Intervista di J.A al Dalai Lama

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Intervista di J.A al Dalai Lama

di J.A

LA SUA VITA

J.A.: Qual’e’ stata la sua prima sensazione quando venne riconosciuto come
il Dalai Lama?

D.L.: Ero molto felice. Mi piaceva molto. Anche prima d’essere riconosciuto,
dicevo spesso a mia madre che sarei andato a Lhasa. Mi mettevo a cavalcioni
sul davanzale della finestra, nella nostra casa, facendo finta di cavalcare
verso Lhasa. A quel tempo ero un bambino molto piccolo, ma ora ricordo
chiaramente che avevo un grande desiderio d’andare a Lhasa.

Un’altra cosa alla quale non ho accennato nella mia autobiografia e’ che,
dopo la mia nascita, due corvi vennero a posarsi sul tetto della nostra
casa. Arrivavano ogni mattina, si fermavano per un po’, e poi se ne
andavano. Questo e’ particolarmente interessante perche’ la stessa cosa e’
successa in occasione della nascita del Primo, Settimo, Ottavo e Dodicesimo
Dalai Lama.

Dopo la loro nascita, apparve una coppia di corvi che sosto’ qualche tempo.
Nel mio caso, nessuno presto’ attenzione a questo fatto. Tuttavia,
recentemente, forse tre anni fa, mentre stavo parlando con mia madre, si e’
ricordata di questo fatto. Li aveva visti arrivare al mattino, ripartire
dopo un po’ – e tornare il mattino seguente. Ora, la sera dopo la nascita
del Primo Dalai Lama, alcuni banditi avevano fatto irruzione nella casa
della sua famiglia e i genitori erano scappati abbandonando il bambino.
Quando tornarono il giorno seguente, chiedendosi cosa fosse accaduto a loro
figlio, trovarono il bambino in un angolo della casa, un corvo stava davanti
a lui e lo proteggeva.

Piu’ tardi, quando il Dalai Lama crebbe e sviluppo’ la sua pratica
spirituale, attraverso la meditazione stabili’ un diretto contatto con la
divinita’ protettrice Mahakala. A quel tempo Mahakala gli disse: “Chi come
te sostiene l’insegnamento Buddhista ha bisogno di un protettore come me. Io
ti ho aiutato proprio nel giorno della tua nascita”. Dunque possiamo vedere
che esiste una precisa connessione tra Mahakala, i corvi e i Dalai Lama.

C’e’ un’altra storia a questo proposito: una volta gli scolari di Nalanda,
la grande Universita’ Buddhista, vennero sfidati da Ashvaghosha, un famoso
maestro Hindu, a sostenere un dibattito. A quel tempo, la tradizione voleva
che chiunque fosse sconfitto in un dibattito dovesse convertirsi alla fede
del vincitore.

Ora Nalanda era la piu’ importante universita’ Buddhista, se fosse uscita
sconfitta dal dibattito l’insegnamento avrebbe sofferto un danno grave. Gli
allievi erano talmente preoccupati che decisero di mandare a chiamare
Nagarjuna, il piu’ grande erudito di quel tempo. Tuttavia Nagarjuna era
molto lontano, nel sud dell’India, troppo lontano perche’ un uomo gli
potesse portare il messaggio.

Poiche’ non c’era tempo, decisero di sottoporre il caso a Mahakala.
Pregarono e eseguirono una elaborata cerimonia rituale, poi deposero la
lettera che avevano scritto davanti alla statua di Mahakala; allora
Mahakala – attraverso la statua, emano’ un corvo che prese la lettera e
parti’ per il sud dell’India. Quando Nagarjuna ricevette la lettera, capi’
che Nalanda era in una situazione disperata e decise che il suo discepolo
Aryadeva sarebbe stato il migliore per dibattere con Ashvaghosha.

Quindi preparo’ Aryadeva impegnandolo in un serrato dibattito. Ad un certo
punto, Aryadeva si lascio’ trascinare e si comporto’ in modo leggermente
orgoglioso con il proprio maestro. Nagarjuna gli disse di non preoccuparsi,
ma che a causa di cio’ sarebbe sorta una “originazione dipendente” negativa.
Nel viaggio verso Nalanda, Aryadeva fu assalito da un gruppo di banditi e
perse un occhio. Nonostante cio’, arrivo’ a Nalanda e batte’ con successo
Ashvaghosha. Ashvaghosha divenne allora discepolo di Nagarjuna e in seguito
scrisse i propri libri.

J.A.: La connessione con il corvo e’ dovuta al fatto che e nero come
Mahakala, o c’e’ qualcosa nel corvo in se stesso? Da allora, sono apparsi
altri corvi nella sua vita?

D.L.: In realta’ i corvi non mi piacciono. I corvi di solito sono molto
crudeli con gli uccelli piccoli perche’ li disturbano sempre e li attaccano
anche. Un’altra cosa che mia madre ricorda molto chiaramente e’ che, poco
dopo il mio arrivo a Lhasa, dissi che i miei denti erano in una scatola in
un certo padiglione del Norbulinka. Quando la scatola venne aperta, venne
trovata una serie di denti del Tredicesimo Dalai Lama. Avevo indicato la
scatola dicendo che i miei denti erano la’ dentro, ma adesso non ricordo
affatto questo episodio. I nuovi ricordi associati a questo corpo sono piu’
forti e il passato e’ diventato distante e vago. A meno che io non faccia
uno sforzo preciso per sviluppare quel tipo di memoria, non lo ricordo.

J.A.: Si ricorda della sua nascita o di quando si trovava nel ventre
materno?

D.L.: In questo momento non ricordo. Non ricordo nemmeno se me lo ricordavo
al tempo in cui ero un bambino piccolo. Comunque forse c’era un piccolo
segno esteriore: i bambini di solito nascono con gli occhi chiusi, io sono
nato con gli occhi aperti. Questo potrebbe essere un piccolo segno di un
chiaro stato mentale mentre ero nel ventre.

J.A.: Quando era un ragazzino, cosa provava ad essere trattato dagli adulti
come una persona importante? Era apprensivo o addirittura spaventato da
tanta riverenza?

D.L.: I Tibetani sono gente molto pratica. I Tibetani anziani non mi
avrebbero mai trattato in quel modo. Comunque avevo molta fiducia in me
stesso. Quando mi avvicinai per la prima volta a Lhasa, nella piana di
Debuthang, l’oracolo di Nechung venne per verificare ancora una volta se ero
l’uomo giusto. Con lui venne un ghesce del collegio Loseling del monastero
di Drepung, molto anziano e molto rispettato in quanto altamente realizzato.
Era profondamente interessato a scoprire se io fossi o meno la persona
giusta. Commettere un errore nel ritrovamento del Dalai Lama sarebbe stato
molto pericoloso. Questo Ghesce era un religioso, non un uomo di governo.
Venne nella tenda dove mi trovavo durante un’udienza di gruppo, e stabili’
che ero indiscutibilmente l’uomo giusto. Cosi’, sebbene ci fossero molte
persone rispettabili e anziane, ad esaminarmi, si direbbe che io abbia
recitato bene la mia parte e che le abbia convinte tutte (ride).

Non mi sono mai sentito a disagio nella mia posizione. Gharles Bell
riferisce che reagivo a tutto con completa naturalezza. Una sera ho voluto
andare a vedere mia madre che era venuta a Lhasa con il resto della mia
famiglia. Ero nella tenda del Reggente. Davanti all’ingresso c’era una
guardia del corpo molto robusta. Era sera, al tramonto, e quest’uomo aveva
un occhio malridotto, ricordo che allora ho avuto paura e terrore di uscire
dalla tenda. Ci sono molte storie e avvenimenti, quando si parla di
rinascita.

J.A.: Potrebbe descrivere i sentimenti che ha provato per i suoi maestri.
Sembra che abbiano avuto un ruolo importante nella sua educazione.

D.L.: Niente di particolare. Quando ragazzo incontrai per la prima volta
Ling Rimpoce, ne fui un po’ spaventato. Crescendo, il timore e’ gradualmente
scomparso e il rispetto ha preso il suo posto. Ecco, non e’ molto.

J.A.: Si senti’ cambiato, tra i 16 e 18 anni, dopo l’assunzione del potere
temporale?

D.L.: Si’, cambiai… un poco. Ho trovato molta gioia e molto dolore in
questo contesto e per la crescita, guadagnando maggiore esperienza; sono
cambiato per i problemi che ho dovuto affrontare e la sofferenza connessa.
Il risultato finale e’ l’uomo che lei vede adesso (ride).

J.A.: Cosa puo’ dirmi del periodo dell’adolescenza? Molta gente ha delle
difficolta’ nel definirsi come un adulto. E’ successo anche a lei?

D.L.: No. Gran parte della mia vita era routine: studiavo due volte al
giorno, ogni volta studiavo un’ora, e poi passavo il resto del tempo a
giocare (ride). Poi, a 13 anni, ho cominciato a studiare filosofia,
definizioni, dibattito. Il mio programma di studio era aumentato e studiavo
anche calligrafia. Comunque faceva tutto parte di una routine e mi ci
abituai. Ogni tanto c’erano delle vacanze, durante le quali ero a mio agio
ed ero felice. Losang Samten, il fratello nato prima di me, di solito era a
scuola, ma in questi periodi veniva a farmi visita. Occasionalmente mia
madre portava anche del pane speciale della nostra provincia di Amdo. Era
molto spesso e delizioso, lo faceva lei stessa.

J.A.: Durante la crescita, ha avuto l’opportunita’ d’avere un rapporto con
suo padre?

D.L.: Mio padre e’ morto quando avevo 13 anni. E’ scritto nel mio libro.

J.A.: C’e’ qualcuno dei suoi predecessori con il quale sente una particolare
affinita’, o interesse?

D.L.: Il Tredicesimo Dalai Lama. Apporto’ molti miglioramenti al programma
di studio dei collegi monastici e incoraggio’ grandemente i vari studiosi.
Fece in modo che fosse impossibile che qualcuno potesse avanzare nella
gerarchia religiosa, diventando abate o altro, se non era pienamente
qualificato. Era molto rigido a questo proposito. Diede anche migliaia
d’ordinazioni da monaco. Questi sono stati i suoi principali obbiettivi
religiosi che ha portato a termine. Non ha dato molte iniziazioni, ne’
tenuto molti discorsi. Riguardo al paese, diede grande importanza e
considerazione all’organizzazione dello Stato, in particolare delle regioni
di confine, a come dovevano essere governate e cosi’ via. Desiderava una
maggiore efficienza nel governo e la questione dei confini e di cose
analoghe gli dava grandi preoccupazioni.

J.A.: Nel corso della sua vita, secondo lei, quali sono state le lezioni o i
problemi interni piu’ importanti che ha avuto? Quali realizzazioni ed
esperienze hanno inciso maggiormente sulla sua crescita come individuo?

D.L.: Per quanto riguarda l’esperienza religiosa e’ stata una certa
comprensione della vacuita’ – una certa percezione, qualche esperienza; ma
soprattutto mi ha molto aiutato bodhicitta, l’altruismo. In un certo senso,
si puo’ dire che ha fatto di me una persona nuova, un uomo nuovo. Sto ancora
cercando di progredire. La Bodhicitta da’ forza interiore, coraggio, ed e’
piu’ facile accettare le situazioni: questa e’ una delle piu’ grandi
esperienze.

J.A.: A proposito di bodhicitta, si riferisce ad un progressivo
approfondimento della realizzazione o a un particolare momento associato a
un’esperienza esterna?

D.L.: Mi riferisco principalmente alla pratica interiore. Potrebbero esserci
anche cause o circostanze esterne. Dei fattori esterni potrebbero aver avuto
un ruolo nello sviluppo di una propensione per la bodhicitta. Ma deve
derivare principalmente dalla pratica interiore.

J.A.: Puo’ indicare un momento specifico della sua pratica in cui ha sentito
di aver superato una soglia?

D.L.: A proposito della teoria della vacuita’, prima la teoria della
vacuita’, poi l’esperienza di bodhicitta… circa nel ’65 ’66, in quel
periodo. Ma veramente questo e’ un argomento molto personale. Per un vero
praticante religioso queste cose devono rimanere private.

J.A.: D’accordo. Non faro domande sulle sue esperienze piu’ profonde, ma nei
termini del corso della sua vita – degli eventi della sua vita – come hanno
influito su di lei come uomo? In che modo e cresciuto sperimentandole?

D.L.: Il fatto d’essere un rifugiato e’ stato molto utile: si e’ molto piu’
vicini alla realta’. Quando ero in Tibet, come Dalai Lama, cercavo di essere
realistico, ma in qualche modo, a causa delle circostanze credo che avessi
un certo distacco. Ero un po’ isolato dalla realta’. Diventai un rifugiato,
molto bene. Cosi’ avevo una buona occasione per acquisire dell’esperienza,
insieme a della determinazione o forza interiore.

J.A.: Quando divento’ un rifugiato, cosa l’ha aiutata ad acquisire questa
forza? E’ stata la perdita della sua posizione e del suo paese, il fatto che
tutti soffrissero intorno a lei? Le e’ stato chiesto di guidare il suo
popolo in modo diverso da come era abituato?

D.L.: Essere un rifugiato e’ veramente una situazione disperata e
pericolosa. In quel momento tutti si trovano davanti alla realta’. Non e’ il
momento di far finta che tutto sia meraviglioso. Questo e’ un fatto. Ti
senti coinvolto nella realta’. In tempo di pace, ogni cosa va secondo le
previsioni e, anche se c’e’ un problema, la gente fa finta che vada tutto
bene. In tempo di pace e di tranquillita’ e’ possibile agire cosi’, ma in un
momento di pericolo, quando si produce un cambiamento drammatico, allora non
c’e’ ragione di fingere che tutto va bene. Devi accettare il male in quanto
male. Ora, quando lasciai il Norbulinka, la situazione era pericolosa.
Passammo molto vicino alle baracche militari cinesi. Il posto di guardia
cinese era proprio dall’altra parte del fiume. Vede, due o tre settimane
prima che partissi avevamo ricevuto informazioni precise che i Cinesi erano
pronti ad attaccarci. Quello che non sapevamo era il giorno e l’ora.

J.A.: In quel momento, quando attraverso’ il fiume Kyichu e incontro il
gruppo di guerriglieri Khampa che lo stavano aspettando, assunse
direttamente il comando? Per esempio, chi prese le decisioni riguardanti la
sua fuga?

D.L.: Appena lasciata Lhasa, io e altre otto persone abbiamo costituito un
comitato per discutere ogni questione.

J.A.: Fu sua l’idea di renderlo unanime?

D.L.: Si’. Anche coloro che rimasero a Lhasa costituirono un Comitato del
Popolo. Qualcosa come un Consiglio rivoluzionario. Ovviamente, dal punto di
vista dei Cinesi, era un comitato controrivoluzionario. Era stato scelto dal
popolo, vede, in pochi giorni… Organizzarono quel comitato che prendeva
tutte le decisioni piu’ importanti. Ho mandato anche una lettera al
comitato, legittimandolo. Nel nostro piccolo comitato, formato da quelli che
fuggivano con me – discutevamo ogni sera le questioni pratiche. Ci sedevamo
insieme e discutevamo, ma non sempre. In principio, come lei sa, il nostro
piano era di stabilire il nostro quartier generale nel sud del Tibet. Nel
mio libro ho parlato di questo. Dissi anche al Pandit Nehru – credo che
fosse il 24 aprile 1959 – che avevamo costituito un governo provvisorio
Tibetano, trasferito da Lhasa al Tibet del sud. Ne parlai casualmente al
Primo Ministro e lui ne fu leggermente scosso (ride). “Non riconosceremo il
vostro governo”, disse, sebbene questo governo fosse stato formato in Tibet,
e io mi trovassi gia’ in India…

J.A.: Vorrei chiederle qualcosa riguardo al fatto d’essere la reincarnazione
di Avalokiteshvara, il Bodhisattva dell’infinita Compassione. Cosa pensa
personalmente a questo riguardo? E’ qualcosa di cui, in un modo o
nell’altro, ha una visione inequivocabile?

D.L.: E’ difficile per me dirlo con certezza. A meno che m’impegni in uno
sforzo meditativo, ripercorrendo all’indietro la mia vita da un respiro
all’altro, non potrei dirlo con precisione. Noi crediamo che ci siano
quattro tipi di rinascita: il primo e’ il tipo comune nel quale un essere e’
incapace di determinare la sua rinascita e s’incarna solo in conseguenza
della natura delle azioni passate. Il tipo opposto e’ quello di un Buddha,
completamente illuminato, che semplicemente per aiutare gli altri manifesta
una forma fisica. In questo caso e’ chiaro che la persona e’ un Buddha. Il
terzo tipo e’ quello in cui, grazie ad una passata realizzazione spirituale,
uno puo’ scegliere o almeno influenzare il luogo e la situazione della
propria rinascita. Il quarto tipo viene chiamato una manifestazione
dell’energia illuminata: in questa rinascita la persona, al di la’ delle
normali capacita’, ha raggiunto lo stato di poter agire per il bene altrui,
per esempio, dando insegnamenti religiosi. Per ottenere quest’ultimo tipo di
rinascita, nelle vite precedenti si deve aver sviluppato un desiderio molto
forte di aiutare gli altri. Cosi’ si ottiene questo tipo di potere. Non
posso dire con certezza a quale tipo di rinascita appartengo, sebbene alcuni
sembrino piu’ probabili di altri.

J.A.: Come si sente allora dal punto di vista dell’effettivo ruolo da lei
svolto in qualita’ di Cenrezig? Storicamente solo poche persone sono state
considerate, in un modo o nell’altro, divine. Questo ruolo e’ un peso o una
gioia?

D.L.: E’ di grande aiuto. In questo ruolo, posso essere di grande beneficio
alla gente. Per questo motivo mi piace e mi sento a mio agio. E’ chiaro che
e’ di grande aiuto alla gente e che ho la connessione karmica per svolgere
questo ruolo. E’ chiaro anche che esiste una connessione karmica col popolo
Tibetano in particolare.: Vede, date le circostanze, potrebbe ritenere che
sono molto fortunato. Tuttavia, dietro la parola fortuna, ci sono ragioni o
cause precise. C’e’ la forza karmica della mia capacita’ di assumere questo
ruolo e la forza della mia volonta’ di agire in questo senso. A questo
proposito c’e’ un’affermazione nel grande testo di Shantideva “Guida allo
stile di vita di un Bodhisattva” che dice: “Fino a quando esistera’ lo
spazio, e fino a quando ci saranno dei migratori nell’esistenza ciclica,
possa io rimanere per eliminare la loro sofferenza”. Ho questo desiderio in
questa vita, e so di aver avuto questo desiderio nelle vite passate.

J.A.: Con uno scopo cosi’ vasto come motivazione, come supera i suoi limiti
come uomo?

D.L.: Di nuovo, come dice Shantideva: “Se il Buddha benedetto non puo’
compiacere tutti gli esseri senzienti, allora come potrei farlo io?” Persino
un essere illuminato, con conoscenza e potere infiniti e con il desiderio di
salvare tutti gli esseri dalla sofferenza, non puo’ eliminare il karma
individuale di ciascun essere.

J.A.: E’ questo che le permette di non sentirsi sopraffatto quando vede la
sofferenza dei sei milioni di Tibetani dei quali, ad un certo livello, e’
responsabile?

D.L.: La mia motivazione e’ diretta verso tutti gli esseri senzienti. Non
c’e’ dubbio tuttavia che, ad un altro livello, mi dedichi ad aiutare i
Tibetani. Se un problema si puo’ risolvere, se una situazione e’ tale da
poter fare qualcosa, allora non c’e’ bisogno di preoccuparsi. Se non c’e’
soluzione, allora preoccuparsi non serve a nulla. In ogni caso preoccuparsi
non porta alcun beneficio.

J.A.: Molte persone pensano cosi’, ma pochi riescono a vivere veramente in
questo modo. E’ sempre stato cosi’, o ha dovuto imparare?

D.L.: Questa attitudine si sviluppa attraverso la pratica interiore. In una
prospettiva piu’ ampia, ci sara’ sempre sofferenza. Da un lato e’ sicuro che
si dovranno sperimentare gli effetti delle azioni negative compiute
precedentemente con il corpo, la parola o la mente. Inoltre, la sofferenza
e’ insita nella natura stessa dell’esistenza. Nella mia affermazione non
interviene un solo fattore, ma molti fattori differenti. Dal punto di vista
dell’effettiva entita’ che produce la sofferenza, come ho detto, se c’e’
rimedio allora non c’e’ motivo d’angustiarsi. Se non c’e’ rimedio,
preoccuparsi non porta alcun beneficio. Dal punto di vista della causa, la
sofferenza e’ prodotta da azioni negative passate accumulate dall’individuo
stesso e da nessun altro. Questi karma non si esauriscono e daranno il loro
frutto. Non si sperimenteranno gli effetti d’azioni che non si sono commesse
in prima persona. Infine, dal punto di vista della natura della sofferenza
stessa, gli aggregati della mente e del corpo hanno come loro effettiva
natura la sofferenza. Servono da base alla sofferenza. Fino a quando li
avremo saremo soggetti alla sofferenza. Da un punto di vista piu’ profondo,
finche’ non avremo la nostra indipendenza e saremo ospiti in un paese che
non e’ il nostro, proveremo un certo tipo di sofferenza, ma quando torneremo
in Tibet e avremo ottenuto la nostra indipendenza, allora avremo altri tipi
di sofferenza. E’ cosi’. Lei potrebbe credere che sono pessimista, ma non lo
sono. Questo e’ il realismo Buddhista. Questo e’ il modo in cui, attraverso
l’insegnamento e il pensiero Buddhista affrontiamo le situazioni. Quando
furono uccise cinquantamila persone della stirpe dei Shakya in un solo
giorno, Buddha Shakyamuni, che pure apparteneva alla stessa stirpe, non
soffri’ affatto. Stava appoggiato ad un albero, e diceva: “Sono un po’
triste, oggi, perche’ 50 mila uomini della mia stirpe sono stati uccisi”. Ma
lui stesso rimase impassibile. Proprio cosi’, vede. (Ride). Questo era la
causa ed effetto del loro karma personale. Non poteva fare niente. Questo
genere di pensieri mi rende piu’ forte, piu’ attivo. Non e’ assolutamente il
caso di perdere la propria forza e la propria volonta’ di fronte alla natura
onnipervadente della sofferenza.

J.A.: Quando prova dei sentimenti di felicita’, come fa a rimanere
distaccato?

D.L.: Quando si abbandona la propria famiglia e la propria casa, come nel
caso di un monaco, si pongono molti limiti alla propria vita e al proprio
comportamento. Questi limiti danno automaticamente un appagamento. Dipende
dall’attitudine personale. Se si ha la tendenza a volere di piu’, allora
quando si va in un negozio si vorra’ tutto quello che c’e’, o anche tutto
quello che c’e’ in tutti i negozi. Ma se l’attitudine e’ di volere solo cio’
che serve, allora niente di tutto cio’ serve.

J.A.: Mi interessa quello che fa per rilassarsi: il giardinaggio e gli
esperimenti d’elettronica.

D.L.: Oh, i miei hobbies. Passatempi (ride). Quando riesco a riparare
qualcosa sono veramente soddisfatto. Ho cominciato a smontare le cose da
piccolo perche’ ero curioso di capire come funzionavano certe macchine.
Volevo sapere cosa c’e’ all’interno del motore, ma adesso cerco solo di
aggiustare qualcosa quando si rompe.

J.A.: E il giardinaggio?

D.L.: Il giardinaggio a Dharamsala e’ un’impresa quasi disperata. Per quanto
duramente si lavori, il monsone viene a distruggere ogni cosa. Sa, la vita
di un monaco e’ molto gratificante, molto felice. Si puo’ capirlo da quelli
che hanno abbandonato la vita monastica. Conoscono perfettamente il valore
della condizione di monaco. Molti mi hanno detto quanto sia complicata e
difficile la vita di chi non e’ monaco. Con una moglie graziosa e dei figli
si puo’ essere felici per un certo tempo. Col tempo, pero’, si presentano
spontaneamente molti problemi e si perde meta’ della propria indipendenza e
della propria liberta’. Se c’e’ qualche beneficio o significato nello
sperimentare il disagio che sorge quando si rinuncia alla propria
indipendenza, allora ne vale la pena. Se si tratta di una situazione in cui
si aiuta effettivamente la gente, allora va tutto bene. Il disagio e’
giustificato, se non e’ cosi’, non ne vale la pena.

J.A.: Ma nessuno di noi sarebbe qui a parlarne, se non avessimo madri e
padri!

D.L.: Non sto dicendo che avere figli sia un male, o che tutti dovrebbero
essere monaci. Impossibile (ride). Penso che se viviamo una vita semplice
allora dovra’ esserci appagamento. La semplicita’ e’ estremamente importante
per la felicita’. Avere pochi desideri, sentirsi soddisfatti con cio’ che si
ha e’ molto importante. Ci sono quattro cause che contribuiscono a creare un
essere superiore. Essere soddisfatti di qualsiasi cibo si riceve. Essere
soddisfatti d’avere stracci per vestito, o accettare qualsiasi cosa per
coprirsi senza desiderare vestiti alla moda o colorati. Contentarsi di un
riparo appena sufficiente per proteggersi dagli elementi. E, infine
un’intensa gioia nell’abbandonare gli stati mentali negativi e nel coltivare
quelli utili attraverso la meditazione.

*TIBET: OGGI E DOMANI*

J.A.: Potrebbe descrivere le attuali condizioni di vita in Tibet secondo le
sue informazioni?

D.L.: Ogni giorno l’orario di lavoro e’ di dieci o dodici ore, a volte di
quattordici ore. Per questo i Tibetani dicono che ci sono solo tre cose da
vedere: al mattino si vedono le stelle, durante il giorno i lucchetti sulle
porte delle case e la sera, tornando al lavoro, la luna. Dopo il lavoro,
devono partecipare per altre due o tre ore a delle riunioni politiche,
accusandosi a vicenda e impegnandosi nella cosiddetta lotta di classe –
cosi’ sono costretti dai Cinesi a crearsi ulteriori problemi. La gente deve
lavorare dall’eta’ scolare fino a settanta, ottanta e novanta anni.
Recentemente un Tibetano di Dharamsala e’ andato di nascosto al suo paese,
nel Tibet occidentale. Secondo il suo racconto, quando ando’ a trovare sua
madre, che aveva circa settant’anni, questa non aveva tempo per stare con
lui. “Perche’ non prendi qualche giorno di riposo cosi’ possiamo stare
insieme?” chiese. Sua madre rispose che non poteva perche’ avrebbero perso
dei punti-lavoro. Senza punti, non avrebbe avuto da mangiare. Dove lavorava
sua madre c’erano altre persone di ottanta, novant’anni che lavoravano. In
questo modo i Cinesi possono procurarsi cereali per i loro diversi bisogni.

J.A.: In termini generali fino a che punto e limitata la liberta’ di parola?

D.L.: Parlare in pubblico e’ molto difficile. Sebbene adesso ci sia una
certa indulgenza, molti Tibetani credono che questa recente liberalizzazione
sia un altro tranello, come il Movimento dei Centomila Fiori. A quel tempo
il governo cinese incoraggiava la gente dappertutto, Tibet incluso, a
esprimere le loro opinioni. In realta’, questo era solo un mezzo del governo
per scoprire chi fossero i cosiddetti “grandi reazionari”. Il movimento ebbe
vita breve, ma in quel periodo registrarono il nome di tutti quelli che
avevano parlato. Poi il movimento si sciolse e, sotto il nome di un altro
movimento o politica popolare, il governo cinese rastrello’ tutta la gente
che aveva identificato. Questo e’ il loro modo d’agire: cosi’, capisce, la
liberta’ di parola e’ molto limitata. A Lhasa recentemente sono stati
affissi un gran numero di manifesti. Tuttavia la liberalizzazione che si sta
verificando attualmente in Cina, non e’ ancora arrivata in Tibet.

J.A.: Il paese e’ sotto occupazione militare? Dopo trent’anni e’ ancora
occupato dalle truppe Cinesi?

D.L.: Praticamente, ovunque ci sia un nucleo della popolazione Tibetana c’e’
anche un grande campo militare cinese. Nella zona di confine e’
comprensibile che ci siano dei grandi campi militari, ma nell’interno, se la
situazione fosse normale, perche’ dovrebbe essere necessario dislocare
ovunque un gran numero di soldati? Nella sola Lhasa, la popolazione civile e
militare cinese e’ piu’ numerosa di quella Tibetana.

J.A.: Esiste un vasto sistema carcerario? Ci sono molti prigionieri
politici?

D.L.: Si’: a nord-est di Lhasa, vicino alla citta’, c’e’ un grande campo nel
quale attualmente sono detenuti almeno duemila nuovi prigionieri. Vengono da
una lontana regione del Tibet e sono stati arrestati per aver partecipato a
una rivolta, a un’insurrezione. La maggior parte di questi prigionieri sono
giovani. Secondo una fonte d’informazione molto recente, le torture e le
privazioni cui sono sottoposti i Tibetani in quel campo sono tali che le
persone che ce ne hanno parlato provano difficolta’ a descriverle: e’ troppo
terribile. Questo e’ solo un campo, ci sono dei prigionieri anche in altre
localita’.

J.A.: Cosa sa del movimento clandestino in Tibet? E’ costituito da movimenti
separati?

D.L.: Tra i giovani, il sentimento d’indipendenza e nazionalista e’
piuttosto forte. E’ veramente diffuso. Sembra che ci siano delle
organizzazioni, ma e’ difficile dire quante siano in termini numerici o cose
di questo genere e, inoltre, non e’ bene parlarne. Un’effettiva resistenza
fisica, una lotta armata e’ rara. E’ troppo difficile. Come ho detto, i
Cinesi controllano totalmente il paese. Comunque, si muovono sempre in
gruppi o in convogli per il pericolo di un attacco da parte dei Tibetani.
Occasionalmente, si verificano casi di sabotaggio. Ora le parlero’ della
situazione alimentare. L’allevamento degli animali e’ molto aumentato, cosi’
come la produzione di cibo, ma qualsiasi beneficio per il nostro popolo e’
molto limitato. Da uno o due anni, le condizioni alimentari di Lhasa sono
leggermente migliorate, ma nelle campagne circostanti c’e’ molta poverta’.
Negli ultimi diciotto anni circa, la gente era sempre affamata.

J.A.: Questa situazione ha fatto aumentare le malattie e la mortalita’
infantile?

D.L.: Oh, si’. Molta gente, non potendo procurarsi il burro – elemento
basilare della loro dieta fin dall’infanzia – ha contratto seri disturbi di
stomaco; si sono gonfiati di gas, i loro volti diventano congestionati e
molti sono morti. La gente e’ costretta a mangiare solo quelle verdure
selvatiche che riesce a trovare. Inoltre, come ho detto, i Cinesi prelevano
quantita’ sempre piu’ grandi di cereali con scuse e pretesti diversi.
Dicono: “Per amore per il vostro governo, dovete contribuire con piu’
grano”. Questa e’ una delle tasse. Un’altra esige che venga venduta al
governo una maggiore quantita’ di grano. La quota che la gente dovrebbe
ricevere in pagamento deve essere incassata in banca, ma di solito non
ricevono mai quel denaro. Poi, i Cinesi prelevano grano per prepararsi alla
Terza Guerra Mondiale. In passato dicevano che era inevitabile a causa
dell’imperialismo americano, ora si ritiene che scoppiera’ come risultato
del revisionismo sovietico. In ogni caso, secondo i Cinesi, ci sara’ una
Terza Guerra Mondiale.

Cosi’, dicono ai Tibetani che e’ assolutamente necessario prepararsi a
questa guerra e poi requisiscono un’altra razione di grano. Il risultato di
tutto cio’ e’ che la quantita’ di grano che dovrebbe durare trenta giorni ne
dura solo venti. Generalmente, i Tibetani mangiano molto e sono abituati a
mangiare bene. Se la gente mangiasse fino a riempirsi veramente lo stomaco,
il grano non durerebbe pi-u’di venti o venticinque giorni. Per sopperire
alle scarsita’ delle razioni, spesso preparano una zuppa molto leggera in
modo d’arrivare alla fine del mese. In un certo senso, stanno sviluppando
delle buone abitudini alimentari. Sicuramente non ingrasseranno (ride).

Ora, passiamo ad un altro punto. I Tibetani bevono il te’ preparato con
abbondante burro, ma la razione di burro che viene distribuita e’ molto
scarsa, assolutamente insufficiente per fare un normale te’ al burro.
Percio’ mettono nella tazza una porzione minuscola, un pizzico di burro.
Anche a causa delle particolari condizioni ambientali dell’altopiano
tibetano, i Tibetani sono grandi mangiatori di carne. A noi piace molto. In
passato la carne si trovava sempre. Ora possono avere della carne solo in
occasione del capodanno Tibetano e del primo Ottobre, anniversario della
fondazione della Repubblica Popolare Cinese. Cosi’ si puo’ avere carne solo
due o tre volte all’anno. In certi posti, come nel Kham, e’ anche peggio.

Il figlio di un uomo di quella regione, che di solito vive a Pechino, ando’
a visitare il luogo in cui era nato suo padre. Mi S stato riferito che
l’uomo ha detto che una volta quel posto aveva carne in abbondanza. Il padre
e’ un comunista, un comunista Tibetano e il figlio, che e’ rimasto la’ un
anno, in tutto quel periodo non ha visto un solo pezzo di carne ed e’ il
figlio di un membro del partito. Il padre aveva gia’ aderito al Partito
Comunista Cinese all’inizio degli anni ’30, fino al 1957 era stato uno dei
principali comunisti Tibetani che lavorava con i cinesi. Questa persona e’
uno dei miei migliori amici. Nel 1954-55, quando ero a Pechino, la maggior
parte delle volte che incontrai Mao Zedong e altri dignitari Cinesi, questa
persona era il mio interprete.

Avevo fiducia in lui perche’, nonostante fosse comunista, era un patriota
Tibetano. Doveva restare in Tibet, ma
un giorno venne a trovarmi e disse che aveva ricevuto un telegramma da
Pechino in cui si diceva che doveva tornare immediatamente la’. Dopo qualche
tempo, il principale rappresentante Cinese in Tibet mi disse, durante un
incontro, che questa persona era un pessimo elemento; malvagio, meschino,
nazionalista che aveva commesso molti crimini – come quello di cercare di
fondare un partito comunista Tibetano.

“Ora non tornera’ pi-” disse. Cosi’ scomparve nel 1957. Negli ultimi
ventitr, anni sono stato in pena per lui. Proprio poco tempo fa, pero’, mi
hanno detto che e’ a Pechino. Questa e’ la sua storia.

Ora parliamo dell’educazione. Due o tre anni fa abbiamo sentito affermare
dalla propaganda su Radio Lhasa che nel Tibet centrale c’erano piu’ di
tremila scuole elementari e alcune scuole medie. Recentemente i Cinesi hanno
dichiarato che nel Tibet centrale ci sono seimila scuole elementari. Senza
dubbio ce ne sono parecchie migliaia, ma il reale livello dell’educazione e’
molto, molto basso. Questo e’ ovvio, nella stessa Cina il livello
dell’educazione non e’ molto alto. Negli ultimi due o tre decenni si e’ data
maggiore importanza all’ideologia che all’educazione, di conseguenza e’
senz’altro certo che per le minoranze, come i Tibetani, il livello
dell’educazione sia basso.

Inoltre i Cinesi danno maggiore importanza allo studio della lingua cinese,
che della lingua tibetana. Il Tibetano e’ insegnato, ma principalmente il
cinese. Il periodo di vero studio e’ molto breve. I bambini sono soprattutto
costretti a lavorare: uccidono zanzare e topi. Vengono dimessi dalla scuola
dopo un breve periodo di studio e per il resto del tempo vengono usati come
manovali. Anche l’alimentazione per i bambini e le bambine che vanno a
scuola e’ pessima. In molti casi, particolarmente nelle aree rurali, devono
portarsi il cibo da casa dove e’ gia’ molto scarso.

Ora a Lhasa, in una particolare scuola media, ci sono dei bambini Cinesi.
Questo e’ il genere di posto dove la situazione dovrebbe essere migliore, ma
qui il cibo per i Tibetani e per i Cinesi e’ differente. Ci sono due
categorie: una si chiama “mangiatori di pane”, l’altra “mangiatori di riso”.
I Cinesi appartengono alla cucina dei mangiatori di riso, i Tibetani
all’altra. La qualita’ del cibo dei mangiatori di riso e’ molto buona, certo
migliore di quella dei mangiatori di pane. Al mattino i bambini Cinesi hanno
acqua calda per lavarsi la faccia, i Tibetani solo fredda. Questo l’ho
saputo direttamente da un’insegnante che ha insegnato per tre anni in quella
scuola, e poi e’ fuggita in India.

Mi ha raccontato questa storia. Tra gli insegnanti, inoltre, i Tibetani sono
pagati meno dei Cinesi. In una scuola in una zona ad est di Lhasa e vicina
alla citta’, negli ultimi anni gli studenti Tibetani hanno ricevuto solo
cibi ammuffiti o marci e, a causa di quel cibo, la maggior parte degli
studenti si e’ gravemente ammalata. Molti di loro hanno detto che non
vorranno rinascere mai piu’ in un posto simile. Durante la Rivoluzione
Culturale, i Cinesi hanno anche cercato di ristrutturare tutta la grammatica
Tibetana. Hanno apportato dei cambiamenti veramente stupidi e la maggior
parte delle volte quello che scrivevano era assolutamente incomprensibile.

Ora parliamo della salute. Ci sono molti ospedali. Ci sono anche i famosi
medici scalzi. Una cosa positiva e’ che i Cinesi rispettano la medicina
tradizionale Tibetana. Hanno costruito delle fabbriche per produrre le
medicine Tibetane: – una vicino a Shigatse, una nella regione di Khombo, nel
Tibet sud orientale, vicino al confine Indiano. Hanno anche fatto delle
ricerche serie sulla medicina Tibetana. Questo e’ molto positivo, ma le
condizioni effettive di salute nella massa sono diverse. Il beneficio reale
che ricevono da questi centri sanitari non e’ molto, e’ molto limitato. Le
indicazioni a questo proposito sono chiare. Per esempio, quando qualcuno va
all’ospedale, gli viene detto che ha bisogno di un’analisi del sangue. Con
questo pretesto i Cinesi prelevano uno, due, tre grandi bottiglie di sangue.
Una volta dimesso dall’ospedale, il malato non riceve cure ne’ trattamenti
di alcun genere. Forse e’ libero di non lavorare un giorno e in certi casi
riceve perfino un uovo. Questa e’ la situazione. Un gruppo di giornalisti
stranieri ha visitato il Tibet di recente e ha notato un precario stato di
salute dei bambini di Lhasa e Lhasa si ritiene il posto migliore di tutto il
paese.

Per quanto riguarda le comunicazioni, ci sono molte strade in buono stato,
qualche aeroporto, degli autobus, alcune jeep di fabbricazione russa e
alcune Toyota giapponesi, ma nella maggioranza dei casi sono usate dai
rappresentanti civili e militari Cinesi o da certi Tibetani autorizzati ad
usarle. Il popolo – il nostro popolo – va ancora a piedi dovunque deve
andare. Forse, visto che le strade adesso sono migliorate, consumeranno meno
scarpe (ride).

Ci sono anche severe restrizioni. Una persona non puo’ andare liberamente da
un villaggio all’altro, Lhasa stessa e’ divisa in quattro settori. Senza
permesso, una persona che sta nel settore sud non puo’ andare in quello
nord. Sembra che si stia producendo un leggero cambiamento, eppure non siamo
affatto soddisfatti. Forse sara’ che hanno appena cambiato il capo, il
Presidente della cosiddetta Regione Autonoma Tibetana. Il nuovo Presidente
e’ un Tibetano, un fatto su cui i Cinesi contano molto ai fini della
propaganda. Questa persona e’ chiamata Tembo dai Cinesi: in tibetano Sangay
Yeshay. Questa scelta dovrebbe dimostrare al mondo che il governo e’ nelle
mani dei Tibetani. Di fatto, ho conosciuto molto bene la persona in
questione. E’ un uomo bravissimo, molto gentile, ma purtroppo, per parlare,
avevamo bisogno di un interprete, perche’ non parlava Tibetano. Quando era
ancora un bambino piccolo, fu preso dall’Armata Rossa durante la Lunga
Marcia. Da allora non ebbe piu’ alcun contatto con i Tibetani. Sua moglie e’
Cinese. Ha passato tutta la sua vita nell’Armata Rossa. Personalmente e’
simpatico, molto semplice, di cuore gentile, umile. Quando si parla in
Tibetano si sente addirittura imbarazzato e arrossisce.

J.A.: Forse potremmo parlare un po’ della situazione in India. Da quando
siete in esilio, avete fatto uno sforzo concertato per stabilire una forma
di governo piu’ rappresentativa e democratica che in passato, che sembra
quasi un’alternativa consapevole alla dominazione Cinese in Tibet. Quale
pensa debba essere il corretto equilibrio tra le decisioni della maggioranza
e il suo particolare diritto, come Dalai Lama, di decidere cos’e’ meglio per
il suo popolo?

D.L.: Le due cose s’influenzano a vicenda. Sebbene ci siano delle lagnanze,
delle critiche, va tutto bene. La critica e’ un segno di salute. Se, come
tra i Cinesi, non si da’ voce alla critica, ma intimamente nel cuore la
critica c’e’, allora non va bene. La critica aperta, schietta, e’ molto
salutare. In generale, negli ultimi venti anni, ce la siamo cavata
abbastanza bene: ci sono dei deputati eletti dal popolo, l’approvazione
finale di questi deputati e’ mia. I deputati del popolo eletti in esilio
ricevono il mandato solo da coloro che sono in esilio; il Dalai Lama,
invece, puo’ rappresentare tutti i sei milioni di Tibetani. Inoltre, la
situazione nel complesso e’ che viviamo in un paese che non e’ la nostra
nazione. E’ una circostanza molto, molto particolare.

In queste condizioni dobbiamo prendere tutte le precauzioni. Nella
maggioranza dei casi, se ci sono molti candidati, approvo la nomina di
coloro che hanno ottenuto il maggior numero di voti. Ma, supponiamo che ci
sia una persona che mi sembra non sia in grado d’assumersi le
responsabilita’ in modo corretto, in tal caso ho l’autorita’ di scegliere
qualcun altro. Per ora mi sembra che questo sistema abbia funzionato molto
bene. Pur avendo subito molti cambiamenti.

D’altronde, oltre alla reale partecipazione dei Deputati del Popolo al
lavoro del governo, la procedura per eleggerli, il voto stesso, sono
educativi per la nostra gente. Come scegliere e come votare. A volte sono
molto confusi (ride). Tuttavia questa e’ una cosa importante. In futuro
dovremo muoverci in questa direzione. Certe volte, dato che per i Tibetani
si tratta di una novita’, segnano il nome sbagliato: non sanno chi scegliere
(ride), e cosi’ via; ma e’ molto importante imparare.

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