La tecnica di Vipassana

pubblicato in: AltroBlog 0

La tecnica di Vipassana

Vipassana (che nell’antica lingua indiana Pali significa “vedere le cose in profondità, come
realmente sono”) è una delle più antiche tecniche di meditazione dell’India. Fu infatti riscoperta e
insegnata da Siddhatta Gotama il Buddha più di 2500 anni fa come metodo universale per uscire da
ogni tipo di sofferenza.
Vipassana è una tecnica pratica di auto-osservazione, un metodo scientifico che porta alla graduale
purificazione della mente.

E’ una tecnica universale, praticabile da tutti, definita da *S.N. Goenka un’Arte di Vivere.

La meditazione Vipassana: un’arte di vivere

Tutti noi cerchiamo pace e armonia, perché questo è ciò che manca alla nostra vita. Di tanto in
tanto ci sentiamo agitati, irritati, disarmonici, sofferenti. Inoltre, quando proviamo questi
malesseri, non ci limitiamo a soffrirne personalmente, ma li riversiamo sugli altri. L’ansia pervade
l’atmosfera attorno a chi è infelice e chiunque venga in contatto con questa persona diventa a sua
volta ansioso, irritato, infelice: non è certamente il giusto modo di vivere. Si dovrebbe vivere in
pace con se stessi e con gli altri. Dopotutto l’essere umano è un essere sociale; deve far parte
della società e vivere con gli altri. Come si può vivere in pace? Come si può rimanere in armonia
con se stessi e mantenere attorno a sé pace ed armonia in modo che anche gli altri possano vivere in
modo pacifico ed armonioso? La realtà è che si è agitati. Per uscire da questa situazione, si deve
conoscere la ragione che sta alla base dell’agitazione, la causa di questa sofferenza. Se si esamina
il problema, ben presto appare chiaro che quando si inizia a generare nella mente una qualche
negatività o impurità, si è destinati a provare agitazione. Negatività e impurità nella mente non
possono coesistere con la pace e l’armonia.

Come si inizia a generare negatività? Quando trovo qualcuno che si comporta in un modo che non mi
piace, quando scopro che sta succedendo qualcosa che non è di mio gradimento, allora divento teso ed
infelice. Succedono cose indesiderate ed io comincio a creare tensione. Non accade ciò che desidero,
sulla mia strada sorgono degli ostacoli, e di nuovo creo tensione dentro di me, creo dei nodi sempre
più forti. Nel corso della mia vita continuano ad accadere cose indesiderate; ciò che voglio potrà
avverarsi oppure no, e allora questo processo di reazione che ho avviato continua a creare nodi,
rendendo tutta la mia struttura mentale e fisica tesa e piena di negatività. E la mia vita diventa
infelice, insopportabile. Un modo per risolvere il problema è far sì che non accada mai nulla di
indesiderato e che tutto sia così come io voglio. Dovrei sviluppare questo potere, oppure rivolgermi
a qualcun altro che lo abbia, a cui poter chiedere che nella mia vita accada solo ciò che desidero.
Ma questo non è possibile. Non esiste nessuno al mondo che possa sempre esaudire i propri desideri,
senza che accada mai nulla di indesiderato. Continueranno a verificarsi fatti e situazioni contrari
ai nostri desideri e ai nostri voleri. Come si può allora non creare tensioni?

Come rimanere in pace e in armonia? In India ed in altri paesi persone sagge e sante del passato
hanno studiato questo problema, il problema della sofferenza umana, e hanno trovato una soluzione:
non appena qualcosa di indesiderato accade e si inizia a reagire generando collera, paura o
qualsiasi negatività, allora, appena è possibile, si deve spostare la propria attenzione su
qualcos’altro. Ci si alza, si prende un bicchiere d’acqua, si beve e allora la collera non potrà
moltiplicarsi e così ne saremo liberi. Oppure ci si mette a contare: uno, due, tre, quattro; oppure
si ripete una parola qualsiasi, o una frase – magari il nome di una divinità o di una persona santa
in cui si ha fede – e così la mente viene sviata e, fino ad un certo punto, ci si libera dalla
negatività, dalla collera. Questa soluzione è risultata valida, ha funzionato e funziona ancora;
agendo così la mente si sente libera dall’agitazione. In realtà questa soluzione riguarda solo il
livello conscio: in effetti, sviando l’attenzione, si spinge la negatività più in profondità
nell’inconscio, e a questo livello continua a riprodursi e a moltiplicarsi. Alla superficie della
mente c’è pace ed armonia, ma nel profondo c’è un vulcano addormentato che prima o poi esploderà con
una violenta eruzione.

Altri ricercatori della verità interiore si sono spinti più lontano nella loro ricerca:
sperimentando all’interno di se stessi la realtà della mente e della materia, compresero che sviare
l’attenzione è solo un modo di sfuggire al problema: occorre affrontare la negatività, osservandola
ogni volta che sorge nella mente. Non appena la si osserva, essa inizia a perdere forza: lentamente
si indebolisce e così viene eliminata. Questa soluzione permette di evitare i due estremi: infatti,
se mantenuta nell’inconscio, la negatività non verrà sradicata, mentre se permetteremo che si
manifesti nell’azione fisica o verbale, creeremo altri problemi. Invece, se la osserviamo
semplicemente, la negatività se ne va, viene eliminata. Sembra magnifico, ma è veramente realistico?
E’ davvero possibile affrontare le proprie negatività mentali? Quando la collera sorge, essa ci
travolge così rapidamente che neppure ce ne accorgiamo, per cui, sconvolti dalla collera,
commettiamo azioni fisiche o verbali che sono dannose per noi e per gli altri. E più tardi, quando
la collera è passata, ci lamentiamo e ci pentiamo. Poi, la volta seguente, in una situazione simile,
reagiamo di nuovo allo stesso modo. Tutto questo pentirsi non ci aiuta per niente. La difficoltà è
che non si è consapevoli di quando ha inizio la negatività. Incomincia in profondità, a livello
inconscio, e quando raggiunge il livello conscio ha acquistato una forza tale che ci travolge e non
siamo capaci di osservarla. Allora, forse, dovremmo tenere con noi una segretaria che ci avverta
quando la collera ha inizio “Attenzione, sta iniziando la collera!”. Non si sa però quando la
collera possa incominciare, così si dovrebbero avere tre segretarie private per tre diversi turni di
lavoro, 24 ore su 24. Supponiamo di potercele permettere e che la collera abbia inizio;
immediatamente la segretaria ci avvisa che la collera ha avuto inizio. Ebbene, la prima cosa che
faremmo è di insultare e di schiaffeggiare proprio la segretaria. “Sciocca, pensi di essere pagata
per insegnare a me !!” Si è così sconvolti dalla collera che nessun consiglio ci può aiutare.
Supponiamo che prevalga il buon senso e che non la si insulti; anzi, la si ringrazi: “Tante grazie,
ora devo sedermi ed osservare la collera”. E’ possibile? Non appena chiudo gli occhi e cerco di
osservarla, nella mia mente si presenta immediatamente l’oggetto della collera: sto osservando lo
stimolo esterno dell’emozione. Questo non farà che moltiplicare la collera: non è una soluzione. E’
molto difficile osservare una negatività astratta, un’emozione astratta, separata dall’oggetto
esterno che l’ha provocata.

Ma una persona che è giunta alla verità ultima trova l’autentica soluzione. Infatti il Buddha scoprì
che quando nella mente si genera una negatività, simultaneamente a livello fisico iniziano a
succedere due cose. La prima è che il respiro perde il suo ritmo normale. Ogni volta che nella mente
appare una negatività, si inizia a respirare pesantemente. Questa è una realtà che chiunque può
sperimentare, per quanto grossolana e ovvia possa sembrare. E, a un livello più sottile, si
verificano delle reazioni biochimiche all’interno del corpo, sorgono delle sensazioni. Ogni
negatività genera delle sensazioni in qualche parte del corpo.

Ecco allora una soluzione pratica. Non si possono osservare le negatività astratte della mente, come
paura, collera, passione. Ma con l’allenamento ed una pratica adeguata diventa molto semplice
osservare il respiro e le sensazioni, che sono collegati direttamente con la negatività mentale. La
respirazione e le sensazioni aiuteranno in due modi: in primo luogo faranno da segretari privati.
Non appena sorge una negatività nella mente, il respiro perde la sua normalità e avverte:
“Attenzione, c’è qualcosa che non va!” E siccome non si può schiaffeggiare il respiro, si deve
accettare l’avvertimento. Così anche le sensazioni ci avvertono che c’è qualcosa che non va, e
bisogna accettarle. Allora, così avvertiti, iniziamo ad osservare il respiro e le sensazioni. E ben
presto scopriamo che la negatività scompare.

Questo fenomeno mentale-fisico corrisponde alle due facce di una medaglia. Da una parte ci sono
tutti i pensieri e le emozioni che sorgono nella mente, dall’altra il respiro e le sensazioni nel
corpo. Ogni pensiero o emozione, ogni negatività mentale, si manifesta nel respiro e nella
sensazione di quel momento. Così, osservando il respiro o la sensazione, si sta indirettamente
osservando la negatività mentale. Non si sfugge al problema, ma si affronta la realtà così come è.
Allora si scopre che la negatività perde la sua forza e non riesce più a travolgerci come in
passato. Se si persevera ad osservare, alla fine la negatività scompare completamente e si rimane in
pace e felici. In questo modo la tecnica di auto-osservazione ci mostra la realtà nei suoi due
aspetti: esterno ed interno. Fino ad ora abbiamo sempre guardato all’esterno, lasciandoci sfuggire
la verità interiore.

Abbiamo sempre cercato fuori di noi la causa della nostra infelicità; abbiamo sempre cercato di
incolpare e cambiare la realtà esterna. Ignorando la realtà interiore non è possibile capire che la
causa della sofferenza giace dentro di noi, nelle nostre cieche reazioni. Ora, con la pratica,
riusciamo a vedere l’altra faccia della medaglia, diventando consapevoli di ciò che accade dentro di
noi. Impariamo ad osservare qualsiasi cosa accada, qualsiasi sensazione compaia, senza perdere
l’equilibrio della mente. Smettiamo di reagire, di moltiplicare la nostra infelicità, facendo in
modo che la negatività di manifesti e se ne vada. Più si pratica questa tecnica e più si scopre
quanto rapidamente ci si può sbarazzare delle negatività; e, gradualmente, liberandosi da ciò che è
negativo, la mente diventa sempre più pura.

E una mente pura è sempre piena di amore, amore disinteressato per gli altri, piena di compassione
per le debolezze e le sofferenze degli altri, gioiosa dei loro successi e della loro felicità, piena
di equanimità in ogni situazione. Quando si arriva a questo stadio, tutto l’andamento della vita
inizia a cambiare. Diventa impossibile fare, verbalmente o fisicamente, qualcosa che disturbi la
pace e l’armonia degli altri. Al contrario, la mente equilibrata non solo diventa serena in se
stessa, ma aiuta anche gli altri ad essere pervasi da pace ed armonia.

Imparando a rimanere equilibrati di fronte a qualsiasi esperienza interiore, si sviluppa equanimità
anche verso tutto ciò che si incontra nella vita. Questo equilibrio, questo distacco, non è però
indifferenza o distacco verso il mondo: un meditatore di Vipassana diventa più sensibile alla
sofferenza degli altri e fa del suo meglio per alleviarla – non con agitazione, ma con una mente
piena di amore, compassione ed equanimità. Si impara il sereno distacco, cioè ad essere pienamente
impegnati, pienamente coinvolti ad aiutare gli altri, mantenendo allo stesso tempo una mente
equilibrata. Così, mentre si lavora per la pace e la gioia degli altri, si rimane felici e in pace.

Questo è ciò che insegnava il Buddha, un’arte di vivere. Non insegnò una religione o una dottrina
filosofica. Non istruì mai i suoi seguaci a praticare dei riti o dei rituali, delle cerimonie vuote
e cieche. Al contrario, insegnò ad osservare semplicemente la natura così come è mediante
l’osservazione della propria realtà interiore. Quando si è in balìa dell’ignoranza si continua a
reagire in modo nocivo per sé e per gli altri. Ma quando la saggezza si risveglia, allora si può
abbandonare l’abitudine alla reazione. Quando si smette di reagire ciecamente si è capaci di vere
azioni, che nascono da una mente equilibrata e serena, una mente che vede e comprende la verità.
Queste azioni non potranno essere che positive e creative, utili a se stessi e agli altri. Come è
stato ripetuto dai saggi di ogni tempo, è necessario conoscere se stessi. Ci si deve conoscere non
solo a livello intellettuale, emozionale o devozionale, o accettando ciecamente ciò che si è sentito
o letto. Questa conoscenza non è sufficiente. Si deve invece conoscere la realtà a livello
effettivo, pratico. Si deve sperimentare direttamente la realtà di questo fenomeno mentale e fisico:
solo questo ci aiuterà a liberarci dalle negatività, dalle sofferenze.

Questa esperienza diretta della propria realtà, questa tecnica di auto-osservazione è la meditazione
Vipassana.

In pali, la lingua dell’India ai tempi del Buddha, la parola passana significava guardare, vedere
con occhi aperti, nella maniera abituale. Ma vipassana significa osservare le cose così come sono in
realtà, non semplicemente come sembrano essere. Si deve penetrare la verità apparente fino a
raggiungere la verità fondamentale dell’intera struttura mentale e fisica. Quando si sperimenta
questa verità, si impara a non reagire più ciecamente, a non creare più negatività; e così,
naturalmente, le impurità accumulate potranno essere eliminate. Ci si libera dalle sofferenze e si
sperimenta la vera felicità.

Per imparare questa pratica sono necessarie tre condizioni. In primo luogo ci si deve astenere da
ogni azione fisica e verbale che disturbi la pace e l’armonia degli altri. Non si può lavorare per
liberarci dalle negatività della mente e, nel contempo, con il corpo e con la parola continuare a
compiere degli atti che non fanno altro che moltiplicare quelle negatività. Quindi un codice di
moralità è il primo passo essenziale della pratica. Ci si impegna a non uccidere, a non rubare, a
non avere un comportamento sessuale scorretto, a non mentire e a non usare intossicanti. Astenendosi
da queste azioni, si permette alla mente di acquietarsi quanto basta per affrontare il lavoro che ci
aspetta.

Il passo successivo è quello di sviluppare la padronanza su questa nostra mente irrequieta,
esercitandola a rimanere fissa su di un oggetto: il respiro. Si cerca di mantenere la propria
attenzione sulla respirazione il più a lungo possibile. Non è un esercizio di respirazione, non si
deve controllare il respiro. Lo si osserva naturalmente così come si manifesta, come è, mentre entra
ed esce dalle narici. In questo modo si acquieta ulteriormente la mente, così che non sia
sopraffatta da violente negatività. E mentre la mente si concentra, essa diventa anche acuta e
penetrante, in grado di comprendere la realtà in modo più profondo.

Questi due primi passi, condurre una vita morale, calmare e concentrare la mente, sono realmente
necessari e comunque benefici di per se stessi. Ma è necessario compiere il terzo passo: purificare
la mente dalle negatività, sviluppando la comprensione profonda della propria natura. Ed è ciò che
si fa con Vipassana: sperimentare la propria realtà tramite l’osservazione sistematica delle
sensazioni in continuo mutamento dentro di noi. Questo è l’apice dell’insegnamento del Buddha:
auto-purificazione mediante auto-osservazione.

Quanto detto può essere praticato da chiunque. La malattia non è settaria, quindi il rimedio non può
essere settario, deve essere universale. Ognuno deve affrontare il problema della sofferenza. Quando
si soffre a causa della collera, non si tratta di collera buddista, induista o cristiana: la collera
è collera. E quando ci si agita a causa della collera, non esiste una agitazione cristiana, induista
o buddista. Quindi per questa malattia universale ci deve essere una cura universale: Vipassana è
questa cura. Nessuno può obiettare nei confronti di un codice di vita che rispetti la pace e
l’armonia degli altri, o di una tecnica che aiuti a calmare e concentrare la propria mente, a
ottenere la comprensione profonda della propria realtà, una comprensione che permette di liberare la
mente dalle negatività. E’ una via universale.

Osservare la realtà così come è, osservare la realtà interiore: questo significa conoscersi
effettivamente, per esperienza diretta. E, praticando, ci si libera dall’infelicità che le
negatività ci procurano. Dalla verità grossolana, esterna, apparente, si penetra fino alla verità
fondamentale della mente e della materia. Poi la si trascende e si sperimenta una verità che sta
oltre la mente e la materia, oltre il tempo e lo spazio, oltre il campo condizionato della
relatività: la verità della totale liberazione da tutte le negatività, da tutte le impurità, da ogni
sofferenza. Non ha importanza il nome che si dà a questa verità ultima: è la meta finale di ogni
essere.

Che tutti voi possiate sperimentare questa verità assoluta.

Che tutti coloro che al mondo stanno soffrendo a causa delle proprie negatività, condizionamenti,
impurità mentali, possano liberarsi da essi e dall’infelicità e provare la gioia della vera
felicità, della vera pace, della vera armonia.

S.N. Goenka un’Arte di Vivere.

°°°

La meditazione Vipassana di Osho

Siedi in silenzio e comincia a osservare il tuo respiro. Il punto di osservazione più semplice è
all’entrata del naso. Quando il respiro entra, avvertine il contatto all’inizio del condotto nasale:
osservalo da quel punto. Il contatto sarà più facile da osservare, il respiro sarebbe troppo
sottile: all’inizio limitati ad osservarne il contatto. Il respiro entra e tu lo senti entrare:
osservalo. E poi accompagnalo, seguilo. Scoprirai che a un certo punto si arresta. Si ferma da
qualche parte vicino all’ombelico; per un attimo, per un pal, si arresta. Quindi, risale verso
l’esterno: seguilo, di nuovo percepisci il contatto del respiro che fuoriesce dal naso. Seguilo,
accompagnalo verso l’esterno: di nuovo arriverai a un punto in cui per un attimo brevissimo il
respiro si arresta. E il ciclo riprende un’altra volta.

Inspirazione, pausa, espirazione, pausa, inspirazione, pausa. Dentro di te quella pausa è il
fenomeno più misterioso. Quando il respiro è entrato in te e si è fermato, non c’è nessun movimento:
quello è l’attimo in cui si può incontrare Dio. Oppure quando il respiro esce e poi si arresta, e
non esiste alcun movimento.

Ricorda, non lo devi arrestare tu: si ferma da solo. Se lo interrompi volontariamente, quell’istante
ti sfuggirà, perchè colui che agisce interferirà e scomparirà il testimone. Tu non devi interferire.
Non devi alterare il ritmo della respirazione, non devi nè inalare nè esalare. Non è come il
Pranayama dello yoga, dove tu intervieni per controllare il respiro. Non è la stessa cosa. Non
alteri affatto il respiro, lasci spazio al suo fluire naturale, alla sua naturalezza. Lo segui
quando esce e lo segui quando entra.

E presto ti accorgerai dell’esistenza di due pause. In queste due pause si trova la porta. E in
quelle due pause perverrai alla comprensione, vedrai che il respiro in se stesso non è vita, forse è
nutrimento per la vita, come altri cibi, ma non è la vita. Perchè quando il respiro si arresta tu
sei presente, assolutamente presente: sei perfettamente consapevole, assolutamente cosciente. E
anche se il respiro si è arrestato, se il respiro non c’è più, tu ci sei ancora.

Trova un luogo comodo dove sederti per 45-60 minuti. E’ bene sedere alla stessa ora e nello stesso
punto ogni giorno, ma non necessariamente in un posto silenzioso. Sperimenta finchè non trovi la
situazione in cui ti senti a tuo agio. Puoi fare una o due sedute al giorno, ma non fare mai una
seduta se non è trascorsa almeno un’ora da quando hai mangiato, e aspetta almeno un’ora dopo la
seduta, prima di andare a dormire.

E’ importante sedersi con la testa e la schiena erette. Gli occhi devono restare chiusi e il corpo
dev’essere il più fermo possibile. Puoi usare un seggiolino da meditazione o una sedia, oppure dei
cuscini sistemati come meglio credi.

Non esiste una tecnica di respirazione particolare: va benissimo il respiro naturale. La Vipassana
si basa sulla consapevolezza del respiro, per cui si devono osservare semplicemente l’inspirazione e
l’espirazione in qualsiasi punto del corpo in cui si riesce ad avvertirne maggiormente la
sensazione: all’altezza del naso o dello stomaco o del plesso solare.

Vipassana non è concentrazione e non si tratta di osservare il respiro per un’ora intera. Quando
affiorano pensieri, emozioni o sensazioni, oppure quando sorge in te la consapevolezza di un suono,
di un odore, o della brezza all’esterno, lascia semplicemente che la tua attenzione li segua.
Qualsiasi cosa affiori può essere osservata come una nuvola che scorre nel cielo: non ti ci devi
attaccare, nè la devi respingere. Ogni volta che puoi scegliere cosa osservare, torna alla
consapevolezza del respiro.

Ricorda, non devi aspettarti nulla di speciale. Non esiste successo nè fallimento, nè vi sarà
progresso. Non c’è nulla da capire o da analizzare, ma possono insorgere intuizioni di qualunque
tipo. Le domande e i problemi possono essere visti come misteri con cui divertirsi.

Osho, Il Libro Arancione

°°°

RISULTATI PRATICI

DELLA MEDITAZIONE VIPÂSSANÂ

Discorso del Ven. Rewata Dhamma

I nostri atti mentali, verbali e fisici hanno origine nella mente. Ogni volta che avviene un
contatto fra gli organi di senso e gli oggetti esterni – come forme visibili, odori, suoni, sapori e
sensazioni tattili – all’interno del corpo nasce una sensazione, da cui si originano reazioni che
sono causa di nuove azioni. Perciò, se si riesce a controllare la mente, si riesce a controllare
anche l’azione, quindi il karma.

Il Buddha disse che i nostri corpi sono composti di trilioni e trilioni di minuscole particelle, più
piccole degli atomi, che si rinnovano continuamente. Queste particelle sorgono e svaniscono milioni
di volte ad ogni istante; nello stesso modo anche i nostri pensieri sorgono e svaniscono trilioni di
volte a ogni secondo. Anche gli scienziati concordano sul fatto che il corpo umano, in condizioni
normali, si rinnova continuamente. Quando queste particelle (o kalâpa, come le chiamò il Buddha)
entrano in collisione fra loro, nasce la sensazione. Noi la chiamiamo sensazione reale o sottile.
Durante la pratica della meditazione vipâssanâ, se la concentrazione è abbastanza buona, siamo in
grado di osservare queste minuscole particelle nascere e svanire, e così possiamo controllare la
mente prima dell’effettuarsi d’ogni azione. Perciò il Dhammapada (v. 103) dice:

«Non chi vince mille volte mille uomini in battaglia, ma colui che conquista la propria mente è un
vero vincitore».

Per questo motivo la prontezza dell’attenzione è il più importante oggetto di meditazione nel
buddismo theravâda. La meditazione buddista theravâda si divide in due branche principali: samâtha,
o concentrazione, e vipâssanâ, o purificazione. Lo scopo del samâtha (o samâdhi) è quello di farci
assorbire completamente nella meditazione. Lo scopo della vipâssanâ è di farci capire la vera natura
della mente e della materia. Il samâtha è sempre stato diffusamente praticato dagli asceti in India,
prima e dopo il Buddha. Il Buddha stesso lo praticò prima del risveglio, e conseguì grazie ad esso
tutti e quattro gli stadi della concentrazione fino al più profondo, ma si avvide che lo stato di
tranquillità che otteneva in questo modo non era duraturo. Il Buddha, infatti, cercava un modo per
porre termine alla sofferenza una volta per tutte. Infine scoprì questa via incominciando ad
osservare in se stesso la natura della mente e della materia e con questo sistema riuscì a
conseguire la verità ultima: lo stato di nirvâna. La meditazione samâtha va bene solo per eliminare
le impurità più grosse. Con la vipâssanâ, invece, possiamo sradicare le impurità più sottili, o
sankhâra, create dalle nostre azioni passate o presenti.

La parola sankhâra ha molti significati, ma in questo contesto possiamo tradurla con
«condizionamenti mentali”. Il Buddha insegnò a comprendere la vera natura delle cose tramite
l’osservazione dei cinque componenti che formano la mente e il corpo. Così facendo, ci mettiamo in
condizione di percepire le tre qualità di tutta l’esistenza condizionata, e cioè: 1) anicca, o
impermanenza; 2) dukkha, o insoddisfacenza; e 3) anattâ, o insostanzialità. I cinque componenti
sono: forma o materia, sensazione o emozione, percezione, formazioni mentali e coscienza. Questi
cinque componenti tutti insieme costituiscono ciò che noi chiamiamo un essere vivente, la cui
qualità è l’impermanenza e che, a causa di quest’impermanenza, sperimenta sofferenza. Non c’è
alcun’altra essenza, o qualità, che sperimenti questa sofferenza oltre questi cinque componenti che
chiamiamo «io».

Secondo la filosofia buddista, perciò, c’è la sofferenza, ma non c’è nessun sofferente, così come ci
sono gli atti, ma non l’autore. In breve, possiamo dire che i cinque componenti sono la mente e la
materia (nâma e rûpa), e che lo scopo della meditazione vipâssanâ è di capire la vera natura di
questa mente-e-materia: per questa ragione i quattro oggetti della pratica sono rispettivamente:
corpo, sensazioni, coscienza e pensieri. Quando s’incomincia a praticare la meditazione per la prima
volta non è necessario osservare subito questi quattro oggetti contemporaneamente. Ma praticando con
regolarità l’osservazione d’uno degli oggetti, si arriva presto a comprendere anche gli altri tre.

Dal momento che il corpo e le sue sensazioni sono più facili da osservare, la maggior parte dei
maestri preferisce partire da questi. Solitamente s’incomincia contemporaneamente con la
concentrazione sul respiro e sulle sensazioni del corpo, anche se, tradizionalmente, la
concentrazione sul respiro è considerata il primo oggetto della meditazione samâtha. Essa può
tuttavia essere usata per lo sviluppo dell’insight. Per la pratica della meditazione vipâssanâ non è
necessario raggiungere gli stadi più profondi di concentrazione, ma per capire la vera natura del
pensiero e della materia bisogna, per prima cosa, conseguire uno stadio che chiameremo
concentrazione d’accesso (upacâra samâdhi), perché solo una mente concentrata può osservare la
realtà e sperimentarla.

Osservando regolarmente il respiro, il meditante giunge a comprendere la natura dei processi fisici
e mentali. Se poi presta attenzione alle sensazioni del corpo, arriva a comprendere non solo la
natura della mente e della materia, ma anche la natura dei quattro elementi che costituiscono il
corpo: gli elementi di Terra (l’intera gamma del peso, dalla leggerezza alla pesantezza), gli
elementi d’Acqua (gli elementi della coesione, dei legami), gli elementi di Fuoco (l’intera gamma
della temperatura, dal caldo fino al freddo) e gli elementi d’Aria (l’intera gamma del movimento).
Anche la natura di questi elementi è impermanente. Comprendere la natura delle cose significa
comprendere che sono tutte impermanenti (anicca), insoddisfacenti (dukkha) e prive di essenza
(anattâ).

Tramite questa comprensione si giunge a comprendere la verità ultima o nirvâna. Questo è lo scopo
principale della meditazione buddista theravâda. Allo stesso modo, se facciamo delle nostre
sensazioni e formazioni mentali un oggetto di meditazione, possiamo raggiungere la medesima
comprensione. La meditazione vipâssanâ è un metodo che se propriamente applicato comprende tutto il
Nobile Ottuplice Sentiero insegnato dal Buddha. Il sentiero ha tre aspetti: moralità (sila),
concentrazione (samâdhi) e saggezza, introspezione o purificazione (pañña). Molte persone, in
passato e nell’epoca presente, hanno tratto beneficio dal Nobile Ottuplice Sentiero, che è
ugualmente benefico per monaci e laici, giovani e vecchi, uomini e donne…, per tutti gli esseri
umani appartenenti a qualunque casta, classe e comunità, paese, professione, religione o gruppo
linguistico.

Nel sentiero non c’è nessuna meschina restrizione settaria. Esso è adatto a tutti gli esseri umani
di tutti i tempi, di tutti i luoghi. È universale come tutte le sofferenze della vita: la nascita,
la vecchiaia, la malattia, la morte, il trovarsi con persone e situazioni sgradevoli, la separazione
da persone e situazioni gradevoli, non avere ciò che si desidera, affanni, angustie, lamenti. Tutte
queste forme di disagio fisico e mentale sono universalmente percepite come sofferenza o dolore.
Quando si applica la tecnica della vipâssanâ all’avidità, all’ira, alla paura, alla gola,
all’infatuazione, alla gelosia, all’inimicizia, all’odio, all’egoismo e alle altre emozioni e
passioni, si acquisisce la capacità di annullare tranquillamente tutte queste cose.

Alla base della meditazione buddista c’è l’osservanza dei cinque precetti (pañcasîla), e cioè:
astinenza dall’uccisione, dal furto e dalla menzogna, da una sessualità disordinata e da sostanze
inebrianti. Non importa se si siano o no osservati questi precetti prima di incominciare la pratica.
L’importante è che, nal momento in cui si comincia, si cominci anche ad osservare i precetti. Essi
sono necessari, perché queste cinque azioni distruttive e autodistruttive sono il frutto dei nostri
errori mentali nonché la causa profonda dei mali dai quali cerchiamo di liberarci.

Al giorno d’oggi si soffre sempre più per certi mali, come la tensione nervosa, l’affaticamento,
l’emicrania, l’eccessiva pressione sanguigna… o come infelicità, perenne insoddisfazione,
instabilità mentale. c’è perciò bisogno di raccogliere le forze spirituali. C’è bisogno di una
tecnica che aiuti ad affrontare la vita con serenità, e che possa essere utilizzabile subito, nelle
varie condizioni in cui ci si viene a trovare di giorno in giorno. Con la pratica della meditazione
vipassana, non solo ci si libera di questi inconvenienti nervosi, ma si sperimenta anche un certo
grado di vera felicità in questa stessa vita. Dunque, come si pratica la meditazione? Si incomincia
osservando i cinque precetti e praticando la concentrazione della mente. Come oggetto per la
concentrazione si prende il respiro, rivolgendo l’attenzione alle narici e a ogni passaggio
dell’aria in ingresso o in uscita.

È necessario, in questa fase, capire la differenza che passa fra questo esercizio e la pratica del
pranayama nello yoga indù. Nel pranayama il respiro è controllato, regolato, mentre in questa
pratica dell’ânâpâna buddista si osserva il respiro naturale, così com’è. Il termine ânâpâna,
infatti, significa consapevolezza del respiro che viene e che va. Inoltre, nella pratica indù dello
yoga si attribuisce molta importanza al modo in cui ci siede, mentre per la pratica dell’ânâpâna
buddista qualsiasi posizione, purché non troppo comoda né troppo scomoda, va bene. Quando si
concentra con continuità l’attenzione sul respiro all’ingresso delle narici, la coscienza diviene
gradualmente sempre più acuta e consistente. Se, mentre si sperimenta la sensazione tattile del
fiato nelle narici e nel naso, appare qualche altra sensazione nel naso o nelle sue prossimità, si
concentra l’attenzione anche su di quella. Sono molti i tipi di sensazioni che possono insorgere,
come, per esempio, dolore, pizzicore, formicolio, pulsazioni o fremiti, calore, tepore, freddo e
così via. Qualunque sia la sensazione che si sperimenta, va esaminata. Alcune possono essere
semplicemente frutto d’autosuggestione o d’immaginazione, ma il maestro sarà d’aiuto nel distinguere
la realtà dall’immaginazione.

Dopo questa fase, s’incomincia a osservare le sensazioni lungo tutto il corpo, dalla testa ai piedi
e dai piedi alla testa. Questo è ciò che è chiamato vipâssanâ, che in realtà significa osservare le
cose in modo corretto, nella giusta prospettiva, per vedere le cose come realmente sono e non solo
come sembrano. La vipâssanâ insegna ad essere osservatori distaccati delle sensazioni fisiche e
delle emozioni mentali. Il meditante impara ad accettare tutte le sensazioni, piacevoli e
spiacevoli, senza alcuna reazione, cioè con serenità, o equilibrio o intelligenza. In questo modo,
la vipâssanâ è una tecnica efficacissima e, nello stesso tempo, assai semplice, per liberarsi dalla
fatica mentale e dalle frustrazioni che sono così comuni al giorno d’oggi.

Come risultato della continua pratica, il meditante impara ad aver coscienza delle sensazioni in
modo completamente distaccato, senza desiderio o avversione, e continuando nell’osservazione
distaccata, a notare come le sensazioni vadano e vengano. Incomincerà a rendersi conto che tutte le
sensazioni, piacevoli o spiacevoli, sono impermanenti e caduche. Il desiderio si fa meno forte e
allora si può vedere che le sensazioni spiacevoli sono effettivamente spiacevoli, mentre quelle
avvertite come piacevoli diventano anch’esse motivo di sofferenza quando scompaiono, a causa
dell’attaccamento che si nutre per loro. Il desiderio diminuisce ulteriormente mentre si penetra più
profondamente nella realtà del corpo e si scopre che ogni cosa dentro di esso è in uno stato di
flusso continuo; che non c’è nulla nel corpo o nella mente che possa essere chiamato «io» o «mio» e
che il mondo del corpo e della mente è falso, illusorio e privo d’essenza.

Comprendendo questo, il meditante sviluppa automaticamente un atteggiamento di distacco. In questo
modo, basandosi sull’esperienza delle sensazioni, si arriva a comprendere che il desiderio è la
causa prima d’ogni sofferenza. Per sradicare questo desiderio, bisognerebbe praticare regolarmente
la vipâssanâ. L’obiettivo principale della vipâssanâ è la comprensione della verità ultima, il
nirvâna, ma se la vipâssanâ diventa uno stile di vita, si riesce a raggiungere un più alto grado di
felicità e pace mentale anche qui, in questa vita. A mano a mano che si sradicano le impurità, si
consente alla purezza di mettâ, karunâ, muditâ ed upekkhâ di svilupparsi.

Mettâ significa amore, amore puro, benevolenza, amore universale, infinito o senza limiti. Ci sono
vari tipi d’amore fra gli esseri umani. C’è l’amore dei genitori per i figli, quello del marito per
la moglie, quello della moglie per il marito, l’amore fraterno, l’amore fra uomo e donna, quello fra
parenti ed amici. Ma nessuna di queste forme è mettâ, amore puro. Esse sono tutte radicate nella
brama (lobha), nel desiderio (upâdâna) e nell’ ignoranza (moha).

Karunâ significa compassione, pura compassione, infinita o compassione senza limiti. Esistono molti
tipi di compassione. Se il nostro prossimo o i nostri cari soffrono, in noi nasce la compassione:
incominciamo a condividere la loro miseria e il loro dolore a causa dell’affetto che nutriamo per
loro. Ma se a soffrire è qualcun altro, per il quale non abbiamo attaccamento, allora non sentiamo
compassione, non sentiamo la sua miseria come nostra. Questa non è karunâ, infinita compassione.
Similmente, se le persone a noi care sono felici e fortunate, ci sentiamo felici per loro a causa
del nostro affetto. Anche questa non è muditâ, gioia compartecipe, perché è radicata nell’ignoranza.

Muditâ significa pura gioia compartecipe, infinita gioia compartecipe, per tutti gli esseri,
conosciuti e sconosciuti, senza alcuna discriminazione.

Upekkhâ significa equanimità. È un perfetto, incontrollabile equilibrio della mente, saldamente
basato sull’insight. Nella misura in cui ci si riesce a liberare dall’attaccamento se stessi (l’«io»
e il «mio») tanto più ci si ritrova colmi d’equanimità. L’equanimità è il più importante dei quattro
stati sublimi (mettâ, karunâ, muditâ e upekkhâ). Ma ciò non significa che la serenità sia superiore
all’amore, alla compassione e alla gioia compartecipe: l’uno comprende gli altri e viceversa. Finché
nell’intimo saremo impuri o contaminati, non potremo dare questo amore puro agli altri esseri.
Questo amore si trova oscurato o bloccato dalle nostre impurità. Ma, una volta che si è incominciato
a purificarsi con la meditazione vipâssanâ, nella misura in cui l’impurità sarà stata rimossa, si
sarà proporzionalmente capaci di mettâ verso gli altri.

Signore e Signori, grazie infinite per avermi ascoltato con tanta pazienza e attenzione. Spero che
ora abbiate la possibilità di praticare la meditazione vipâssanâ per il vostro bene, e possa la vera
felicità essere con tutti voi.

°°°

*S.N.Goenka
S.N. Goenka è un maestro laico di meditazione Vipassana nella tradizione del maestro birmano Sayagyi
U Ba Khin. E’ il direttore del Vipassana International Academy a Igatpuri, nello stato del
Maharastra in India.
Di origine indiana, S.N.Goenka è nato e cresciuto in Birmania, dove ebbe la fortuna di incontrare il
maestro Sayagyi U Ba Khin, uno dei più conosciuti insegnanti del suo tempo, e di imparare da lui la
tecnica di meditazione Vipassana. Dopo aver meditato sotto la sua guida per quindici anni, S.N.
Goenka ritornò in India nel 1969; qui cominciò ad insegnare la meditazione Vipassana e da allora ha
condotto moltissimi corsi di meditazione per persone provenienti da tutto il mondo, e continua a
condurne .

Per maggiore approfondimento

Brani tratti da :

www.atala.dhamma.org/pub/tecnica.htm
www.atala.dhamma.org/pub/artevita.htm

www.kumar.it/vipassana.htm

www.risveglio.net/corsi/corso_vipassana.html

Condividi:

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *