Zen: La trasmissione del Dharma

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Zen: La trasmissione del Dharma

(di Maurizio Anshu Ferro)

L’insegnamento dello Zen non passa attraverso la parola, ma attraverso un
incontro personale che tocca il cuore. E’ così che, secondo la tradizione
buddhista, si trasmette la conoscenza.

Tutto ha origine quel lontano giorno di venticinque secoli fa quando Buddha
Shakyamuni, di fronte a cinquemila uditori, senza proferire parola, solleva
davanti a sé un fiore.

Solo uno tra i molti comprende il significato di quel semplice gesto e
sorride. E’ Mahakashapa, il discepolo a lui più vicino.

Inizia così ciò che nello Zen si chiama il Tramandamento, la Trasmissione e
l’originalità di questo episodio sta proprio nella assenza di ciò che
ordinariamente noi crediamo sia lo strumento fondamentale per la
trasmissione di un insegnamento: la parola. Si dice che il Buddha spesso non
proferisse parola, lasciando che si stabilisse tra lui e chi lo ascoltava
una profonda e sottile corrente di pensiero, un pensiero originale e
originario, non concettuale. Solo uno tra i cinquemila uditori comprese quel
pensiero, Mahakashapa, che divenne così il primo patriarca dello Zen. Nella
tradizione Zen questo tipo di comunicazione è elemento essenziale per la
comprensione dell’insegnamento di un Maestro. Lo Zen è incontro personale
con qualcuno, con una persona che, spesso inspiegabilmente, convince, è
toccare il cuore perché spesso l’incontro è uno sguardo d’intesa, un sorriso
appena accennato, la semplicità di un gesto, una parola appena proferita.

La persona che noi incontriamo la chiamiamo Maestro perché riconosciamo in
lui l’appartenenza a una precisa tradizione che trae la sua origine da
Shakyamuni, il Buddha storico.

Nel momento in cui Mahakashapa sorride vedendo il fiore sollevato dal
Buddha, tra i due si stabilisce una intesa talmente profonda da rendere
superflua ogni altra speculazione verbale. E’ ciò che in giapponese si dice
“I Shin Den Shin”, da mente a mente, da cuore a cuore. I due cuori e le due
menti per un istante si incontrano ed è molto difficile comprendere la
natura di questo incontro perché tocca le corde più intime e nascoste della
coscienza.

In alcuni sutra questo tipo di relazione è paragonata all’ Incontro di due
frecce in volo, un evento speciale, altamente improbabile ma assolutamente
possibile, un evento che, quando si verifica, trasforma la vita di un uomo.
E’ in quest’ambito che lo Zen opera, e cioè nella relazione. Ciò che importa
non sono i due soggetti perché, se si considerasse l’uno, inevitabilmente si
finirebbe con l’escludere l’altro. Ciò che è fondamentale è la relazione tra
i due, ciò che li unisce e questo trascende i singoli soggetti.

Per comprendere il Buddhismo, occorre sempre rifarsi alla tradizione,
percorrere a ritroso il cammino intrapreso per arrivare al momento fondante
da cui tutto ha origine. Nel Buddhismo e, in particolare nello Zen, questo
evento fondante è il risveglio di Buddha che, seduto in meditazione sotto
l’albero del Bodhi (dell’illuminazione) è determinato a scoprire l’origine
del dolore umano.

Da quel momento generazioni di Patriarchi e di Maestri hanno trasmesso il
Dharma ovunque fino ai giorni nostri. Rifarsi alla tradizione significa
stabilire un ponte temporale tra l’istante presente e l’evento fondante
ovvero attualizzare in ogni momento quell’ unico significativo episodio che
ci fa essere qui e ora. E’ un costante salto indietro nel tempo che si
manifesta inconsciamente, naturalmente, è un ritorno alla condizione normale
del corpo e dello spirito, come affermava Taisen Deshimaru Roshi, grande
Maestro Zen che per primo ha portato lo Zen in occidente.

L’origine del Buddhismo viene di consuetudine attribuita al Buddha storico,
Shakyamuni, ma in realtà l’inizio è ben più remoto nel tempo, risale a molte
ere precedenti, ben sette Buddha l’hanno preceduto. Ciò che si rivela a
Shakyamuni è l’origine del dolore, le cause che lo fanno sempre presente
nella nostra vita, ma anche la via per la sua estinzione.

E’ il Dharma, l’origine di tutte le cose, la loro vera natura. Non si tratta
di una meta raggiunta ma semplicemente una apertura della mente a ciò che da
sempre è, immoto nel tempo. La vera meta è sempre al di là di ciò che noi
pensiamo e, proprio per questo, non è mai raggiunta. Ogni limite di tempo e
spazio è trasceso, ma quando noi pensiamo di aver compreso, automaticamente
poniamo dei limiti a ciò che è universale. Nello Zen si dice “sali su un
lungo palo e, quando sei in cima, fai un passo in più”. Questo passo in più
è importante, ancor più dell’intero percorso.

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