STATI ALTERATI DI COSCIENZA – 7

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STATI ALTERATI DI COSCIENZA – 7

da “Enciclopedia olistica”

di Nitamo Federico Montecucco ed Enrico Cheli

DROGHE E PSICHEDELICI

Droghe e psichedelici
Neurofisiologia degli stati alterati dl coscienza
di Nitamo Federico Montecucco

Interessandoci degli psichedelici (le sostanze che manifestano la mente) iniziamo uno studio, che
diventerà sempre più approfondito, sugli stati alterati di coscienza.

Di fronte al dilagare culturale e legislativo dell’incompetenza e della generalizzazione abbiamo
sentito utile un dossier che desse un differente punto di vista sull’argomento ‘droga’. Che cos’è
una droga? È legittimo accomunare a pericolose sostanze come l’eroina e la cocaina qualsiasi altra
sostanza che abbia un’attività sulla coscienza? Che differenza esiste tra droghe e psichedelici? E
perché mai dalla categoria droghe vengono costantemente omesse sostanze alquanto più dannose a
livello di salute pubblica come il tabacco, l’alcool e molti psicofarmaci?

Non desideriamo, per la linea che la rivista ha preso dal suo inizio, prendere nessuna posizione
politica ne tanto meno prendere le difese di una attualmente improbabile liberalizzazione; il nostro
apporto è, come di consueto, quello di fornire informazioni e punti di vista differenti e non
mediocri. La nostra posizione è fondamentalmente basata sul rispetto per ogni etnia, forma di
religiosità o di esperienza di ricerca umana, per quanto poco conosciuta e poco popolare essa sia.
Rispetto che talvolta richiede coraggio.

Che cos’è realmente una droga? Come devono essere lette le alterazioni degli stati di coscienza?

Nel nostro cervello le informazioni in arrivo e quelle già presenti in memoria possono essere
elaborate in differenti modi; queste diverse modalità, vere e proprie ‘vie nervose’ che collegano
differenti parti del cervello, dipendono in gran parte dai mediatori chimici. L’effetto pratico di
queste differenti vie di elaborazione è un diverso modo di vedere ‘la realtà’, una diversa
‘percezione del mondo’. Quindi variando la quantità relativa di questi mediatori chimici avremo,
come risultato automatico una nuova esperienza di come il mondo può essere visto e pensato. Alcune
sostanze, delle innumerevoli che alterano i meccanismi biochimici del cervello, creano una
dipendenza, un bisogno di continuare ad ingerire quella sostanza per attivare quella via di
percezione.

Questa è la ‘meccanica’ delle vere droghe come l’eroina, la morfina, il tabacco, la cocaina,
l’alcool, molti psicofarmaci, ma non dobbiamo scordare che l’identico effetto di alterazione della
coscienza e di dipendenza lo possiamo ottenere anche con il fanatismo sportivo o religioso,
l’esaltazione politica e ideologica, il sesso ecc.

È necessario tuttavia sottolineare che, per una corretta impostazione scientifica del problema, su
questa rivista quando parleremo di stati alterati di coscienza, ci riferiremo a stati psichici
modificati da sostanze o da tecniche particolari come la deprivazione sensoriale, la ripetizione di
suoni (preghiere o mantra), respirazioni modificate, ecc. Parleremo invece semplicemente di stati di
coscienza per indicare tutte le possibili variazioni della coscienza sperimentabili senza sostanze o
tecniche particolari come la veglia cosciente, gli stati più ‘bassi’ come, il sonno, il sogno fino
al coma, e gli stati più ‘alti’ o ‘espansi’ quali la lucidità, le ‘peak experiences’, la
meditazione, i satori e i samadhi. Certo stati non comuni ma, come sottolineano i maestri, la
‘Buddhità’, lo stato di illuminazione, sono la nostra vera natura a cui si accede ‘semplicemente’
riconoscendola come tale, senza agire (Wu Wei).

Ritornando agli stati alterati ritengo estremamente attuale e corretta sia dal punto di vista
etnologico che psicologico la posizione di Shiva, ‘autore’ ancora poco conosciuto in occidente ma
con un numeroso e affezionato pubblico in tutto il subcontinente indiano.

Gli Shivaiti, al pari di numerosissimi altri ordini religiosi e sciamanici che da millenni si
ritrovano in ogni autentica cultura, fanno uso di tecniche e sostanze per fini di sviluppo ed
evoluzione interiore. La posizione del divino Shiva è accorta e prudente, egli, al pari di Don Juan,
maestro di Castaneda, ritiene che l’uso di sostanze psichedeliche possa, al massimo, rappresentare
un inizio, una prima intuizione di apertura che andrà poi continuata con tecniche di consapevolezza,
trasformazione personale ed evoluzione spirituale attraverso la meditazione e l’attenzione.
Sicuramente esistono altre posizioni e altre vie di ricerca, che in parte ospitiamo in questo
dossier.

Il centro di gravità sembra comunque sempre essere la coscienza e i suoi stati, per noi di Cyber la
necessità di intravedere in questi vasti mondi di esperienze, delle linee di comprensione e di
ricerca sia sul piano scientifico ed epistemologico che sul piano dell’esperienza interiore per
fonderle in un’unica comprensione unitaria.

Estasi e sostanze allucinogene
di Antonio Bianchi

Parlare oggi di sostanze allucinogene e di estasi può dar luogo a numerosi equivoci. Innanzitutto
perché gli allucinogeni facendo parte della non meglio precisata categoria delle droghe sono
sostanze che hanno acquisito un’aura negativa e qualcosa di demoniaco e riprovevole. La realtà è che
probabilmente sull’argomento droga esiste oggi parecchia confusione e tale termine è diventato una
fatiscente categoria a cui ricondurre fenomeni e sostanze estremamente diverse fra loro in virtù di
un sensazionalismo che colpisce la fantasia di chi legge o ascolta, che corre subito ad immagini di
morte, desolazione ecc. Ma come noi si può parlare genericamente di farmaci mettendo sullo stesso
piano antibiotici, cardiotonici e tranquillanti così ogni tentativo di parlare dell’argomento droghe
è destinato ad implicare un grave errore di fondo qualora non si premettano delle importanti
distinzioni: oggi come oggi infatti con tale termine vengono indicate sostanze che sono per
struttura, farmacocinetica, tossicità, effetti comportamentali e fasce di consumo estremamente
diverse tra di loro e che, come tali, richiedono un approccio differenziato l’una dall’altra. Non si
tratta di essere pro o contro una eventuale liberalizzazione di alcune di tali sostanze, quanto di
sostenere un approccio basato innanzitutto sulla chiarezza e su un’ampia documentazione che per
altro, su alcune di tali sostanze, già esiste.

Fatta questa importante premessa ci accingiamo ora ad affrontare l’argomento “allucinogeni” ed in
particolare i loro effetti sulla coscienza di chi li consuma, in relazione ad eventuali alterazioni
che questi sarebbero in grado di indurre. Anche tralasciando le implicazioni sociali che tali
argomenti comportano, e che sono importantissime per i problemi etici che esse sollevano, lo
studioso che affronti tali argomenti si trova fin dall’inizio a considerare un problema di
definizione. Che cos’è in realtà un allucinogeno e perciò quali sostanze naturali o di sintesi
possono essere ricondotte sotto tale termine? La risposta è tutto altro che facile e lo testimonia
il vasto numero di termini che di volta in volta hanno goduto della predilezione dei vari esperti.
Un termine molto popolare negli anni 50 ed usato ancora da parte di certi ricercatori è
“psicomimetico” che implica che l’effetto della sostanza ricorda varie forme di psicosi di cui può
rappresentarne un fattore scatenante. Ovviamente tale termine implica una visione estremamente
riduttiva dei vari stati di coscienza per cui una volta stabilite le caratteristiche di uno stato di
consapevolezza che possa essere definito “normale” o “ordinario” qualsiasi deviazione da tale
parametro viene identificata come patologica o abnorme.

Su tale presupposto si, aprì negli anni 60 una lunga discussione da parte di intellettuali
fortemente politicizzati come T. Leary, ulteriormente alimentata dalla tesi di R. Laing secondo cui
i fenomeni schizofrenici possono in realtà riferirsi ad un viaggio mentale del paziente terribile e
doloroso ma potenzialmente illuminante ed evolutivo verso un’integrazione più avanzata della propria
personalità. La relazione tra schizofrenia, stati indotti da allucinogeni ed altre inusuali forme di
coscienza è ancora un problema aperto ma anche quelli che continuano ad usare il termine
psicomimetico sono generalmente d’accordo che l’effetto di queste sostanze è profondamente diverso
dalla schizofrenia. Tale termine è stato ben presto soppiantato dalla parola allucinogeni che è la
designazione usata attualmente anche in sede legale. Essa pone l’accento sulla distorsione
sensoriale e sull’incremento visivo che è uno degli effetti più rilevanti di alcune di queste droghe
anche a bassi dosaggi e fin dalle prime fasi dell’intossicazione. Vi sono comunque obiezioni anche
per questo termine. Riferendosi solo agli effetti percettivi si finisce con il sottostimare
l’importanza dei cambiamenti comportamentali e di pensiero.

Inoltre la parola allucinazione ha un significato piuttosto ristretto: essa viene usata per indicare
la percezione di oggetti immaginari come reali, fenomeno questo piuttosto raro con o senza droghe.
I1 termine in ogni caso è piuttosto “crudo” e non rende certo la complessità della percezione,
l’aumento di “significato” attribuito agli oggetti familiari, l’immaginazione ad occhi chiusi, le
visioni in uno spazio soggettivo e le distorsioni cinestetiche indotte da una sostanza come l’LSD.
Inoltre se le allucinazioni vengono definite come fallimenti del senso della realtà piuttosto che
come vivide e bizzarre impressioni sensoriali, queste droghe sono raramente allucinogene. In uno
studio sperimentale ad alcuni soggetti sotto l’effetto dell’LSD venne somministrata una scelta di
diciotto termini per descrivere la propria esperienza: allucinazioni risultò l’ultimo nella lista
delle preferenze.

Un altro termine introdotto nel 59 è stato “psicodislettici” che significa sostanze “che distorgono
la mente”: esso è stato molto popolare in Europa e in America Latina. Sebbene sia più comprensivo ma
anche più vago degli altri più o meno si presta alle stesse critiche. Infine va citato uno dei
termini più diffusi: “psichedelici” dal greco “psyche” (mente) e “delos” (chiaro o visibile).
Inventato dallo psichiatra Humprey Osmond in una lettera a Aldous Huxley nel 1956. Esso significa
letteralmente sostanze che “rivelano o manifestano la mente” e fu usato con entusiasmo negli anni 60
dai sostenitori di queste droghe che sottolinearono l’importanza religiosa di termini come
rivelazione e manifestazione. Da ciò ovviamente derivarono varie obiezioni all’uso del termine: che
era un mezzo di propaganda da parte dei sostenitori dell’uso delle droghe, che fraintendeva alcuni
aspetti dell’esperienza, che sovrastimava il significato delle droghe stesse.

Insomma che era l’idea centrale di un assurdo sistema intellettuale o comunque di una offensiva
visione del mondo. Per altri ora semplicemente il termine sbagliato usato dalle persone sbagliate
per lo scopo sbagliato. Dopo questa breve panoramica terminologica risulta chiaro che se esistono
tali problemi di definizione per quelle molecole che sono allucinogene in senso stretto (tipo LSD
per intenderci) ben maggiori saranno i problemi nel parlare di molecole il cui significato è molto
diverso. Forse una prima differenziazione può essere fatta a livello di struttura chimica: derivati
indolici (LSD, armala e armalina, ibogaina e triptamine come psilocina, psilocibina, DMT etc.)
fenilalichlmine che si dividono in feniletilamine (il cui unico rappresentante è la mescalina) e in
fenilisopropilamine o anfetamine (MDA, MDMA, DOM etc.), deliranti anticolinergici (atropina e
scopolamina), anestetici dissociativi (PCP, chetamina), e molecola che per la struttura chimica
fanno gruppo a sé come il muscimolo ed il THC.

Tutto ciò poco dice comunque su ciò che a noi maggiormente interessa e cioè gli effetti di tali
sostanze sullo stato di coscienza. Forse a tal ragione è molto più utile la classificazione di
Naranjo in: Visual -enhancers, (valorizzazione della visione) Feeling – enhancers (valorizzazione
della sensazione) Fantasy – enhancers (valorizzatori della fantasia). Tale classificazione si basa
sull’esperienza clinica dell’autore riassunta nel libro “The healing journey” e maturata sull’uso in
psicoterapia di diverse sostanze psicoattive di sintesi. Diversamente per quanto riguarda le
sostanze naturali e l’uso di piante allucinogene la cosa si complica notevolmente. I “Visual
enhancers” cioè le sostanze del tipo LSD o allucinogeni propriamente detti sono caratterizzati da
fenomeni preminentemente percettivi. Tali sostanze provocano la cosiddetta “esperienza psichedelica”
caratterizzata nei casi migliori da una combinazione di esperienza contemplativa, estasi ed
intuizione spirituale di varia profondità. L’aspetto contemplativo dell’uso dell’LSD è un sentimento
di distacco di tipo onirico nei confronti dell’oggetto delle proprie visioni. La parola onirico
rende male comunque il senso di tale esperienza in quanto si tratta di uno stato di iperlucidità più
che di obnubilamento (come invece awiene con l’Amanita muscaria).

Si tratta per così dire di “paesaggi mentali” in qualche modo associati con ricordi e/o fantastiche
ricostruzioni del passato. L’effetto di tali sostanze è infatti legato a fenomeni di regressione di
età, che sono stati studiati approfonditamente dallo psichiatra Stanislav Grof. La passività stessa
che caratterizza gli stati indotti da allucinogeni è in realtà un’esperienza-picco, uno stato
mentale privo di direzione che può essere interpretato come una de-differenziazione della mente
analoga, secondo alcuni autori, allo stato mentale proprio del feto. Nella sua forma più profonda si
tratta di un’estasi per così dire “oceanica” in cui il contenuto visionario è astratto piuttosto che
figurativo. Tale esperienze mistiche sono distinte da altre esperienze “religiose” in cui il
pensiero non è del tutto assente e le immagini ed i concetti dotati di un’esaltata, mistica o
superumana qualità vengono manifestati nelle visioni. In questo caso io parlerei di esperienze
“religioso-archetipali” che rappresentano in genere una forma parziale o comunque più limitata
dell’esperienza psichedelica.

La controparte negativa di tale esperienze giace secondo Grof in forme di “viaggi” definibili come
“infernali” la cui caratteristica di base è un senso di deficienza o inadeguatezza, in cui ogni
particolare oggetto o l’intero mondo diventano grotteschi, artificiali, oppressivi, orrendi ecc. Al
di là comunque della classificazione di Grof in inferno, paradiso e purgatorio già Kluver nel 1966
aveva tentato di fornire uno schema interpretativo dell’esperienza psichedelica basandola su alcune
“forme costanti” delle visioni sperimentate con l’uso della mescalina. La prima di tali forme veniva
indicata con termini come grata, (lattice, rete, filigrana favo). La ragnatela, io penso, può essere
vista, per dirla alla Jung, come mandala. La seconda forma costante scelta da Kluver è quella
definita tunnel, (imbuto, vicolo a cono, vaso). È chiaro che si tratta di una rappresentazione
formale di un’esperienza: il muoversi lungo un cammino esperienziale.

I1 tunnel può essere visto come la struttura mandalica di un campo di esperienze, con il sé al
centro, che si schiude nel tempo.

La terza forma di Kluver è la spirale, che evoca immediatamente il serpente, simbolo universale
della “forza della vita” o “kundalini”. Concluderei questa breve panoramica sugli allucinogeni
percettivi riproponendo le nove caratteristiche psicologiche dell’esperienza psichedelica proposte
in un celebre studio da W. Pankhe. Unità (coscienza e ricordo non sono perdute: invece la persona
diviene molto consapevole di essere parte di una dimensione più vasta e più grande), Trascendenza di
tempo e di spazio, Sentimenti positivi, Senso del sacro, Qualità noetica (un sentimento di
intuizione o illuminazione con una tremenda sensazione di certezza), Senso del paradosso,
Ineffabilita, Transitorietà e Cambiamenti persistenti negli atteggiamenti e nel comportamento.
Ovviamente tali caratteristiche potrebbero benissimo essere adatte per descrivere un’esperienza
mistica spontanea risoltasi positivamente. E del resto gli autori in un celebre esperimento (Good
Friday 1962) a doppio cieco somministrarono 30 mg. di psilocibina a venti studenti in teologia di un
college americano. I1 risultato fu che tali studenti riportarono fenomeni, per lo meno
apparentemente, indistinguibili, se non identici, a certe categorie della tipologia della coscienza
mistica.

La seconda categoria di droghe sintetiche analizzate da Naranjo sono i “Feeling -Enhancers” il cui
prototipo sono l’MDA e 1’MDMA che condividono con gli psichedelici del tipo LSD l’effetto di indurre
“esperienze spontanee di autoanalisi” ma nello stesso tempo differiscono da questi in quanto
comportano fenomeni percettivi molto più modesti senza viaggi in regni angelici o demoniaci. Essi si
limitano a provocare delle “peak experiences” che rimangono all’interno dei confini del mondo umano
L’MDMA ad es., di cui si sente oggi molto parlare come “estasi”, è una sostanza con modica attività
stimolante e parzialmente allucinogeno, in quanto si ha un incremento di immaginazione ad occhi
chiusi. La natura di questa immaginazione riflette comunque la tipica atmosfera interiore di un
feeling-enhancer, per cui non è né astratta né mitica bensì piuttosto realistica e relazionata a
persone più che ad immagini e ad oggetti. Sotto l’effetto di droghe come l’MDMA è stato detto che “è
più facile sentire ciò che uno sente e vedere le cose come sono” I’insight in questo caso, che può
influenzare profondamente l’intera vita dell’individuo, non consiste nella scoperta di alcunché di
remoto ma semplicemente in un emergere di una capacità, non influenzata dalla volontà, di vedere ciò
che è ovvio. Rappresenta cioè la scoperta di qualcosa che c’è sempre stato ma non è mai stato
riconosciuto. Sono ovvie le implicazioni di quanto andiamo dicendo sia da un punto di vista
terapeutico, sia da quello dello studioso di fenomeni estatici: più che di estasi in questo caso io
parlerei di “enstasi” ed il parallelo più che con le esperienze mistiche andrebbe fatto con il
satori del buddismo zen.

L’ultima categoria nella classificazione di Naranjo riguarda i “fantasy-enhancers” termine con cui
l’autore indica soprattutto sostanze come l’armalina e l’ibogaina. Già W. Turner nel 1964 coniò il
termine “oneirofrenico” per lo yagè, una mistura di piante allucinogene usate nella selva amazzonica
in quanto tale bevanda avrebbe il potere di “indurre dei sogni” (nel senso che acquisisce la parola
sogno presso l’ideologia sciamanica degli indiani amazzonici e cioè di “sogni senza sogni” – termine
da intendersi in senso lato come visioni, sogni lucidi ed immagini ipnagogiche). La principale
differenza tra questi alcaloidi e gli allucinogeni, a parte la preminenza di immagini oniroidi con
contenuti archetipici, consiste nella assenza delle distorsioni percettive, scarsa stimolazione
delle emozioni ed assenza di effetti psico o misticomimetici. Tali effetti sono comunque presenti
nell’uso della bevanda chiamata yagè o ayahuasca in Amazzonia in quanto essa contiene tra i suoi
componenti piante ad elevato contenuto di DMT, un allucinogeno di tipo percettivo. La differenza tra
l’uso di questa mistura e quello dell’LSD giace caso mai nella preminenza di effetti oneirofrenici e
nel tipico contenuto delle visioni stesse. Inoltre l’interesse di questi alcaloidi consiste nel
fatto che è stato dimostrato da Axelcod e Coll. che è possibile nel tessuto della ghiandola pineale
ottenere 6-metossiarmala (un composto a spiccata attività psicoattiva) dalla melatonina grazie ad un
enzima denominato HIOMT, la cui attività aumenta enormemente nell’epifisi stando in costante
oscurità per sei giorni. Questo ovviamente getta nuova luce sui cambiamenti fisiologici che si
possono avere in cervelli posti in situazioni di deprivazione sensoriale come in numerose pratiche
ascetiche. Il complesso di immagini che si ha nell’esperienza di yagè è tra l’altro estremamente
suggestivo di animalità, primitività, fisicità. Probabilmente ciò deriva da una stimolazione del
cervello rettiliano e suggestive di tali tesi sarebbero gli esperimenti condotti dallo stesso
Naranjo all’Università del Cile.

Tra le immagini di animali sarebbero predominanti quelle di grossi gatti, serpenti ed uccelli da
preda. Presenti in tali visioni sono anche numerose immagini di morte e rinascita quasi che
l’esperienza di una morte interiore sia in realtà la possibilità di una nuova vita: un distacco
dalla propria condizione oggettiva che conduce, non all’indifferenza, bensì ad una identificazione
del proprio sé con il corpo fisico verso immagini e sensazioni di fluttuare, di levitazione ed in
fondo di volo magico tanto importante nelle culture arcaiche. La parola ayahuasca infatti non a caso
significa “liana della morte” o “liana dell’anima” quasi che la morte del corpo rappresenti una
possibilità di liberare l’anima.

Questo discorso ci porta comunque molto più in là nel campo delle piante allucinogene, ove
subentrano variabili più importanti di quelle legate alla chimica ed alla storia personale di chi le
usa. Entriamo nella sfera della antropologia e dell’etnofarmacologia ove una classificazione come
quella sinora proposta perde significato. Mentre cioè da noi il back-ground culturale si è limitato
a fornire il mezzo interpretativo dell’esperienza allucinatoria nelle culture ove l’uso delle piante
allucinogene ha assunto significati di culto esso diventa strutturante dell’esperienza stessa. Ed
infatti nel nostro mondo si è sviluppata una cultura psichedelica non un culto: le esperienze
psichedeliche potevano al massimo essere interpretate o servire da mezzi interpretativi nei
confronti del mondo che ci circondava. Ma mai nessuno dei profeti della rivoluzione psichedelica ha
messo in discussione la realtà di tale mondo. Essi hanno creato una controcultura che ha cercato di
cambiare il mondo accettando tuttavia la sua realtà assoluta ed univoca.

Nelle culture sciamaniche del Sud America il back-ground culturale intorno a tali esperienze è
invece strutturante. Nella misura in cui la visione di una luce viene definita come uno spirito si
fornisce all’apprendista il mezzo per strutturare tutte le successive visioni nel corso della sua
vita. L’attribuzione di un significato ontologico e metafisico all’esperienza visionaria, il
contatto con il mondo degli spiriti, serve infatti a strutturare l’interpretazione della realtà per
cui questo mondo non è più il solo mondo esistente. Nasce cioè una visione del mondo basato
sull’assioma, comune a tutti i culti, che non esiste la sola realtà fisica, assioma comprovato e
verificato dal fatto che ogni realtà altra può essere contattata ogni volta che lo sciamano
ingerisce l’allucinogeno. Tale concetto è definito dal fatto che presso queste culture la “vera
vita” è quella del mondo percepito sotto l’effetto del mondo delle droghe ed il cammino dello
sciamano è in fondo un progressivo allontanarsi dal mondo ordinario degli uomini ed un assumere
lentamente l’identità del mondo degli spiriti quasi che sia possibile una transizione ontologica fra
le due realtà.

continua…

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