con lo
scopo di conquistare oggetti fisici, essa agisce nel piano fisico e
lega a questo colui che la generò; se tende verso un oggetto del mondo
devachanico, la forza agisce nel piano devachanico vincolandovi il suo
autore. Ma se l’azione non ha per movente che il servizio divino,
allora la forza vien liberata nel piano spirituale e perciò non ha più
il potere di legare l’individuo, perché l’individuo nulla chiede.
Le tre specie di karma. Il karma maturo è quello che è pronto per
essere raccolto e che perciò è inevitabile. Di tutto il karma del
passato ve n’è una certa quantità che può essere esaurita nei limiti
di una singola vita; certi generi di karma sono così incongrui fra
loro che non è possibile trovino espressione in un solo corpo fisico,
ma richiedono per manifestarsi dei tipi molto differenti di corpi
fisici; vi sono debiti contratti verso altre anime, e tutte queste
anime non si troveranno incarnate nello stesso tempo; vi è del karma
che deve essere esaurito in una nazione particolare od in una
particolare posizione sociale, mentre lo stesso uomo ha dell’altro
karma che richiede un ambiente totalmente differente. Perciò una parte
soltanto del suo karma totale può essere elaborato in una data vita;
questa parte è scelta dai grandi Signori del Karma, dei quali diremo
qualche cosa fra breve, e l’anima è guidata ad incarnarsi in una
famiglia, in una nazione, in un luogo, in un corpo adatti
all’esaurimento di quell’insieme di cause che sono conciliabili fra
loro.

Questo insieme di cause fissa la lunghezza di quella data vita, dà al
corpo le sue caratteristiche, i suoi poteri, le sue limitazioni; mette
a contatto dell’uomo le anime, incarnate durante quel periodo di vita,
verso le quali egli aveva contratto delle obbligazioni, circondandolo
così di parenti, amici e nemici; determina le condizioni sociali nelle
quali egli nasce con tutti i loro vantaggi e svantaggi; sceglie le
energie mentali che egli può manifestare, modellando in conseguenza
l’organizzazione del suo cervello e del suo sistema nervoso; mette
insieme le cause che determinano pene o gioie nella sua carriera nel
mondo e che possono manifestarsi in una singola vita. Tutto questo è
“karma maturo”, e può essere descritto in un oroscopo da un astrologo
competente. In ciò l’uomo non ha ora facoltà di scelta; tutto è
fissato dalla scelta da lui stesso fatta in passato, ed egli deve
pagare fino all’ultimo i debito contratti.

I corpi fisico, astrale e mentale che l’anima riveste per un nuovo
periodo di vita sono, come abbiamo visto, il risultato diretto del suo
passato e costituiscono una parte importantissima di questo karma
maturo. Essi limitano l’anima da ogni parte e il suo passato si eleva
giudice innanzi all’uomo, stabilendo quelle limitazioni da lui stesso
volute. Accettare quei corpi lietamente e lavorare con diligenza a
migliorarli è il compito dell’uomo saggio, che sa di doverli subire.

Vi è un’altra specie di karma maturo che ha una grandissima
importanza: quello delle azioni inevitabili. Ogni azione è
l’espressione finale di una serie di pensieri; ossia, valendoci della
terminologia chimica, noi otteniamo una soluzione satura di pensiero
aggiungendo pensieri a pensieri dello stesso genere, finché un altro
pensiero od anche un impulso, una vibrazione proveniente dall’esterno,
determina la solidificazione dell’insieme, vale a dire determina
l’azione che è l’espressione dei pensieri. Se ripetiamo con insistenza
dei pensieri dello stesso genere, di vendetta per esempio, finiremo
col raggiungere il punto di saturazione, nel quale un impulso
qualsiasi solidificherà quei pensieri in un’azione e ne risulterà un
delitto. Oppure possiamo reiterare fino a saturazione dei pensieri di
aiutare altri e quando lo stimolo di un’opportunità ci tocca, quei
pensieri si cristallizzano in un atto eroico.

Un uomo può portare con sé nascendo un karma maturo di questo genere e
la prima vibrazione che tocca una tal massa di pensieri pronti a
concretarsi in un’azione, lo spingerà all’esecuzione dell’atto
inconsciamente e senza che occorra una nuova volizione. Egli non può
fermarsi a pensare: si trova nella condizione in cui la prima
vibrazione della mente causa l’azione; è in una posizione di
equilibrio così instabile da traboccare al minimo impulso. In simili
circostanze la persona medesima si stupirà di aver commesso un delitto
o compiuto un atto sublime di abnegazione e dirà: “Lo feci senza
pensare”, ignorando che invece aveva pensato tanto spesso a
quell’azione da renderla inevitabile. Quando un uomo ha voluto per
molte volte compiere un atto, finisce per fissare su di questo
irrevocabilmente la sua volontà ed il metterlo in esecuzione sarà
soltanto questione di opportunità. Finché può pensare, gli rimane la
libertà di scelta, poiché può contrapporre il nuovo pensiero al
precedente e distruggere questo gradatamente con la reiterazione dei
pensieri opposti; ma quando la prima vibrazione dell’anima in risposta
ad uno stimolo esterno significa azione, la facoltà di scelta è
esaurita.

In questo sta la soluzione dell’antico problema della necessità e del
libero arbitrio; con l’esercizio del libero arbitrio l’uomo si crea a
poco a poco delle necessità, e fra i due estremi stanno tutte le
combinazioni di libero arbitrio e necessità che generano le lotte
interne delle quali siamo coscienti. Con la ripetizione di azioni
intenzionali guidate dalla volontà, noi ci formiamo continuamente
delle abitudini; poi l’abitudine diventa limitazione e l’azione viene
da noi compiuta automaticamente. Forse siamo allora tratti a
concludere che l’abitudine è cattiva, e cominciamo laboriosamente a
distruggerla con pensieri di genere opposto; dopo parecchie
inevitabili cadute, la nuova linea di pensiero rivolge il corso della
corrente e noi riacquistiamo la nostra piena libertà e spesso per
crearci a grado a grado nuove catene. Così vecchie forme di pensiero
persistono a limitare la nostra capacità di pensare, palesandosi come
pregiudizi individuali e nazionali. La maggior parte degli uomini non
sanno di essere così limitati e camminano serenamente nella loro
schiavitù; coloro che imparano la verità concernente la propria natura
diventano liberi.

Una delle necessità più spiccate nella vita è la costituzione del
cervello e del sistema nervoso; noi stessi li abbiamo resi inevitabili
coi nostri pensieri passati, e perché ora ci limitano ci irritiamo
spesso contro di essi. Il cervello e il sistema nervoso possono essere
poco alla volta e gradatamente migliorati; i limiti possono essere
allargati, ma non è possibile trascenderli d’un tratto.

Un’altra forma di questo karma maturo si ha quando i cattivi pensieri
del passato hanno formato attorno all’uomo una corazza di cattive
abitudini, che lo imprigiona e ne rende malvagia la vita; le azioni
sono l’inevitabile prodotto del suo passato, come abbiamo spiegato or
ora, ed erano state tenute in riserva, anche per parecchie vite,
perché queste non offrivano delle opportunità per la loro
manifestazione. In quel frattempo l’anima è andata progredendo e
sviluppando delle nobili qualità. In una data vita quella corazza di
male passato ha l’opportunità di venire in evidenza, e per causa sua
l’anima non può manifestare il suo più recente sviluppo: come un
pulcino pronto ad uscire dal guscio, essa sta nascosta dentro il suo
involucro imprigionatore, il quale solo è visibile all’occhio esterno.
Dopo un certo tempo quel karma è esaurito e qualche evento fortuito in
apparenza, come la parola di un grande Maestro,

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un libro, un discorso, rompe il guscio e l’anima ne esce libera. Sono
le rare, improvvise, ma permanenti “conversioni”, i “miracoli della
grazia divina”: tutti perfettamente intelligibili per chi conosce il
karma e tutti compresi nel dominio della legge.
Il karma accumulato che si manifesta come carattere è, a differenza
del karma maturo, sempre soggetto a modificazioni. Si può dire che
esso consista di tendenze, forti o deboli a seconda della forza di
pensiero che contribuì alla loro formazione, che possono ancora essere
rafforzate o indebolite da nuove correnti di forza mentale intese ad
agire d’accordo o in contrasto con esse. Se troviamo in noi delle
tendenze che riteniamo riprovevoli, possiamo metterci all’opera per
eliminarle; spesso sopraffatti dal torrente impetuoso del desiderio
non riusciamo a far fronte alla tentazione, ma quanto più lunga sarà
la resistenza, anche se alla fine soccombiamo, tanto più vicini noi
saremo alla vittoria: ognuna di codeste sconfitte è un passo fatto
verso il successo, poiché la resistenza stanca e logora una parte
dell’energia contraria, così che di meno ce ne rimarrà di fronte nel
futuro.

Il karma in via dì formazione è già stato studiato precedentemente.

Karma collettivo. Quando si considera dal punto di vista del karma un
gruppo di persone, si osserva che l’azione delle forze karmiche sopra
ognuna di quelle, come facente parte del gruppo, introduce un nuovo
fattore nel karma individuale. Noi sappiamo che quando un certo numero
di forze agisce sopra un dato punto, il movimento di quel punto non è
nella direzione di qualcuna di quelle forze, ma nella direzione che è
il risultato della loro combinazione. Così pure il karma di un gruppo
è la risultante delle forze appartenenti agli individui che lo
compongono: tutti questi individui sono mossi nella direzione di tale
risultante. Per esempio, un Ego è spinto dal suo karma individuale a
nascere in una data famiglia perché in altre vite ha stretto dei
vincoli con qualcuno degli altri Ego componenti quella famiglia;
questa ha ereditato delle proprietà da un avo ed è ricca; un giorno
appare un discendente diretto del fratello maggiore dell’avo, che si
riteneva morto senza figli, ed i beni passano a lui quale erede
legittimo, lasciando il padre della famiglia carico di debiti; può
darsi che il nostro Ego non avesse avuto in passato nessun legame con
questo erede, verso il quale invece il padre avrà contratto in vite
precedenti qualche obbligo che infine portò a quella catastrofe; pure,
essendo coinvolto nel karma di quella famiglia, anch’egli è minacciato
dalle stesse sofferenze. Se nel suo proprio karma individuale passato
si trova qualche cattiva azione che può essere scontata con quelle
sofferenze, lo si lascerà coinvolto nel karma della sua famiglia; ma
se il caso non è tale, egli ne sarà tratto fuori da qualche
“circostanza imprevista”, verrà, per esempio, adottato ed allevato da
un estraneo benefico, il quale a sua volta avrà in passato contratto
qualche debito col nostro Ego.

1Ancora più chiara appare l’azione del karma collettivo nei casi di
incidenti ferroviari, di naufragi, di inondazioni, di cicloni, ecc.
Accade un disastro ferroviario: la catastrofe è dovuta come causa
immediata all’azione dei conduttori, dei guardiani, dei direttori
della ferrovia e degli operai od impiegati di quella linea, i quali,
ritenendo si facciano loro dei torti, mandano ed accumulano contro
quella linea dei pensieri di malcontento e d’ira. Quelli che nel loro
karma passato accumulato, ma non necessariamente nel loro karma
maturo, hanno il debito di una vita violentemente troncata, possono
restare vittime dell’incidente, pagando così il loro debito; mentre
altri che avevano l’intenzione di partire con lo stesso treno, ma che
non avevano nel loro passato un tale debito, scamperanno
“provvidenzialmente” giungendo troppo tardi per partire.

Il karma collettivo può cacciare un uomo nelle perturbazioni
conseguenti ad una guerra sostenuta dalla sua nazione; in questo caso
ancora egli non farà che pagare dei debiti passati non necessariamente
compresi nel karma maturo della sua vita presente. In nessun caso
l’uomo può mai soffrire ciò che non ha meritato; ma se dovesse
presentarsi un’opportunità imprevista di liberarsi da un obbligo del
passato è bene pagarlo ed esserne sbarazzato per sempre.
I “Signori del Karma” sono le grandi intelligenze spirituali che
tengono gli annali karmici e regolano il complicato funzionamento
della legge karmica. Nella Dottrina Segreta di H. P. Blavatsky sono
descritti come i Lipika, o Registratori del Karma, ed i Maharaja 1 con
le Loro legioni, i quali sono “gli agenti del Karma sulla terra” 2.
Sono i Lipika, che conoscono il debito karmico di ogni uomo e che
onniscienti ne scelgono e combinano delle porzioni per formare il
piano di una singola vita; Essi danno “l’idea” del corpo fisico, che
deve essere la veste dell’anima che si reincarna e che ne esprimerà le
capacità e le limitazioni; questa idea viene passata ai Mahàràgia ed
elaborata in un modello dettagliato, che vien quindi commesso ad uno
dei Loro agenti inferiori per essere copiato; tale copia è il doppio
eterico, la matrice del corpo fisico denso, i cui materiali sono
forniti dalla madre e soggetti all’eredità fisica. La razza, il paese,
i genitori sono scelti a seconda delle loro capacità a provvedere i
materiali adatti per il nuovo corpo fisico dell’Ego e l’ambiente
confacente al primo stadio della sua vita.

L’eredità fisica della famiglia provvede certi tipi ed ha evoluto
certe particolarità di combinazioni materiali; malattie ereditarie,
delicatezza ereditaria, di organizzazione nervosa, implicano appunto
combinazioni definite di materia capaci di essere trasmesse. Un Ego
che abbia sviluppato delle singolarità nei suoi corpi astrale e
mentale, che richiedano speciali condizioni fisiche per potersi
manifestare, è guidato verso genitori la cui eredità fisica li rende
capaci di fornire le condizioni richieste. Così un Ego che abbia delle
grandi facoltà musicali sarà guidato a nascere in una famiglia di
musici, dove i materiali forniti per la formazione del doppio eterico
e del corpo fisico saranno pronti ad adattarsi ai suoi bisogni, e
nella quale il tipo ereditario del sistema nervoso provvederà il
delicato apparato necessario ad esprimere le sue facoltà. Un Ego di
tipo assai malvagio sarà condotto in una famiglia rozza e viziosa i
cui corpi, composti delle combinazioni più grossolane di materia,
potranno fornire a quell’Ego un veicolo fisico adatto ad esprimere gli
impulsi dei suoi corpi astrale e mentale. Un Ego che dal suo corpo e
dalla sua mente inferiore si sia lasciato trascinare ad eccessi,
dandosi per esempio all’ubriachezza, sarà portato a reincarnarsi in
una famiglia nella quale il sistema nervoso sarà indebolito dagli
eccessi, e nascerà da genitori ubriaconi che potranno provvedere solo
dei materiali malsani per il suo veicolo fisico.

La direzione dei Signori del Karma adatta così i mezzi ai fini ed
assicura il corso della giustizia; l’Ego porta con sé il suo
patrimonio karmico di facoltà e di desideri, e riceve un corpo fisico
quale si conviene alla loro espressione.
Poiché l’anima deve ritornare sulla terra sino a quando non sia
liberata da tutti i suoi debiti, esaurendo così il suo karma
individuale, e poiché d’altra parte in ogni vita i pensieri e i
desideri generano nuovo karma, sorge spontanea la domanda: “Come si
può metter fine a questo legame che costantemente si rinnova? Come può
l’anima raggiungere la sua liberazione?”. Con ciò noi veniamo alla
“fine del karma”, della quale dobbiamo studiare la possibilità ed i
mezzi per arrivarvi.
La prima cosa da distinguere chiaramente nel karma è l’elemento che ha
la forza di legare. L’energia dell’anima che è diretta all’esterno si
attacca a qualche oggetto, e l’anima è ricondotta da questo legame al
luogo dove l’attaccamento può essere tradotto in atto mediante
l’unione con l’oggetto desiderato; finché l’anima si attacca ad una
cosa qualsiasi, essa è necessariamente spinta verso il luogo dove
quella cosa può essere goduta. Il karma buono lega tanto quanto il
karma cattivo, poiché ogni desiderio, sia per cose di questo mondo o
del Devachan, deve attirare l’anima verso il luogo del suo
soddisfacimento.

L’azione è provocata dal desiderio; un atto è compiuto, non per la
semplice ragione di compierlo, ma con lo scopo di ottenere per suo
mezzo qualche cosa che si desidera, per acquistarne i risultati, o
come si dice tecnicamente, per goderne i frutti. Gli uomini lavorano,
non per il bisogno di vangare, di fabbricare, di tessere, ma perché
vogliono i frutti di danaro o di mercanzie. Un avvocato difende una
causa, non perché senta il bisogno di esporre gli aridi particolari di
un caso qualsiasi, ma perché vuole denaro, fama ed onori. Dappertutto
gli uomini lavorano a qualche cosa, ma lo sprone alla loro attività
sta nel frutto che ne deriva e non nel lavoro stesso. Il desiderio per
il frutto dell’azione li spinge ad agire, ed il godimento di quel
frutto ricompensa le loro fatiche. Il desiderio dunque è nel karma
l’elemento vincolante, e quando l’anima non ha più desideri per
oggetti della terra o del cielo, è troncato il vincolo che la teneva
avvinta alla ruota della reincarnazione nei tre mondi. L’azione stessa
non ha il potere di legare l’anima, poiché una volta compiuta entra
nel dominio del passato. Ma il desiderio sempre rinnovato per il
frutto la incita continuamente a nuove attività, e così le crea
continuamente nuove e pesanti catene.

Il vedere gli uomini agire sempre sotto il pungolo del desiderio non
deve però destare in noi un senso di rammarico, perché è appunto il
desiderio che vince l’indolenza, la pigrizia, l’inerzia 1 e che spinge
l’uomo a quell’attività dalla quale deriva l’esperienza. Osservate il
selvaggio pigramente sdraiato sull’erba: spinto dalla fame, che è
desiderio di cibo, diventa attivo e per soddisfare quel suo desiderio
è costretto ad esercitare la pazienza, l’astuzia, la costanza; così
sviluppa delle qualità mentali, ma non appena saziato ridiventa un
animale sonnacchioso. Quanto è vero che le qualità mentali sono state
evolute interamente per l’impulso del desiderio e quanto si sono
mostrati utili i desideri per la fama, per la rinomanza postuma!
Finché l’uomo non si avvicina alla divinità, ha bisogno della
pressione dei desideri, e questi si fanno semplicemente più puri e
meno egoistici a misura che egli sale; nondimeno sono essi che lo
costringono a rinascere e, se vuol essere libero, deve distruggerli.

A chi comincia ad aspirare alla liberazione si insegna a praticare “la
rinunzia ai frutti dell’azione”, cioè egli sradica gradatamente in se
stesso la brama di possedere qualsiasi cosa; in principio egli si nega
deliberatamente un oggetto abituandosi così a sentirsi contento anche
senza di quello; dopo un certo tempo non ne avverte più la mancanza e
si accorge che il desiderio per quella data cosa va scomparendo dalla
sua mente. A questo stadio egli è attentissimo a non trascurare nessun
lavoro che faccia parte del suo dovere, perché è divenuto indifferente
ai risultati che gliene derivano; si educa a compiere ogni dovere con
la più scrupolosa attenzione, pur restando completamente indifferente
ai suoi frutti. Quando ha raggiunto in ciò la perfezione, e né
desidera, né spregia nessuna cosa, egli cessa di generare del karma;
non domandando più nulla né alla terra né al Devachan, non è più
attirato né all’una né all’altro; non ha più bisogno di ciò che l’una
o l’altro possono dargli, e tutti gli 1 Lo studioso ricorderà che
l’indolenza, la pigrizia e l’inerzia denotano la predominanza del guna
tamasico, e finché questo guna predomina è impossibile all’uomo di
emergere dal più basso dei tre stadi della sua evoluzione. anelli che
ad essi lo legavano sono spezzati. Questa è la fine del karma
individuale, almeno in ciò che concerne la produzione del karma nuovo.
Però l’anima non deve solo cessare dal formare nuove catene, ma deve
altresì sbarazzarsi delle vecchie; queste possono essere o lasciate al
graduale logorio o spezzate deliberatamente. Per spezzarle è
necessaria la conoscenza, quella conoscenza che può spingere lo
sguardo nel passato e vedervi le cause ivi generate, le quali portano
i loro effetti nel presente. Supponiamo che una persona,
nell’esaminare così le sue vite passate, vi trovi certe cause le quali
produrranno un evento, che è ancora di là da venire; supponiamo ancora
che quelle cause siano pensieri di odio per un danno ricevuto e che,
di qui ad un anno, cagioneranno delle sofferenze a chi fece il male;
ma codesta persona può a quelle cause di altri tempi aggiungerne una
nuova, ossia può opporre ad esse dei forti pensieri d’amore e di
benevolenza, i quali le esauriranno, impedendo loro così di riuscire a
quell’evento altrimenti inevitabile, che sarebbe stato a sua volta
sorgente di altre perturbazioni karmiche. In questo modo egli può
neutralizzare le forze provenienti dal passato opponendo loro forze
uguali ed opposte, e così riesce a “bruciare il proprio karma per
mezzo della conoscenza”. Con un processo simile l’uomo può porre
termine anche al karma generato nella vita presente che, normalmente,
avrebbe agito nelle vite future.

Inoltre, quest’uomo può essere ostacolato da debiti contratti in
passato verso altre anime, da torti fatti, da doveri che gli incombono
verso di esse. Servendosi della sua conoscenza egli troverà quelle
anime, siano in questo o in uno degli altri due mondi, e cercherà le
opportunità di render loro servigio. Può darsi che una di queste anime
verso cui ha un debito karmico, si trovi incarnata contemporaneamente
a lui; egli può cercarla e pagarle il suo debito liberandosi così da
un vincolo che, abbandonato al corso degli eventi, avrebbe richiesto
la sua reincarnazione, ovvero lo avrebbe ostacolato in una vita
futura. Ed è tale appunto la spiegazione che si può dare qualche volta
allo strano ed inesplicabile modo di procedere degli occultisti:
l’uomo che possiede la conoscenza entra in intimo rapporto con una
persona che è considerata dal critico ignorante come una compagnia
tutt’altro che adatta: ma quell’occultista sta quietamente scontando
un obbligo karmico, che altrimenti ostacolerebbe e ritarderebbe il suo
progresso.

Chi non possiede abbastanza conoscenza da spingere lo sguardo nelle
sue vite passate, può nondimeno esaurire molte cause generate nella
vita presente; può cioè rivedere con cura tutto ciò che gli è
possibile ricordare della vita presente, notando dove ha fatto del
male o ne ha ricevuto, esaurendo i primi casi col mandare pensieri
d’amore e rendendo dei servigi alle persone danneggiate, se queste si
trovano pure nel piano fisico, e negli altri casi con l’emissione di
pensieri di perdono e di benevolenza. In tal modo egli diminuirà i
suoi debiti karmici e avvicinerà sempre più il giorno della
liberazione.

Inconsciamente le persone devote, che obbediscono al precetto di tutti
i grandi Maestri di religione, di rendere bene per male, vanno
esaurendo il karma generato nel presente che altrimenti avrebbe agito
in avvenire. Nessuno può formare un vincolo di odio con colui che si
rifiuta di contribuirvi in qualsiasi modo, e che continuamente
neutralizza ogni forza di odio con una forza d’amore. Se un’anima
irradia attorno a sé compassione ed amore, i pensieri malevoli non
avranno modo di far presa su di essa. “Il principe di questo mondo
viene, e non ha nulla in me” (S. Giovanni, XIV, 30). Tutti i grandi
Maestri conoscevano la legge e su questa basarono i Loro precetti; e
coloro che, per reverenza e devozione verso di Essi, ne seguono gli
insegnamenti, progrediscono d’accordo con la legge, benché nulla
sappiano dei suoi modi d’azione. Un ignorante, il quale segua
fedelmente le istruzioni dategli da uno scienziato, può ottenere dei
risultati valendosi delle leggi della natura che pure ignora
completamente; lo stesso principio vale anche per i mondi iperfisici.
Molti ai quali manca il tempo per studiare e che sono obbligati ad
accettare sull’autorità dei competenti certe regole come guida della
loro condotta quotidiana, possono inconsciamente lavorare a liberarsi
dai loro debiti karmici.

Nei paesi in cui la reincarnazione ed il karma sono ammessi da tutti
quanti, una tal credenza infonde negli animi una certa tranquilla
accettazione dei dolori inevitabili e contribuisce assai a dare alla
vita giornaliera la tranquillità e la contentezza. L’uomo oppresso da
infortuni non inveisce né contro Dio né contro i suoi vicini, ma
considera le sue pene come i risultati dei suoi errori e delle sue
cattive azioni passate; egli le accetta con rassegnazione e cerca di
trarne il maggiore profitto, evitando così molti tormenti e molte
angosce che rendono ancor più gravi, per chi ignora la legge, dei
dolori già abbastanza pesanti per loro stessi. Egli è convinto che le
sue vite future dipendono dai suoi sforzi e che la legge che gli porta
ora dolore, gli porterà con pari certezza gioia, se egli semina il
bene. Da ciò deriva una certa larga pazienza e una concezione
filosofica della vita, le quali tendono direttamente alla stabilità
sociale ed alla generale soddisfazione. Il povero ignorante non fa
certo degli studi di metafisica profonda e sottile, ma afferra bene
questi semplici princìpi: che ogni uomo rinasce ripetutamente sulla
terra e che ogni vita successiva è modellata da quelle che la
precedono. Per esso la reincarnazione è tanto sicura ed inevitabile
quanto il sorgere ed il tramontare del sole; essa fa parte del corso
della natura, contro cui è vano ribellarsi o mormorare.
Quando la Teosofia avrà rivendicato a queste antiche verità il posto
che loro spetta nel pensiero occidentale, esse gradatamente si faranno
strada in tutte le classi sociali della Cristianità, diffondendo la
comprensione della vera natura della vita e l’accettazione dei
risultati del passato. Allora svanirà pure l’irrequieto malcontento
che deriva principalmente dal sentimento impaziente e disperato che la
vita è inintelligibile, ingiusta e intrattabile, e quel malcontento
sarà sostituito dalla forza serena e dalla pazienza provenienti da un
intelletto illuminato e dalla cognizione della legge, qualità che
caratterizzano l’attività ragionata ed equilibrata di coloro che sono
profondamente convinti di edificare per l’eternità.

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