Agire consapevolmente – Osho

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Agire consapevolmente

di Osho

Tratto da:”I segreti della gioia” – di Osho
– Tascabili Bombiani –

“Agire consapevolmente”

Quando guardo nei tuoi occhi, non ti vedo presente; è come se fossi
assente. Vivi distrattamente, immemore: que­sta è l’origine di ogni
sofferenza. Puoi essere vivo senza es­sere affatto presente, ma in
quel caso la tua esistenza diven­terà noiosa; ed è ciò che è successo.
Pertanto, quando guar­do nei tuoi occhi, non ti trovo; devi ancora
venire alla luce, devi ancora essere. C’è una possibilità,
un’occasione favore­vole, ma tu ancora non sei.

Diventare consapevoli di questa assenza vuol dire inizia­re il viaggio
verso la meditazione, verso la trascendenza. Se sei consapevole che in
un modo o nell’altro ti stai lasciando sfuggire un’opportunità…
esisti, ma non sai come e perché; ignori persino chi vive dentro di
te. Tale inconsapevolezza crea sofferenze di ogni sorta, perché
qualsiasi cosa farai, provocherà dolore senza che tu ne sia
consapevole. L’importante non è ciò che fai, ma se sei presente o
assente mentre lo fai.

Qualunque cosa tu faccia, se riesci a farla in modo da es­sere
totalmente presente, la tua vita diventerà estatica, un dono del
cielo. Se fai qualcosa in modo assente, senza esse­re presente, la tua
vita sarà inevitabilmente una sofferenza. “Inferno” vuol dire questo:
essere assenti.

Esistono due tipi di ricercatori: uno è sempre alla ricerca di cosa
fare. Quel ricercatore è sempre sulla strada sbaglia­ta, perché il
punto non è affatto agire. Il punto è essere: co­sa e come essere.

Dunque, non pensare mai in termini di fare e agire, perché se sei
assente in ciò che fai — qualunque cosa essa sia ­sarà priva di senso.

Che tu sia nel mondo o in un monastero, nella folla o in un angolo
remoto dell’Himalaya, non fa differenza. Sarai as­sente qui e lo sarai
là, e creerai dolore qualunque cosa tu fac­cia, nella folla o in
solitudine. Se non ci sei, tutto ciò che fai è sbagliato.

Il secondo tipo di ricercatore, quello sulla strada giusta, non si
chiede cosa fare, ma ricerca come essere. La prima cosa è: come
essere?

Un uomo di grande sensibilità e compassione si recò in visita dal
Buddha, e gli chiese: “Che cosa posso fare per aiu­tare il mondo?”.

Si dice che il Buddha abbia riso e abbia risposto: “Non puoi fare
nulla, perché non sei. Come puoi fare qualcosa quando non sei? Non
pensare al mondo, non chiederti co­me aiutare la Terra e gli altri;
prima sii presente. Una volta che esisterai, qualunque cosa tu faccia
diventerà un aiuto, una preghiera, un atto di compassione. La tua
presenza è il punto di svolta; il tuo essere è la rivoluzione”.

Dunque, sono queste le due vie: la via dell’azione e quel­la della
meditazione; esse sono diametralmente opposte. La via dell’azione si
interessa essenzialmente a te, in quanto soggetto agente. Essa tenterà
di cambiare le tue azioni; cer­cherà di modificare la tua personalità,
la tua morale, le tue relazioni, mai te. La via della meditazione è
diametralmente opposta. Non si interessa alle tue azioni; punta
direttamen­te e immediatamente a te: quello che fai è irrilevante,
l’im­portante è ciò che sei. Ciò che sei è basilare e fondamentale,
perché tutte le azioni nascono da te.

Ricorda, le tue azioni possono essere cambiate e modifi­cate, possono
persino essere sostituite da azioni diametral‑

mente opposte, ma non ti cambieranno. Nessun mutamen­to esteriore
provocherà la rivoluzione interiore, perché l’e­steriore è
superficiale e la tua essenza più intima non viene toccata da ciò che
fai. Il contrario, invece, provoca la rivo­luzione: se il nucleo più
profondo è cambiato, la superficie muta automaticamente. Quindi, metti
a fuoco una domanda fondamentale, solo allora potremo addentrarci in
queste tecniche di meditazione.

Non preoccuparti di ciò che stai facendo; potrebbe esse­re un trucco,
uno stratagemma per evitare il problema au­tentico. Per esempio, sei
violento. Poiché pensi che se fossi non-violento diventeresti
religioso, ti avvicineresti al divino, farai ogni sforzo per essere
non-violento. Sei crudele, ma provi con tutte le tue forze a essere
pieno di compassione.

Puoi farlo, ma non cambierà nulla e resterai immutato. La crudeltà
diventerà parte della compassione, e sarà anco­ra più pericolosa. La
violenza farà parte della non-violenza, diventando ancora più sottile.
Sarai violentemente non-vio­lento. La tua non-violenza avrà tutta la
follia della violenza; sarai crudele attraverso la compassione.

Puoi persino uccidere per compassione: è successo. Sono state
combattute moltissime guerre di religione in nome del­la compassione.
Puoi uccidere in modo molto compassione­vole e non-violento. Puoi
compiere un assassinio con amo­re, perché lo stai facendo per il bene
della persona che stai uccidendo. La stai uccidendo per farle un
favore, per darle una mano.

Puoi cambiare le tue azioni, ma con tutta probabilità questo sforzo
non è altro che uno stratagemma per evitare il vero cambiamento. Il
cambiamento fondamentale è questo: prima devi “essere”. Devi diventare
più attento, più consa­pevole del tuo essere; solo a quel punto una
presenza di‑

scende in te. Non senti mai te stesso; anche se qualche vol­ta accade,
ti senti attraverso gli altri, attraverso l’eccitazione,

lo stimolo, la reazione. È necessario qualcun altro perché tu possa
sentire te stesso; questo è assurdo. Da solo, senza ec­citazione,
senza nessuno che si trasformi in uno specchio, ti addormenti, ti
annoi. Non ti senti mai; non c’è alcuna pre­senza. Vivi in modo
assente.

Tale esistenza assente è la mente irreligiosa. Diventare colmi della
propria presenza, della luce del proprio essere,

vuol dire diventare religiosi. Per cui ricorda questo punto

fondamentale: il mio interesse non è rivolto alle tue azioni. Ciò che
fai è irrilevante. Ciò che sei — assente, presente, con‑

sapevole, inconsapevole — è l’oggetto della mia attenzione. E le
tecniche che ora affronteremo servono a renderti più pre­sente, a
riportarti qui e ora.

Per sentire te stesso ti occorre qualcun altro, oppure il passato;
infatti, attraverso il passato — i ricordi — puoi senti­re la tua
identità. Oppure è necessario il futuro: in esso puoi proiettare i
tuoi sogni, gli ideali, le vite future, moksha, la li­berazione.

Per sentire te stesso hai bisogno dei ricordi, di una proie­zione
futura, o di qualcun altro: da solo non sei mai suffi­ciente. Questo è
il male, e nulla ti appagherà mai, se non sa­rai sufficiente a te
stesso. Quando basterai a te stesso, avrai vinto, la battaglia sarà
conclusa. A quel punto non ci sarà più sofferenza: toccherai un punto
di non ritorno.

Oltre quel punto c’è la beatitudine, l’estasi eterna. Prima di quel
punto sei condannato a soffrire, ma stranamente ogni sofferenza è
frutto delle tue azioni: questo creare la tua stessa sofferenza è un
miracolo; nessun altro ne è artefice. Se fosse qualcun altro a
crearla, sarebbe difficile trascenderla. Se il mondo la stesse
creando, cosa potresti fare? Ma poiché puoi fare qualcosa, nessun
altro sta creando il tuo dolore: è il tuo incubo personale. E questi
ne sono gli elementi fon­damentali.

Primo: pensi, credi sempre di essere. È solo qualcosa che credi: non
hai mai incontrato te stesso, non sei mai stato fac­cia a faccia con
te stesso, non c’è mai stata alcuna connes­sione. Semplicemente, credi
di essere. Abbandona total­mente questa convinzione; sappi che non
sei, devi ancora es­sere, perché a causa di questa convinzione errata
non sarai mai in grado di trasformarti. Questa convinzione sbagliata
rende falsa tutta la tua vita.

Gurdjieff diceva spesso ai suoi discepoli: “Non chiedetemi cosa fare.
Non potete fare nulla, perché per fare qualco­sa, prima si deve
essere. Ma poiché voi non siete, chi agirà? Potete pensare all’agire,
ma non potete fare nulla”.

Queste tecniche servono ad aiutarti, a riportarti a te stes­so; ti
aiutano a creare una situazione nella quale puoi incon­trare te
stesso. Molte cose — tutto ciò che è falso e sbagliato — dovranno
essere distrutte. Prima che il reale nasca, il falso dovrà scomparire,
cessare di esistere. E queste sono idee sbagliate: pensare che tu sei,
che sei un’anima, atma, Brahma. Non è che tu non sia, è solo che
queste idee sono sbagliate.

Gurdjieff ha sottolineato con fermezza il fatto che in te non esiste
anima. Ripeteva, contro ogni tradizione: “L’uomo non ha un’anima.
Quest’ultima è una semplice possibilità: può essere o può non essere.
Va conquistata. Tu non sei al­tro che un seme”.

Questa enfasi è giusta. Esiste una potenzialità, una possi­bilità, ma
deve ancora realizzarsi. Eppure noi leggiamo la Gita, le Upanishad, la
Bibbia e continuiamo a pensare di es­sere l’anima; il seme crede di
essere l’albero. L’albero è na­scosto nel seme, ma deve ancora essere
scoperto. Ed è bene ricordare che potresti restare un seme, morire
come tale; in­fatti, l’albero non può crescere, spuntare da solo. Devi
fare consciamente qualcosa perché accada, infatti esso cresce so­lo
grazie alla consapevolezza.

Esistono due tipi di crescita. Uno è inconscio: la crescita naturale.
Se la situazione è propizia, quella crescita avverrà. Ma l’anima, l’
atma, l’essere intimo, il divino dentro di te, è un tipo di crescita
del tutto diverso: si sviluppa solo attra­verso la consapevolezza; non
è naturale, ma soprannaturale.

Lasciato alla natura, non crescerebbe; abbandonato semplicemente
all’evoluzione, non evolverebbe mai. Devi fare qualcosa
consapevolmente, devi fare uno sforzo conscio, perché esso cresce solo
attraverso la consapevolezza; allor­ché essa è focalizzata su quel
punto, la crescita accade. Queste tecniche servono a renderti più
consapevole.

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