TECNICHE DIAGNOSTICHE 1

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TECNICHE DIAGNOSTICHE 1

da “Enciclopedia olistica”

di Nitamo Federico Montecucco ed Enrico Cheli

IRIDOLOGIA

Iridologia
di Claudio De Santis

Immaginate di guardare una persona negli occhi. Immaginate poi di avvicinarvi ai suoi occhi sempre
più: avvicinatevi… avvicinatevi ed entrate in quel buco nero che c’è al centro la pupilla: un
tuffo, un viaggio nel misterioso mondo del corpo umano Immaginatevi di visitare tutte le regioni che
compongono il pianeta Uomo: il fegato, la colecisti, la milza, il pancreas, lo stomaco, i polmoni,
il grosso intestino, il cuore, il piccolo intestino, i reni, la vescica. Poi entrate nelle città che
compongono queste regioni, le varie cellule che con un lavoro incessante permettono all’organo di
funzionare. Esplorate le correnti che tengono insieme le cellule, che tengono insieme gli organi,
che tengono insieme questo complesso sistema che chiamiamo Uomo. Ecco: l’iride è il diario di bordo
di tutto questo viaggio.

L’iride rappresenta una delle zone riflessogene del corpo: come è dentro cosi è fuori. Esiste un
meraviglioso rapporto di continuità e scambio informativo tra la periferia ed il centro tra il
centro e la periferia. Ogni parte del nostro corpo contiene tutto il corpo in termine di
informazione (DNA). Il problema è quello di comprendere le informazioni che la parte scelta dà: io
ho scelto l’iride.

Non esistono due iridi uguali anche all’interno della stessa persona, quindi il primo messaggio che
ci manda l’iride riguarda l’unicità dell’essere umano, la non paragonabilità.

Un altro aspetto emerso dalle Osservazioni è che nell’iride è inscritta una mappa degli organi
interni. Si e visto cioè che chi ha problemi di fegato presenta più frequentemente un segno in una
certa porzione dell’iride, chi ha problemi di milza in un’altra porzione e cosi via creando in
questo modo un riferimento stretto tra alterazione dell’organo o del viscere ed alterazione della
trama irica. Accanto alle alterazioni più evidenti della struttura dell’iride, ci sono le macchie,
le cripte, ecc. che sono una fonte inesauribile di informazioni sull’interno. L’iride è dunque una
fotografia di come siamo in quel momento, ma è anche qualche cosa di più: registra quello che siamo
stati e come questo incide sul nostro presente.

Torniamo all’esempio iniziale: leggendo il diario di bordo è possibile seguire tutte le vicende che
hanno costellato il viaggio. Allo stesso modo, lèggendo l’iride è possibile comprendere le vicende
che hanno portato la persona a sviluppare una certa sintomatologia.

Facciamo un altro esempio. Immaginiamo un recinto di cavalli: chi sta fermo, chi mangia, chi
trotterella attorno, in generale una situazione tranquilla, armonica. Improvvisamente… il fuoco.
Attimi di panico, movimenti caotici, poi lo sfondamento del recinto e la fuga de cavalli. Proviamo a
sostituire il recinto col corpo, i cavalli con le energie c e si muovono in noi, il fuoco con una
situazione stressante che proviene dall’interazione con l’ambiente in cui viviamo, lo sfondamento
come il sintomo che colpisce la parte più debole del corpo ed abbiamo un possibile quadro di ciò che
significa “malattia”. Ecco, l’iride registra i punti deboli del recinto indicando una possibilità
preventiva. Ricordo che il sintomo è quanto di meglio il corpo può fare per mantenere l’equilibrio
del sistema, in quanto il corpo agisce come un sistema cibernetico: se non ci fosse stato un punto
debole nel recinto, i cavalli sarebbero morti. Il corpo tende sempre a conservare le energie vitali:
la malattia va compresa, non combattuta: è un altro modo per metterci di fronte alle cose che non
vogliamo vedere e che non accettiamo di noi.

Come molte altre zone del corpo, l’iride è un sistema informativo che registra quello che sta
succedendo nel corpo in termini di pericolo per il sistema, ed in termini di punti deboli del
sistema, punti da preservare affinché non cedano.

La prima divisione che all’osservazione salta subito all’occhio è quella tra pupilla ed iride: tra
inconscio e conscio. Quando osservo gli occhi dei miei pazienti, sono affascinato dai segni, dai
colori dell’iride, ma la pupilla mi provoca una sensazione più misteriosa: al di là di quel buco
nero, mi immergo nello sconosciuto..

Nelle sistematizzazioni più recenti, la mappa è suddivisa come un orologio per i riferimenti alla
circonferenza, ed in sette anelli concentrici dal centro alla periferia. Ogni iride è a grandi linee
speculare rispetto a sé stessa. L’homunculus nell’iride è rappresentato con la parte cefalica al
polo superiore e quella ventrale a quello inferiore. Dividendo l’emisfero nasale da quello temporale
con una retta longitudinale, possiamo vedere che gli organi sono divisi a secondo del chakra
corrispondente, dal primo chakra che corrisponde all’energia ancestrale, procreativa del rene
(secondo i Cinesi), al settimo che corrisponde al cervello ed alle funzioni di connessione
superiore.

L’iride è dunque suddivisibile in spicchi che ci informano sullo stato dei chakras e degli organi
corrispondenti dando notizie preziose sullo stato energetico generale e particolare dell’organismo,
nonché sui nodi esistenziali più grossi in atto nel paziente. Ricordo brevemente le correlazioni coi
chakras: I= sessualità riproduttiva; II= autosufficienza; III= affermazione di sé; IV= amore; V=
creatività; VI= visione interiore; VII= coscienza universale (spiritualità).

L’altro aspetto della divisione irica ci informa a quale livello il chakra corrispondente è bloccato
e quale tipo/i di terapie potrebbero essere adatte per riattivarlo.

Dal centro alla periferia abbiamo: l’orlo pupillare interno (OPI), l’orlo pupillare esterno (OPE);
la corona; il margine` della corona; la zona degli organi; l’orlo irideo interno (OII) l’orlo irideo
esterno (OIE) che corrispondono rispettivamente alle ossa del rachide, allo stato di nutrizione del
rachide, all’apparato gastroenterico, al sistema neurovegetativo, allo stato degli organi, allo
stato degli organi filtro del corpo (emuntori), all’aura che rivela lo stato attuale del paziente.

Passiamo ad un esempio pratico. Ammettiamo che nell’arco di cerchio compreso tra le 6.30 e le 7.30
dell’iride sinistra vi sia un segno dell’OPI, nella zona degli organi e nell’OIE. La zona
corrisponde al II chakra, quindi il conflitto esistenziale è nei confronti dell’autosufficenza.
Naturalmente varie possono essere le manifestazioni di questo conflitto: vivere coi genitori in età
adulta, mancanza di indipendenza economica, legami sentimentali non indipendenti, ecc. All’esame
obiettivo rileveremo la zone tesa, fredda, con scarsa mobilità: il II chakra si trova sotto
l’ombelico, ma la zona interessata è più vasta. E’ stata fatta una correlazione tra chakra e
movimenti bioenergetici (secondo Lowen) ed il secondo corrisponde al segmento addominale. Questo può
essere bloccato nel suo movimento spontaneo, coinvolgendo tutta la fascia ventrale e lombare: la
tensione è apprezzabile all’esame obiettivo. Dal centro alla periferia possiamo constatare una
alterazione delle vertebre corrispondenti (L3-L5) registrata dall’OPI una alterazione degli organi
corrispondenti (prostata, vescica)’ che per i Cinesi sono correlati al sentimento della paura e
nell’esempio può indicare la paura di lasciare il nido, di tagliare profondamente il cordone
ombelicale per rendersi autosufficienti ed indipendenti; l’alterazione dell’OIE indicante che il
conflitto è in corso tuttora.

Passando al versante terapeutico ho correlato i livelli concentrici con le terapie nel seguente
modo: I’OPI indica terapie di manipolazione ossea come la chiropratica, l’osteopatia, la
chinesiologia applicata; I’OPE terapie di massaggio come lo shiatsu; la corona focalizza
l’attenzione sull’alimentazione; il margine della corona su tutte le tecniche psicoterapeutiche sia
analitiche che psicocorporee (alla mia osservazione sono le due porzioni dell’iride più interessate
nell’uomo moderno); la zona degli organi sulle terapie farmacologiche (omeopatia, allopatia); l’OII
sulle terapie drenanti (fitoterapia, gemmoterapia); l’OIE sulla pranoterapia e le terapie
vibrazionali. Nell’esempio precedente l’iride suggerisce per quel paziente una integrazione di
terapie come la chiropratica, l’omeopatia e la pranoterapia.

Tutto questo enorme bagaglio di informazioni fa dell’iride un possibile tramite al modello olistico
che sottende ad un approccio globale all’Uomo ammalato. Essa risponde meravigliosamente bene alle
leggi basilari della Natura fornendo un esempio di quello che già i Cinesi avevano osservato: nella
parte c’è il tutto, nel tutto c’è la parte. E questo aspetto è stato recentemente riscoperto
nell’ologramma, una fotografia fatta col raggio laser che ha la caratteristica di contenere l’intera
immagine anche nei frammenti della lastra. Antico e nuovo stanno incontrandosi, riscoprendosi a
vicenda riportando lentamente l’Uomo alla sua integrità: non più frammenti ma UNO.

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Nell’iride l’impronta del carattere

Nell’orlo pupillare è impresso il carattere primario, genotipico dell’organismo
di Claudio De Santi

Da sempre l’uomo ha provato a comprendere i suoi simili guardandoli negli occhi. Molte sono le
informazioni che l’occhio può dare. Col tempo da questo “sguardo” empirico è nata una scienza:
l’iridologia. Dalla data della codificazione metodologica, a metà dell’800, ad oggi, la scienza
iridologica si è sviluppata in molte direzioni, dimostrando che le informazioni contenute nella
trama dell’iride sono molteplici e connesse strettamente all’atteggiamento di chi le osserva.

Parleremo di un modo di osservare l’iride, quello bioenergetico, che studia le correlazioni tra
segni iridologici e linguaggio del corpo. La prima correlazione è cronologica, in quanto il
completamento della trama dell’iride avviene nella stessa epoca in cui avviene il completamento
della formazione del carattere, attorno all’età di 8/10 anni. Nello studio sulle correlazioni tra
iride e caratteri, il problema principale è stato capire quale porzione esprimesse la fissazione del
carattere primario, dominante nella struttura fisica della persona. La porzione che è risultata
essere più efficace per questa correlazione è l’orlo pupillare interno, una parte della retina che
sbuca dal margine della pupilla. E’ una parte che non si modifica nel tempo, mentre le altre
strutture dell’iride, più legate alla personalità, possono modificarsi anche a seguito di terapia.

Embriologicamente l’OPI, di origine neuroectodermica, si pone come buon candidato a questa
correlazione: rappresenta l’assetto genotipico dell’organismo, che contiene tutte le informazioni
genetiche in grado di influenzare e modificare il terreno fenotipico.

Veniamo ad un esempio di analisi bioenergetica iridologica, prendendo in esame il primo carattere
che cronologicamente si sviluppa nell’uomo: quello schizoide. La caratteristica fondamentale di
questo carattere è la mancanza del riconoscimento ad esistere, conseguenza del rifiuto primario
avvenuta già nell’utero: egli si trova nel dilemma “esistere significa morire”. Le manifestazioni
psicologiche girano attorno al ritirarsi, come nell’estremo dell’autismo o cercare di tenere assieme
la frattura esistenziale. A livello iridologico la correlazione è sorprendente, perché l’OPI di
questi pazienti è ritirato, assente. Manca completamente, in tutto l’ambito pupillare, questa
estroflessione della retina. Naturalmente sul nucleo schizoide, possono sommarsi altri caratteri
generando una tipologia mista che è quella di più frequente osservazione. E’ su questa varietà che
si modifica la trama dell’iride che mantiene comunque, in questa tipologia, una caratteristica di
disarmonia, di confusione, di alterazione e di fragilità. Molte sono comunque le sfumature che la
stessa base caratteriale può manifestare a livello individuale, in correlazione alle combinazioni
caratteriali che si sovrappongono nel corso dell’evoluzione infantile: l’assunto fondamentale è che
ogni individuo è unico ed irripetibile sulla strada della ricerca della propria fioritura come
essere umano.

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Gli occhi sono lo specchio dell’anima?
dl Luciano Marchino

Desmond Morris, nel suo pregevole saggio intitolato “Il nostro corpo”, rileva come fosse diffusa in
passato la credenza secondo cui, quando guardiamo, esce dai nostri occhi una corrente di energia
“simile al fuoco del sole”. Pare che lo stesso Leonardo da Vinci condividesse tale convinzione e
ritenesse che “un raggio di luce” si indirizzi dagli occhi verso gli oggetti osservati.

La visione scientifica attuale afferma viceversa che la luce va dagli oggetti agli occhi e sotterra
in tal modo l’antica superstizione del malocchio che resta peraltro diffusa proprio nel bacino del
Mediterraneo.

Morris riferisce comunque che “almeno due papi – Pio IX e Leone XIII – erano posseduti da questa
ambizione, che causava problemi angosciosi ai loro devoti” e riferisce inoltre che “i giudici che
dovevano sentenziare su iettatori durante l’Inquisizione insistevano perché i detenuti fossero
condotti in tribunale facendoli camminare all’indietro, in modo che il loro sguardo non causasse
guai in tribunale”. Si pone quindi il problema di conciliare il punto di vista tradizionale con le
acquisizioni della scienza attuale, che d’altro canto tende a divenire arcaica in men che non si
dica. Studi recenti nel campo della schizofrenia infantile ci consentono oggi di affermare che non
c’è visione se non c’è desiderio di vedere.

In altre parole per vedere non basta tenere gli occhi aperti, è necessario un atteggiamento attivo,
un atto del vedere.

Cercheremo ora di differenziare lo sguardo e il guardare, dalla visione e dal vedere.

Il verbo guardare ci giunge inalterato dall’alto medio evo (VII secolo) ed il suo significato è
“stare in guardia”. E’ quindi implicita nel guardare un’aspettativa minacciosa che implica un
pre-concetto cioè un’idea che precede ed influenza la visione. Stiamo qui affrontando un problema
drammaticamente attuale della scienza, come ben sanno gli scienziati stessi e chiunque abbia seguito
di recente il dibattito scientifico sulla “memoria dell’acqua” e sulla fusione nucleare a freddo.

Vedere dal latino videre deriva a sua volta dal radicale indoeuropeo WEID e dal sanscrito VEDA: “io
so”. Vedere e sapere. Vedere è sapere. Se c’è visione non c’è illusione. Vedo dunque so, ma guardo
per confrontare le mie aspettative preconcette con la realtà dei fatti, il mio sapere cristallizzato
con la nuova sorgente di sapere che ho di fronte agli occhi: la realtà. Ma più di qualsiasi
dissertazione etimologica. può aiutarci una semplice esperienza pratica che ciascuno può ripetere e
confrontare con quella di amici e conoscenti. L’esperienza consiste nell’appoggiare di fronte a voi
un oggetto qualsiasi, possibilmente un po’ voluminoso. Ora stando comodamente. seduti osservatelo
con attenzione, senza fretta. Quando ritenete che la vostra osservazione sia soddisfacente copritevi
un occhio con la mano e in queste condizioni osservate di nuovo l’oggetto. Quali differenze vi
balzano all’occhio? Ripetendo più volte questo esperimento con amici e conoscenti otterrete
probabilmente le risposte ‘più disparate. A me, comunque, non è mai successo che qualcuno esclamasse
“è diventato piatto! senza tridimensionalità!” Questa sarebbe l’unica risposta oggettivamente vera
dal punto di vista dell’ottica. Perché secondo questa scienza la visione binoculare è l’unica che
rende percettibile la tridimensionalità! Cerchiamo ora di comprendere come questo apparente
paradosso sia oggi spiegabile all’interno del paradigma olistico. Gli occhi sono l’organo di senso
dominante e si è potuto verificare che circa 1’80% delle informazioni e delle impressioni
sull’ambiente circostante passano attraverso gli occhi. E’ quindi evidente che la nostra “visione
del mondo” ciò che pensiamo, sappiamo e ci aspettiamo dal mondo ha una relazione diretta con lo
stato di salute dei nostri occhi. Nei termini della moderna somatologia possiamo definire la salute
come la capacità di rispondere in modo fluido e adeguato alle situazioni della vita. Ma cosa
significa questa affermazione in relazione agli occhi?

Sappiamo dagli studi di Reich e dei suoi più brillanti seguaci tra cui Baker, Lowen e Kelley che gli
occhi (o meglio in segmento oculare che comprende naso ed orecchie) sono la prima zona del corpo ad
essere investita di energia libidica nel corso del processo di sviluppo di ogni essere umano.

Inizialmente, per un tempo brevissimo, il bambino è guidato nella ricerca del seno materno
dall’olfatto, subito dopo inizia a riconoscerlo “anche visivamente”, mentre il suono della voce
materna lo consola e lo rasserena. Durante l’allattamento il bambino ricerca gli occhi della madre e
la sua anima si nutre di questo contatto, mentre il suo corpo si sazia di latte.

E’ proprio attraverso queste prime forme di contatto che il bambino comincerà a costruire,
inconsapevolmente, la propria visione oggettiva del mondo. Esula dalle finalità di questo scritto
approfondire le modalità di formazione del blocco del “primo segmento”, il livello dei
telerecettori. Possiamo comunque affermare, avvalendoci dell’entroterra di una cospicua mole di
studi, che un blocco più o meno grave della funzione visiva può instaurarsi sin dai primi giorni
successivi alla nascita, ipotecando pesantemente lo sviluppo dell’io e inducendo forme, talora
gravi, di patologia.

Reich pose la premessa per comprendere come tale patologia possa scegliere il versante psichico
oppure quello somatico, o talvolta entrambi in grado diverso, per manifestarsi.

Sarebbe arbitrario, perché non ancora suffragato da studi adeguati, stabilire una relazione univoca
tra una certa patologia “psichica” ed una patologia “somatica” come sono attualmente, separatamente,
descritte dalla medicina classica. Possiamo egualmente accennare a come la vegetoterapia
post-reichiana affronta la patologia psichiatrica legata al blocco del segmento oculare per
ricavarne una prima impressione.

Un esempio è fornito dal caso della schizofrenia ebefrenica, cioè la posizione psichica che potremmo
definire dell’adulto-bambino. L”‘atto” psicosomatico suggerito è quello della “rotazione degli
occhi”. La rotazione, sempre abbinata alla respirazione, consente al paziente di osservare,
focalizzando, un campo visivo sempre più ampio. L’istruzione di focalizzare lo facilita a
considerare la realtà delle forme che Io circondano e che egli tende a “vedere” senza essere
impegnato nella visione, senza realmente considerare la realtà, autonoma e ragionevolmente stabile,
del mondo e delle persone che lo circondano. La schizofrenia ebefrenica richiede spesso un’attenta
discriminazione rispetto alla posizione nevrotica: dell’isteria. L’isterico/a tende infatti a
comiportarsi “come se” si trovasse costantemente su un palcoscenico. I riflettori sono costantemente
puntati su di lui e il suo campo di interessi come il suo campo visivo si limita ai pochi eletti con
cui divide il palcoscenico, tutto intorno è il buio, l’indifferenziato, il pubblico, le quinte, gli
scenari. L’ambiente è lì “per lui”, non per se stesso. Egli è l’unica realtà.

In modo un po’ meccanicistico il vegetoterapeuta Navarro correla ad ogni tipo di patologia un
preciso “acting”: schizofrenia paranoide, “acting” della lateralizzazione, schizofrenia catotonica,
“acting” del punto fisso; schizofrenia simplex “acting” naso-cielo abbinato alla suzione.

Ciò che umanizza la sua visione e gli restituisce la rotondità di una dimensione olistica, è il
preciso riferimento all’atteggiamento umano e professionale del terapeuta nella relazione con il
paziente che rivive attraverso gli “actings” formalizzati della vegetoterapia le proprie paure
represse ed i propri ricordi traumatizzanti. Ed ecco riemergere l’unità olistica dell’individuo che
attraverso atti squisitamente muscolari rivive situazioni emozionali precise ed eventi
traumatizzanti della propria storia, rendendoli consci e quindi gestibili. I significati emergono,
nell’atto della decontrazione psicosomatica, con la pienezza di un evento presente, come l’acqua
pura torna a fluire da una sorgente anticamente bloccata.

All’inizio del secolo, peraltro, l’oftamologo William Bates avevaavanzato l’ipotesi che una vista
nitida fosse il risultato di un rilassamento dei muscoli extraoculari e di un armonico coordinamento
tra mente e corpo. Egli sfidava in tal modo l’opinione corrente, allora come ora, che la visione sia
solo un processo meccanico e come tale sia indipendente dalla salute fisica ed emozionale. Notò
inoltre che la vista fluttuava considerevolmente a seconda delle circostanze e dello stato d’animo,
ma non si rese conto in modo chiaro dell’influenza che le emozioni, e le emozioni rimosse
soprattutto, possono avere sulla visione. Per Bates è la “tensione mentale” il responsabile delle
contrazione dei muscoli perioculari il cui risultato è la distorsione della visione. Il guardare
distorce il vedere.

Lisette Scholl autrice di “Guardiamoci negli occhi” dove presenta un manuale di autoguarigione della
vista attraverso l’integrazione della teoria di Bates con quella di Reich scrive: “Quando iniziai a
rieducare gli occhi, fui colpita dall’idea che a causare l’indebolimento della mia vista fossero
state delle risposte che avevo dato a esperienze del passato. Capii che mi si chiedeva di ritenermi
responsabile dell’impoverimento delle mie capacità visive.

L’optometrista da cui andavo non aveva neppure pensato che potessi essere io la responsabile dei
miei disturbi visivi. Chi poteva immaginare che il funzionamento degli occhi dipendesse dal mio
stato emotivo e dal modo in cui avevo reagito al mio ambiente in passato? Cominciai allora a capire
che nel mio passato c’erano sicuramente molte cose che non avevo proprio voluto vedere, che avevo
scelto di non vedere. Capito questo mi si svelò tutto un mondo nuovo di speranza e di crescita. Come
già una volta avevo scelto di non vedere ora potevo scegliere di vedere. Mi resi conto che, volendo
migliorare la vista, desideravo realmente crescere come persona, superare le antiche reazioni che mi
avevano portato a negare uno dei sensi e desideravo vedere il nuovo mondo con chiarezza,
apertamente, olisticamente”.

Dobbiamo a questo punto considerare che gli occhi sono la parte del corpo che presenta la minor
crescita dalla nascita all’età adulta.

Essi crescono persino meno del cervello del quale peraltro sono parte integrante e non una semplice
appendice. Noi usiamo gli occhi per pensare, o meglio, ragioniamo con gli occhi in modo
impressionante.

Gli occhi con il loro specifico e personale “pattern” di tensioni cristallizzate ci forniscono un
filtro stabile e soggettivamente credibile attraverso il quale guardiamo il mondo. E poiché le
tensioni psichiche tendono a predisporsi nel corso della prima infanzia, al termine della quale
hanno preso corpo in modo stabile, molti adulti vedono il mondo attraverso gli occhi di un bambino,
spesso un bambino spaventato, sfruttato, deluso, arrabbiato, rassegnato.

Lowen descrive le fasi dello sviluppo libidico dell’organismo come un processo in cinque fasi a
ciascuna delle quali corrisponde il riconoscimento di uno specifico diritto del bambino e la
maturazione libidica di un’area del corpo.

I cinque diritti sono: diritto di esistere, di essere nutrito, (anche affettivamente), di ricevere
supporto fisico ed emozionale, di essere autonomo, di amare sessualmente.

Quando questi diritti vengono disattesi o negati l’organismo in evoluzione si adegua tanto sul piano
psichico che su quello somatico, incarnando la propria esperienza del mondo, e determinando in modo
squisitamente individuale una specifica visione (opinione) del mondo.

Dal punto di vista di Lowen si possono quindi correlare anche a livello degli occhi le esperienze
storiche di ogni persona con la sua cosmologia ovvero col suo tipo caratteriale. Nella descrizione
che segue dobbiamo comunque tenere conto del fatto che uno sguardo occasionale non è significativo
mentre lo squadro tipico di una persona può realmente fornire un elemento diagnostico pregnante per
l’analista bioenergetico.

Quando il diritto disatteso è il primo e più fondamentale, cioè il diritto di esistere abbiamo una
struttura schizoide. La persona pone cioè un diaframma tra se stesso e la realtà e tra il corpo e la
mente, si isola emozionialmente e diviene estraneo. Lo sguardo tipico dell”‘estraneo” può essere
descritto come vacuo o inespressivo. Raramente questo tipo di persona potrà mantenere un concetto
energetico con gli occhi, abitualmente, senza rendersene conto eviterà di incontrare lo sguardo
degli altri e quando ciò avvenisse i suoi occhi saranno vuoti di ogni sentimento.

Il secondo diritto che si manifesta, quasi all’unisono col primo, è il diritto di essere nutrito
letteralmente e attraverso il contatto fisico ed emozionale con la madre. Numerosi studi, sull’uomo
e sugli ammali, evidenziano l’importanza del contatto fisico ed emozionale, che rassicura il
soggetto consentendo un buon proseguimento del processo di maturazione dell’Io. Quando questa
qualità di contatto è carente o assente si cristallizza a livello degli occhi uno sguardo tipico il
cui messaggio è all’incirca “ti supplico, prenditi cura di me”. Tale messaggio può talvolta essere
mascherato da un atteggiamento generale di pseudo-indipendenza, ma il semplice sguardo fornisce un
indirizzo preciso utile a discriminare il carattere orale, con i relativi “patterns” cristallizzati
di comportamento.

Gli occhi del carattere psicopatico al quale è stato negato il diritto di ricevere supporto e che
talvolta ha dovuto addirittura dare supporto ad un genitore inadeguato, presentano a loro volta uno
sguardo tipico anzi due. Ecco come li descrive Lowen: “Ci sono sguardi tipici di questa personalità.
Essi corrispondono ai due diversi atteggiamenti psicopatici. Uno è lo sguardo, penetrante e forzato,
che si vede negli occhi degli individui che hanno necessità di controllare e dominare gli altri. Gli
occhi ti fissano come per imporre la volontà dei loro possessori. L’altro è lo sguardo morbido,
seduttivo, intrigante che inganna la persona alla quale è rivolto, inducendola a mettersi nelle mani
dell’individuo”.

La descrizione è un po’ cruda, ma non è raro incontrarne queste qualità di sguardo tra le persone
che occupano posti di potere, in politica, nelle istituzioni ed a livello manageriale.

Il diritto di essere autonomo si manifesta allorché il bambino comincia ad esercitare un certo grado
di controllo del sfinteri. A questo punto del suo sviluppo accade spesso che un genitore forzi il
bambino ad un controllo prematuro.

Talvolta ciò accade in modo apparentemente innocuo come quando una madre insiste col bambino perché
“faccia pipi prima di uscire di casa” o faccia popò ad una certa ora perché “così si regola
l’organismo”. Il risultato è quello di confondere il bambino rispetto ai suoi veri desideri e
bisogni. Ed infatti un’espressione di confusione maschera spesso lo sguardo triste e languido del
“carattere masochista” che è stato spesso un bambino non “capito” ed in un certo senso bambino
espropriato. I suoi occhi ci dicono “come fai a non capire quali sono i miei reali sentimenti e
bisogni”? Ma se rispondessimo a questo sguardo chiedendo “dimmi quali sono!” apparirebbe nei suoi
occhi sgomento e confusione perché col tempo egli ha perso la capacità esprimerli(spremerli fuori).
Quando la maturazione libidica dell’organismo è quasi completa, cioè nella fase edipica, il bambino
reclama il proprio diritto a amare sessualmente. Questo diritto incontra l’ostacolo del tabù
dell’incesto. Di fronte a l’organismo del bambino che si protende con gioia affettiva e sessuale
molti genitori si sentono costretti a rifuggire il contatto per paura di essere incestuosi. La loro
incapacità di stare semplicemente con la sessualità infantile senza debordare in un comportamento
incestuoso, li induce a divenire freddi e distanti rispetto ai figli, in questa fase del loro
sviluppo. Per questo il “carattere rigido” ha spesso occhi attraenti e seduttivi in modo
squisitamente sessuato, luminosi, forti, brillanti. Al di sotto dei quali però è in agguato la
tristezza di un cuore spezzato.

Le succinte descrizioni sopra riportate sono alla base una coinvolgente ed appassionante ricerca nel
campo della psicologia somatica, che si ripromette di approfondire in che modo il carattere
influenzi la visione. Se tale ricerca raggiungerà in qualche misura i suoi obbiettivi sarà possibile
evitare in futuro alcune situazioni caotiche in campo scientifico come è già possibile all’attento
conoscitore del carattere “vederci chiaro” nelle apparentemente caotiche e sempre soggettive
relazioni interpersonali.

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