BUDDHA, LA LUCE DELL’ASIA – 4

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BUDDHA, LA LUCE DELL’ASIA – 4

SIR EDWIN ARNOLD
EDIZIONI IL PUNTO D’INCONTRO

Libro Settimo

In tutti quei lunghi anni, il Re Suddhodana aveva dimorato tra i nobili sakya pieno di dolore,
mancandogli la parola e la presenza di suo Figlio; dolorosi trascorsero tutti quei lunghi anni per
la dolce Yasodhara che non trovava più alcuna gioia nella vita, resa vedova del suo pur vivente
Signore e Principe.
E sempre ricevendo notizie di qualche eremita visto in lontananza, da uomini che portavano le
mandrie al pascolo o da commercianti che percorrevano sentieri lontani per il loro guadagno,
messaggeri del Re erano partiti ed erano ritornati, portando resoconti di molti santi e saggi,
solitari e persi per la loro casa; ma non di colui che era la corona della bianca dinastia di
Kapilavastu, la gloria del suo monarca e la sua speranza, la gioia del cuore della dolce Yasodhara,
molto lontano ora, dimentico, cambiato o morto.
Ma un giorno, nella stagione di Vasanta, quando gemme d’argento spuntano sugli alberi di mango e
tutta la terra è rivestita dalla veste primaverile, la Principessa sedeva vicino a quel brillante
ruscello, nel giardino, il cui specchio scintillante, ornato da coppe di loto, aveva riflesso così
spesso, nella beatitudine del passato, la stretta delle loro mani e l’incontro delle loro labbra.
Le sue palpebre erano sciupate dalle lacrime, le sue tenere guance erano scavate; le deliziose curve
delle sue labbra erano appesantite dall’angoscia, la splendida gloria dei suoi capelli era nascosta
– raccolti secondo l’uso delle vedove; non indossava alcun ornamento, né alcun gioiello fermava la
sua veste – ruvida, bianca in segno di lutto [1. Tra i significati del bianco, in India vi è anche
quello di lutto] – incrociata sul petto.
Lentamente e dolorosamente si muovevano quei bei piedi che nei giorni antichi, al richiamo
dell’amorevole voce, ebbero l’andatura del cerbiatto e la leggerezza della foglia di rosa.
I suoi occhi, quelle lampade d’amore, dai quali sembrava che la luce del sole risplendesse dalla più
profonda oscurità, illuminando la pace della notte con lo splendore del giorno, erano spenti ora e
guardavano senza scopo, a malapena notando i segni della sopraggiunta primavera, cosicché le ciglia
di seta erano calate su di essi.
In una mano aveva una cintura di perle tessuta fittamente, quella di Siddhartha, tenuta come un
tesoro sin da quando quella notte egli fuggì. (Ah, notte amara! Madre di giorni di pianto! Quando
mai vi fu amore più impietoso di questo che si rifiutò di limitare l’amore con la vita?). Nell’altra
mano teneva il figlio, un ragazzo divinamente bello, il pegno che Siddhartha
le aveva lasciato, Rahula, ora di sette anni, che saltellava allegro a fianco di sua madre, con il
cuore leggero nel vedere i boccioli della primavera che ricoprivano il mondo.
Così, mentre si attardavano vicino ai laghetti dei loti, con Rahula che ridendo innocentemente
lanciava del riso per nutrire i pesci blu e porpora, Yasodhara, con occhi tristi, osservò il rapido
volo di alcune gru sospirando: “O creature dalle ali erranti, se planerete là dove si nasconde il
mio Signore, ditegli che Yasodhara vive prossima alla morte, tanto si strugge per una parola che
giunga dalla sua bocca, un tocco della sua mano.”
Così, mentre giocavano e sospiravano, madre e bambino, arrivarono le damigelle della Corte dicendo:
“Grande Principessa! Dal cancello meridionale sono entrati due mercanti di Hastinapura, chiamati
Tripusha e Bhalluk, uomini degni che hanno viaggiato a lungo, dal limite estremo del mare e che
portano meravigliose stoffe intessute d’oro, lame di acciaio dorato, coppe di ottone intarsiato,
avori incisi, spezie, erbe medicinali e uccelli sconosciuti, tesori di popoli lontani; ma persino
queste sono cose da mendicanti di fronte al fatto che Egli è stato visto!
Il tuo Signore – il nostro Signore – la speranza di tutta la terra – Siddhartha! L’hanno visto
faccia a faccia, sì, e l’hanno adorato prostrandosi sulle ginocchia e sulla fronte, facendo offerte;
poiché è diventato tutto ciò che era stato predetto, un maestro del saggio, onorato dal mondo,
santo, meraviglioso; un Buddha che riscatta gli uomini e li salva, dalla parola dolcissima e dalla
misericordia vasta come il Cielo: e ecco! dicono
che sta dirigendosi qui.” .
Allora – mentre il sangue rallegrato sobbalzava nelle sue vene come il Gange sobbalza quando le
prime nevi di montagna si sciolgono alla sua sorgente si alzò Yasodhara e batté le mani ridendo, con
le lacrime che luccicavano tra le sue ciglia.
“Oh!” gridò, ” Chiamate sveltamente quei mercanti al mio purdah, poiché le mie orecchie sono
assetate come gole secche, nell’aspirare ad abbeverarsi di queste benedette notizie.
“Andate ad accoglierli, ma dite loro che se quel che raccontano è vero, riempirò le loro cinture con
molto oro e con gemme che i Re invidieranno; venite anche voi, ragazze mie, poiché anche voi sarete
ricompensate di questo, se vi sono doni che possono mostrare la gratitudine del mio cuore.”
Così andarono quei mercanti nella casa dei Piaceri, camminando dolcemente attraverso i suoi sentieri
dorati, a piedi nudi, in mezzo alle ancelle che ammiccavano e meravigliandosi molto delle glorie
della Corte.
Quando arrivarono vicino alle tende del purdah, udirono una voce tenera e ansiosa, piena e
affascinante, che diceva con musica tremante: “Siete venuti da lontano, nobili esseri! E avete visto
il mio Signore – sì – adorato, poiché è divenuto un Buddha, onorato dal mondo, santo, liberatore
degli uomini e avete dichiarato che sta dirigendosi qui. Parlate! Poiché se è così, siete gli amici
della mia Casa, benvenuti e cari.”
Allora Tripusha rispose: “Abbiamo visto quel sacro Maestro, Principessa! Ci siamo inchinati di
fronte ai suoi piedi; poiché chi era un Principe perduto si è scoperto essere più grande del Re dei
Re.
Sotto l’albero della Bodhi, vicino alla riva del Phalgu, ciò che salverà il mondo è recentemente
stato realizzato da lui – l’Amico di tutti, il Principe di tutti e ancor più tuo, nobile signora,
poiché è al prezzo delle tue lacrime che gli uomini hanno ottenuto il conforto della Parola che il
Maestro pronuncia.
Ecco! Egli sta bene, come colui che è al di là di ogni malattia, innalzato come un dio rispetto alle
sofferenze terrene, risplendente della risorta Verità, dorato e chiaro.
Inoltre, mentre egli entra in città dopo città, predicando quelle nobili vie che conducono alla
pace, i cuori degli uomini seguono il suo sentiero come foglie radunate dal vento o gregge che segue
colui che conosce i pascoli. Noi stessi abbiamo udito a Gaya, nel verde boschetto Tchirnika, le
parole di quelle meravigliose labbra e l’abbiamo venerato: egli arriverà qui prima che cadano le
prime piogge.”
Così parlò e Yasodhara, per la gioia, a malapena trovò il respiro per rispondere: “Che tutto vi sia
propizio ora e in tutti i tempi, degni amici che portano buone notizie; ma sapete voi come accadde
questa grande cosa?”
Allora Bhalluk raccontò ciò che le persone delle valli sapevano di quella tremenda notte di
conflitto, quando l’aria fu oscurata da ombre demoniache e la terra tremò e le acque si gonfiarono
per l’ira di Mara.
Anche di come quel mattino sorse gloriosamente radiante di nuove speranze per l’uomo e come il
Signore fu trovato a rallegrarsi sotto il suo Albero.
Ma per molti giorni, disse egli, su quel cuore gravò un peso d’oro, prima che la Liberazione fosse
raggiunta al di là di ogni tempesta del dubbio, al sicuro sulla sponda della Verità, “poiché,”
Buddha rifletteva, “come faranno gli uomini, che amano i loro peccati e sono tenacemente aggrappati
agli inganni dei sensi, bevendo l’errore da migliaia di sorgenti, non avendo mente per vedere, né
forza per spezzare i vincoli della carne che li legano – come faranno a ricevere i Dodici Nidanas e
la Legge che li riscatterà se non sapranno trarne profitto, come l’uccello ingabbiato che disdegna
la porta aperta?”
Così noi avremmo mancato la vittoria se, in questa terra senza rifugio, Buddha, percorrendo il
sentiero l’avesse considerato troppo duro per i piedi mortali e fosse andato avanti senza che
nessuno lo potesse seguire.
Ancora rifletteva la compassione di Buddha, ma in quell’ora si alzò una voce acuta, un grido di
dolore, come se l’intera terra gemesse: “Nasyami aham bhu Nasyatiloka!” SICURAMENTE SONO PERDUTA, IO
E LE MIE CREATURE: poi vi fu una pausa e quindi il vento d’Occidente portò un sospiro di
implorazione: “Sruyatam dharma Bhagwatt!” OH, SUPREMO, ANNUNCIA LA TUA GRANDE LEGGE!
Allora il Maestro diresse la sua visione sull’umanità e vide chi dovrebbe udire e chi deve attendere
per udire, come l’acuto sole, riempiendo d’oro i loti del lago, vede quali boccioli si apriranno ai
suoi raggi e quali non si sono ancora alzati dalle loro radici; quindi egli parlò sorridendo
divinamente: “Sì, predicherò! Che impari la Legge, colui che ascolterà!”
In seguito egli si diresse, dissero, verso le colline, verso Benares dove insegnò ai Cinque,
mostrando
come la nascita e la morte dovrebbero essere distrutte e come l’uomo non ha destino al di là delle
azioni passate, nessun Inferno al di là di ciò che egli crea, nessun Cielo troppo alto da
raggiungersi per coloro le cui passioni sono state soggiogate.
Questo era il quindicesimo giorno della stagione Vaishya, a metà pomeriggio, e quella notte era luna
piena.

Tra i Rishi fu Kaundinya il primo a padroneggiare le Quattro Verità e ad entrare nei sentieri;
seguirono Bhadraka, Asvajit, Bassav Mahanama; all’interno del parco dei daini, ai piedi di Buddha,
c’era anche Yassad, il Principe, con cinquantaquattro nobili ad udire la benedetta parola che il
Maestro pronunciò: anch’essi adorarono e seguirono; poiché là si originò la pace e la conoscenza di
un nuovo tempo per gli uomini, in tutti coloro che udirono, come spuntano i fiori e l’erba quando
l’acqua scorre attraverso una pianura sabbiosa.
Questi sessanta uomini – dissero – resi perfetti nel controllo e liberi dalla passione, Buddha inviò
per insegnare la Via; ma colui che il mondo onora, dal parco dei daini e da Isipatan si diresse a
sud, verso Yashti e il regno del Re Bimbasara dove insegnò per molti giorni; dopo questo, il Re
Bimbasara e la sua gente credettero, apprendendo la legge dell’amore e della rettitudine.
Come dono, versando acqua sulle mani di Buddha, il Re offrì al Maestro il giardino dei bambù
chiamato Weluvana, dove vi sono ruscelli, caverne e graziose radure; il Re vi depose una pietra così
scolpita:

Ye dharma hetuppabhawa Yesan hetun Tathagato; Aha yesan cha yo nirodho Ewan wadi Maha samano.

“Ciò che sostiene il corso della vita e la sua causa fu reso chiaro dal Tathagata;
Ciò che riscatta dalla sofferenza della vita il nostro Signore ci ha fatto conoscere.”

E in quel Giardino, dissero, fu tenuta un’alta Assemblea dove il Maestro parlò con saggezza e
potere, attirando a sé tutte le anime che udirono, cosicché furono novecento quelli che indossarono
la veste simile a quella che indossava il Maestro e andarono a diffondere la sua Legge; e fu con
queste parole che il gatha, l’assemblea, fu chiusa:

Sabba papassa akaranan; Kusalassa upasampada; Sa chitta pariyodapanan; Etan Budhanusasanan.

“Il male aumenta i debiti da pagare; il bene riscatta e libera; evita il male, segui il bene; domina
te stesso. Questa è la Via.”

Quando i mercanti terminarono di parlare e di raccontare questo di lui, la Principessa li ricompensò
con doni e ringraziamenti che resero insignificanti i gioielli.
“Ma per quale strada arriverà il mio Signore?” ella chiese; allora i mercanti risposero: “Vi sono
sessanta yojana dalle mura della città a Rajagriha, da dove il facile sentiero fiancheggia il Sona e
si snoda tra le colline. I nostri buoi, percorrendo otto koss al giorno, sono arrivati in una luna.”
Allora il Re, udendo le buone notizie, inviò i nobili della Corte, nove diversi messaggeri. Ciascun
ambasciatore doveva dire: “Il Re Suddhodana si è molto avvicinato alla pira funeraria in questi
sette lunghi anni della tua assenza, durante i quali non ha mai cessato di cercarti. Egli prega suo
figlio di ritornare al trono, e al popolo di questo regno che lo attende con ansia, affinché egli
non muoia senza rivederne il volto.”
Anche Yasodhara inviò nove cavalieri che dovevano dire: “La Principessa della tua Casa – la madre di
Rahula – aspira a vedere il tuo volto, come il cuore gonfio del fiore che sboccia di notte aspira a
vedere la luna, come i pallidi boccioli di ashoka attendono il piede di una donna: se hai trovato
più di quanto hai perduto, ella prega di avere la sua parte, la parte di Rahula, ma ancor più di
avere te.”
Così s’affrettarono i nobili sakya, ma accadde che ciascuno, col messaggio sulle labbra, entrò nel
Giardino dei Bambù in quell’ora in cui Buddha insegnava la sua Legge e, udendolo, ognuno di loro
dimenticò di parlare, dimenticò il Re e la sua missione, dimenticò persino la triste Principessa e
fissò con occhi spalancati il Maestro; il loro cuore era fisso sulla parola compassionevole,
imperante, perfetta, pura, illuminante, riversata da quelle sacre labbra.
Come un’ape che sta tornando all’alveare e vedendo i fiori di gelsomino che diffondono i loro
profumi e la loro intensa dolcezza nell’aria, pur essendo carica di miele, non se ne cura, che la
notte sia vicina o la pioggia stia per cadere, non se ne curerà e sarà irresistibilmente attratta da
quei deliziosi boccioli per attingerne il nettare.
Così, questi messaggeri, uno dopo l’altro, udendo le parole di Buddha, dimenticarono lo scopo della
loro corsa e si mischiarono, incuranti di tutto, tra i discepoli del Maestro.
Allora il Re pensò di inviare Udayi, il principale tra i nobili della sua Corte e il più fedele, nei
giorni felici compagno di giochi di Siddhartha, il quale, mentre si avvicinava al giardino, raccolse
fiocchi di cotone dal boschetto e con questi sigillò le sue orecchie; così passò indenne in mezzo al
grande pericolo del luogo e riferì il messaggio del Re e di Yasodhara.

Allora il Maestro umilmente chinò il capo e parlò così di fronte alla gente: “Sicuramente andrò! È
mio dovere, così come era già mia volontà; che nessun uomo manchi di riverire coloro che gli diedero
la vita, per mezzo della quale giungono i mezzi per non più vivere e non più morire, ma conseguire
la sicurezza del beatifico Nirvana, se si attiene alla Legge, purgandosi degli errori passati e non
aggiungendone di nuovi, completo nell’amore e nella carità. Che il Re venga informato e che la
Principessa possa ascoltare: mi sto incamminando.”
Quando questo fu annunziato, la gente della bianca Kapilavastu e delle sue campagne si preparò per
l’entrata del suo Principe. Al cancello meridionale fu
innalzato un brillante padiglione con colonne di fiori intrecciati e le pareti tappezzate di seta
rossa, verde e intessuta d’oro.
Tutte le strade furono profumate con rami di nim e mango; a terra furono sparse essenze di sandalo e
gelsomino, le bandiere sventolavano; e nel giorno in cui egli era atteso, fu ordinato che molti
elefanti – con drappi d’argento e le loro zanne incastonate d’oro attendessero al di là del guado,
dove anche i tamburi dovevano proclamare: “Arriva Siddhartha!”
Là, anche i nobili dovevano accendere lumi d’adorazione e le danzatrici spargere i loro fiori con
danze e canzoni, cosicché il destriero che egli cavalcava potesse affondare fino alle ginocchia
nelle rose e nei balsami e il sentiero fosse pieno di bellezza, mentre la città echeggiava di musica
e di gioia.
Questo era stato ordinato e tutti tendevano l’orecchio, alba dopo alba, per cogliere il primo
battito del tamburo che annunciava: “Ora egli giunge!”

Ma accadde che, bramosa di essere la prima, Yasodhara andò, sulla sua portantina, fino alle mura
della città, dov’era situato lo splendido padiglione.
Tutt’attorno sorrideva un meraviglioso giardino, il Nigrodha, ombreggiato d’alberi di bilva e dalle
piume verdi delle palme da dattero; era stato appena potato e rallegrava con i suoi tortuosi
sentieri carichi di frutta e di fiori.
La strada meridionale costeggiava i suoi prati; da questo lato vi era una profusione di foglie e
fiori, dall’altro le capanne dei sobborghi dove dimoravano, fuori dai cancelli, coloro che erano di
bassa casta, gente paziente e povera, il cui contatto era considerato contaminante per gli kshatrya,
gli appartenenti alla casta dei guerrieri, e per i sacerdoti bramini.
Tuttavia, anch’essi si alzarono prima dell’alba, pieni di aspettativa per spiare lungo la strada,
arrampicandosi sugli alberi al lontano barrire di qualche elefante o al minimo vibrare del tamburo
del tempio; e quando nessuno giungeva, erano subito occupati in umili preparativi per compiacere il
Principe: spazzavano le soglie delle loro dimore, alzavano i loro stendardi, intrecciavano le foglie
di pipal, decoravano il lingam sostituendo nuove offerte sacrificali a quelle del giorno prima, ma
continuando ad interrogare i viandanti se sulla strada avevano udito qualche notizia del grande
Siddhartha.
Costoro la Principessa guardava con occhi languidi e graziosi, osservando come loro la pianura che
si estendeva a sud e curvandosi come loro ad ascoltare se i viandanti recavano notizie raccolte
sulla strada.
Accadde così che ella scorse qualcuno che si avvicinava lentamente, con la testa rasata, una veste
gialla con un lembo gettato sopra la spalla, alla maniera degli eremiti, e che nella mano aveva una
ciotola di terracotta a forma di melone.
Era questa che egli tendeva umilmente davanti a ogni porta, prendendo ciò che veniva dato con
gentili ringraziamenti e passando oltre, altrettanto gentilmente, quando nessuno dava.
Due altri monaci lo seguivano indossando la veste gialla, ma colui che teneva la ciotola sembrava
così nobile, così divino, che al suo passaggio l’aria era riempita da un’imponente presenza.
I suoi dolci occhi pieni di santità colpivano tutti mentre allungavano le loro elemosine e restavano
a fissare sbalorditi il suo volto, mentre qualcuno s’inchinava in adorazione ed altri correvano a
cercare nuovi doni, angosciati di essere poveri; finché, lentamente, gruppo dopo gruppo, bambini,
uomini e donne, cominciarono a seguire i suoi passi, sussurrando a labbra serrate: “Chi è? Chi?
Quando mai un Rishiha avuto un tale aspetto?”
Ma mentre si avvicinava, con passo tranquillo, al padiglione, ecco! La tenda di seta si alzò e,
senza velo, Yasodhara si lanciò sul suo sentiero gridando: “Siddhartha! Signore!”
Con i grandi occhi in cui scorrevano copiose le lacrime e con le mani avvinte strettamente, ella
allora singhiozzando cadde ai suoi piedi e là restò.

In seguito, quando quella donna piangente entrò nel Nobile Sentiero, qualcuno pregò Buddha di
rispondere perché – avendo votato l’abbandono di tutta la passione mortale e dell’inebriante
contatto, tenero come quello di un fiore, delle mani di una donna egli avesse tollerato tale
abbraccio.
Il Maestro disse: “L’amore superiore è paziente con quello inferiore, affinché quest’ultimo possa
elevarsi a vette superiori. Che nessun uomo, sfuggito ai legami, disturbi le anime vincolate con
vanterie di libertà. Piuttosto, siate liberi, affinché la vostra libertà si diffonda per mezzo della
paziente e dolce abilità della saggezza.
“Tre ere di lunghi sforzi portano al riscatto i Bodhisattva che saranno le guide ed il sostegno di
questo mondo ottenebrato: la prima è chiamata di profonda ‘Risoluzione’, la seconda ‘Tentativo’, la
terza della ‘Designazione’. Ecco! Io ho vissuto nell’era della ‘Risoluzione’ desiderando il bene,
cercando la saggezza, ma i miei occhi erano sigillati.
“Contate i grigi semi di quella pianta di ricino altrettante stagioni della pioggia sono passate da
quando ero Ram, un mercante sulla costa meridionale che guarda verso Sri Lanka e il luogo in cui si
nascondono le perle.
“In quel tempo lontano, anche Yasodhara dimorava con me nel nostro villaggio vicino al mare, era
dolce come ora e il suo nome era Lakshmi.
“E ricordo come mi misi in viaggio da là, cercando il necessario per vivere, poiché la nostra casa
era povera ed umile.
“Tuttavia ella, con copiose lacrime, mi pregò di non partire e non sfidare i pericoli di terra e di
acqua. ‘Come può l’amore abbandonare ciò che ama?’ gemette; ma io, avventurandomi, passai lo stretto
e, dopo tempeste, tribolazioni e lotte mortali con creature degli abissi, sforzandomi dalla
mezzanotte al sorgere del sole, scrutando tra le onde, conquistai finalmente una gloriosa perla
simile alla luna, che soltanto i Re potevano comperare svuotando la loro tesoreria.
“Allora ritornai contento verso le mie colline; ma su tutta quella terra dilagava la carestia; a
stento riuscii a sopravvivere durante il viaggio di ritorno e a malapena raggiunsi la mia porta,
dolorante per la fame, con quel bianco tesoro del mare legato strettamente alla cintura.
“Tuttavia non v’era cibo e sulla soglia giaceva con
labbra mute, vicina alla morte per la mancanza di un piccolo dono di cereali, colei per la quale mi
ero tanto sforzato, più ancora che per me stesso.
“Allora gridai: ‘Se c’è qualcuno che ha del grano, qui c’è il tesoro di un regno per una vita: dia a
Lakshmi il pane e prenda la mia perla simile alla luna.’
“Allora qualcuno portò l’ultima sua provvista, tre misure di miglio e afferrò la meravigliosa luna.
“Ma Lakshmi ritrovò l’energia e sospirò con nuova vita: ‘Davvero tu mi ami!’
“Ben spesi la mia perla, in quella vita, per confortare il cuore e la mente altrimenti disperati; ma
queste pure perle, questo mio più grande guadagno, vinte da un’onda ancor più profonda – Dodici
Nidanas e la Legge del Bene – non possono essere spese, né oscurate e realizzano ancor più la loro
perfetta bellezza quando vengono date liberamente.
“Infatti, com’è un nulla il formicaio eretto dalle piccole formiche di fronte al Monte Meru e la
rugiada caduta nelle orme di un capriolo in corsa, di fronte al mare senza limiti, così era quel
dono di fronte al mio dono di ora; e così l’amore – più vasto essendo libero dai tumulti dei sensi –
era sommamente saggio quando si chinava verso il cuore più debole; e così i piedi della dolce
Yasodhara camminavano verso la pace e la beatitudine essendo condotti con dolcezza.”

Ma quando il Re udì di come Siddhartha fosse giunto col capo rasato, con vesti da mendicante, dal
triste colore, tendendo una ciotola per raccogliere gli avanzi degli uomini di bassa casta, un
dolore irato scacciò l’amore dal suo cuore. Sputò tre volte a terra, si
strappò i peli dalla barba argentea e s’avviò direttamente, a lunghi passi, seguito servilmente dai
nobili tremanti. Accigliato balzò sul suo cavallo da guerra, affondò gli speroni e si lanciò pieno
d’ira attraverso strade e sentieri, tra contadini meravigliati.
Nemmeno il tempo di trovare il respiro per dire: “Passa il Re! Inchinatevi!” che del sonoro
scalpiccio era rimasta solo l’eco.
Ma alla svolta che costeggiava il muro del Tempio, dove si vedeva il cancello meridionale, il Re
s’imbatté in una enorme folla; ad ogni angolo di essa si riversavano velocemente ancor più persone,
fino a che la strada fu cancellata, ostruita da quell’enorme raduno che si affollava e cresceva,
seguendo da vicino colui il cui sguardo sereno incontrò quello del vecchio Re.
Tuttavia, la furia del padre non durò un attimo di più, quando i gentili occhi di Buddha
s’attardarono adoranti sulla sua fronte accigliata e quindi si abbassarono, con le sue ginocchia, a
terra, in fiera umiltà.
Sembrava così prezioso vedere il Principe, saperlo salvo, osservare quella gloria, più grande di
quella terrena in cui la corona cinge il capo, quella maestà che aveva portato tutti gli uomini,
così pieni di timore reverenziale e silenti, a seguire i suoi passi.
Nondimeno il Re tuonò: “Sia posto fine a questo, non sia mai che il grande Siddhartha entri furtivo
nel suo regno, avvolto in uno straccio, a capo rasato, con ai piedi dei semplici sandali,
elemosinando il cibo da uomini di bassa casta, colui la cui vita era simile a quella di un dio, mio
figlio!
“Erede di questo vasto potere ed erede di Re ai
quali basta battere le mani per avere ciò che la terra può dare o perché venga offerto un sollecito
servizio! Avresti dovuto venire accompagnato da tutto ciò che è degno del tuo rango, con lance
lucenti e calpestio di cavalli e di fanti.
“Ecco! Tutti i miei soldati sono accampati lungo la strada e tutta la mia città attende ai cancelli;
dove hai soggiornato in tutti questi tristi anni mentre tuo padre portava la corona angosciato? E
anch’ella, Yasodhara, visse come vivono le vedove, dimenticando la gioia; senza udire mai il suono
delle canzoni e degli strumenti, senza indossare una sola volta le vesti festive, fino ad ora,
quando in abito tessuto d’oro dà il benvenuto ad uno sposo mendicante, vestito di cenci gialli.
Figlio! Perché tutto questo?”
“Padre mio!” venne la risposta, “È il costume della mia razza.”
“La tua razza”, rispose il Re, “da Maha Sammat conta centinaia di troni, ma nessuno apparve mai
così.”
“Non parlo di una dinastia mortale,” disse il Maestro, “io parlo di una stirpe invisibile, dei
Buddha che sono stati e che saranno: a questi io appartengo e ciò che essi fecero, io faccio.
“Ciò che sta accadendo ora, accadde anche prima che al suo cancello un Re, in armatura da guerriero,
incontrasse suo figlio, un Principe, vestito da eremita; e che per amore e per autocontrollo,
essendo più potente dei più potenti Re, colui che è destinato ad aiutare i Mondi s’inchini, come
faccio ora io, e con tutta l’umiltà dell’amore annunci, dove è dovuto, per debiti d’affetto, i primi
frutti del tesoro che ha portato; e che ora annuncerò.”
Allora il Re stupito chiese: “Quale tesoro?”
E il Maestro prese dolcemente il palmo reale e mentre camminavano attraverso strade assiepate di
gente adorante, al fianco del Re e della Principessa, egli rivelò ciò che conduce alla pace e alla
purezza, quelle Quattro nobili Verità che contengono la saggezza, come le rive racchiudono i mari,
quelle Otto giuste Regole per mezzo delle quali chi vorrà potrà camminare – monarca o schiavo – sul
perfetto Sentiero che ha Quattro Stadi e Otto Precetti, per mezzo dei quali coloro che vivono –
potenti o umili, saggi o illetterati, uomini, donne, giovani o vecchi – presto o tardi sfuggiranno
alla ruota della vita, conseguendo il benedetto Nirvana.
Così essi giunsero nel portico del palazzo, mentre Suddhodana, con fronte distesa, si abbeverava
delle potenti parole, tenendo nella mano la ciotola di Buddha, mentre una nuova luce illuminava i
graziosi occhi della dolce Yasodhara e asciugava le sue lacrime; e quella notte essi entrarono nella
Via della Pace.

Libro Ottavo

A Nagara, vicino alle sponde del veloce Kohana, si estende un vasto prato; dai santuari di Benares,
dirigendosi ad est e a nord, su un carro trascinato da buoi, vi si arriva in cinque giorni.
Le bianche cime dell’Himalaya svettano sul luogo che tutto l’anno è rallegrato da boccioli e cinto
da boschetti resi verdeggianti dalla luminosa onda di quel fiumiciattolo. Sono dolci le sue pendici
e fresche le sue fragranti ombre; ancor oggi lo spirito del luogo è permeato di santità: la brezza
della sera spira silenziosa sui fitti cespugli e su alti mucchi di pietre rosse scolpite, spaccate
dalle radici e dai tronchi di fichi rampicanti e rivestite di veli ondeggianti di foglie ed erba.
L’immobile serpente riluce tra le rovine di opere di lacca e travi di cedro, mentre distende le sue
spire su lastre di pietra incise; la lucertola si attarda o sfreccia sui pavimenti dipinti dove
hanno camminato i Re; la volpe grigia dimora al sicuro sotto i troni spezzati; soltanto i picchi ed
il fiume e i prati in pendio e l’aria
gentile rimangono immutati.
Tutto il resto, come tutti gli attraenti spettacoli della vita, è scomparso – poiché questo è il
luogo in cui si ergeva la città di Suddhodana, la collina dove, mentre tra l’oro e il blu il sole
tramontava, il Signore Buddha si accinse ad insegnare la Legge ai suoi cari.
Ecco! Voi leggerete nei Sacri Libri come, in quel luogo piacevole e gioioso, dove nei giorni antichi
c’era un giardino e sentieri sospesi, fontane, laghetti e terrazze ornate di rose e circondate da
allegri padiglioni e dall’ampia curva dell’imponente palazzo, sedeva il Maestro, eminente, adorato,
mentre tutta la folla bramosa attendeva che le sue labbra si aprissero, per imparare quella saggezza
che ha reso mite la nostra Asia; come possono testimoniare oggi cinque miliardi di anime viventi.
Egli sedeva alla destra del Re e attorno erano schierati i nobili sakya, Ananda, Devadatta – tutta
la Corte.
Dietro stavano Seriyut e Mugallan, capi dei sereni fratelli in veste gialla, una bella compagnia.
Tra le sue ginocchia Rahula sorrideva, con occhi meravigliati di un bambino, fissi sul volto
solenne, mentre ai suoi piedi sedeva la dolce Yasodhara, sollevata dal suo dolore, intuendo
quell’elevato amore che non si nutre dei fuggevoli piaceri dei sensi, intuendo quella vita che non
conosce vecchiaia, quell’ultima morte benedetta in cui la morte è stata uccisa, la vittoria
dell’Illuminato e la sua.
Ella teneva la sua mano nelle sue, racchiudendo nel suo scialle d’argento la sua veste gialla, in
tutto il mondo la più vicina a colui le cui parole i Tre Mondi
attendevano.
Non sono in grado di raccontare nemmeno la minima parte della splendida scrittura che uscì dalle
labbra di Buddha: sono soltanto uno scrivano arrivato tardi, che ama il Maestro e il suo amore per
gli uomini e racconta questa storia sapendo che egli era saggio, ma non avendo l’abilità di dire
qualcosa di più di ciò che è scritto nei libri; il tempo ha annebbiato la loro scrittura e il loro
antico senso, che una volta era nuovo e potente, toccante per tutti.
Conosco una parte del lungo discorso che Buddha pronunciò in quella dolce sera indiana. So anche che
è scritto che coloro che udirono erano più di centinaia di migliaia, più di decine di milioni di
quanto si potesse vedere, poiché tutti i Deva, gli dei e gli antenati si affollano là, finché il
Cielo fu svuotato fino al settimo livello e i più profondi oscuri Inferni aprirono le loro sbarre;
persino la luce del giorno indugiò oltre il suo tempo in roseo splendore sui picchi che osservavano,
cosicché sembrava che la notte ascoltasse nelle valli e il giorno dalle montagne; è scritto che la
sera indugiò tra loro, come una ninfa celeste rapita nell’estasi dell’amore; le lente nuvole erano i
suoi capelli intrecciati; le stelle erano le perle e i diamanti incastonati della sua corona; la
luna il gioiello sulla sua fronte e l’oscurità sempre più profonda era la sua veste.
Era il suo respiro sospeso che arrivava in profumati sospiri attraverso i prati, mentre il nostro
Signore insegnava e, mentre insegnava, a chi udiva, che fosse straniero in quella terra, o schiavo,
di alta o di bassa casta, che fosse di sangue ariano o fuori-casta o abitatore della giungla,
sembrava di udire la sua lingua locale.
Anzi, è scritto che oltre a coloro che si affollavano vicino al fiume, grandi e piccoli, gli
uccelli, le bestie e gli esseri striscianti, percepirono il vasto amore di Buddha e colsero la
promessa del suo misericordioso discorso; cosicché le loro vite – imprigionate nella forma della
scimmia, della tigre, del daino o dell’orso, dello sciacallo o del lupo, di avvoltoi che si nutrono
di carogne, della colomba perlacea o dell’ingioiellato pavone, del rospo accucciato o del serpente
maculato, della lucertola, del pipistrello o del pesce che guizza nelle onde del fiume – furono
toccati umilmente dalla fratellanza con l’uomo che ha meno innocenza di loro; e, in muta felicità,
sapevano che la loro schiavitù veniva spezzata, mentre il Buddha pronunciava queste parole di fronte
al Re:

“Om, Amitaya! Non misurate con le parole l’Incommensurabile; non affondate la corda del pensiero
nell’Inscandagliabile. Chi chiede erra, chi risponde sbaglia. Non dite nulla!

I Libri insegnano che da principio c’era l’Oscurità e soltanto Brahma meditava in quella Notte; non
cercate là Brahma e l’Inizio! Né lui né alcuna luce, alcuno scrutatore vedrà con occhi mortali, né
alcun cercatore conoscerà con mente mortale, velo dopo velo si alzerà – ma vi saranno ancora altri
veli.
Le stelle incedono maestosamente e non interrogano. È sufficiente sapere che vi sono la vita, la
morte, la gioia e il dolore; e la causa e l’effetto e il corso del tempo e l’incessante onda
dell’Esistenza, che, perennemente mutevole, scorre collegata, come in un fiume le increspature
seguono le increspature, veloce o lenta – la stessa e tuttavia non la stessa – dalle lontane
sorgenti da cui sgorgano le sue acque fino ai mari.
Questi, evaporando sotto il Sole, ridanno le perdute onde alla coltre di nubi, affinché gocciolino
giù per le colline e fluiscano ancora; senza pausa né pace.

È sufficiente sapere che i fantasmi, le illusioni, esistono; che vi sono i Cieli, le Terre, i Mondi,
soggetti ai mutamenti; una potente e turbinante ruota di sforzi e tensioni, che nessuno può
arrestare o calmare.

Non pregate! L’Oscurità non ne sarà rischiarata! Non chiedete nulla al Silenzio, ché non può
parlare!

Non torturate le vostre menti gementi con pii tormenti! Ah! Fratelli, sorelle! Non cercate nulla
dagli impotenti dei con doni ed inni, non cercate di corromperli con offerte di sangue, né di
nutrirli con frutta e dolci; all’interno di voi stessi deve essere cercato il riscatto; ogni uomo
crea la sua prigione.

Ognuno ha signoria su se stesso quanto i più elevati; poiché per i Poteri al di sopra, attorno e al
di sotto, così come per tutta la carne di chiunque viva, è l’azione a creare la gioia o la
sofferenza.

Ciò che è stato porterà ciò che sarà ed è, il peggio, il meglio; l’ultimo il primo e il primo
l’ultimo; gli Angeli, nei Cieli della Felicità, raccolgono i frutti di un santo passato.

I demoni, nei mondi infernali, scontano azioni malvagie di un’epoca trascorsa.
Nulla dura: le nobili virtù si esauriscono con il tempo, i malvagi peccati vengono da esso
purificati.

Chi soffrì come schiavo può diventare un nuovo Principe, per gentile valore e merito conquistato;
chi governò come Re può vagare per la terra vestito di stracci, per cose compiute e non compiute.

Più in alto di Indra, il Re degli dei, potete elevare il vostro destino e sprofondare più in basso
del verme o del moscerino; la fine di molte miriadi di vite è questa, la fine di miriadi di vite è
quello.

Soltanto, mentre gira questa ruota invisibile, non vi può essere pausa, pace, né luogo in cui
riposare; chi sale cadrà, chi cade salirà; i raggi girano incessantemente!

Se voi foste vincolati alla ruota del cambiamento e non vi fosse modo di spezzarne le catene, il
cuore dell’Esistenza senza limiti sarebbe una maledizione, l’Anima delle Cose sarebbe tremendo
Dolore.

Ma voi non siete vincolati! L’Anima delle Cose è dolce, il Cuore dell’Esistenza è riposo celestiale;
più forte del dolore è la volontà: quello che era buono deve diventare migliore e poi ottimo.

Io, Buddha, che piansi con tutte le lacrime dei miei fratelli, il cui cuore fu spezzato dalla
sofferenza
di un intero mondo, rido e sono felice, poiché c’è la Libertà! Ascoltate, voi che soffrite! Sappiate
di essere la causa della vostra sofferenza. Nessuno vi trattiene, nessuno vi costringe a vivere e a
morire e a turbinare sulla ruota, abbracciando e baciando i suoi raggi di agonia, stretti al suo
cerchio di lacrime, al suo mozzo del nulla.

Guardate, vi mostro la Verità! Più in basso dell’inferno, più in alto del cielo, all’esterno delle
più lontane stelle, più in là della dimora di Brahma, prima dell’inizio e senza una fine, eterno
come lo spazio e sicuro come la certezza, c’è un Potere Divino che muove ogni cosa per il suo bene e
soltanto la sua Legge rimane inalterata.

È il suo tocco che fa sbocciare la rosa, è la sua mano a formare i petali del loto; nell’oscura
terra e nel silenzio dei semi, tesse la veste della Primavera;

Dipinge le gloriose nuvole e gli smeraldi sulle penne del pavone; ha le sue dimore nelle stelle; i
suoi schiavi nel lampo, nel vento e nella pioggia.

Dall’oscurità ha creato il cuore dell’uomo; dalle opache conchiglie ha tratto il variopinto collo
del pavone; costantemente all’opera, trasforma in grazia l’ira e la furia antiche.

Le grigie uova, nel dorato nido del colibrì, sono i suoi tesori, le celle a sei facce delle api sono
i suoi vasi di miele; la formica segue i suoi sentieri, le bianche colombe li conoscono bene.
Distende al volo le ali dell’aquila al momento di portare a casa la sua preda; manda la lupa dai
suoi cuccioli; trova cibo ed amici per chi non è amato.

Non è ostacolato né arrestato in nulla, ama tutto; porta al seno della madre il dolce bianco latte;
crea anche le bianche gocce di veleno con le quali colpisce il giovane serpente.

Crea l’ordinata musica delle orbite celesti nella volta sconfinata del cielo; nei profondi abissi
della terra nasconde oro, rubini, zaffiri, lapislazzuli.

Portando costantemente alla luce segreti, dimora nel verde delle foreste, avendo cura di strane
pianticelle alla radice del cedro, concependo foglie, boccioli, steli.

Uccide e salva, non muovendosi in alcun modo se non per tessere il destino; i suoi fili sono l’Amore
e la Vita; e la Morte e il Dolore le spole del suo telaio.

Crea e disfa, riparando tutto; ciò che crea ora è migliore di ciò che è stato; lentamente si
sviluppa lo splendido modello che pianifica tra le sue abili mani.

Questa è l’opera sulle cose che vedete, quelle invisibili sono di più; i cuori e le menti degli
uomini, i pensieri dei popoli, la loro via e le loro volontà, anche queste, la Grande Legge vincola.

Non vista vi aiuta con mani fedeli, non udibile vi
parla più fortemente della tempesta. La Pietà e l’Amore appartengono all’uomo, a causa di lunghe
tensioni che diedero forma alla cieca massa.

Non sarà disprezzata da nessuno; chi la contrasta perde e chi la serve guadagna; paga il bene
nascosto con pace e beatitudine, il male con dolori.

Vede ovunque e annota tutto: agisci rettamente, sarai ricompensato! Agisci ingiustamente, per quanto
il Dharma, la Legge, possa ritardare, dovrai scontarne la pena.

Non conosce ira né perdono; la verità suprema è la sua misura e il peso della sua bilancia è
infallibile; il tempo non conta e giudicherà domani o tra molti giorni.

Per questo il coltello dell’assassino ha colpito lui stesso; il giudice ingiusto ha perso la propria
difesa; la lingua dedita alla falsità condanna la sua bugia; il ladro furtivo e il saccheggiatore
rubano soltanto per tornare a rendere.

Tale è la Legge che opera rettamente e che nessuno alla fine può mettere da parte od arrestare; il
suo cuore è Amore, il suo fine è Pace e dolce Realizzazione. Obbedite!

I Testi Sacri dicono bene, fratelli miei! La vita di ciascun uomo è il risultato di quella
precedente, i torti passati portano dolori e sofferenze, la giustizia di tempi lontani porta
beatitudine.

Quello che seminate raccoglierete. Guardate quei campi! Il sesamo era sesamo, il mais era mais. Il
Silenzio e l’Oscurità lo sapevano! Così nasce il destino dell’uomo.

Egli viene a raccogliere le cose che seminò, sesamo, mais, tanto quanto ne seminò nella nascita
passata; e altrettanta gramigna ed erbe velenose che ostacolano lui e la dolorante terra.

Se egli lavorerà giustamente, sradicando queste ultime e piantando pianticelle integre dove esse
crescevano, la terra sarà fruttuosa, bella e pulita e ricco sarà il raccolto.

Se colui che vive, imparando qual è l’origine della sofferenza, la sopporta pazientemente,
sforzandosi di pagare fino all’ultimo il suo debito attuale per antichi mali, vivendo nell’Amore e
nella Verità.

Non togliendo a nessuno, egli purificherà completamente dalla menzogna e dall’egoismo la sua natura;
sopportando tutto umilmente, ritornando di fronte all’offesa soltanto grazia e bontà.

Se giorno dopo giorno sarà misericordioso, santo, giusto, gentile e veritiero; e strapperà il
desiderio da dove si aggrappa con radici sanguinanti, fino a che l’amore della vita troverà fine,
allora egli, morendo, lascerà come risultato un conto chiuso, i cui mali sono
morti e finiti, il cui bene sarà rapido e potente, lontano e vicino, cosicché i frutti ne
seguiranno.

Nessun bisogno vi sarà, per lui, di vivere quella che voi chiamate vita; quello che in lui cominciò
è terminato: egli ha realizzato lo scopo per il quale è nato come Uomo.

Mai più le brame lo tortureranno, né i peccati lo macchieranno, né il dolore delle gioie terrene e
le sue sofferenze invaderanno la sua sicura ed eterna pace; le morti e le vite non ritorneranno più.
Egli entra nel Nirvana. Egli è uno con la vita e tuttavia non vive. È benedetto, avendo cessato di
essere.
Om, Mani Padme, Om! La goccia di rugiada scivola nel mare splendente!

Questa è la dottrina del Karma. Imparate! Soltanto quando tutta l’impurità del peccato è stata
abbandonata, soltanto quando la vita muore come una bianca fiamma esaurita, la morte muore con essa.

Non dite: “Io sono”, “Io ero”, o “Io sarò”, non pensate di passare di casa in casa corporea come
viaggiatori che ricordano e dimenticano, ben alloggiati o mal alloggiati.

Dall’Universo ha origine quella somma che è l’ultima delle vite. Crea la sua abitazione come il baco
tesse la seta e dimora in essa.

Assume funzione e sostanza come dall’uovo covato del serpente vengono le scaglie e i denti; come i
semi piumati dei giunchi volano sulle rocce, sull’argilla e sulla sabbia, finché trovano la loro
palude e si moltiplicano.

Viene anche per aiutare o ferire. Quando la Morte colpisce l’amaro assassino, i suoi rossi frammenti
impuri vagano su ali pestilenziali e malefiche.

Ma quando muore il mite e il giusto, alitano dolci brezze, il mondo diventa più ricco, come se un
fiume nel deserto sprofondasse per riapparire ancora, più puro, con un più vasto luccichio.

Così il merito acquisito conquista un’epoca più felice, che può trovare fine a causa del demerito.
Tuttavia questa Legge dell’Amore regnerà sovrana prima che i kalpa, le ere, finiscano.

Che cosa vi ostacola fratelli? L’Oscurità! Essa porta ignoranza; confusi da essa, scambiate per veri
questi spettacoli e con la sete di ottenere e ottenendo, vi aggrappate ai piaceri che creano le
vostre sofferenze.

Voi che percorrerete il Sentiero di Mezzo, il cui corso è tracciato dalla Brillante Ragione e
addolcito dalla dolce quiete; voi che percorrerete l’alta strada del Nirvana, ascoltate le Quattro
Nobili Verità.

La Prima Verità è quella del Dolore; non fatevi ingannare! La vita che voi apprezzate è una lunga
agonia: restano soltanto i dolori; i suoi piaceri sono come uccelli che atterrano e volano via.

Il dolore della nascita, il dolore nei giorni dell’infanzia impotente, il dolore dell’ardente
gioventù e il dolore della maturità; il dolore degli anni grigi e della morte soffocante, questi
riempiono il vostro pietoso tempo.

Dolce è l’amore appassionato, ma le fiamme della pira funeraria dovranno baciare il seno che fu
cuscino e le labbra che avvincono; prode è la Potenza del guerriero, ma le ossa di capi e di Re sono
il cibo degli avvoltoi.

Bella è la Terra, ma tutte le sue foreste nascondono reciproche uccisioni, bramosia di vivere; di
zaffiro sono i cieli, ma quando gli uomini piangono affamati, essi non danno alcuna goccia.

Chiedete all’ammalato, al gemente, chiedete a colui che barcolla sul suo bastone, solo e
abbandonato: “Ami la tua vita?” ed essi diranno che l’infante è saggio quando piange, alla nascita.

La Seconda Verità è la Causa del Dolore. Quale angoscia ha origine da se stessa e non dal Desiderio?
I sensi e le cose percepite si mischiano e accendono la rapida scintilla del fuoco della passione.

Così divampa Trishna, la bramosia e la sete delle cose Bramosi vi aggrappate alle ombre, contate su
meri sogni; piantate nel mezzo un falso sé e vi create
attorno un mondo apparente.

Ciechi alle altezze celesti, sordi al suono della dolce musica che alita dal lontano cielo di Indra;
muti ai richiami della vera vita, seguite quella falsa che non conduce se non al dolore.

Così crescono le lotte e le bramosie che fomentano la guerra sulla terra; così si angosciano i
poveri cuori ingannati e fluiscono lacrime salate; così crescono passioni, invidie, ire, odii; così
gli anni, con piedi arrossati, inseguono anni macchiati di sangue.

Così, ove dovrebbe crescere il grano, si diffonde la gramigna, con le sue malefiche radici e i suoi
boccioli velenosi; difficilmente i buoni semi trovano il giusto suolo dove cadere e germogliare; e
drogata da bevande velenose, l’anima diparte, ardente per la sete di Karma ritorna; stordito dai
sensi, ancora l’abbruttito sé ricomincia e guadagna nuovi inganni.

La Terza Verità è la Cessazione del Dolore. Questa è la pace: aver conquistato l’egoismo e la
bramosia di vivere, aver sradicato dal petto anche le passioni profondamente radicate, aver calmato
la tensione interiore.
Invece dell’amore stringere con forza l’Eterna Bellezza; invece che della gloria, essere signori del
sé; invece del piacere vivere al di là della durata della vita degli dei; invece
dell’incommensurabile ricchezza, ammucchiare il tesoro duraturo del perfetto servizio reso, dei
doveri svolti nella misericordia, della dolce parola
e dei giorni immacolati: queste ricchezze non svaniranno nella vita, né saranno screditate dalla
morte.

Allora terminerà il Dolore, poiché saranno cessate la Vita e la Morte; come potranno ardere le
lampade se il loro olio è consumato? Il vecchio, triste, conto è stato saldato; il nuovo è
immacolato; così l’uomo è appagato.

La Quarta Verità è la Via. Si apre ampio, piano, facile e breve da percorrere per tutti i piedi, il
Nobile Ottuplice Sentiero; conduce direttamente alla pace e al rifugio. Ascoltate!

Molteplici sentieri conducono a quelle cime sorelle attorno alle cui nevi sono avvolte le nuvole
dorate; lo scalatore arriva dove spazia quell’altro mondo per mezzo di pendii ripidi o dolci.

Le membra robuste possono osare la via impervia? vertiginosa e pericolosa, su cui infuria la
tormenta; il debole dovrà girarvi intorno, da piano a piano, con molte soste.

Questo è l’Ottuplice Sentiero che porta la pace; esso procede attraverso altezze inferiori o
superiori. L’anima forte si affretta, la debole indugia. Tutti raggiungeranno le nevi illuminate dal
sole.

Il Primo buon Livello è la Giusta Dottrina. Camminate nel timore del dharma, la Legge, evitando ogni
offesa; fate attenzione al Karma che crea il destino
dell’uomo, abbiate padronanza sui vostri sensi.

Il Secondo è il Giusto Scopo. Mostrate buona volontà verso tutto ciò che vive, lasciando morire la
crudeltà, l’avidità e l’ira; cosicché le vostre vite siano come il soffiare di dolci brezze.

Il Terzo è il Giusto Discorso. Governate le labbra come se fossero porte di un palazzo con il Re
all’interno; siano tranquille, giuste e cortesi tutte le vostre parole.

Il Quarto è il Giusto Comportamento. Che ogni vostra azione sradichi un difetto o aiuti a crescere
un merito; che l’amore si mostri attraverso buone azioni, come si vedono i fili d’argento attraverso
il cristallo.

Vi sono poi Quattro Vie Superiori. Possono percorrerle soltanto quei piedi che non camminano più
sulle cose terrene. Giusta Purezza, Giusto Pensiero, Giusta Solitudine, Giusta Estasi. Non
distendere le ali per volare verso il sole, tu anima dalle ali senza piume! Dolce e sicura è l’aria
che spira nella valle, familiari sono le pareti di casa propria: soltanto i forti lasciano il nido
che si sono costruiti.

Caro è l’amore, lo so, della Moglie e del Figlio; piacevoli gli amici e i passatempi dei vostri
anni; frutto di buona vita le gentili carità; false, sebbene fermamente radicate, le vostre paure.

Vivete, voi che dovete, vite di questo genere; delle
vostre debolezze fate scale d’oro; elevatevi dal quotidiano soggiorno su queste fantasie a verità
più nobili.

Così passerete ad altezze più chiare e troverete ascensioni più facili e carichi di peccati più
leggeri e una più grande volontà di andare al di là dei vincoli dei sensi, entrando nel Sentiero.
Colui che guadagna tale inizio ha toccato il Primo Stadio; egli conosce le Nobili Verità,
l’Ottuplice Sentiero; per mezzo di pochi o molti passi, egli conseguirà la beata dimora del Nirvana.

Chi si erge al Secondo Stadio, reso libero dai dubbi, dalle illusioni e dallo sforzo interiore,
signore di ogni senso, abbandonati i sacerdoti e i testi sacri, vivrà soltanto un’altra vita.

Ancora più in là si erge il Terzo Stadio: purificato, lo spirito si prodiga, nobile, ad amare tutti
gli esseri viventi in perfetta pace. La sua vita è terminata, la prigione della vita è spezzata.

Tra loro c’è anche chi, sicuramente, vivente e visibile entrerà nella Meta Suprema, il Quarto Stadio
dei Santi, dei Buddha, delle anime perfette!

Come crudeli nemici uccisi da qualche guerriero, lungo questi Stadi giacciono nella polvere dieci
peccati; l’Amore di sé, la Falsa Fede e il Dubbio sono tre; altri due sono l’Odio e la Bramosia.

Chi ha conquistato questi Cinque ha percorso Tre
dei Quattro Stadi; tuttavia vi sono ancora l’Amore della Vita sulla terra, il Desiderio del Cielo,
la Lode di sé, l’Errore e l’Orgoglio.

Come colui che si erge su quei picchi nevosi, non avendo nulla sopra di sé oltre al blu senza
limiti, così, avendo ucciso questi peccati, l’uomo raggiunge la vetta del Nirvana.

Gli dei dai loro troni inferiori lo invidiano; la rovina dei Tre Mondi non lo scuoterà; per lui ogni
vita è stata vissuta, ogni morte è morta; il Karma non creerà più nuove case.

Non cercando nulla, egli ottiene tutto; avendo abbandonato il sé, l’Universo è divenuto il suo “Io”.
Se qualcuno insegna che il Nirvana è estinzione, ditegli che mente.

Se qualcuno insegna che il Nirvana è vivere, ditegli che sbaglia; non conoscono questo, né quella
luce che risplende al di là delle loro lampade spezzate, né la beatitudine al di là della vita, al
di là del tempo.

Entrate nel Sentiero! Non c’è dolore simile all’odio! Nessuna sofferenza come le passioni, nessun
inganno come i sensi! Entrate nel Sentiero! Lontano si è spinto colui il cui piede ha calpestato
un’offesa.

Entrate nel Sentiero! Là sgorga l’acqua che guarisce, che calma ogni sete! Là sbocciano i fiori
immortali che tappezzano ogni strada di gioia! Là si affollano le
più veloci e le più dolci ore!

Più prezioso delle gemme è il tesoro della Legge, la sua dolcezza è più dolce di quella del favo di
miele; le sue delizie sono al di là di ogni paragone. Per vivere così ascoltate rettamente le Cinque
Regole:

Non uccidete – per amore della pietà – nemmeno l’essere più umile che si arrampica per la sua via.

Date e ricevete liberamente, ma non prendete da nessuno ciò che è suo per mezzo dell’avidità,- della
forza o della frode.

Non fornite falsa testimonianza, non mentite né calunniate; la verità è la parola della purezza
interiore.

Evitate le droghe e il bere che offuscano l’intelletto; le menti chiare, i corpi puliti, non hanno
bisogno del succo di soma.

Non toccate la moglie del vicino; non commettete peccati della carne illeciti e indegni.

Con queste parole il Maestro parlò dei doveri rispetto al padre, alla madre, ai figli, ai compagni,
agli amici; insegnando come coloro che non possono rompere rapidamente le tenaci catene dei sensi –
i cui piedi sono troppo deboli per percorrere la strada superiore – dovrebbero vivere questa vita
umana in modo che
tutti i loro giorni trascorrano impeccabili in opere di carità e nei primi veri passi dell’Ottuplice
Sentiero; vivendo puri, riverenti, pazienti, misericordiosi, amando tutte le cose che vivono così
come amano se stessi; poiché ciò che accade di male è frutto del male operato nel passato e il bene
è il frutto del bene; e tanto più colui che vive nella sua famiglia purifica il suo sé e aiuta il
mondo, tanto più felice sarà nello stadio successivo, in una esistenza così migliorata.
Così egli parlò, come aveva fatto in precedenza, quando camminò vicino a Rajagriha nel boschetto di
bambù: poiché un giorno, all’alba, mentre camminava là, scorse il capofamiglia Singala che dopo aver
fatto il bagno si inchinava alla terra, al Cielo e a tutte le quattro direzioni; mentre nel
frattempo lanciava riso, rosso e bianco, con entrambe le mani.
“Perché ti inchini così, fratello?” chiese il Signore. E lui: “È la tradizione, Grande Signore! I
nostri padri ci insegnarono, ad ogni alba, prima che inizi il lavoro a tenere lontano il male che
può venire dal cielo al di sopra o dalla terra al di sotto e da tutti i venti che soffiano.”
Allora colui che il mondo onora disse: “Non spargere riso, ma offri pensieri e azioni amorevoli a
tutti. Ai tuoi genitori come all’Est, da dove sorge la luce; agli insegnanti come al Sud, da dove
vengono ricchi doni; alla moglie e ai figli come all’Ovest, da dove scintillano colori di amore e di
calma e dove terminano tutti i giorni; agli amici e ai congiunti e a tutti gli uomini come al Nord;
ai più umili esseri viventi al di sotto, ai santi e agli angeli e ai benedetti defunti al di sopra:
così sarà evitato il male e così tutte le direzioni saranno sicure.”

Ma ai suoi, a coloro che indossano la veste gialla – coloro che, come aquile risvegliate, sfrecciano
con disprezzo dalla bassa valle della vita, con le ali aperte, verso il Sole – a questi egli insegnò
le Dieci Osservanze, i Dasa-Sil e come un mendicante deve conoscere le Tre Porte e i Triplici
Pensieri; i Sei Stati della Mente; i Cinque Poteri; gli Otto Alti Cancelli della Purezza; le
Modalità della Comprensione; Iddhi; Upeksha; le Cinque Grandi Meditazioni che sono cibo più dolce
dell’Amrita per l’anima santa; Jhana e i Tre Principali Rifugi.
Ai suoi insegnò anche come dovevano dimorare; come vivere, liberi dai vincoli dell’amore e della
ricchezza; che cosa mangiare, che cosa bere e che cosa trasportare – tre semplici vesti, gialle, di
stoffa cucita, ruvida e che lascino le spalle nude – una cintura, una ciotola per l’elemosina, un
colino.
Così egli pose le grandi fondamenta del nostro Sangha, quel nobile Ordine della Veste Gialla che
ancora oggi si erge ad aiutare il Mondo.
Così egli parlò tutta la notte, insegnando la Legge, e su nessun occhio cadde il sonno, poiché
coloro che udirono si rallegrarono con gioia instancabile.
Anche il Re, quando questo finì, si alzò dal suo trono e con piedi nudi s’inchinò di fronte a suo
Figlio baciando l’orlo della sua veste; e disse: “Prendi anche me, o Figlio! Come l’ultimo di tutta
la tua Compagnia.”
E la dolce Yasodhara, ora perfettamente felice, implorò: “O tu Benedetto! Dai a Rahula il Tesoro del
Regno della Tua Parola come sua eredità.” Così entrarono questi tre nel Sentiero.

Qui termina ciò che scrive colui che ama il Maestro per l’amore che Egli ha per noi. Conoscendo
poco, poco ho potuto raccontarvi del Maestro e delle Vie della Pace.
Da allora, per quarantacinque stagioni delle piogge egli insegnò in molte terre e in molte lingue e
diede alla nostra Asia quella luce che ancora è bella, conquistando il mondo con spirito di intensa
grazia: tutto questo è scritto sui santi Libri e dove egli passò; le sue dolci parole sono state
incise da fieri imperatori sulle rocce e nelle caverne.
E, nella pienezza dei tempi, il Buddha morì, il grande Tathagato, proprio come un uomo tra gli
uomini, realizzando tutto, e miliardi di uomini da allora
hanno percorso il Sentiero che conduce dove egli andò,
nel Nirvana, dove vive il Silenzio.

AH! BENEDETTO SIGNORE! OH, GRANDE LIBERATORE! PERDONA QUESTA DEBOLE SCRITTURA CHE TI HA FATTO TORTO
NEL TENTATIVO DI MISURARE PER MEZZO DI UNO SCARSO INGEGNO IL TUO SUBLIME AMORE. AH! AMANTE!
FRATELLO! GUIDA! LUCE DELLA LEGGE! PRENDO RIFUGIO NEL TUO NOME E IN TE! PRENDO RIFUGIO NELLA TUA
LEGGE DEL BENE! PRENDO RIFUGIO NEL TUO ORDINE! OM! LA RUGIADA È SUL LOTO! SORGI, GRANDE SOLE! E ALZA
LA MIA FOGLIA E CONFONDIMI CON L’ONDA.

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