Recuperare la vista… interiore

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Recuperare la vista… interiore

di Giampiero Cara

Che cosa significa vedere? A livello etimologico, vuol dire sì percepire immagini attraverso il
senso della vista, ma anche e soprattutto conoscere. Ce lo confermano il video dei latini, l’oida
dei greci, il sanscrito veda e il vedat dei russi: tutti significano conoscere, sapere, intendere. E
non dimentichiamo l’inglese to see, che vuol dire anche comprendere. Oppure, a livello simbolico,
pensiamo al terzo occhio di Siva, che rappresenta la coscienza intuitiva, superiore, legata
all’attivazione dell’ajina chakra, o chakra della fronte.

VISTA E RELIGIONI

In effetti, tutte le religioni del mondo affermano la sacralità degli occhi, e quindi del “vedere”
in tutta la sua gamma di significati. La più grandi guide spirituali d’Oriente e d’Occidente sono
d’accordo nel ritenere che gli occhi rappresentino davvero, come li definì il grande poeta inglese
William Blake, “le finestre dell’anima”.

Lo stesso Gesù Cristo, nel Vangelo secondo Matteo, afferma: “La lucerna del corpo è l’occhio; se
dunque il tuo occhio è sano e chiaro, anche il tuo corpo è tutto nella luce; ma se è malato, anche
il tuo corpo è nelle tenebre”. Anche nell’ebraismo, gli occhi sono considerati strettamente connessi
al cuore ed alla mente dell’uomo, e si ritiene che riflettano la nostra essenza più intima. E
infatti, la grande considerazione in cui vengono tenuti gli occhi e la vista in questa religione è
dimostrato dal fatto che gli unici disturbi per cui viene consentito di trasgredire la festa del
sabato sono proprio quelli oculari. Nessun’altra ferita o malattia, a meno che non metta in pericolo
di vita, giustifica la violazione delle rigide norme che regolano il sabato ebraico.

E’ triste allora, di fronte a tanta ricchezza di significati, constatare come per la medicina
occidentale, impegnata per secoli a dissezionare l’essere umano nelle sue varie componenti fisiche
invece che a comprenderne l’unità, il processo della visione sia stato ridotto ad una percezione
puramente meccanica di forme e colori, e come l’unico rimedio per l’incapacità di “vedere” bene sia
rappresentato da un paio di lenti più o meno spesse.

IL METODO BATES

Ma ci sono delle eccezioni, per fortuna. La più celebre è rappresentata dall’oculista americano
William Bates il quale, nei primi decenni di questo secolo, si dedicò a creare un metodo che, senza
ricorrere agli occhiali, riabilitasse gli occhi e consentisse alle persone afflitte da vari difetti
visivi, ma anche da gravi patologie, ome strabismo, cateratta, glaucoma, distacco della retina, di
migliorare e persino recuperare completamente la vista.

Numerosissime sono ormai le testimonianze in questo senso. Una delle più celebri rimane quella del
grande scrittore e filosofo inglese Aldous Huxley, il quale riuscì a risolvere i suoi gravissimi
problemi di vista, che all’età di 16 anni lo avevano portato alla quasi totale cecità, proprio con
gli esercizi del Metodo Bates, di cui parlò poi diffusamente nel suo libro “L’arte di vedere”. A 45
anni, dopo soli due mesi di pratica con questi esercizi, Huxley dichiarò di essere in grado di
leggere senza occhiali, e soprattutto senza sforzo. L’idea di base del Metodo Bates, ancora oggi
applicato in tutto il mondo, è semplice e geniale, perché tende a riunire e non a dividere: gli
occhi sono solo una parte del processo visivo; tramite essi percepiamo soltanto degli stimoli
luminosi che, per avere un senso, devono essere decodificati dal cervello.

Bates si accorse dunque che la vista è, in realtà, un processo mentale, ed è proprio a questo
livello che sorgono i problemi. Lo stress psicologico, nelle sue varie forme, provoca una tensione
nei muscoli involontari intorno all’occhio, in particolare il ciliare, che permettono
l’accomodazione, ossia il processo che consente di regolare la vista in base alle distanze, e quindi
la vista si deteriora.

Quando vennero pubblicate per la prima volta, le conclusioni del dottor Bates suscitarono scalpore e
incredulità. Da allora, però, anche la medicina ufficiale si è accorta che lo stress è responsabile
anche dell’elevata pressione sanguigna, dei disturbi cardiaci, delle allergie, dell’asma, delle
ulcere e, almeno in parte, persino del cancro. Pertanto, non c’è da stupirsi che possa danneggiare
anche un senso così delicato come la vista.

LA “PAURA DI VEDERE”

In effetti, a livello di modi di dire popolari, si sa da secoli che le emozioni forti “annebbiano la
vista”, che i pensieri dolorosi fanno “veder nero il mondo”. Aldous Huxley collezionò numerosi
esempi di questo tipo, tra cui quello della proverbiale cucitrice che vede perfettamente quando si
tratta di infilare il filo nella cruna dell’ago, ma non riesce a vedere per leggere.

Anche a livello occulto, gli effetti dello stress, nella forma di “paura di vedere” (o di non
vedere), sono noti da molto tempo. Ne parla, per esempio, lo studioso inglese Arthur Edward White in
un libro intitolato “The Misteries of Magic” (I misteri della Magia):

“Se un uomo riceve un ordine di cercare qualcosa da parte di un altro uomo che lo domina ma anche lo
mette in difficoltà, un uomo che egli teme di dispiacere, la sua ansia di trovare quel qualcosa
talvolta può confonderlo a tal punto da non riuscire a vedere l’oggetto in questione, sebbene esso
si trovi proprio sotto i suoi occhi”.

Al fine di correggere questo deterioramento, il dottor Bates mise a punto una serie di esercizi
psicofisici ormai famosissimi, che si possono apprendere da manuali specifici, oppure da uno dei
tanti specialisti che praticano il Metodo Bates. Ne esistono anche in Italia, naturalmente, e alcuni
di loro hanno sviuppato ancor più in senso mentale e spirituale il discorso di Bates.

In particolare, nel suo affascinante libro “Per vedere bene” (MEB), lo psicoterapeuta milanese
Perluigi Lattuada fa notare che, oltre ad essere legata a processi fisici fondamentali come la
respirazione e l’alimentazione, la vista esteriore dipende, ad un livello più profondo, dalla nostra
volontà di vedere dentro noi stessi, compromessa da paure e condizionamenti.

In questo senso, come scrive Lattuada, “la saggezza di Bates ci lancia un invito: fermati ed
ascoltati, osserva le tue tensioni, allenta la tua rigidità, lasciati andare, sii più fluido. In
questo modo, aumenterai la fiducia in te stesso. Conoscendoti da vicino, scoprirai di avere
potenzialità insospettate. Attraverso l’allargamento delle tue aree di consapevolezza, scoprirai che
la tua energia è molto più intelligente delle tua paura di non vedere e della tua ansia di vedere
troppo; scoprirai che sei tu a non voler vedere, a indirizzare la tua energia verso i timori
piuttosto che verso la fiducia in te stesso e, se non avrai fretta, il significato della tua
condizione ti diverrà chiaro”.

Per agevolare questo processo di autoconsapevolezza, il dottor Lattuada consiglia di ricorrere,
oltre che al Metodo Bates, a tecniche psicofisiche come la Bioenergetica e la Terapia Gestalt, ma
anche ai principi dell’antica medicina cinese, che a chi aveva problemi di vista consigliava, tra
l’altro, di “vivere secondo il Tao”. Il tutto per invitare i nostri occhi a “lasciare uscire la loro
luce”. Insomma, sembra proprio che, per vedere bene, gli occhi siano l’ultima cosa di cui bisogna
preoccuparsi. L’importante è imparare a guardarsi dentro.

Copyright © 2001 Giampiero Cara

Per saperne di più sul metodo Bates e su altri metodi ad esso ispirati per vedere bene senza
occhiali, ecco i libri consigliati da BLISS:

“Il metodo Bates per vedere bene senza occhiali” di William H. Bates (Astrolabio, £ 20.000)

“L’arte di vedere” di Aldous Huxley (Adelphi, £ 15.000)

“Vedere meglio” di Barbara Hughes (Armenia, £ 12.000)

“Per vedere bene” di Pierluigi Lattuada (MEB, £ 18.000)

Inoltre, tra coloro che applicano il metodo Bates in Italia, potete contattare Pierluigi Lattuada (,
Via E. De Amicis 51, Milano, tel. 02/8393306

Maurizio Cagnoli, e-mail cagnoli@fabaris.it

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