Universo quantistico

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Universo quantistico (parte II)

di: Alessio Mannucci – ecplanet.net

Gabriel Yulaw, ex agente del Multiverse Bureau of Investigation, la sezione investigativa del
“Multiverso”, attraversa 123 universi dando la caccia alle sue “vite alternative”. Ogni volta che ne
uccide una, i suoi alterego superstiti ne assorbono l’energia, acquistando poteri soprannaturali.
Eliminando “se stesso” in ogni universo, Yulaw persegue con furia omicida il suo obiettivo finale:
essere l’unico.

Il doppio di Yulaw, meglio conosciuto come Gabe, è l’ultima forma di vita alternativa che lo separa
dal suo obiettivo finale. Marito ideale e onorato veterano del Dipartimento Sceriffi della Contea di
Los Angeles, Gabe vede sconvolta la propria vita quando Yulaw, braccato dalla polizia del
Multiverso, entra nel suo universo. Per salvarsi, non gli basterà eliminare il suo doppio…

(“The One”, James Wong, 2001)

David Deutsch e colleghi della University of Oxford hanno presentato le equazioni chiave della
meccanica quantistica che descrivono la matematica degli universi paralleli. “Si tratta di uno dei
lavori più importanti nella storia della scienza”, ha detto Andy Albrecht, unfisicodella University
of California.

L’indeterminazione quantistica permette di prevedere solo la probabilità di misurare determinati
valori all’atto dell’esperimento. Secondo la meccanica quantistica, le particelle non osservate sono
descritte come “funzioni d’onda” o “onde di probabilità”, perché rappresentano una serie di stati
probabili (la dualità onda-particella è una caratteristica fondamentale, ndr). Quando un osservatore
fa una misurazione, in qualche modo determina la natura corpuscolare della particella che si
posiziona secondo una delle multiple opzioni. Il team di Oxford guidato da David Deutsch ha mostrato
matematicamente come la natura probabilistica degli esiti quantistici può spiegare la struttura
multiversale degli universi paralleli.

Secondo Deutsch, che è uno dei padri della computazione quantistica, la possibilità di realizzare
computer quantistici costituisce la prova sperimentale dell’esistenza di una iper-struttura
cosmologica “multiversale”. Per “multiverso” si intende un insieme di universi alternativi al di
fuori del nostro spazio-tempo, spesso denominati dimensioni parallele o universi paralleli, che
nascono come possibile conseguenza di alcune teorie scientifiche, o fanta-scientifiche, come la
teoria dell’Inflazione eterna di A. Linde o quella secondo cui da ogni buco nero esistente
nascerebbe un nuovo universo, ideata dal fisico Lee Smolin (le dimensioni parallele sono contemplate
in tutti i modelli correlati alla teoria delle stringhe).

Il nostro universo è nato per effetto di costanti naturali fissate al tempo del Big Bang, come la
carica dell’elettrone o la velocità della luce, straordinariamente calibrate per favorire la nascita
del mondo in cui viviamo. Se la gravità fosse stata leggermente più forte, le stelle avrebbero
bruciato il loro combustibile nucleare in meno di un anno. Se invece la forza che tiene uniti gli
atomi fosse stata più debole, gli astri non sarebbero neanche esistiti. Insomma, la vita
nell’Universo, e in particolare sulla Terra, è il risultato di circostanze così specifiche e di
condizioni così restrittive, da essere considerato di per sé un evento altamente improbabile
(principio antropico). Ammettere che si formino di continuo interi universi, ognuno con
caratteristiche del tutto casuali, aumenterebbe la probabilità statistica che, tra i tanti, possa
nascere un Universo con le condizioni giuste per generare l’uomo così com’è. Questa è l’idea del
“multiverso” o universo quantistico.

Lee Smolin ha addirittura azzardato una teoria sull’origine e l’evoluzione degli universi in termini
di selezione naturale. Secondo la sua teoria, ogni qualvolta che da un universo ne nasce un altro,
le leggi fisiche si modificano un po’, come avviene per gli esseri viventi. Così ci sono universi
che nascono e si estinguono in breve tempo. Questa idea è basata sulla constatazione della meccanica
quantistica che a livello microscopico la particella è come se interferisse con una “controparte”,
invisibile, oscura, ma reale. Se queste piccole particelle hanno tutte una controparte, ne deriva
che anche gli oggetti più grossi hanno a loro volta una controparte. Queste due realtà potrebbero
non essere alternative, ma verificarsi entrambe: il minimo cambiamento nello stato di una particella
subatomica crea una biforcazione nella storia dell’Universo, generando una rete pressoché infinita
di mondi, tutti dotati di una propria concretezza.

Può darsi che esistano infiniti altri universi, e che fra gli altri mondi e il nostro avvengano
scambi, separazioni ed intersezioni che forse un giorno si riusciranno a rivelare. Le cosiddette
costanti universali, come la velocità della luce, forse non sono così costanti, né così universali.
Lo sostiene uno dei fondatori della teoria delle stringhe, Leonard Susskind, dell’Università di
Stanford (California). Il suo libro “Cosmic Landscape: String Theory and the Illusion of Intelligent
Design”, illustra il concetto di “multiverso”: l’universo in cui viviamo sarebbe solo uno dei tanti
universi che compongono il multiverso, ognuno con diverse costanti fondamentali.

La visione cosmologica convenzionale non permette di interpretare il nostro spazio (o spazio-tempo)
come immerso all’interno di qualcos’altro: lo spazio-tempo costituisce la totalità assoluta e
completa di ciò che esiste. Secondo la teoria delle stringhe, invece, il nostro spazio è immerso in
qualcosa di più grande: un volume multidimensionale (bulk) dove lo spazio-tempo in cui viviamo
rappresenta solo una piccola parte della totalità dell’universo (identificata con il bulk).

Il punto debole di questa affascinante teoria è sempre stata la verifica sperimentale: nessuno
finora è mai tornato da un universo parallelo, se non nei racconti fantastici. Secondo Susskind,
però, un indizio a favore della teoria potrebbe essere vicino: se i calcoli basati sulle
osservazioni astronomiche indicheranno che la curvatura dello spazio è negativa, cioè che lo spazio
non è né piatto né sferico, allora il concetto di multiverso diventerà molto più plausibile per i
fisici.

Tutto nasce dalla cosiddetta “interpretazione a molti mondi” della meccanica quantistica,
originariamente proposta da Hugh Everett III nella sua tesi di dottorato (“The Many-Worlds
Interpretation of Quantum Mechanics”), secondo cui ogni misura quantistica porta alla divisione
dell’universo in tanti universi paralleli quanti sono i possibili risultati dell’operazione di
misura (Deutsch è sempre stato uno dei maggiori sostenitori di questa teoria, ndr).

Nel 1957, Everett, studente di John Wheeler a Princeton, propose una nuova interpretazione della
meccanica quantistica che, nonostante le sue implicazioni sorprendenti, non suscitò grande interesse
fino a quando, dieci anni più tardi, non fu portata all’attenzione generale da Bryce DeWitt, che
coniò l’espressione “molti mondi” per descrivere l’idea principale. Everett aveva usato un titolo
più sobrio: “Formulazione a stati relativi della meccanica quantistica”. Un noto fisico fu spinto a
definirla «il segreto più custodito della fisica».

Everett non pubblicò altri articoli scientifici. Quando fu pubblicato il suo articolo, stava già
lavorando per il Weapons Systems Evaluation Group del Pentagono. Pare che fosse un fumatore accanito
e morì a poco più di cinquant’anni. La base dell’interpretazione di Everett è l’endemico fenomeno
dell’entanglement quantistico. Per sua stessa natura, l’entanglement si può avere soltanto nei
sistemi composti (che consistono di due o più parti). L’elemento essenziale dell’interpretazione dei
molti mondi, cosi come la si intende quasi universalmente oggi, è che l’universo può e deve essere
diviso in almeno due parti – una parte che osserva e una parte che è osservata.

Everett desiderava trovare un’applicazione delle proprie idee nel contesto delle teorie del campo
unificato, «dove non è possibile supporre di isolare gli osservatori e gli oggetti. Sono tutti
rappresentati in un’unica struttura, il campo».

[…] La grossolana contraddizione tra un universo quantistico statico e la nostra esperienza
diretta del tempo e del movimento fu individuata chiaramente da DeWitt, che accennò alla sua
soluzione nel 1967: sono le correlazioni quantistiche che, in qualche modo, devono dar vita al
mondo. L’idea centrale di DeWitt è che si possano descrivere e dunque prevedere le correlazioni di
un mondo che in effetti si evolve, in modo classico o quantistico, nel tempo. Sono passati circa
quindici anni prima che i fisici, e comunque soltanto alcuni, iniziassero a prendere sul serio
l’idea. La verità è che la maggior parte degli scienziati tende a lavorare su problemi concreti
nell’ambito di programmi consolidati: pochi si possono permettere il lusso di tentare di creare un
nuovo modo di considerare l’universo. Un problema particolare in tutto quel che riguarda la
gravitazione quantistica è che al momento attuale è assolutamente impossibile effettuare prove
sperimentali dirette, poiché le scale a cui si prevedono effetti osservabili sono troppo piccole
[…],

(Julian Barbour, “La fine del tempo La rivoluzione fisica prossima ventura”, Einaudi, Torino, 2003)

In sintesi: l’interpretazione dei molti mondi sostiene che ad ogni atto di misurazione corrisponde
una scissione del nostro universo in una miriade di universi paralleli, uno per ogni possibile
risultato del processo di misurazione. Deutsch ha descritto un esperimento in cui un osservatore può
sentirsi “come se fosse stato scisso in due parti di sé esistenti parallelamente allo stesso tempo
poi riunitesi per formare il suo sé attuale”.

Nella Teoria Quantistica dei Molti Mondi di Andrew Gray, l’intera storia cosmica è frutto di
selezioni spazio-temporali, con uguali probabilità per ogni selezione di essere assegnata ad ogni
possibile storia. Ogni intera storia cosmica verrebbe selezionata calcolando anche tutte le
possibili interferenze su livello microscopico. Per Henry Stapp, gli effetti quantici hanno una
grande influenza anche sul modo di operare del cervello, che può essere visto proprio come un
“computer quantico”.

Roger Penrose, in “La mente nuova dell’imperatore” e “Ombre della mente”, osserva che le leggi della
fisica conosciute non costituiscono un sistema completo e che l’intelligenza artificiale non potrà
mai eguagliare l’intelligenza dell’uomo. Penrose ipotizza che la consapevolezza umana potrebbe
essere il risultato di fenomeni quantistici ancora ignoti che avrebbero luogo nei microtubuli dei
neuroni e che rientrerebbero in una nuova teoria capace forse di unificare la teoria della
relatività di Einstein con la meccanica quantistica.

Max Tegmark, in uno scritto pubblicato sulla rivista Physical Review E, ha calcolato che la scala di
tempo di attivazione ed eccitazione di un neurone nei microtubuli è più lento del tempo di
decoerenza pari a un fattore di almeno 10.000.000.000. Nel luglio del 2007, Tom Gehrels della
University of Arizona ha pubblicato un articolo dal titolo “The Multiverse and the Origin of our
Universe”, in cui vengono suggeriti degli effetti misurabili dell’esistenza del multiverso.

Data articolo: ottobre 2007

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