Dio, il tempo e lo spazio

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Dio, il tempo e lo spazio

da “Dio e la nuova fisica”

di Paul Davies

La teoria Quantistica e gli universi paralleli

La teoria dei quanti è ormai vecchia di parecchi decenni, eppure soltanto ora le idee stupefacenti
di cui è portatrice, cominciano a giungere ai profani. Si comincia ad intuire che essa ci fornisce
un’interpretazione apparentemente incredibile ma attendibile della natura della mente e del reale.
Oltretutto è impossibile ignorare la rivoluzione quantistica nella ricerca di Dio e del significato
dell’esistenza.

Questa teoria è in primo luogo una branca della fisica con applicazioni eminentemente pratiche.
Dobbiamo alla teoria dei quanti il laser, il microscopio elettronico, il transistor, i
superconduttori e l’energia nucleare. Essa in un sol colpo spiega la struttura dell’atomo, i legami
chimici, la conduzione dell’elettricità, le proprietà meccaniche e tecniche dei solidi, i meccanismi
del collassamento stellare ecc. Insomma la teoria dei quanti oggi è nelle sua applicazioni
ordinarie, normale materia comprovata in moltissimi modi ed in innumerevoli campi della fisica,
oltre che dell’ingegneria e permea profondamente la ricerca scientifica in genere. La gente comune
ovviamente ignora spesso tutto questo ma anche pochi fisici professionisti, si soffermano a meditare
sulle bizzarre implicazioni filosofiche della teoria dei quanti, eppure fin dal suo concepimento o
quasi, ci si è resi conto che essa è davvero molto strana.

La teoria è nata dall’esigenza di descrivere il comportamento degli atomi e delle particelle che li
costituiscono: essa si occupa quindi in primo luogo del micromondo. All’inizio del secolo si
riteneva che l’atomo fosse sostanzialmente un sistema planetario su scala infinitesimale e che i
corpuscoli che lo costituiscono orbitassero con la meccanica esattezza dei pianeti intorno al Sole.
Ora sappiamo che questa visione era completamente sbagliata. Negli anni venti si scoprì che invece
il mondo dell’atomo è caratterizzato dalla confusione e dal caos.

Gli elettroni ad esempio non seguono traiettorie certe e definibili. Ora appaiono qui e ora là. E
non solo gli elettroni ma tutte le particelle subatomiche che conosciamo. Anche l’atomo stesso si
muove senza regola e in modo indeterminabile. L’atomo se si potesse vedere, avrebbe l’aspetto di una
nuvola tondeggiante con il nucleo al centro e gli elettroni orbitanti attorno girare così
velocemente da renderne impossibile la visione concreta ma solo le tracce del loro vorticoso
movimento: costituirebbero la nuvola elettronica, appunto. La materia che ogni giorno maneggiamo,
osservata da molto, molto vicino si dissolve in un turbine di immagini fuggevoli e insostanziali !

La teoria dei quanti, prende atto di questa indeterminazione. Sua conseguenza diretta è
l’imprevedibilità. Tutti gli eventi hanno una causa? Verrebbe istintivo rispondere di si e si
ricorre spesso al rapporto di causa-effetto per dimostrare ad esempio l’esistenza di Dio, che è la
Causa Prima. Il fattore quantico però, rompe la catena delle cause e fa sì che si verifichino
effetti privi di causa !

Può essere che la natura sia capricciosa e casuale e in quanto tale fa si che elettroni e altre
particelle compaiano a caso dal nulla? Molti scienziati seguendo il parere autorevole del grande
fisico danese Niels Bohr, giunsero alla conclusione che l’incertezza del comportamento atomico, è
legge di natura: le leggi perfette che governano il movimento degli oggetti dell’universo, si
applicano benissimo a stelle e galassie ecc. ma quando si tratta di atomi, le leggi sono quelle
della roulette ovvero del caso!

Albert Einstein respinse questa conclusione di Bohr, dichiarando con la celebre frase che “Dio non
gioca a dadi ! “. Però si sbagliava. E’ ormai provato che nel mondo subatomico, regna la legge del
caos e degli effetti privi di causa.

Si è scoperto inoltre che non si può contemporaneamente conoscere la posizione e il movimento di una
singola particella. E’ possibile conoscere l’una o l’altro, mai entrambi.
E’ questo il famoso Principio di indeterminazione di Heisemberg, uno dei padri fondatori della
teoria quantistica. In base a questo principio si afferma l’impossibilità appunto di conoscere dove
si trovi un atomo, una qualsiasi particella e contemporaneamente di conoscere anche le modalità di
movimento!! Non ha senso infatti chiedersi contemporaneamente dove si trova un atomo e come si
muove. Prima occorre stabilire cosa si intende misurare, se la posizione o il movimento: solo dopo
di ciò si può avere una risposta significativa.

La posizione e il movimento (più esattamente la quantità di moto), costituiscono aspetti della
realtà che per le particelle microscopiche sono reciprocamente incompatibili. Secondo Bohr,
l’indistinto e nebuloso mondo dell’atomo prende corpo nella realtà solo quando lo si osserva. In
assenza di osservazione, l’atomo è un fantasma; si materializza solo quando lo si cerca. La realtà
sembra proprio nascere dall’osservazione! E tutto ciò ha ormai una convalida sperimentale.

L’argomento dei quanti è materia molto tecnica e difficile. Questo panorama sommario però basta a
dimostrare che la concezione ordinaria del mondo, quella secondo cui gli oggetti della cosiddetta
realtà esterna esistono a prescindere dalla nostra osservazione, crolla completamente di fronte al
fattore quantico. Molti aspetti che ci lasciano perplessi si chiariscono se si tiene presente un
bizzarro dualismo onda-corpuscolo che ricorda un po’ il dualismo tra mente e corpo oggetto di
argomentazioni filosofiche. Ciò può significare che un’entità del macrocosmo, del nostro mondo,
determina il microcosmo di cui esso stesso è composto?

Negli ultimi anni i fisici hanno cominciato a occuparsi della cosmologia quantistica:
dell’applicazione cioè della teoria dei quanti a tutto l’universo. Per definizione non può esistere
alcunchè al di fuori dell’universo che lo renda reale osservandolo (tranne Dio, forse). L’universo
quindi, secondo il pensiero del fisico quantistico Eugene Wigner, dovrebbe trovarsi nello stato di
limbo quantico. Senza una mente che lo integri, l’universo non può che vagare in un’incerta
condizione di irrealtà. Si divide nella coesistenza ibrida di realtà alternative che si
sovrappongono, nessuna delle quali è realtà vera. Perché allora noi percepiamo un’unica, solida
realtà?

C’è un’audace teoria che affronta direttamente questo vertiginoso problema: La teoria degli universi
paralleli. Avanzata per la prima volta nel 1957, la teoria afferma che tutti i mondi quantici
alternativi e possibili sono reali e coesistono in modo parallelo l’uno sull’altro. Ogni volta che
determiniamo una qualunque misurazione per determinare ad esempio, se il gatto è vivo o morto,
l’universo si scinde in due universi: in uno il gatto è vivo, nell’altro è morto. Entrambi gli
universi sono però reali, e in entrambi vi sono osservatori umani, che però percepiscono solo
l’universo in cui si trovano. Certo, può essere che il buonsenso si ribelli all’idea che l’universo
si divide in due a seconda del capriccio di un unico elettrone: la teoria però regge di fronte a una
analisi più approfondita.

Quando l’universo si scinde, si scinde anche la nostra mente in due menti distinte, ognuna delle
quali va ad abitare in un suo universo! Ciascuna delle due menti, naturalmente, è convinta di essere
unica e indivisa. A chi obietta di non percepire questo atto di biforcazione si può rispondere che
non si percepisce nemmeno la rivoluzione della Terra attorno al Sole! Ma come saranno e dove saranno
questi altri mondi? E’ possibile raggiungerli? Non sembra possibile seguendo le indicazioni della
teoria. I mondi paralleli, una volta separati, risultano fisicamente isolati e dunque
irraggiungibili ed inaccessibili. Per riunirci ad essi bisognerebbe invertire il processo della
misurazione, il che richiederebbe un’inversione temporale: è come voler ricostruire un uovo che si è
rotto, un atomo dopo l’altro.

Abbiamo quindi tutti noi al nostro fianco, vicinissimi, milioni e miliardi di nostri duplicati. Si
tratta però di una vicinanza non misurabile con lo spazio della nostra percezione. I mondi che si
biforcano poi anche per qualche motivo irrilevante, saranno o molto simili al nostro, viversi per
qualche piccolo particolare o totalmente diversi.

In certi mondi ad esempio Hitler non è mai esistito e John Kennedy non è mai stato assassinato ecc.
Molti affermano che la teoria dei quanti, che attribuisce alla mente un ruolo così importante, può
costituire la chiave per capire più a fondo la questione del libero arbitrio. In effetti il fattore
quantico ha spazzato via la vecchia concezione deterministica dell’Universo, secondo cui tutto ciò
che facciamo è stato prestabilito dai meccanismi universali prima della nostra nascita.

Dio e il libero arbitrio

Dio può esercitare il libero arbitrio e compiere le sue scelte ? Se l’uomo gode del libero arbitrio
a maggior ragione ne godrà Dio. Quindi anche la divinità risulta coinvolta nei problemi che sorgono
con il concetto di libertà e inoltre ci ritroviamo con le solite perplessità connesse
all’infinitezza e all’onnipotenza di Dio.

Se Dio ha un piano riguardo l’universo, – piano che si realizza in quanto manifestazione della Sua
volontà – perché non si è limitato a creare un universo perfettamente determinato in cui i fini che
Egli si propone siano automaticamente raggiunti? O meglio ancora, perché non ha creato un universo
in cui tali fini siano già realizzati ? E se l’universo non è determinato, ciò non significa forse
che il potere della divinità è limitato dal fatto che essa non può prevedere o decidere quale sarà
l’esito delle Sue decisioni? Si potrebbe però dire che Dio è perfettamente libero di rinunciare a
una parte del suo potere: controbattere che tale rinuncia si manifesta nel conferimento all’uomo del
libero arbitrio, che ci permette di opporci a Lui se così desideriamo, e nell’attribuzione al mondo
atomico del fattore quantico, che trasforma la Sua creazione in un gioco d’azzardo cosmico. Rimane
però un problema logico: come può un agente onnipotente limitare il proprio potere pur rimanendo
onnipotente ?

L’eventuale onnipotenza di Dio è ben diversa dal libero arbitrio dell’uomo; quest’ultimo può
scegliere tra due o più cose, fare indubbiamente delle scelte ma comunque esaudire solo una piccola
parte dei suoi desideri. Al contrario un Dio onnipotente non è sottoposto a questi limiti: Egli può
realizzare tutto ciò che desidera. Ma l’attributo dell’onnipotenza solleva alcune ardue questioni
teologiche. Dio è libero di impedire il male? Se è onnipotente, si. Perché dunque esiste il male nel
mondo? E’ questo un interrogativo terribilmente insidioso, come dimostra l’analisi che ne fa David
Hume.

Se il male esiste perché Dio ha così deciso, Dio non è buono; se il male esiste contrariamente alle
intenzioni divine, Egli non è onnipotente. In conclusione, Dio non può essere contemporaneamente
buono e onnipotente, come afferma la maggior parte delle religioni.

Si può controbattere l’argomento affermando che il male deriva solo dall’uomo: poichè Dio ci ha
creati liberi, siamo liberi anche di fare il male e di frustrare quindi i suoi piani. Ma giacchè Dio
avrebbe potuto crearci diversi, incapaci di fare il male, anch’Egli è parzialmente responsabile del
male che noi facciamo. La responsabilità dei danni provocati da un bambino, ricade anche sui
genitori. Si deve quindi concludere che il male (o almeno certi limitati aspetti del male) rientra
nei piani di Dio per il mondo? Oppure che Dio non è libero di far sì che non ci opponiamo ai suoi
disegni? I problemi non finiscono qui; altri ne sorgono se riteniamo che la divinità trascenda il
tempo.

Infatti il concetto di libertà di scelta ha un carattere essenzialmente temporale. Il concetto
stesso di scelta implica il tempo: una scelta atemporale è un assurdo semantico. E se Dio conosce il
futuro, ha senso parlare di segni divini e della nostra partecipazione ad essi? Un Dio infinito ed
onnisciente conosce ciò che avviene in ogni istante. Ma come si evince dalle moderne conoscenze
scientifiche , non esiste un presente universale: quindi la conoscenza divina, se si estende nello
spazio, deve estendersi anche nel tempo.

Se ne deve concludere che un Dio eterno qual’è quello dei cristiani non ha libertà di scelta: ma è
possibile che invece l’uomo sia dotato di un attributo di cui il suo creatore sia privo? Si è
costretti a concludere paradossalmente, che la libertà di scelta non è un privilegio, ma una
limitazione di cui noi soffriamo: corrisponde cioè, alla nostra incapacità di conoscere il futuro.
Dio non è costretto nel carcere del presente, non ha bisogno del libero arbitrio. Il problema appare
irrisolubile. La nuova fisica senza dubbio vivifica l’antico enigma del libero arbitrio e del
determinismo ma non lo risolve. La teoria dei quanti, confuta sì il determinismo, ma in compenso
minaccia il concetto di libertà moltiplicando la realtà. La teoria della relatività, ci apre un
universo esteso nel tempo oltre che nello spazio ma non ci toglie una certa libertà d’azione.

L’idea di un Dio

C’è da dire che l’dea di un Dio creatore che con un atto di volontà ha fatto si che l’universo
esistesse è profondamente radicata nella cultura giudaico-cristiana. Però quando si analizza a fondo
la questione dal punto di vista scientifico-filosofico, si evince che questa convinzione pone più
problemi di quanti ne risolva. La difficoltà principale rimane la natura del tempo. Oggi sappiamo
che il tempo è inestricabilmente legato allo spazio e che lo spazio-tempo fa parte dell’universo
così come ne fa parte la materia. Il tempo ha le sue leggi che lo governano e fa parte della fisica.

Ora se il tempo appartiene all’universo fisico e obbedisce alle leggi della fisica, ne consegue che
il tempo stesso è compreso in quell’universo che Dio dovrebbe aver creato. Ma ha senso dire che Dio
è causa del tempo, quando l’esperienza ordinaria ci insegna che la causa precede sempre l’effetto?
La causalità è calata nel tempo: Il tempo deve esistere prima che una cosa causi un’altra cosa. Se
il tempo non esiste, concepire un Dio che esiste prima dell’universo è assurdo dato che non esiste
né un prima né un dopo!

Ma Dio potrebbe esistere al di fuori dello Spazio e del Tempo, come teorizzò Boezio nel VI secolo,
elaborando un concetto di creazione molto più astratto e sofisticato di quello ordinario. Dio
potrebbe esistere sopra la natura e non prima di essa. Questa idea non affatto facile da capire: la
divinità fuori dal tempo crea l’universo e lo mantiene in esistenza in ogni momento! E’ un Dio che
agisce in ogni istante. Il remoto creatore cosmico viene ad assumere una connotazione di maggiore
immediatezza ma risulta in cambio più oscuro e distante.

Ma se Dio è fuori dal tempo non può venire a far parte della successione di cause in quanto egli non
è tanto causa dell’universo quanto spiegazione dell’universo stesso! Chiediamoci ora perché le cose
sono come sono. Perché questo universo, queste leggi, questa organizzazione della materia e
dell’energia? Perché c’è qualcosa invece del nulla?

Ogni cosa e ogni evento dell’universo fisico richiedono, per giustificare la propria esistenza, il
ricorso a qualcosa d’altro. Al di fuori di essi: spiegare un fenomeno significa collegarlo a
qualcosa d’altro. Ma se prendiamo l’universo nel suo insieme è ovvio che non vi può essere per
definizione nulla di fisico al di fuori dell’universo che lo possa spiegare. Bisogna quindi ricorre
a qualcosa di non fisico e di sovrannaturale: Dio. L’universo è così perché Dio ha deciso che fosse
così. Questo ragionamento che si fonda sulla proposizione secondo cui tutto ciò che è fisico è
contingente, cioè sprovvisto di un esistenza di per se necessaria, costituisce il cosiddetto
argomento ex contingentia mundi che è una delle prove cosmologiche della filosofia cattolica
relativa all’esistenza di Dio.

Anche questo argomento offre comunque il fianco a molte obiezioni già applicabili all’argomento
causale e in un certo senso, diventa vittima del proprio successo. Alla domanda: Cosa può spiegare
Dio? il teologo risponde: Dio è un essere necessario che non ha bisogno di spiegazioni ovvero Dio
contiene in se stesso la spiegazione della propria esistenza! Ma questa proposizione ha un
significato? E se lo ha, cosa vieta di impiegare lo stesso argomento per tentare di spiegare
l’universo? Basta dire: L’universo è necessario e contiene in se stesso la giustificazione della
propria esistenza! L’idea che un sistema fisico contenga in sé la propria giustificazione potrà
sembrare paradossale al profano ma in fisica non è nuova. Ci troveremmo di fronte ad un sistema ad
andamento circolare di Energia che crea se stessa! Quindi un universo che contiene in sé una sua
giustificazione fondata esclusivamente su interazioni naturali e fisiche.

Il teologo obietterà dicendo che è più semplice attribuire il carattere di autogiustificare la
propria esistenza a Dio, in quanto onnipotente e onnisciente è l’entità più semplice concepibile che
non all’universo, che nei suoi molti aspetti si mostra complesso e particolare: Se esiste un Dio c’è
più di una probabilità che abbia creato una cosa finita e complessa come l’universo. E’ improbabile
che l’universo esista incausato (senza causa). E’ più probabile che incausato sia Dio. L’esistenza
dell’universo diventa più comprensibile se ipotizziamo che sia stato creato da Dio. Infatti questa
ipotesi richiede una spiegazione più semplice che non supporre che l’universo esista senza causa
alcuna.

L’obiezione è molto convincente, è difficile convincersi che l’universo con tutti i suoi molteplici
aspetti sia così per caso. Lo scienziato potrà però non accettare il presupposto che una mente
infinita (Dio), sia più semplice dell’universo. A noi risulta infatti che la mente esiste solo in
sistemi fisici che abbiano superato un certo livello di complessità: il cervello ad esempio è un
sistema estremamente complesso. Se ne conclude quindi che una mente infinita è infinitamente
complessa e quindi meno probabile dell’universo, molte manifestazioni del quale sono di gran lunga
non sufficientemente complesse per dar luogo a una mente. Forse dunque Dio non è una mente ma
qualcosa di più semplice. E in questo caso ha senso parlare di una mente che esiste al di fuori del
tempo?

Dio e il Tempo

Secondo i cristiani Dio è eterno. Questo aggettivo però ha due accezioni diverse: “che dura per
sempre” e “senza tempo”. La prima è più semplice: eterno è ciò che esiste senza principio né fine
per un periodo di tempo infinito. Una siffatta eterna divinità, però comporta serie obiezioni. Un
Dio nel tempo è sottoposto al cambiamento: che cosa provoca il cambiamento? Se Dio è la causa di
tutto ciò che esiste (come si deduce dall’argomento cosmologico), è ragionevole affermare che la
causa ultima cambia anch’essa? Il tempo non gode di un’esistenza a sé ma fa parte dell’universo
fisico.

Sappiamo grazie alle scoperte di Einstein sulla Relatività* che il tempo è elastico e può dilatarsi
o contrarsi nel rispetto di precise leggi matematiche che si fondano sul comportamento della
Materia. Inoltre il tempo è strettamente legato allo spazio e spazio e tempo insieme esprimono
l’attività del campo gravitazionale. Il tempo non è una qualità divina: lo si può deformare
fisicamente anche mediante la manipolazione umana. Un Dio calato nel tempo, dunque, è in un certo
senso coinvolto e intrappolato nel funzionamento dell’universo fisico. E’ probabile del resto, che
il tempo cessi addirittura di esistere in un remoto futuro: in tal caso la posizione di Dio si
rivelerebbe oltremodo insicura.

E’ chiaro che Dio non può essere onnipotente se è sottoposto alla fisica del tempo, né lo si può
ritenere il creatore dell’universo se non ha creato anche il tempo! Infatti poiché il tempo e lo
spazio sono inseparabili, un Dio che non crea il tempo non crea neppure lo spazio. Da ciò si
potrebbe concludere che il concetto di un Dio creatore è superfluo tranne che per creare il tempo (o
più rigorosamente lo spazio-tempo).

Resta l’altra accezione di eterno: “senza tempo”. Il concetto di un Dio al di là del tempo risale
almeno ad Agostino il quale sostiene che Dio ha creato il tempo. Anche molti altri teologi cristiano
sostengono questa posizione. Sant’Anselmo ad esempio così scriveva: “Tu (Dio) esisti non ieri, oggi
o domani, ma esisti del tutto al di fuori del tempo”. Un Dio senza tempo non presenta i problemi di
cui sopra ma come già visto è sottoposto a delle limitazioni. Non può essere un Dio personale che
pensa, dialoga, sente, desidera ecc, poichè si tratta di attività temporali. E’ difficile stabilire
come un Dio siffatto possa agire sul mondo! Un Dio senza tempo non può dunque essere considerato
persona o individuo nel senso che attribuiamo a questo termine.

Sostiene il teologo moderno Paul Tillich: “Se diciamo che Dio è un Dio vivente, ne affermiamo con
ciò la temporalità e con essa un rapporto con le manifestazioni del tempo e senza la temporalità di
Dio il messaggio cristiano non ha forma “.

La fisica del tempo comporta anche alcune interessanti implicazioni filosofiche e logiche che si
applicano all’onniscienza divina. Se Dio è senza tempo, non può pensare, poiché il pensiero è
un’attività che avviene nel tempo. Inoltre come può “conoscere”, un Essere senza tempo? Se il
conoscere è imprescindibile dal tempo, la conoscenza può esserne svincolata – a patto però che ciò
che si conosce non cambi nel tempo. Se Dio ad esempio conosce la posizione di ogni atomo oggi, è
evidente che domani questa conoscenza sarà mutata. Affinchè egli conosca in modo atemporale è
necessaria quindi una conoscenza di tutti gli eventi del tempo.

Diventa così molto difficile conciliare i diversi e tradizionali attributi della divinità. La fisica
moderna avendo scoperto e quindi stabilito la mutevolezza del tempo, scinde l’onnipotenza divina
dall’esistenza della Sua personalità. Non è facile quindi dimostrare che Dio possiede entrambi
queste qualità!

Paul Davies, inglese, nato a Londra nel 1946, docente di fisica teorica all’Università di
Newcastle. Ha insegnato per otto anni matematica applicata al King’s College di Londra e si è
occupato come ricercatore di molti argomenti di fisica fondamentale e di cosmologia effettuando
nobili “sintesi” tra filosofia e scienza alla ricerca di mediazioni tra il problema della ricerca e
quello di Dio.

www.scienzeemisteri.it/pagina_principale_155.htm

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