MEDITAZIONE SHAMATA E VIPASSANA 1

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MEDITAZIONE SHAMATA E VIPASSANA 1

Un Commentario del Settimo Capitolo del Testo
IL TESORO DELLA CONOSCENZA
di JAMGON KONGTRUL, il Grande

Del Venerabile KENCHEN THRANGU RIMPOCHE
Traduzione di ALBERTO MENGONI

PARTE PRIMA: MEDITAZIONEE SHAMATHA

CAPITOLO I°: INTRODUZIONE ALLA MEDITAZIONEE

Questi Insegnamenti sulla Meditazionee derivano da un Testo
intitolato Il Tesoro della Conoscenza. Questo testo è chiamato Tesoro perché ha raccolto insieme informazioni dai Sutra e dai Tantra, presentandole in forma concisa. Esso contiene non soltanto i veri insegnamenti del Buddha, ma anche nozioni di grammatica, medicina, poesia, astrologia ed altro ancora. A causa della sua vasta mole di esposizioni, esso fu anche detto Il Testo che copre ogni Conoscenza.

Lautore del Tesoro della Conoscenza è stato Jamgon Kongtrul (1813-1899), che nacque da una famiglia molto povera. Appena nato, suo padre morì, quindi la sua famiglia rimase composta da lui stesso e da sua madre. A quel tempo vi era un sovrano molto potente che regnava sul territorio di Der-gé in Tibet, ed egli dovette sottomettersi a lavorare per quel re. Sua madre era solita dirgli: Qui, non cè modo di condurre un tipo di vita che non sia così dolorosa: è molto meglio se entri nel Dharma e diventi monaco. E molto meglio fare quello, che condurre una vita così. Quindi, sua madre lo spedì ad un monastero, ove fu ordinato monaco e tanto studiò da diventare infine un grande studioso. Egli divenne allievo del 9° Tai Situpa, Pema Nyingje Wangpo e fu un ottimo studente ed un bravo scrittore.

Il re di Dergé venne a sapere della sua bravura e gli propose di diventare suo segretario particolare, ma il suo maestro Pema Nyingje pensò: Se egli è soltanto un semplice monaco, il re sarebbe capace di prenderlo con sé come segretario e gli farà perdere tempo dietro problemi materiali. Se invece è un Tulku dichiarato (cioè un Reincarnato speciale, n. d.T.), allora il re non potrà averlo come segretario. Il problema era che egli doveva essere la reincarnazione di qualcuno, per essere un Tulku. Così, Pema Nyingje pensò che sarebbe stata una buona idea chiamarlo Tulku di Kongpo Pamden, che era stato un grande meditante. Perciò dette a Jamgon Kongtrul il nome di Kongpo Pamden Tulku, che fu poi accorciato in Kongtrul. Ecco come Jamgon Kongtrul ottenne il suo nome.

Così, Jamgon Kongtrul fu dichiarato un tulku e visse in una capanna su una grande rupe sopra Palpung. Questa rupe è chiamata Tsadra Rinchen Drak. Rinchen Drak significa Rupe Preziosa, o Rupe Gioiello e Tsadra si riferisce al Monte Kailash, che è un luogo assai sacro in Tibet. Questo luogo fu riconosciuto come molto speciale dal Terton Chojyur Lingpa e, quando si guarda il lato nord di questa rupe, si può vedere sulla roccia la forma della divinità Dorje Phurba (in Sanscrito, Vajrakilaya). Jamgon Kongtrul aveva la sua piccola casetta nel punto del cuore di questa forma del Dorje Phurba ed egli vi stava in ritiro meditando costantemente. Nella storia della sua vita, egli dice di aver vissuto qui solitario in uno stato di povertà, mangiando soltanto una sporta di Tsampa (sorta di verdure arrostite) e una sola caraffa di tè.

A quel tempo vi erano molti lignaggi nel Tibet alcuni con molti sostenitori ed altri con molti meno. Onde prevenire la loro scomparsa, Jamgon Kongtrul riunì gli insegnamenti di tutti questi lignaggi e li raccolse gradualmente in cinque testi, I Cinque Tesori, di cui Il Tesoro della Conoscenza è uno di questi. Però, poi egli scoprì che in un Sutra è detto: Verrà una guida, chiamata Lodro, che insegnerà i cinque tipi di conoscenza. La parola Tibetana Lodro significa intelligenza e questo era il vero nome di Jamgon Kongtrul. I cinque tipi di conoscenza sono quindi riferiti ai Cinque Tesori. Così Jamgon Kongtrul compose questi Cinque Tesori ed i più grandi eruditi hanno riconosciuto nella profezia del Sutra, proprio lopera di Jamgon Kongtrul.

Jamgon Kongtrul divenne linsegnante del quindicesimo Karmapa, Khakhyab Dorje, che ebbe grandi onorificenze. Nel Tesoro della Conoscenza vi sono insegnamenti ad ogni livello, compresi Sutra, Tantra e così via. Vi sono anche insegnamenti su ciò che si deve fare a ciascun livello, come si deve sviluppare la propria meditazionee a quei livelli, e così via.

– Perché si dovrebbe praticare la Meditazionee –

Questo capitolo comincia col rispondere alla domanda del perché si deve meditare. In Sanscrito, meditazionee si dice dhyana, ma il momento topico della dhyana è il Samadhi che, in Tibetano è reso con ting nge dzin. La sillaba dzin significa mantenere e la sillaba nge è un avverbio che rende tutto il significato con mantenere qualcosa fermamente, stabilmente, quindi senza
movimento. Ciò significa che, durante la meditazionee, la mente non deve cadere sotto il potere abitudinario dei pensieri, oscurazioni o negatività mentali (klesha). Al contrario, essa deve rimanere completamente stabile e non oscillante. Samadhi è anche tradotto gom in Tibetano, che è simile al termine khom, che significa diventare abituato a fare qualcosa, in quanto diventa una parte di se stessi. E, infatti, la meditazionee è molto simile ad una familiarizzazione, dato che si deve continuare a meditare anche quando cè qualcosa che non va troppo bene. Si possono avere ostacoli e problemi, ma uno continua e abitua se stesso a meditare finché la propria meditazionee diventa facile e naturale. Quindi, tramite labitudine si diventa capaci di restare sempre nello stato meditativo.

Generalmente, Samadhi include Shamatha (in Tib. shinè, cioè calma mentale) e Vipashyana (in Tib. lhaktong, cioè visione profonda). Dopo aver ricevuto gli insegnamenti per questi due tipi di meditazionee, bisogna analizzarli con la propria intelligenza così da ottenere una definita comprensione di essi. Dopo aver ottenuto la comprensione dei loro significati, bisogna praticare e meditare, cosicché ciò che si è imparato diventa assorbito nella propria mente. Anche se uno crede di sapere molto sul Dharma, tutto ciò non sarà di alcun aiuto se non si comprende bene la meditazionee shamatha e vipassana. Ciò che è necessario fare è di meditare continuamente così che quello che si è compreso concettualmente diventi una effettiva parte di se stessi. Perciò ora andiamo prima ad esaminare la meditazionee.
Vi sono diversi livelli di comprensione: con lascoltare gli insegnamenti Buddisti si sviluppa la comprensione dellascolto; riflettendo su questi insegnamenti si sviluppa la comprensione della contemplazione. Queste due comprensioni non sono sufficienti a sviluppare la piena comprensione, perché si deve rivolgere la propria mente allinterno per ottenere la comprensione che deriva dalla meditazionee. Anziché focalizzare la propria mente allesterno, come si fa quando si ascoltano gli insegnamenti, per sviluppare la
comprensione meditativa si deve focalizzare la propria attenzione rivolta allinterno della mente stessa. Non cè molto beneficio nel focalizzare la propria mente allesterno (come si è abituati a fare nello stato ordinario), perché la mente viene imprigionata dai klesha (abitudini mentali fuorvianti) ed il solo modo per liberarsi dalla schiavitù dei klesha, è di rivoltare la propria mente allinterno per mezzo della meditazionee.

Jamgon Kongtrul porta due esempi che illustrano la necessità della meditazionee. Nel passato non vi erano fabbriche in Tibet, perciò egli porta lesempio di un agricoltore. Per essere felice e ben nutrito, un coltivatore deve seminare un campo, lavorare sodo e ricavare un buon raccolto. Ma, avere una buona messe nel campo non è sufficiente, egli deve raccoglierla e mangiarla. Similmente, solo ascoltare gli insegnamenti e rifletterci su non è sufficiente; uno deve meditare, così può disperdere la negatività della propria mente e sviluppare la saggezza interiore. Nel secondo esempio, tratto da Santideva, un dottore deve avere la conoscenza delle medicine e dellappropriata applicazione di quelle medicine, ottenuta grazie allo studio di libri medici. Ma, solo leggendo i libri medici non si potranno eliminare le malattie, per farlo si dovranno prendere le medicine indicate nei testi. Allo stesso modo, solo leggere e contemplare il Dharma non è sufficiente, perché ciò non domerà i klesha né calmerà la mente. Per sviluppare le qualità della saggezza, si deve praticare la
meditazionee. Praticare la meditazionee significa abituare se stessi alla meditazionee. Se la propria mente è felice ed in pace, nella nostra vita ordinaria, tutte le cose esterne appaiono piacevoli ed attraenti; se la propria mente è disturbata ed infelice, tutte queste cose esterne sembrano spiacevoli e ingiuste. Bisogna rendere la mente pacificata e felice per sviluppare la saggezza interiore e questo avviene con la meditazionee.

Abbiamo visto che in Tibetano, Samadhi (lo stato di meditazionee profonda) si dice ting nge dzin, ed è composto da due elementi shamatha e vipashyana. In effetti, vi sono un gran numero di meditazioni tecniche, ma tutte queste non sono incluse in queste due. Nel Sutra Spiegazione Definitiva della Retta Visione, il Buddha dice che vi è il samadhi degli Sravaka, cioè dei seguaci del Hinayana, vi è il samadhi dei Bodhisattva, cioè dei seguaci del Mahayana e vi è il samadhi dei Tathagata (tutti i Buddha), i quali hanno seguito la meditazionee fino al suo completamento. Tutti questi possono essere inclusi nei due tipi di samadhi cioè shamatha e vipashyana. Avendo compreso che ogni meditazionee proviene da shamatha e vipassana, uno dovrebbe prepararsi ad eseguire queste meditazioni e dovrebbe anche cercare le istruzioni per poterle praticare. Lo scopo della pratica shamatha e vipashyana nellHinayana è quello di ottenere la felicità e svariate altre qualità speciali. Nel Mahayana lo scopo della meditazionee è di beneficiare tutti gli esseri, perciò questa visione ha un più vasto punto di vista e richiede una più grande motivazione, ecco perché il Mahayana è chiamato Il Grande Veicolo.

Nel Buddismo i risultati del Hinayana e del Mahayana arrivano dalla pratica di shamata e vipassana. Anche lottenimento della felicità di tutti i giorni è il risultato di queste due meditazioni. Thrangu Rimpoche ha viaggiato estesamente in Europa e Nord America e durante questi viaggi numerosi individui gli hanno riferito i loro problemi personali: problemi mentali, fisici ed affettivi, nonché linfelicità dei loro rapporti sociali e di lavoro. La risposta, comunque, alla moltitudine di questi problemi è stata sempre la stessa: rendere la propria mente calma e pacificata e sviluppare le proprie comprensione e saggezza. Perciò, la felicità mondana ordinaria e la prosperità arriveranno sicuramente con la pratica di Shamatha e Vipashyana. Il Sutra che abbiamo nominato dice ancora che la radice del successo nei propositi di tutte le nostre attività mondane e spirituali è la meditazionee di S. e V. Questo Sutra consiste nei dialoghi del Buddha e di Maitreya, sotto forma di domande e risposte. In esso, il Buddha dice a Maitreya che qualsiasi qualità mondana e spirituale posseduta dagli sravaka, dai bodhisattva e dai Tathagata tutte sono la risultanza di S. e V. Questo spiega limportanza di shamatha e vipassana, in quanto esse sono la radice di tutte le meditazioni. Sapendo questo, uno dovrebbe sviluppare un grande interesse nel praticare questi due tipi di meditazionee.

La Natura essenziale di Shamatha e Vipashyana

Shamatha è in realtà la mente che rimane unidiretta su un oggetto, in modo che non sorgano troppi pensieri e la mente divenga ben stabile e calma. La mente resta in pace, perciò shamatha vuol dire essere in pace. Ma, mantenere semplicemente la mente univoca non è una meditazionee completa perché, nel vero shamatha, loggetto che deve essere focalizzato dovrebbe essere qualcosa di positivo. Un oggetto negativo porterebbe sicuramente a creare pensieri passionali, aggressivi, ovvero lignoranza che sorgerebbe nella mente causerebbe lincapacità della stessa mente a restare calma sullo stesso oggetto. Restando su qualcosa di genuinamente positivo, si permette alla mente di restare in pace. Shamatha è lo stato che previene il sorgere di così tanti pensieri, però non si dovrebbe pensare che esso sia uno stato di non-pensiero come se si fosse una pietra. La meditazionee shamatha non è così. Nella meditazionee shamatha la mente è davvero calma e stabile ed è anche assai chiara, cosicché può distinguere e discriminare tra tutti i fenomeni e vedere ogni cosa in modo molto distinto. Questa chiarezza è chiamata vipashyana o insight- visione interna, e viene sviluppata grazie a shamatha.

La natura o identità di shamatha è descritta nel Sutra Nuvole di Gioielli. Esso dice che, se la propria mente ha troppi pensieri, non si è in grado di focalizzarla sulloggetto della propria attenzione. Perciò, se la mente cerca di focalizzarsi su un oggetto positivo, questo non può essere trattenuto a causa della distrazione derivante dai pensieri. Se la mente può focalizzarsi univocamente senza il disturbo dei pensieri, allora si ha la meditazionee shamatha. Il Sutra dice anche che vipashyana ha la chiarezza della comprensione in cui ogni cosa è vista chiaramente e distintamente; il relativo è visto come relativo, lassoluto come assoluto. Quindi la vera natura delle cose è vista come è e questo è ciò che si intende con vipashyana.

Un commentario su questo Sutra fu composto da Vasubandhu, che fu un grande maestro dellAbhidharma. Vasubandhu disse che nel genuino shamatha la mente è capace di restare nella mente. La mente diventa così rilassata che è in grado di restare in se stessa, restando proprio come essa è nel modo non distratto dai pensieri. In Tibetano distratto si dice yeng wa che significa essere spazzati via. La parola distratto contiene poi in questo contesto un esempio: come essere portati via senza alcun controllo, da un fiume in piena. Allo stesso modo, la propria mente che non può restare ferma, è proprio portata via dai pensieri. Se la mente resta stabile nella mente, essa resta proprio lì dovè e rimane ferma, pacificata e rilassata. Il Sutra Nuvole di Gioielli dice ancora, Shamatha è la mente uniforme e il commentario di Vasubandhu spiega, Shamatha è la mente che resta nella mente e Vipashyana è la discriminazione dei fenomeni, intendendo dire che tutte le cose appaiono molto
chiaramente distinte una dallaltra, e questa è la natura di Vipashyana. Quindi, con shamatha e vipashyana si ha il genuino stato di meditazionee con la mente che resta nella mente e con la capacità di distinguere tutti i fenomeni. Senza shamatha e vipashyana non si può avere un genuino samadhi o stato meditativo.

Il terzo testo citato da Jamgon Kongtrul ci viene da Kamalasila con questa piccola storia: – Nellottavo secolo, Santaraksita arrivò in Tibet per insegnare gli stadi della meditazionee. Grazie alla sua chiaroveggenza egli sapeva che sarebbe morto presto. Perciò, prima di morire, disse, Vi ho dato questi insegnamenti ma, in futuro, potranno esservi problemi e le cose potrebbero andar peggio. Quando ciò accadrà, invitate il mio allievo di nome Kamalasila dallIndia. Egli sarà in grado di spiegarvi la meditazionee e rimuovere ogni errore di interpretazione che dovesse sorgere. Questo fu il suo ultimo desiderio, dopodiché egli lasciò il corpo.
Quindi, un monaco Cinese di nome Hashang-Mahayana, arrivando in Tibet dalla Cina, disse: Voi avete ricevuto questi insegnamenti da Santaraksita, ma essi sono adatti solo per il sentiero graduale. Questo non è un sentiero profondo, anzi è molto difficile da concludere e richiede tempi lunghi. I miei insegnamenti sono la Via Istantanea, che è più facile e rapida della Via graduale. Se un pensiero, buono o cattivo, si forma nella mente, ciò non fa nessuna differenza. Sia una nuvola bianca che una nuvola nera, entrambe oscurano il sole. Se si viene morsi da un cane bianco, si avrà il segno dei denti tanto quanto se si viene morsi da un cane nero. Se sorge un pensiero positivo, ciò non è il bene; e così, se sorge un pensiero negativo, non è il male.

Piuttosto si deve restare in uno stato in cui non vi sia alcun qualsivoglia pensiero. Quindi, egli dette questi insegnamenti e la gente del Tibet divenne confusa e non sapeva più quale era il giusto o lerrato modo di meditare. Allora essi ricordarono ciò che aveva detto Santaraksita e invitarono Kamalasila dallIndia per chiarire ciò che non capivano.

In effetti, non vi era nulla di sbagliato negli insegnamenti di Hashang, salvo il fatto che questi insegnamenti non includevano, nelle sue spiegazioni, lo sviluppo di amore e compassione, nonché
laccumulazione di meriti grazie alle buone azioni. Nel suo sistema, si deve soltanto bloccare ogni pensiero e meditare. Quando Kamalasila arrivò in Tibet volle rendersi conto se Hashang era intelligente o meno perché, se non era intelligente, non ci sarebbero stati motivi per dibattere con lui. Alle spalle del monastero Samyé, in Tibet, vi è il grande fiume Tsangpo che, in realtà, è la parte superiore del Fiume Brahmaputra. Questo è un fiume davvero molto largo e Kamalasila si mise su una sponda del fiume mentre sullaltra si mise Hashang. Per determinare quanto fosse intelligente il suo avversario, Kamalasila prese il suo bastone e lo fece roteare tre volte sopra la sua testa. Questo, simbolicamente, voleva significare la domanda. Da dove vengono i tre reami del samsara?-. Siccome Hashang Mahayana era intelligente, sollevò le sue due mani, che erano coperte dalle maniche del mantello. Ciò valeva come risposta per dire, – Essi provengono dallignoranza che si aggrappa al dualismo di percipiente e
percezione -.

Appena Kamalasila vide la sua risposta, programmò il dibattito che fu tenuto al monastero Samyé. Il re del Tibet presiedette al dibattito e portò delle ghirlande di fiori, che sarebbero state donate al vincitore. Il re disse che prima era arrivato il mahapandit
Santaraksita per dare insegnamenti sulla meditazionee; più tardi era venuto Hashang e aveva dato insegnamenti che non erano uguali a quelli di Santaraksita. Infine egli disse: Io sono soltanto un essere ordinario e non posso dire quale dei due metodi è quello corretto, perciò avremo questo dibattito in cui voi vi farete domande lun laltro. Chi di voi perderà il dibattito, dovrà dare queste ghirlande allaltro che avrà vinto e quindi può garbatamente accettare la sconfitta e ritirarsi serenamente senza affanno o risentimento. Dopodiché essi tennero il dibattito, facendosi domande lun laltro e dando le risposte che ritenevano valide; alla fine Hashang rinunciò al dibattito e presentò le ghirlande a Kamalasila, riconoscendo così che il metodo di meditazionee di Kamalasila era quello più corretto. Di conseguenza, Kamalasila dette i suoi insegnamenti sulla meditazionee, che si possono trovare nel suo Livelli di Meditazionee del Madhyamika (la Via di Mezzo). Nel Tesoro della Conoscenza, la spiegazione di shamata e vipashyana segue gli insegnamenti di Kamalasila (1). Il secondo volume sugli Stadi della Meditazionee di Kamalasila, descrive la natura della meditazionee shamatha. In shamatha, la mente è costantemente focalizzata allinterno, quindi diventa assai pacifica e anche tutte le distrazioni esterne sono pacificate. Lostacolo alla meditazionee shamatha sono le distrazioni che provengono dallesterno come oggetti visti, suoni, odori, ecc. Lo sviluppo di shamatha avviene quando la mente è costantemente rivolta allinterno e resta poi stabile in questo stato. Kamalasila dice che vi sono due
caratteristiche che sorgono da shamatha; la prima è la gioia e lattrazione per shamatha perché si sente che è importante e la si fa naturalmente a causa di uno stato di letizia; la seconda è un aspetto chiamato attrazione totale. Questo significa che non si è combattuti da pensieri e distrazioni, perché la propria mente resta stabile su ciò che si desidera, senza alcun conflitto. Kamalasila dice che queste sono le due qualità della meditazionee shamatha.

In sintesi, quando si raggiunge shamatha, non si sperimentano più stati di offuscamento o stupidità. Quando shamatha è sviluppata, si elimina la distrazione dei pensieri e questo fatto spinge a vedere le cose più chiaramente e distintamente, di modo che si instauri vipashyana. Ecco come Kamalasila descrive la natura di shamatha e vipashyana.

– Etimologia –

La parola Sanscrita Shamatha fu tradotta in Tibetano col termine Shiné, che è letteralmente la traduzione delle due sillabe sha-ma in shi-wa (cioè: pace) e la sillaba tha in né-pa (che significa stabilità, o stasi). Nel contesto, tutto ciò significa che quando la mente è sopraffatta dai pensieri di rabbia, tristezza, rincrescimento o brama, essa è totalmente distratta. Ma in shamatha la mente è molto rilassata e a suo agio, senza difficoltà o avversione. La mente è ferma e pertanto questo è uno stato di pace. Dunque la mente non è coinvolta in attività forzata o in disagi, ma è stabile in uno stato di pace spontanea. Vi sono diversi tipi di samadhi o stati meditativi, ma la meditazionee shamatha è la base di tutti gli stati meditativi in cui la mente è uniformemente stabilizzata e rimane completamente focalizzata su un oggetto di meditazionee.

La parola Sanscrita Vipashyana è divisa anchessa in due parti, di cui la prima parte vi (riduzione di vishesa) significa speciale, superiore o particolare; in Tibetano essa si rende con lhag (speciale). La seconda parte della parola è pashyana che significa vedere o guardare ed in Tibetano si traduce con tong. Pertanto lintera parola Vipashyana (Lhak-tong in Tibetano) significa guardare in profondità le cose, in un modo diretto, speciale, chiaro e particolare. Vuol dire anche guardare con gli occhi della Saggezza.

La necessità di utilizzare entrambi

Si potrebbe pensare di poter meditare solamente su shamatha o soltanto su vipashyana, senza utilizzarle insieme. Ma, di fatto, qualsiasi insegnamento Buddista si stia seguendo, si dovrà praticare insieme sia shamatha che vipashyana. Un esempio a ciò ci viene da una lampada a burro, che era usata in Tibet nellantichità, per illuminare loscurità. La luce di una lampada a burro è assai chiara e luminosa, ma per poter offrire questa luminosità essa deve essere tenuta ferma e riparata, e non farla ondeggiare o farla spegnere dal vento. Perciò cè bisogno di entrambe queste qualità una fiamma vivida e una stabilità della fiamma, per illuminare il buio. Se la fiamma non splende o viene spenta dal vento, le cose non potranno essere viste nel buio.

Allo stesso modo, per vedere la vera natura dei fenomeni, si deve avere una chiara comprensione o saggezza ed essere capaci di focalizzare la mente sulloggetto esaminato, posizionando la propria attenzione su di esso per tanto tempo quanto ne occorre. Se anche una sola di queste due cose manca, allora la vera natura delle cose non sarà percepita. È necessario possedere sia shamatha (la luce non ondeggiante) che vipashyana (la fiamma luminosa), poiché con entrambe insieme si ha totale libertà di focalizzarsi su qualunque cosa e si sarà in grado di eliminare tutti i pensieri negativi (klesha) che devono essere eliminati onde poter sviluppare la saggezza che bisogna far sviluppare. Se si pratica shamatha senza vipashyana, non si sarà in grado di comprendere la vera natura dei fenomeni; si avrà soltanto una stabilità di mente mentre è posizionata su qualcosa. È come quando si è in vacanza, si può sperimentare pace nel rilassamento, ma non si otterranno risultati conclusivi da ciò. Se invece si pratica vipashyana senza shamatha, non si sarà in grado di eliminare tutte le negatività che devono essere eliminate, perché vipashyana senza shamatha è instabile. Se anche si arrivasse alla comprensione di vipashyana, ciò potrebbe avvenire con una mente agitata e quindi quella sarebbe una ulteriore preoccupazione. Ecco perché è necessario praticare shamatha e vipashyana insieme; questo è stato affermato dal Buddha nei Sutra ed anche negli insegnamenti Vajrayana.

– LOrdine progressivo –

La prossima questione è se si deve cominciare prima con shamatha o prima con vipashyana o partire con entrambe subito. La risposta è che si deve partire con shamatha e poi si farà la pratica vipashyana, poiché shamatha è la base della meditazionee e vipashyana è basata sulla pace ottenuta con shamatha. Nellesempio della lampada a burro, shamatha è come lolio o il burro e vipashyana è come lo stoppino. Se non cè lolio o il burro per far ardere la fiamma, lo stoppino da solo non può durare a lungo; mentre se vi è lolio, la lampada potrà essere stabilmente accesa con una bella fiamma. Allo stesso modo, cè bisogno di stabilizzare prima la meditazionee shamatha e poi sviluppare la meditazionee vipashyana.

Nella Guida al Modo di Vita di un Bodhisattva
(Bodhisattva-caryavatara), Santideva dice che bisogna sviluppare la meditazionee vipashyana che è basata su shamatha che è pacificante dopo che ci si è completamente familiarizzati e abituati. Quando si possiede vipashyana, da una base di stabile shamatha, si sarà in grado di debellare e superare i klesha. Quindi, bisogna prima cominciare con la meditazionee shamatha. Santideva fu un grande erudito e Siddha Indiano che, benedetto da Manjusri, compose la Guida del Bodhisattva. In questopera egli descrisse tutte le Sei Perfezioni delle Paramità e, nel capitolo della perfezione della meditazionee, disse che lessenza di vipashyana è il vedere tutte le cose senza distrazione e con piena chiarezza. Questa saggezza discriminante
(Pratyaveksanaprajna) vede i fenomeni relativi come relativo e i fenomeni ultimi come assoluto e, in ciò, vede la vera natura di tutte le cose. Perciò, con questa saggezza discriminante si può vedere la reale, vera natura della mente, proprio così comè.

Ma prima di questo può avvenire che la nostra mente debba essere operabile. Ciò significa che, con la propria mente, si può fare ciò che si vuole se si desidera mandarla in qualche posto, essa vi andrà; se si vuole farla rimanere in qualche punto, essa vi resterà. Così è possibile avere il completo controllo della propria mente. Come lesperienza ci insegna, la nostra mente normalmente agisce come se appartenesse a qualcun altro – essa se ne va proprio girovagando qua e là da sola. Ecco perché dobbiamo avere il completo controllo sulla nostra mente, se vogliamo vedere la natura delle cose con la comprensione di vipashyana.

(NOTA AL CAPITOLO I°)

(1) Thrangu Rimpoche (a differenza di alcuni studiosi occidentali) non crede che gli insegnamenti di Hashang Mahayana fossero in qualche modo collegati al Buddismo Chan. Nei testi Tibetani non vi è descrizione di questi insegnamenti, ma alcuni Tibetani dicono che poteva trattarsi di nozioni della Tradizione Cinese che erano di moda in Cina; Rimpoche crede tuttavia che essi fossero qualcosa di particolare del monaco Hashang. Questi era il nome di un individuo, mentre Hashang è il nome riconosciuto di un maestro della tradizione del Dharma. (La storia dei 16 Arhat in Tibet, dice che questi 16 Arhat erano arrivati tutti insieme per fare miracoli e che il loro Patrono fosse Hashang). Altri studiosi descrivono il termine Hashang come simbolo della coscienza di base o Alaya, raccontando che si hanno le sei coscienze paragonate a sei bambini che ci infastidiscono andando in giro qua e là per tutto il tempo. Poi cè un vecchio saggio seduto ed i sei bambini gli saltano addosso non lasciandolo mai in pace. Quindi, questo Hashang o coscienza di base, è il vecchio saggio con tutte le sei coscienze (i sei bambini) che saltano intorno a lui, ma egli se ne sta seduto sorridente ed in pace. Perciò, qui vi è un simbolo per la coscienza di base che è imperturbabile e non turbata dalle sei coscienze personali; e Hashang è questo simbolo.

Vi è inoltre, un altro Hashang, molto simile alla storia Tibetana narrata nel testo. Egli era chiamato Hashang ed è stato dipinto iconograficamente mentre porta un grande sacco con sé. Egli fu una persona storica, un insegnante ed una emanazione di Maitreya che fece espandere moltissimo il Dharma in Cina. Questo Hashang, sembra molto essere quello dei 16 Arhat e, ovviamente, è totalmente diverso da Hashang Mahayana, il monaco che venne in Tibet ad insegnare la meditazionee.

(Nota del Traduttore Italiano = Han Shan , e non Hashang, fu il nome adottato dal Maestro Chan Tè Ching, che visse in Cina dal 1546 al 1623- Non si sa se la leggenda abbia voluto confondere queste due figure; resta il fatto che il Chan, pur essendo della stessa tradizione Mahayana, è pur sempre una Via Istantanea, quindi non graduale, proprio come è stato postulato in questo testo. Ma la Tradizione Cinese racconta i fatti in un modo diverso. Sembra che il Maestro Han Shan, dopo aver tentato di spiegare ai Tibetani il metodo della Illuminazione Istantanea del Chan, avendo visto la difficoltà di comprensione dei seguaci della Scuola Graduale, abbia ritenuto più consono e compassionevole abbandonare la disputa e lasciare la vittoria (fenomenica) a Kamalasila. E questo, se vogliamo, è una riprova ancor più valida della linea autentica, trascendente ma anche aderente al vero Dharma, del Chan Cinese.)

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