Tè con il Dalai Lama

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…traduzione di una intervista con S.S. Dalai Lama

Tè con il Dalai Lama
(una intervista con S.S. il Dalai Lama, di Pico Iyer)

(…) Recentamente, nell’autunno mi sono recato a Dharamsala per una serie di interviste con S.S. il
Dalai Lama, durante una delle rare pause nel suo programma di lavoro, mentre egli era ufficialmente
in ritiro. D’autunno Dharamsala è radiosa, con le albe nette e senza nubi e le notti così stellate
che il mondo reale sembra veramente molto lontano.

Volevo capire come sta cambiando il Buddhismo Tibetano in un momento in cui l’esilio si aggrava, le
sue pratiche ed i maestri viaggiano per il mondo, personalmente o per mezzo dei media; inoltre
desideravo comprendere come, in questa era globalizzata, ricca di possibilità inaudite ma anche di
pressioni mai in precedenza sopportate, possa il Dalai Lama mantenere un equilibrio sommamente
delicato fra il suo agire come leader politico e simultaneamente come guida spirituale.

Ci incontravamo ogni giorno nella sua stanza alle due del pomeriggio, e prendendo il tè parlavamo
finchè a me restavano domande, a lui tempo di rispondere. Tute le volte che la mia tazza restava
vuota, Sua Santità lo notava anche prima di me.

Pico: Se non sbaglio, sono stato in questa stanza per l’ultima volta otto anni fa. Come sono
cambiate le cose da allora?

S.S.: Meno capelli, direi! Tutti e due!

A livello globale direi che c’è più speranza, nonostante questi tragici avvenimenti, come la
Yugoslavia ed il Ruanda; per quel che riguarda il Tibet, c’è di positivo una maggiore
consapevolezza, e per conseguenza stanno crescendo la preoccupazione ed il sostegno (per le sue
sorti). Perfino alcuni governi, sia pubblicamente che dietro la scena, si stanno sforzando di venire
in aiuto al Tibet. D’altra parte, all’interno del Tibet le politiche cinesi sono molto dure, molto
distruttive.

Complessivamente sono molto ottimista; non c’è nessuna speranza, è vero, per il prossimo futuro, ma
a lungo termine allora sì. Le cose cambieranno, è solo una questione di tempo.

Pico: E nella Sua vita, devono essere cambiate parecchie cose negli ultimi otto anni

S.S.: Non molto; la mia salute fisica è molto buona, le mie pratiche spirituali – mi manca il tempo;
ma come al solito, vado avanti. Sono sempre la stessa persona, quindi. Nemmeno tu sei cambiato; sono
molto felice di ritrovare un vecchio amico, figlio di un mio amico.

Pico: Si, effettivamente mio padre è venuto a trovarVi subito dopo il Vostro arrivo il India.

S.S.: Si, subito dopo.

Pico: Vostra Santità è ufficialmente in ritiro in questo momento. Deve essere difficile trovare il
tempo per la pratica spirituale, con tutto quello che dovete fare nel mondo.

S.S.: Si, è così. Inoltre, ogni volta che ricevo qualche nuovo insegnamento, aumenta la mia pratica
quotidiana. Attualmente le mie recitazioni giornaliere, quelle obbligatorie, mi prendono circa
quattro ore.

Pico: Ogni giorno?

S.S.: In genere mi sveglio la mattina alle 3:30; immediatamente mi dedico a qualche meditazione, un
po’ di ginnastica – prostrazioni – poi prendo un bagno; poi passeggio un po’ all’aperto. Durante
tutto questo tempo recito mantra o medito.

Faccio colazione alle 5:15 e alle 5:30 ascolto le trasmissioni in tibetano della Voice of America.
La BBC Asia Orientale spesso parla del Tibet e della Cina, così ascolto anche quella. Dopo colazione
medito ancora un po’, quindi generalmente studio qualche testo di filosofia Tibetana o qualche altro
testo importante. Se c’è qualcosa di urgente vengo qui nel mio ufficio, e qualche volta prima di
pranzo leggo alcuni giornali e riviste – Newsweek, Time, Far Eastern Economic Review, qualche
quotidiano indiano. Ah, si: alle 7;30 ascolto sempre le notizie dal mondo della BBC. Sempre. Non
posso farne a meno. Quando vado all’estero e non posso ascoltarle a causa della differenza di
orario, o perché non ho tempo, proprio ne sento la mancanza; mi pare di non sapere cosa sta
succedendo nel mondo. La BBC è sempre eccellente e, così mi pare, anche imparziale.

Dopo pranzo vengo qui nel mio ufficio fino alle 5:30 circa; poi alle 6:00 predo il tè della sera –
niente cena, visto che sono un monaco Buddhista, qualche volta solo un po’ di pane o dei biscotti, e
intanto guardo la BBC alla televisione. Poi circa un’ora di meditazione serale, e alle 8:30 vado a
dormire. La meditazione più importante! Il sonno è la meditazione proprio per tutti – perfino per
gli uccelli; la meditazione più importante! Non per il nirvana, ma per sopravvivere!

Pico: Al giorno d’oggi deve essere quasi impossibile per Vostra Santità dedicarsi a qualcuno dei
vecchi hobby, come la fotografia.

S.S.: Non mi interessa più. Fino ai primi anni ’60 mi interessava, ma dopo basta. Naturalmente mi
piacciono ancora i fiori, e di tanto in tanto faccio qualche lavoro manuale, qualche riparazione di
orologi o di piccoli strumenti.

Pico: Nessuno dei precedenti Dalai Lama si è trovato, come Voi, ad essere responsabile di una
comunità diversa, mondiale. C’è chi è rimasto in Tibet ed è in qualche modo separato da Voi, ci sono
i Tibetani in esilio sparsi in tutto il mondo, e ci sono tutti i nuovi Buddhisti tibetani
dell’Occidente. Non deve essere facile mantenere il collegamento con tutti questi gruppi e far sì
che tutto vada nel modo giusto.

S.S.: C’è un numero crescente di persone che mostra interesse per il Buddhismo, e i centri Buddhisti
aumentano di numero; ma a differenza del sistema cattolico, questi sono più o meno autonomi, non ne
ho la responsabilità. Naturalmente, se di quando in quando qualcuno me lo chiede, allora do dei
consigli, ma non esiste una autorità centrale; sono assolutamente indipendenti.

Pico: Però magari succede che pratichino in modo non ortodosso, o facciano cose che, secondo Voi,
non sono nello spirito autentico del Buddhismo, e questo deve crearVi dei problemi, anche se non
avete la responsabilità dei centri.

S.S.: Generalmente no. Certo, ci sono stati scandali – economici, sessuali – e a quel tempo alcuni
Occidentali mi hanno espresso la loro preocupazione che il Buddhismo soffrisse a causa di queste
accuse. Ho detto loro: “Il Buddhismo non è nuovo, ha più di 2500 anni, e in tutto questo tempo
scandali del genere ci sono stati. Tuttavia l’insegnamento di base del Buddhismo è veritiero;
possiede un peso proprio, proprie ragioni e proprie bellezze e valori. Se singoli individui, siano
pur essi dei lama, compiono qualche azione sbagliata, questo non avrà conseguenza sul Buddhismo nel
suo complesso”.
Certamente tuttavia è importante mantenere la disciplina, specialmente per coloro che hanno delle
responsabilità. Quando si insegna ad altri, quando si è lì per migliorare la qualità della vita di
altri ed il loro stato mentale, per prima cosa si dovrebbe migliorare sé stessi. Altrimenti, come si
può essere d’aiuto agli altri?

E, forse proprio a motivo di questi scandali, mi sembra che ci sia più disciplina, maggiore
autocontrollo.

Pico: Deve essere una grande preoccupazione per Voi che i Tibetani possano perdere il legame con la
propria cultura – sia quelli rimasti in Tibet che, in modo diverso, quelli fuori dal Tibet. Deve
essere difficile mantenere la continuità.

S.S.: All’interno del Tibet, lo è. Ci sono segni molto chiari di degenerazione delle tradizioni
tibetane e dei princìpi morali. Negli ultimi anni si sono avuti alcuni casi di omicidio nella
comunità tibetana in India, e in tutti erano coinvolte persone appena arrivate dal Tibet; questo
mostra come sia degenerato lo spirito di tolleranza e di autodisciplina. Nello stesso Tibet si
pratica il gioco d’azzardo, ed anche la prostituzione; mi hanno detto che ci sono molte prostitute
cinesi ed anche alcune tibetane. Droghe anche – nella comunità dei rifugiati, e pare anche a Lhasa e
nelle principali città del Tibet. La mia preoccupazione principale è per la preservazione della
cultura tibetana. Naturalmente anche lo status politico del Tibet è importante, ma il mio impegno
principale è mantenere vivo lo spirito del Tibet, la sua eredità culturale. Questo darà beneficio
non solo ai sei milioni di Tibetani, ma anche può interessare a tutta la comunità, e in particolare,
sul lungo periodo, ai cinesi. Ci sono milioni di giovani cinesi che vengono chiamati “la generazione
perduta”; temo che siano completamente perduti, specialmente per quanto riguarda i valori umani. In
questo vuoto, la cultura del Buddhismo tibetano può portare il suo contributo.

Pico: Credete che il Buddhismo tibetano dovrà cambiare man mano che viene praticato da un numero
sempre crescente di persone che non sono tibetane?

S.S.: No, non credo. Alcuni occidentali, ed anche alcuni tibetani, mi hanno detto di sentire la
necessità di qualche modifica; credo però che non vi sia questo bisogno, per quanto concerne
l’insegnamento buddhista di base. Il Buddhismo tratta dei fondamentali problemi dell’uomo – la
vecchiaia, la malattia, la sofferenza, e queste sono sempre le stesse, sia nel mondo di oggi che
mille anni fa, sia in Cina che in India che in America, sempre le stesse.

Pico: Questo anche se il Buddismo viene attualmente praticato in paesi con una cultura ed una storia
molto diversa.

S.S.: In ogni tradizione religiosa dovrebbero essere presenti due aspetti, quello culturale e quello
degli insegnamenti, l’aspetto religioso. L’aspetto culturale, quello può cambiare. Quando il
Buddhismo ha raggiunto paesi diversi dall’India, dal punto di vista culturale si è adattato alle
nuove circostanze; ecco che oggi parliamo di buddhismo giapponese, cinese, tibetano, e nello steso
modo finiremo per avere un buddhismo occidentale. Questo avverrà naturalmente. Per quanto riguarda
gli insegnamenti di base però, penso che dovrebbero rimanere immutati. Per esempio, tutti gli
autentici studiosi tibetani, ogni volta che si discute di qualche argomento importante, si rifanno
sempre ad uno dei primi studiosi indiani; altrimenti, non siamo sicuri dell’autenticità.

Quindi, vedi, l’insegnamento non è cambiato per 2500 anni; ecco perché non credo sia corretto
definire “lamaismo” il buddhismo tibetano. Con questa incarnazione il Dalai Lama è stato chiamato,
specialmente dai cinesi, “Buddha vivente”: ora, questo è assolutamente sbagliato. Il termine cinese
che traduce la parola “lama” significa “Buddha vivente”, ma in tibetano la parla “lama” è una
traduzione diretta di “guru”. Quindi “lama” e “guru” hanno lo stesso significato – una persona degna
di rispetto a causa della sua saggezza o perché le dobbiamo qualcosa; grossomodo, quindi “qualcuno
che sia degno di rispetto”. Nessuna implicazione di “Buddha vivente”. Anche alcuni libri
occidentali, parlando di me, usano il termine “Buddha vivente” o “dio”. Sbagliato, completamente!

Pico: Ricordo che una volta avete detto che, fra le virtù buddhiste, l’umiltà è forse quella che
viene praticata più facilmente in Tibet che non in occidente. Mi domando se ci sono altri valori la
cui pratica è più difficoltosa in questo nuovo contesto?

S.S.: In una società occidentale potrebbe essere più difficile intraprendere una buona pratica
meditativa, a causa del ritmo di vita frenetico; tuttavia, vedi, la solitudine di alcune monache e
monaci cristiani è ancora maggiore di quanto non fosse nel Tibet. Questi monaci e monache vivono in
monastero tutta la vita, senza contatti col mondo esterno. C’è nel sud della Francia un monastero
che non ha la radio, non riceve giornali, è completamente isolato! Inoltre mangiano in modo molto
frugale, e non portano scarpe, ma solo sandali. La maggior parte di loro, per tutta la vita, rimane
chiusa lì, quasi prigioniera. Magnifico!

Anche i monasteri Buddhisti in occidente potranno conformarsi al modello di questi monasteri
Cristiani; allora non credo che vi saranno difficoltà. Potranno passare tutta la giornata in
meditazione.

Pico: Al giorno d’oggi probabilmente Voi vi trovate a parlare più con non buddhisti che con
buddhisti, dato che viaggiate tanto e parlate a persone così diverse.

S.S.: Forse si, forse si. Ogni volta che ho l’opportunità di parlare al difuori della comunità
tibetana, tratto principalmente dell’etica secolare. Distinguo fra la spiritualità combinata ad una
fede e la spiritualità senza fede – essere semplicemente un essere umano buono, una persona di
cuore, dotata di un senso di responsabilità. Generalmente do molta importanza all’etica secolare, e
mi pare che questo porti beneficio; spiego i valori umani di base, o le buone qualità umane, come la
compassione, ed il perché della loro importanza. Spiego che il fatto di credere o meno è una
questione individuale, ma che anche senza una religione possimao essere uomini buoni. Mi sembra che
la maggior parte degli ascoltatori apprezzi questo – essere degli uomini buoni, con o senza una
fede. Sono più recettivi; questo è importante. Nel mondo la maggioranza delle persone non è
credente, e non è possibile discutere con loro e dir loro che dovrebbero avere fede! No, non si può!
Realisticamente, la maggioranza degli uomini resterà non credente, e non ha importanza. Non è un
problema! Il problema è che la maggioranza ha perso o ignora i valori umani più profondi, come la
compassione ed il senso di responsabilità. Questo veramente è un problema; questo è una grossa
preoccupazione. Dovunque esista una società, una comunità od una famiglia che sia priva di queste
buone qualità umane, nemmeno una sola famiglia può essere felice; questo è chiarissimo. Alcune
emozioni, come l’odio, creano una distinzione così netta fra “noi” e “loro”. Immediatamente, ecco un
senso di inimicizia; c’è tanta competizione, tanta negatività nei confronti del prossimo, e, nel
prossimo, tanta negatività nei nostri confronti. Cosa succede allora? Ci troviamo circondati da
nemici, ma i nemici non sono altro che una nostra creazione!

Ultimamente insisto sul fatto che a causa dell’economia moderna ed anche dell’informazione e
dell’istruzione, il mondo è ormai largamente interdipendente, interconnesso. Così stando le cose, il
concetto di “noi” e “loro” non ha più senso: se danneggi il tuo prossimo, in effetti danneggi te
stesso. Se fai del male al tuo prossimo, crei in questo modo la tua stessa sofferenza; mentre
aiutare gli altri, preoccuparsi del loro benessere, finisce per contribuire alla propria felicità.
Se vogliamo una comunità ricca di gioia, di amicizia, dovremo crearne la possibilità; ma se
rimaniamo negativi, e contemporaneamente vogliamo dal nostro prossimo sorrisi ed amicizia, questo
non è logico. Se vogliamo amici più cordiali, dobbiamo creare una atmosfera cordiale; loro poi
risponderanno. Insomma, è necessario che veniamo richiamati alle nostre responsabilità più basilari,
più fondamentali; ecco cosa sottolineo in particolare. Credo veramente che la cosà più importante
sia la promozione di una etica e una morale secolare; questo è ciò di cui abbiamo veramente bisogno.

Le emozioni e le azioni che finiscono col portarci felicità e soddisfazione, queste sono positive;
infatti noi desideriamo la felicità. Le emozioni e le azioni che finiscono col portarci sofferenza,
dovremmo considerarle negative; questo perché non vogliamo soffrire. Questi sono valori umani di
base – nessun rapporto con un Creatore, nessun rapporto col Buddha.

Pico: Vi preoccupa il fatto che nella comunità tibetana una così grande responsabilità ricada su di
Voi personalmente, che anche se cercate di dividerla fra più persone queste sono riluttanti ad
assumersela per la grande stima che hanno di Voi? E’ difficile mutare queste convinzioni vecchie di
secoli.

S.S.: Si, è vero. Spesso dico “Dovreste fare come se io non esistessi”; prima o poi verrà quel
giorno, infallibilmente.

Pico: Siete preoccupato di quanto accadrà quando non ci sarete più – probabilmente i Cinesi si
sceglieranno il proprio Dalai Lama.

S.S.: No, questo non è un gran problema! Certamente, sul lungo termine, i cinesi vogliono avere il
controllo sulla futura scelta del Dalai Lama; è anche possibile che non ci sarà più nessun Dalai
Lama – secondo alcune fonti, i cinesi la pensano così. Bene; liberi di fare quello che credono.
Nessuno glie lo può impedire. Ma questo non avrà influenza sulla mente dei tibetani, quindi non ha
importanza.

Pico: Non potete far nulla per proteggere la Vostra incarnazione dai cinesi?

S.S.: Certamente i cinesi potranno riconoscere un Dalai Lama, ma per il popolo tibetano quello non
sarà il Dalai Lama: non lo accetteranno. Quindi, non mi preoccupo molto. Quanto all’esistenza stessa
del Dalai Lama come istituzione, il fatto che continui o no, questo lo dovrà decidere il popolo
tibetano. Ad un certo punto, l’istituzione del Dalai Lama verrà a cessare; questo non implica che
venga a cessare la cultura buddhista tibetana. La cultura buddhista tibetana rimarrà, e dovrà
rimanere, io credo, fino a che rimarrà il popolo tibetano. Le istituzioni invece vanno e vengono,
vanno e vengono.

Pico: Oggigiorno tantissime persone vogliono parlare con Voi, magari per una quantità di motivi
differenti. Questo provoca qualche difficoltà?

S.S.: Per me non fa differenza. Naturalmente è possibile che ci siano motivazioni diverse, questo
può essere, ma non è un problema per me. Tratto ogni essere umano nello stesso modo, sia alti
funzionari che mendicanti – nessuna differenza, nessuna distinzione.

Pico: Analogamente, ripetete sempre che è importante sottoporre ogni cosa all’analisi della ragione,
e non accettare nulla in modo automatico. Mi chiedo se ci sono sempre più persone che desiderano
averVi come maestro ed accettare tutto quello che dite.

S.S.: Si, una sorta di fede cieca! Si, anche questo succede. Io però non mi sento un maestro, e non
accetto nessuno come discepolo, tibetani compresi. Generalmente li considero i miei amici di dharma.
In pochi casi eccezionali, se ci conosciamo da molti anni – se c’è una fiducia genuina basata sulla
consapevolezza – allora qualche volta accetto di essere il loro guru, ed essi si considerano miei
discepoli. Generalmente però li considero miei amici spirituali. Così, molti stranieri mi chiedono
di accettarli come discepoli, ed io rispondo che non ce n’è bisogno, che essere amici di dharma è
molto più sano, molto meglio, e mi fa anche sentire molto più a mio agio. Generalmente questa è la
mia risposta a chi mi chiede di essere accettato come discepolo.

Pico: Un poeta inglese ha detto che “un po’ di conoscenza è una cosa pericolosa”. Mi chiedo se la
cultura tibetana ed il buddhismo tibetano siano più soggetti a distorsioni, dal momento che c’è
molta gente nel mondo che ne ha appena un poco di conoscenza.

S.S.: Si, ci sono nuove opportunità di sfruttamento. Nel campo della medicina tibetana, di alcune
arti, ed anche nel buddhismo, alcuni si porpongono (come esperti) senza avere una conoscenza
adeguata. Ci sono tibetani che hanno vissuto in India o in Nepal senza aver ricevuto insegnamenti,
ma dopo qualche anno in occidente sono diventati dei grandi lama; e alcuni stranieri, credo, restano
un po’ sorpresi. Credono che il loro sia un grande lama, ma quando poi vengono in India o in Nepal,
e chiedono a qualche tibetano “Il lama Tizio e Caio, dove è?” il tibetano non lo sa, e qualche volta
dice che quello non è un lama, non è un grande maestro. Succede, d’accordo, ma non è un problema.
Finchè qualcuno ne trae beneficio, tutto bene.

Pico: Molti attori del cinema si interessano di buddhismo,e, come vede Vostra santità, ci sono
addirittura monaci tibetani ritratti nella pubblicità o nelle riviste di moda. Mi chiedo se per
caso, ora che il Tibet è meglio conosciuto, questo crei delle difficoltà in quanto molti associano
il Tibet a personaggi ricchi e famosi?

S.S.: Se alcuni usano i tibetani o la situazione del Tibet a proprio vantaggio, non ci possiamo fare
nulla; l’importante è che non rimaniamo coinvolti con queste persone per il nostro proprio
interesse. Alcun giornalisti mostrano curiosità per gli attori che provano un vivo interesse per il
buddhismo; in effetti suggeriscono che io stesso sto diventando una celebrità. Quello che penso io è
che non mi interessa la provenenza delle persone, purchè abbiano una motivazione sincera, un
desiderio chiaro ed onesto. In questo caso naturalmente darò loro una opportunità, e li tratterò da
amici. Non do importanza alla loro provenienza.

La cosa importante è che da parte nostra, la nostra motivaizone sia estremamente chiara, molto
onesta. Per quel che mi riguarda, io sono un monaco buddhista, un seguace del Buddha. Da questo
punto di vista, incontrare un cercatore spirituale semplice, innocente e sincero è più importante
che incontrare un politico od un primo ministro. Questi gioralisti generalmente considerano i
politici molto importanti, così incontrare un politico diventa per loro qualcosa di assai
significativo. Per me invece, incontrare persone comuni, contribuire un po’ alla pace della mente,
ad una maggiore consapevolezza del valore della vita umana – questo, credo, è molto importante.
Quando vedo qualche risultato, penso “Oggi ho dato un piccolo contributo”.

Pico: Vostra santità ha una vita così complicata, a motivo di tutti i ruoli diversi che deve
giocare. Quale è quello che trovate più difficoltoso?

S.S.: Incontrare i politici è una esperienza che trovo abbastanza difficile. Devo incontrare queste
persone ed appellarmi a loro, ma non posso dir loro nulla di concreto circa il Tibet perché la
situazione è così complicata. Il problema è di dimensioni tali che anche se essi desiderano
sinceramente di essere d’aiuto, non possono farci nulla! Ma se non li incontrassi, nemmeno questo
sarebbe giusto. Meglio incontrarsi. La cosa peggiore è che ogni tanto sono necessarie delle
formalità; ecco, a queste proprio non ci tengo. Una volta, a Salisburgo, sono stato invitat a
parlare ad un festival, ed ho espresso alcuni dei miei pensieri usuali circa le difficoltà, il
divario fra ricchi e poveri, questo genere di cose. Successivamente, il cancelliere austriaco mi ha
detto che avevo infranto tutti i tabù. Era un festival, quindi immagino che si aspettassero delle
lodi, delle belle parole. E’ bene affrontare argomenti seri. Ho pensato, qui è tutto molto bello,
molto a posto, ma nello stesso tempo in qualche altra parte del mondo esseri umani stanno morendo di
fame; così ho parlato del divario fra ricchi e poveri, fra sud e nord. Pare che il fatto che io sia
così informale – così radicalmente informale – talvolta sia di aiuto alle persone. Alcuni di questi
problemi vengono sentiti anche da loro, ma non trovano facile parlarne. Forse.

Pico: Siete deluso per quanto i governi del mondo sono riusciti a fare per il Tibet?

S.S.: Naturalmente penso che potrebbero fare di più, ma contemporaneamente vedo con chiarezza le
loro difficoltà. La Cina è una nazione molto grande, molto importante, non la si può ignorare.
Bisogna averci a che fare, sarebbe assolutamente sbagliato isolarla; deve essere ricondotta entro la
corrente principale della comunità mondiale. In campo economico gli stessi cinesi lo desiderano, ma
anche noi della comunità mondiale abbiamo la responsabilità morale di portare la Cina nella corrente
principale della democrazia mondiale, cosa che anche il popolo cinese desidera. Nel trattare con la
Cina è necessario creare una genuina fiducia reciproca, entro la quale chiarire quanto vi è di
sbagliato. Certe questioni di principio dovrebbero essere molto salde, in questa atmosfera
amichevole. Credo che il maggior ostacolo sia il sospetto dei cinesi, l’eccessivo sospetto. Fino a
che questo sospetto rimarrà, non sarà possibile risolvere il problema.

Quindi, prima eliminiamo il sospetto, poi manteniamo rapporti stretti, contatto stretto. Non
conflitto, ma piuttosto persuasione ed interazione. E’ chiaro quindi che i rapporti con la Cina per
queste nazioni occidentali sono molto delicati, molto complicati; date le circostanze mi pare che il
sostegno che riceviamo sia molto, molto incoraggiante. Noi non abbiamo denaro, non abbiamo petrolio,
non abbiamo nulla da offrire; il Tibet è una piccola nazione, siamo oppressi dai cinesi, abbiamo
sopportato enormi distruzioni e violazioni dei diritti umani. Il sostegno mondiale quindi non ci
deriva da considerazioni di tipo economico o geopolitico, ma unicamente dalla solidarietà umana e
dal desiderio di giustizia, e questo, credo, è molto incoraggiante. E’ un sostegno vero, che viene
dal cuore; credo che sia una gran cosa. Quando parlo in pubblico, espongo alcune ragioni per cui si
dovrebbe sostenere il Tibet. Una ragione riguarda l’ecologia: a causa della grande altezza del Tibet
e del clima secco, una volta che la sua ecologia sia danneggiata, richiederà un tempo assai lungo
per riprendersi. I cinesi sono molto ansiosi di sfruttare il Tibet e la possibilità di danno è
grande. Dal momento che molti fiumi importanti hanno le sorgenti nel Tibet, questo finirebbe col
ripercuotersi su vaste aree di questa parte del mondo.

In secondo luogo, la cultura tibetana, la cultura buddhista, promuove un certo modo di vita basato
su un rapporto pacifico con gli altri esseri umani, un rapporto pacifico con la natura, un rapporto
pacifico con gli animali. Credo che questo tipo di cultura sia necessaria, sia utile, per tutto il
mondo. Questa eredità culturale, che può essere d’aiuto a milioni di persone, è minacciata di
estinzione.

Infine, se credaamo nelle soluzioni pacifiche e non violente, dovremmo allora sostenere la lotta
tibetana, che ha avuto un approccio non violento fin dall’inizio: se dovesse fallire, questo
costituirebbe uno smacco a livello globale per questo nuovo modello di lotta non violenta per la
libertà. L’unico modo di risolvere i conflitti passa attraverso il dialogo, attraverso i principi
della non violenza. Se la lotta non violenta dei tibetani avesse successo, potrebbe esserne un
esempio.

Pico: Credete che potrete rivedere il Tibet?

S.S.: Oh si, certamente! Certamente! Se non muoio stanotte, o nei prossimi anni. Certamente! Fra
altri cinque, dieci anni, credo che le cose cambieranno. Credo che ci sia veramente speranza.

Pico: Le sfide che avete dovuto affrontare negli ultimi 30 o 40 anni – farebbero parte del karma del
Dalai Lama?

S.S.: Si, certamente. Penso anche del karma comune.

Pico: Questo vuol dire che c’è una sorta di scopo o una ragione per le difficoltà che si affrontano?

S.S.: Uno scopo, non so. E’ molto misterioso, molto difficile da dire. Queste conseguenze karmiche –
in qualche caso hanno un significato, un senso. E’ utile però considerare le tragedie da un angolo
diverso, in modo da ridurre il senso di frustrazione mentale. La nostra tragedia per esempio –
l’esilio, tutte le distruzioni nel nostro paese – ha portato anche nuove opportunità. Se fossimo
ancora in Tibet, il buddhismo tibetano non sarebbe così conosciuto nel mondo esterno; da questo
punto di vista, più siamo esposti, meglio è.

Pico: Per il mondo è stato un grande guadagno, visto che prima non avevamo accesso al Tibet.

S.S.: La conoscenza del Tibet e del buddhismo tibetano che esiste attualmente nel mondo è dovuta
alla tragedia che ha colpito il Tibet; ecco quindi che c’è stato un risultato positivo.
Inevitabilmente, questo comporta che alcune persone di cuore sincero possano imparare molto, ma che
vi siano anche delle distorsioni. La verità ha una forza propria; quindi, col passare del tempo, se
una cosa è veritiera comincia a crescere, si rafforza sempre di più. Come la causa tibetana, o la
mia posizione nei riguardi del buddhismo tibetano, oppure alcune delle nostre attività in India, che
all’inizio forse non godevano di molta popolarità, ma col passare del tempo cominciano ad essere
bene accette. Se una cosa è veritiera, la sua verità diventa sempre più evidente.

Pico: Un’ultima domanda. Vostra Santità è sempre così ben riuscito a trovare una benedizione o un
insegnamento in qualunque cosa accada, anche nella sofferenza. Mi chiedo, quale è la cosa più triste
che vi è accaduta in tutta la vita?

S.S. : Credo sia la notte in cui ho lasciato il Norbulingka per andare in esilio, e ho abbandonato
alcuni dei miei migliori amici, ed un cane. Un’altra è stata l’addio finale nel passare il confine
con l’India. Dire addio alle mie guardie del corpo, che erano decise a tornare in Tibet – il che
avrebbe comportato affrontare la morte, o qualcosa di simile. Queste due occasioni sono state
naturalmente molto tristi. Ma anche alcune occasioni ora, quando i tibetani appena arrivati
raccontano delle loro vita, delle torture, con molte lacrime. Qualche volta piango anche io.
Generalmente però le lecrime mi vengono in una occasione diversa – cioè quando parlo della
compassione, dell’altruismo, di Buddha. Spesso mi emoziono al punto di piangere. Credo però che la
tristezza possa essere facilmente affrontata; da una prospettiva buddhista più ampia, tutta
l’esistenza è per sua natura sofferenza; quindi la sofferenza è sintomo del samsara. Anche questo è
utile. Ecco perché mantengo la pace della mente!

Pico: Grazie, veramente

S.S.: Grazie.

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