I raggi cosmici

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I raggi cosmici

a cura dell’INFN

a cura dei Dottori:

Guido Barbiellini
Università e sezione INFN di Trieste

Valentina Bologna
SISSA, Trieste

Francesco Longo
Università e sezione INFN di Ferrara

L’invisibile pioggia di particelle che arriva a terra in ogni istante è un messaggio che l’universo
regala agli scienziati per parlare di sé. Raggi cosmici, questo è il loro nome, ed evoca la loro
provenienza, ma non la loro origine, ricorda i raggi del sole, ma non si tratta solo di fotoni.

Quando furono scoperti era il 1912. Allora l’unica particella nota era l’elettrone, Niels Bohr non
aveva ancora presentato la sua teoria atomica e la descrizione quantistica del microcosmo era ancora
lontana. In quel periodo si indagava sull’origine dei fenomeni radioattivi, che risultavano
onnipresenti ed ineliminabili anche con schermature. L’austriaco Victor Hess iniziò una serie
sistematica di esperimenti salendo in quota con dei palloni, per individuare la sorgente della
radioattività. Misure dettagliate permisero ad Hess di dichiarare con certezza: “I risultati delle
presenti osservazioni possono essere spiegati ammettendo la presenza di una radiazione estremamente
energetica che penetra l’atmosfera e, interagendo, provoca la ionizzazione dell’aria così come essa
viene osservata”.

Per Hess si trattava di raggi gamma, gli stessi osservati nel decadimento radioattivo naturale;
della stessa idea era Robert Millikan, che nel 1925 li chiamò, appunto, cosmic radiation o cosmic
rays. Questa analogia accompagnò da subito gli scienziati, che, in quegli anni, stavano cercando di
comprendere la natura dell’atomo. Si era ancora lontani dalla costruzione di grandi acceleratori,
esistevano allora solamente pionieristici rivelatori costituiti da camere a nebbia, dove le
particelle lasciavano la loro traccia a goccioline, passando attraverso un gas in sovrapressione, e
contatori Geiger, in cui le particelle producono una scarica elettrica. Impilando contatori Geiger a
formare “telescopi”, Walther Bothe e Werner Kolhörster nel 1928 provarono la natura corpuscolare dei
raggi cosmici; il loro risultato venne confermato ed approfondito a Firenze da Bruno Rossi, che
sviluppò dei circuiti elettronici per studi sistematici dei raggi cosmici.

Fino agli anni ‘50, i raggi cosmici rimasero la sola sorgente naturale di particelle di alta
energia, in grado di produrre nuove specie materiali. Permisero così la prima osservazione
sperimentale di due fondamentali scoperte nel campo della fisica delle particelle: l’antimateria e
il processo di decadimento del pione. Nel 1932 Carl Anderson osservò delle particelle cariche
positivamente, che lasciavano nella camera a nebbia la stessa traccia degli elettroni. I suoi
risultati furono convalidati nel 1933 da Patrick Blackett e Giuseppe Occhialini che riconobbero in
esse l’antielettrone o positrone proposto teoricamente da Paul Dirac, osservando la conversione di
fotoni di alta energia in coppie elettrone-positrone. Particella predetta nel 1936 da Hideki Yukawa,
il pione si osservò sperimentalmente solo nel 1947 da parte di Cecil Frank Pawel, Occhialini e Cesar
Lattes, utilizzando speciali emulsioni fotografiche per registrare la produzione di pioni da parte
dei raggi cosmici e il loro successivo decadimento in muoni, che a loro volta decadono in elettroni
(o positroni) e in neutrini (invisibili).

L’osservazione di sciami di particelle prodotte nelle camere a nebbia suggerì che gli stessi raggi
cosmici, così come arrivavano a terra, dovevano essere il prodotto di interazioni e decadimenti
successivi generati nell’interazione con l’atmosfera. La distinzione tra raggi cosmici primari e
secondari, terziari e di livelli successivi emerse rapidamente. Si pose inevitabilmente la questione
sull’origine e la provenienza dei raggi primari. Le ipotesi che vennero avvalorate proposero come
possibile sorgente e sede dell’accelerazione dei raggi cosmici inizialmente il sole (Teller), poi la
galassia (Fermi) e infine Cocconi nel 1956 notò che la componente più energetica aveva
caratteristiche extragalattiche. Era necessario aspettare l’inizio della conquista dello spazio per
comprendere più a fondo la provenienza dei raggi cosmici. Quarant’anni di missioni spaziali non sono
molti, ma hanno suggerito agli scienziati di cercare e verificare nell’universo proprietà
fondamentali nello studio di oggetti celesti, come buchi neri, stelle di neutroni e sorgenti
extragalattiche lontane nello spazio e nel tempo. Ai raggi cosmici l’onore di essere i messaggeri di
quell’informazione che la tecnologia non potrà mai realizzare, una macchina del tempo, efficiente e
poco dispendiosa, a disposizione degli scienziati e di tutti gli interessati a leggere il libro
dell’universo, delle sue leggi e della sua storia.

I raggi cosmici e l’antimateria

L’equazione del comportamento delle particelle cariche relativistiche, descritta da Dirac,
presuppone l’esistenza di uno stato a energia negativa: ad esempio l’anti-elettrone (o positrone) è
una particella avente le stesse caratteristiche dell’elettrone in massa, ma carica opposta.
Attualmente si ritiene che il mondo e tutti i fenomeni che in esso avvengono siano composti a
partire da alcuni mattoni fondamentali, i quark leggeri u, d e gli elettroni. Quantità minime delle
rispettive antiparticelle, antiquark e antielettroni si trovano in particolari intervalli di tempo e
in poche località terrestri, prodotte in laboratori, quali per esempio il CERN (Ginevra), il
FermiLab (Chicago), SLAC (Stanford), LNF (Frascati) e a Novosibirsk (Russia). I raggi cosmici della
Galassia contengono una frazione di antiprotoni e positroni, rispettivamente in quantità circa un
decimillesimo ed un decimo rispetto alle corrispondenti particelle. Questa quantità ragguardevole di
antimateria è, entro le incertezze dei dati sperimentali, compatibile con la produzione di
antimateria negli urti dei protoni primari dei raggi cosmici con gli atomi di idrogeno negli spazi
interstellari della Via Lattea.

Lo studio degli antiprotoni richiede esperimenti fuori dell’atmosfera e con strumentazione
abbastanza sofisticata. I primi esperimenti significativi sono stati intrapresi con palloni
stratosferici, seguendo isuggerimenti di Luis Alvarez. Ottimi risultati sugli antiprotoni sono stati
ottenuti dalla collaborazione Wizard in particolare con la missione CAPRICE, nella quale l’INFN ha
partecipato con un elevato numero di afferenti, e dalla collaborazione BESS, che ha invece coinvolto
il Giappone e gli Stati Uniti.

Se nella ricerca di antimateria cosmica si trovasse una traccia di antielio, superiore a 10-12
rispetto all’elio, non sarebbe possibile darne spiegazione utilizzando la produzione secondaria, il
che ci porta inevitabilmente a concludere che in qualche parte dell’universo esisterebbe, allora,
una componente macroscopica di antimateria. Gli esperimenti su pallone ed il volo ingegneristico
della missione AMS sullo Shuttle nel 1998 hanno prodotto, finora, un limite sul rapporto tra elio e
antielio pari a 10-6. La missione AMS, la cui installazione sulla Stazione spaziale internazionale è
fissata per il 2004, sarà in grado di misurare il rapporto antielio/elio fino a un fattore
dell’ordine di 10-9 ( Fig 5). Anche in questo caso l’INFN ha investito le sue risorse culturali e
tecnologiche. Prima che AMS giunga in orbita, il gruppo Wizard lancerà nello spazio PAMELA, un
satellite in grado di osservare l’antimateria protonica, elettronica e dell’elio in un intervallo di
energia molto ampio, con l’intento di osservare la componente più energetica dell’antielio, l’unica
in grado di pervenire da eventuali anti-galassie lontane.

I raggi cosmici e gli sciami atmosferici

Le prime evidenze di una componente molto energetica dei raggi cosmici e la scoperta degli sciami
atmosferici portano la data del 1930 quando il gruppo di scienziati guidato da Pierre Auger osservò
coincidenze tra contatori di particelle separati tra loro sino a distanze di 300 metri. Queste
coincidenze furono propriamente interpretate come il risultato di sciami estesi generati
nell’atmosfera dai raggi cosmici primari nel loro viaggio verso la superficie terrestre (Fig 6). Nel
1949 lo studio degli sciami estesi era diventata una tecnica capace di quantificare l’energia dei
raggi primari con circa il 30 per cento di precisione. Nello stesso anno, Enrico Fermi da Chicago
propose l’esclusione degli elettroni come primari in una lettera di risposta a Giuseppe Cocconi, che
al tempo si trovava alla Cornell University di New York, suggerendo inoltre di abbandonare le
ipotesi di Edward Teller sull’origine locale dei raggi cosmici, per seguire la strada dell’origine
galattica.

Teller giustificava la sua posizione con considerazioni di natura energetica. Calcolando, infatti,
dal flusso di raggi cosmici la densità di energia misurata nelle vicinanze della terra e
moltiplicata per il volume della Via Lattea si trova un valore totale di energia talmente alto,
giustificabile solamente presupponendo la localizzazione dei raggi cosmici nel sistema solare.
Passarono pochi anni e nel 1956 Cocconi presentò l’ipotesi avvalorata sperimentalmente che i raggi
cosmici, di energia superiore ai 1018 eV possono essere accelerati negli spazi intergalattici,
divenendo così i principali messaggeri dell’informazione a distanze extragalattiche.

La strada però era ancora in salita. Infatti, l’osservazione sperimentale dei raggi cosmici di
energia superiore ai 1020 eV è estremamente complessa perché la loro frequenza di arrivo al suolo è
molto bassa (dell’ordine di uno al km2 al secolo). Due sono attualmente le strategie che gli
scienziati stanno percorrendo: da una parte costruire strumenti con ampie superfici di raccolta per
i raggi cosmici, dall’altra mandare i rivelatori nello spazio. In entrambi i casi l’INFN si sta
impegnando a dare il suo sostegno intellettuale, scientifico e finanziario, partecipando alla
realizzazione del progetto AUGER ­ così chiamato in onore del fisico francese ­ e di EUSO (Extreme
Universe Space Observatory) un rivelatore per raggi cosmici di altissima energia ospitato sulla
Stazione Spaziale Internazionale.

AUGER sarà il più grande osservatorio del mondo. Con i suoi 3000 km2 (quasi dieci volte Parigi) e
1600 rivelatori, consentirà, dal 2003, di determinare con estrema accuratezza la direzione,
l’energia e la massa dei raggi cosmici, parametri necessari per comprendere meglio i meccanismi di
accelerazione più potenti nell’universo, per studiare le isotropie e dare spiegazioni alle strutture
di larga scala, per far svelare i segreti passati del cosmo ai neutrini. A partire dal 2007 EUSO,
invece, punterà lo sguardo agli estremi confini del mondo fisico, ai primi istanti dell’universo.
Osservando la fluorescenza, prodotta nell’atmosfera da sciami generati da raggi cosmici e da
neutrini di energie estreme e focalizzata con una grande lente ottica di Fresnel sul piano del
rivelatore, consentirà di ricostruire la direzione di arrivo dello sciame e la sua energia con
estrema precisione.

Sorgenti puntiformi di raggi cosmici

Le particelle di origine cosmica che osserviamo da terra sono principalmente i prodotti delle
interazioni dei raggi cosmici primari con l’atmosfera. Lo studio della componente primaria ha
richiesto di porre delicate strumentazioni su palloni atmosferici e su satelliti. Grazie a queste
misurazioni, dopo quasi un secolo dalle misure di Hess, si conoscono molti dettagli delle proprietà
dei raggi cosmici quali la loro distribuzione spettrale e la loro composizione.

La componente principale dei raggi cosmici primari sono i protoni e gli atomi di elio. La
percentuale degli altri elementi è pressoché analoga a quella presente nel sistema solare, tranne
che per il litio, il berillio e il boro, eccessi probabilmente prodotti dalle interazioni dei
protoni con il materiale presente nello spazio interstellare. Lo studio di queste abbondanze e
l’analisi delle vite medie di alcuni di essi hanno suggerito che la gran parte dei raggi cosmici sia
concentrata all’interno nella Galassia.

Ulteriore conseguenza delle loro interazioni con la materia interstellare è la produzione di una
intensa radiazione gamma, derivante dal decadimento del pione neutro. Se si osserva, quindi, la
Galassia in queste lunghezze d’onda (da 100 MeV in su), la componente dominante è proprio il
bagliore concentrato attorno al piano galattico, in cui le interazioni dei raggi cosmici e i
processi che coinvolgono gli elettroni presenti nella radiazione cosmica fanno la parte del leone.
(Fig. 8 ) Essi interagiscono con i campi elettromagnetici e con la materia dello spazio
interstellare e con la stessa radiazione prodotta dalle stelle dando origine alla radiazione gamma.
La possibilità di osservare tali lunghezze d’onda, invisibili da terra, ha permesso di studiare la
percentuale di raggi cosmici e la stessa struttura della Via Lattea.

È grazie allo sviluppo delle tecnologie spaziali, a partire dalla fine degli anni sessanta, che
questa componente dello spettro elettromagnetico è divenuta accessibile. Dopo la missione
statunitense SAS-2 (1972-73), che scoprì l’emissione diffusa proveniente dalla Galassia e originata
da alcuni resti di supernova, furono soprattutto i satelliti COS-B, europeo, e EGRET, a bordo del
Compton Gamma Ray Observatory statunitense, a dare un impulso decisivo a questa scienza.

COS-B (1975-82), infatti, rivelò l’emissione gamma dalle pulsar – stelle di neutroni rotanti – ed
individuò la prima sorgente gamma extragalattica. EGRET (1991-2000), invece, permise di delineare
molto più in dettaglio l’emissione diffusa e localizzò circa trecento sorgenti puntiformi, tra cui i
Gamma-Ray Bursts, misteriosi oggetti posti ai confini dell’universo; osservò inoltre l’emissione
gamma prodotta dalle interazioni dei raggi cosmici presenti nelle Nubi di Magellano, galassie
satelliti della Via Lattea, confermando così l’ipotesi di una origine degli stessi all’interno delle
galassie.

Se sono noti i meccanismi con cui i raggi cosmici interagiscono con la materia interstellare, poco
noto ancora è il processo che permette di accelerarli fino alle energie con cui vengono osservati. È
questo uno dei principali obiettivi scientifici delle future missioni spaziali dedicate
all’astronomia gamma, in cui l’INFN sta svolgendo un ruolo decisivo. AGILE (Astrorivelatore Gamma a
Immagini LEggero), a partire dal 2003, e GLAST (Gamma Ray Large Area Space Telescope) che volerà nel
2006, utilizzeranno la tecnologia dei rivelatori a semiconduttore. Questa tecnologia permetterà di
individuare con molta più precisione la direzione di arrivo dei raggi gamma. In questo modo si potrà
distinguere nel dettaglio l’emissione gamma prodotta nei resti di supernova. Si ritiene, infatti,
che siano le onde d’urto prodotte da tali esplosioni a fornire l’energia ai raggi cosmici.

Analoghi meccanismi sono all’opera nelle sorgenti gamma più intense, come i nuclei galattici attivi
o i Gamma-Ray Bursts. Si ipotizza che siano essi ad accelerare i raggi cosmici fino alle altissime
energie, e un lodevole contributo alla comprensione di questo fenomeno celeste è stato dato dalla
missione spaziale per raggi X, Beppo SAX (Fig. 9). Le future missioni per l’astronomia gamma
permetteranno, allora, di esplorare sorgenti fino ai confini dell’universo, nonché di cercare di
rispondere a interrogativi decisivi per la comprensione della struttura e dell’unità del cosmo,
quali l’identificazione della materia oscura o la natura quantistica dello spazio tempo.

Istituzioni scientifiche citate nell’articolo:

AUGER
AMS
GLAST
CGRO

In collaborazione con l’ Istituto nazionale di fisica nucleare

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