Malintesi estremisti sulla Bhagavad-Gita

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Malintesi estremisti sulla Bhagavad-Gita

di Caitanya Carana Dasa

Durante il fallito tentativo in Russia di mettere al bando la Gita come un libro estremista, su
Google e anche sui media apparve ripetutamente una domanda: ” La Gita è un libro estremista?”
Ricordando le molte voci che si opposero alla classificazione di “estremista”, ho scoperto che la
maggior parte di coloro che difesero la Gita, anche se con buone intenzioni, facevano appello
soltanto al rispetto per i sentimenti culturali e religiosi e per la libertà di parola. I loro
argomenti mancavano di un approfondimento intellettuale nei confronti della Gita stessa.

Di conseguenza mi sentii spinto a preparare un articolo che presentasse l’interpretazione
tradizionale e devozionale dellaGita e fosse sensibile agli interessi intellettuali contemporanei.
Sentivo che questo articolo non si sarebbe occupato soltanto delle attuali accuse di estremismo
rivolte alla Gita, ma avrebbe servito lo scopo più duraturo e universale di offrire una visione
della profondità della sua saggezza. Dunque procediamo.

Un Messaggio d’Amore

La Bhagavad-gita, lungi dall’essere un libro estremista, è un testo di saggezza e un messaggio
d’amore. Rivela l’amore di Dio per l’umanità; solo la nostra estrema distanza dall’amore divino ci
fa pensare che la Gita sia una letteratura estremista. Comprendiamo innanzitutto l’essenziale
messaggio d’amore della Gita e poi analizziamo alcuni dei suoi aspetti che possono sembrare
contraddire il suo messaggio e possono, se estrapolati totalmente dal contesto e male interpretati,
essere considerati come estremisti. Krishna inizia il Suo messaggio d’amore istruendo Arjuna: tutti
noi siamo anime, esseri spirituali (2.13), e abbiamo il diritto di gioire di un amore eterno con
Krishna, il Dio supremamente amabile e amorevole.

Tutti noi cerchiamo l’amore perduto, ma lo facciamo su un piano materiale intrinsecamente
temporaneo. La saggezza filosofica contenuta nella Gita sulla nostra eterna identità spirituale crea
una base durevole su cui possiamo costruire un edificio d’amore che gli attacchi del tempo non
saranno mai capaci di demolire. Nella Gita Krishna offre una concisa visione dei vari percorsi di
progresso spirituale: karma-yoga (il percorso dell’azione compiuta con distacco), jnana-yoga (il
percorso dell’analisi), dhyana-yoga (il percorso della meditazione) e bhakti-yoga (il percorso
dell’amore).

Nello stesso tempo in tutta la Gita Egli sottolinea, indica, afferma, asserisce e proclama che il
percorso dell’amore è il migliore (2.61, 3.30, 4.3, 5.29, 6.30. 7.1, 8.14, 8.22, 9.26-27, 10.9-12,
11.53-54, 12.6-7, 13.18, 14.26, 15.19, 17.26-27, 18.64-66). Nel corso della Gita le indicazioni
diventano sempre più esplicite; il segreto viene sempre più rivelato, fino al culmine dell’emozione
alla sua fine (18.64-66), quando Krishna svela il Suo cuore con una disarmante proclamazione di
amore e un’amichevole richiesta di amore. Perciò la Gita è sostanzialmente una rivelazione
dell’amore di Dio per l’umanità ed anche una richiesta d’amore affinché l’umanità reciprochi il Suo
amore.

Possibili Incomprensioni

Esaminiamo ora i tre aspetti della Gita a volte fraintesi: la sua ambientazione su un campo di
battaglia, la sua visione di Dio come distruttore e i suoi giudizi molto forti e diretti.

1. L’ambientazione della Bhagavad-gita su un campo di battaglia. A causa della sua ambientazione su
un campo di battaglia, la Bhagavad-gita a volte viene fraintesa come un richiamo alla violenza. La
Gita usa invece questa ambientazione per dimostrare che il suo richiamo alla trascendenza è pratico,
responsabile e dinamico. Vediamo in che modo l’ambientazione serva questi tre scopi:

A. La praticabilità della spiritualità: Molte persone pensano che la spiritualità appartenga a un
altro mondo e sia quindi poco pratica o irrilevante date le urgenti richieste pratiche di questo
mondo. Per andare incontro ai loro interessi, laBhagavad-gita consegna il suo messaggio spirituale
in un ambientazione tipica di questo mondo, che richiama la più urgente azione pratica: un campo di
battaglia. Mostrando come la sua saggezza spirituale conforti e potenzi Arjuna, un principe
responsabile in preda a una crisi sul campo di battaglia, la Gita illustra con vivacità l’universale
applicabilità dei suoi insegnamenti.

Se una persona su un campo di battaglia potesse avere il tempo di acquisire la saggezza spirituale
della Gita e la trovasse importante, pratica e fortificante, allora nessuno potrebbe dubitare della
praticabilità del messaggio della Gita e in nessuna circostanza sentire la necessità di relegare il
messaggio della Gita nella categoria delle “cose da fare dopo”.

B. La responsabilità sociale degli spiritualisti: Mentre la Bhagavad-gita offre un messaggio che può
guidare tutti in ogni circostanza verso la trascendenza, la pace e la soddisfazione, afferma che le
persone possono beneficiare del suo messaggio solo se l’ordine socio-politico prevalente sostiene
l’integrità morale e spirituale. Quando i capi di Stato sono moralmente e spiritualmente corrotti,
com’erano prima della guerra di Kuruksetra, è essenziale un’energica azione per prevenire che le
persone vengano sfruttate, abusate e rovinate. Le sezioni del Mahabharata che precedono la
narrazione della Gita descrivono con vivacità:

• Le numerose ingiustizie e atrocità commesse dai capi di Stato, i Kaurava.
• Gli sforzi ripetuti delle vittime, i Pandava, di ristabilire pacificamente la giustizia e la
moralità.
• Il rifiuto sdegnoso con cui i Kaurava avevano respinto tutti i tentativi di pacificazione rendendo
impossibile una soluzione pacifica.

Per le vittime di una pesante ingiustizia la Gita non ammette un ruolo di spettatori passivi che
riduca il nobile pacifismo ad impotente utopia suicida. Al contrario, la Gita sostiene un’azione
pragmatica risoluta per proteggere i fondamentali diritti dell’uomo. Che questa violenza dovrebbe
essere l’ultima espressione di tale determinazione – e in nessun caso nient’altro che l’ultima – è
chiarito dagli sforzi esaustivi per la pace che l’hanno preceduta.

Il fatto che alcuni campioni della non-violenza globalmente acclamati, compreso Mahatma Gandhi,
abbiano trovato ispirazione nel messaggio della Gita dimostra che la violenza non è la sua
indicazione più intima. Naturalmente, coloro che trovano sgradevole l’ambientazione sul campo di
battaglia hanno cercato di spiegarlo con termini metaforici, ma questa spiegazione contrasta con il
pragmatismo intrinseco che fa della Gita un messaggio di transcendenza così attraente. Consegnando
questo messaggio su un campo di battaglia, la Gita dimostra che anche coloro i quali ritengono che
le finalità supreme della vita siano di un altro mondo hanno la responsabilità in questo mondo di
contribuire a stabilire e proteggere la morale e il tessuto spirituale della società.

C. Le dinamiche interiori della spiritualità: L’interpretazione metaforica dell’ambientazione della
Gita non è sbagliata, ma trova la massima armonia con lo spirito complessivo della Gita, vista come
un supplemento – e non un sostituto – del suo contesto storico. In aggiunta alla realtà storica
della battaglia, l’ambientazione sul campo di battaglia rappresenta dunque la nostra coscienza
interiore, cioè la battaglia tra i desideri divini e quelli non divini. Tutti noi dobbiamo vincere
questa battaglia interiore se vogliamo avere un ruolo nel rinnovamento morale e spirituale della
società e impedire ai nostri attaccamenti non divini e ai nostri interessi egoistici di ledere le
nostre aspirazioni di integrità personale.

Anche se i nostri attaccamenti non divini superano le nostre aspirazioni divine, come nel caso dei
Pandava divini che lottano contro i Kaurava demoniaci, l’impostazione della Gita ci rassicura a
livello morale che quando armonizziamo i nostri desideri divini con la volontà di Dio, il Suo potere
supremo ci darà la forza di ottenere la vittoria interiore e il controllo di noi stessi. Per
riassumere, l’ambientazione della Gita su un campo di battaglia, se vista nel suo contesto storico e
filosofico, mostra che la Gita stessa è un richiamo non alla violenza totale ma ad un completo
attivismo spirituale.

2. La visione di Dio come distruttore. L’undicesimo capitolo della Gita descrive la forma universale
di Dio da cui emanano fiamme ardenti distruggitrici e divoratrici in tutte le direzioni. Sebbene
questa concezione di Dio possa sembrare brutale e malvagia, sottintende una verità sottile ma
essenziale: la distruzione e la morte che inevitabilmente caratterizzano il mondo non sono fuori
dalla giurisdizione di Dio. Dio, prima di tutto, non è il distruttore ma il restauratore; quando il
temporaneo si mette sulla via dell’eterno, come succede a tutti noi infatuati del temporaneo e
dimentichi dell’eterno, Dio distrugge il temporaneo per far avanzare l’eterno.

Inoltre, un’attenta lettura dell’intero capitolo undicesimo rivela la sua importanza essenziale.
Arjuna chiede di vedere la forma universale del Signore e terrorizzato alla vista della distruzione,
immediatamente cambia idea e chiede che gli venga mostrata una volta ancora la meravigliosa forma di
Krishna a due braccia. Come la capacità distruttiva della forma universale serve a dirigere Arjuna
verso la bellezza di Krishna, ugualmente la distruzione e la morte che assediano il mondo, come la
Gita c’insegna, possono servire a dirigere nuovamente il nostro cuore verso l’eternità e la bellezza
di Krishna.

3. Giudizi molto forti e diretti. Alcuni di noi possono restare turbati quando nella Gita trovano
parole che indicano giudizi forti: “sciocco” (mudha 7.25), “il più degradato degli esseri umani”
(naradhama, 16.17) e via dicendo. Per ottenere un’appropriata comprensione del perché questi termini
vengono usati li dobbiamo contestualizzare sul piano filosofico. I giudizi sul valore emergono dai
valori, che a loro volta provengono da una filosofia. Se andiamo oltre i giudizi di valore fino ai
valori e alla filosofia, spesso troveremo che la filosofia ha un senso di per se stessa e una volta
che comprendiamo la filosofia, troveremo che i suoi valori risultanti non sono così diversi dai
nostri.

Con questa struttura intellettuale i giudizi di valore diverranno perlomeno intelligibili, se non
accettabili. In altre parole, dobbiamo giudicare i valori prima dei giudizi sui valori. Guardiamo
perciò i valori e la filosofia della Bhagavad-gita oltre i giudizi sul valore. La Gita (14.4)
enuncia una visione del mondo notevolmente ecumenica, in cui Dio accetta come propri figli tutti gli
esseri viventi – non solo gli esseri umani, ma anche gli animali e le piante. Solo molto
recentemente la nostra correttezza politica ha cominciato a richiamare la nostra attenzione sui
diritti degli animali, ma migliaia di anni fa la Gitaconferiva a tutti gli esseri subumani (o più
politicamente corretto “gli esseri non umani”) il diritto spirituale di membri integranti ed eterni
della famiglia di Dio.

Inoltre, la Gita (4.7-9) afferma che Dio ama così tanto tutti i Suoi figli da discendere in questo
mondo – non una sola volta, ma periodicamente ancora e ancora. In più, con il suo universale e
accessibile messaggio di devozione la Gita (9.32-33) apre le porte della redenzione per chiunque,
senza tener conto della casta, del genere o di altre designazioni materiali simili. Molti eminenti
pensatori hanno apprezzato l’universalità e l’accessibilità del messaggio della Gita. Ecco per
esempio una citazione da Aldous Huxley: “La Bhagavad-gita è l’affermazione più sistematica
dell’evoluzione spirituale che conferisce valore all’umanità. Il suo valore duraturo non è destinato
solo all’India, ma a tutta l’umanità.” Ci possiamo chiedere: se laGita sostiene questi valori
elevati, perché dà giudizi molto forti?

La Bhagavad-gita presenta una visione del mondo aperta che unisce tutti i popoli senza tener conto
dei loro diversi valori, scopi e percorsi. Basandosi sul livello della loro evoluzione spirituale,
la Gita assegna a ciascuno una posizione opportuna in un continuum universale che si estende in
basso fino alla totale ignoranza spirituale e in alto fino alla completa realizzazione spirituale.
La Gita offre proposte di spiritualità adatte a ogni livello, in modo da ispirare e aiutare a salire
sempre più in alto nel continuum spirituale. La Gita ha vedute ampie, ma non vuote; non insegna in
modo vacuo che tutti i livelli di continuum spirituale sono gli stessi. Questa è la ragione per cui
la Gita (16.7-20) disapprova inequivocabilmente posizioni mentali e stili di vita che violino
l’integrità spirituale di una persona spingendola verso il basso del continuum spirituale.

La Gita considera l’ateismo non una qualità intrinseca dell’anima, ma un’infezione esterna acquisita
da contatti malsani. Secondo la Gita l’ateismo è una malattia per l’anima, facilmente e totalmente
curabile con la terapia del servizio devozionale. La Gita non considera uguali una persona
gravemente malata e una in piena salute, perché questo condannerebbe la persona malata ad esserlo
per sempre e cambierebbe una lodevole apertura mentale in un deplorevole vuoto mentale. I giudizi di
valore della Gita sono come sfoghi esasperati di un medico che ha a che fare con un paziente che
testardamente rifiuta di prendere la medicina.

Visti in questa luce, i giudizi di valore della Gita non sono espressioni di condanna ma di
compassione. La Gita usa parole incisive di giudizio come sciocchi. Srila Prabhupada, principale
esponente moderno della Gita, era noto per un uso molto frequente della parola mascalzone, ma questo
suo uso segue lo spirito compassionevole e non di condanna di Sri Krishna, come risulta evidente
dalla seguente citazione: “L’unico interesse dei devoti è capire in che modo i molti mascalzoni che
soffrono nella falsa civiltà dell’illusorio piacere dei sensi possono essere salvati. Il nostro
Movimento per la coscienza di Krishna è fatto per salvare i mascalzoni.” (Lettera a un discepolo)

Comprendere Sintonizzandosi

Il filosofo austriaco Rudolf Steiner ha scritto: “Per avvicinarci con piena comprensione ad un’opera
sublime come la Bhagavad-gita è necessario sintonizzare con essa la nostra anima.” Possiamo
sintonizzare la nostra anima alla Gita nel migliore dei modi apprendendola da chi l’ha sintonizzata
e ne vive il messaggio essenziale. Il maestro esemplare della Gita, il primo a vivere la Gita e ad
amarla è stato Srila Prabhupada. La sua traduzione della Gita con il commento, la Bhagavad-gita così
com’è, non è solo l’edizione inglese della Gita più ampiamente distribuita e letta, ma anche l’unica
che ha determinato le più grandi trasformazioni nei suoi lettori.

Comprendendo la Gita da coloro che la amano, come Srila Prabhupada, possiamo non solo dissiparne i
fraintesi “estremismi” su di essa, ma anche e soprattutto realizzare la comprensione dell’essenza
della Gita. Mentre è importante difendere la Gita per prevenire che possa essere bandita
ufficialmente in qualche parte del mondo, è ugualmente importante, se non di più, comprenderla in
modo da non essere noi a metterla al bando senza ufficialità nelle nostre vite, ritenendo
erroneamente che sia incomprensibile o priva d’importanza.

Caitanya Carana Dasa, discepolo di Sua Santità Radhanatha Swami, è laureato in ingegneria
elettronica e delle telecomunicazioni e fa servizio a tempio pieno all’ISKCON di Pune. Ha scritto
otto libri. Per leggere altri suoi articoli o ricevere la sua riflessione quotidiana sulla Bhagavad-
gita, “Gita-daily”, visita the spiritualscientist.com.

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