L’UNIVERSO TRA ORIENTE ED OCCIDENTE

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L’UNIVERSO TRA ORIENTE ED OCCIDENTE

di Marco Ferrini

Estratto dalla lezione tenuta a San Giminiano il 28.03.2009 dal titolo: “Coscienza e Origine
dell’Universo” di cui è disponibile la registrazione audio.

Il tema inerente l’Universo, ovvero la sua nascita e la sua espansione, ha certamente avuto ed ha un
richiamo profondo per tutti coloro che, guardando il cielo e ponendosi domande sulla sua natura, da
sempre si sono dedicati allo studio della vita e della materia. Sono stati scritti innumerevoli
libri, sono state spese tante parole, è stato utilizzato un fiume di inchiostro per scrivere teorie
e dottrine di varia estrazione. In questo articolo non sarà discusso l’argomento secondo una
prospettiva già trattata da vari studiosi, i quali principalmente si interessano di un aspetto
dell’Universo differente da quello descritto dalla Cultura Indovedica.

Letteralmente, Universo indica un discorso che va verso l’uno ed è sorprendente come questo “uno”
sia in stretta relazione con il concetto di coscienza appartenente alla dimensione intellegibile.
Secondo la Tradizione cui si fa riferimento, probabilmente la più antica fra tutte le scuole di
filosofia del genere umano, ovvero la Filosofia Samkhya, il pensiero, il contributo psichico per
intero, quindi anche il concetto, l’intelletto, non si può separare e di fatto non è separabile
dall’universo fisico, che come direbbe Aristotele [384 a.C. – 322 a.C ] è il mondo tangibile. Quindi
si è in presenza di due entità: il mondo intellegibile (in cui compare come attributo la coscienza)
e il mondo tangibile di aristotelica memoria. Entrambe queste componenti, integrandosi,
costituiscono l’Universo. La Filosofia Samkhya dice che questo complesso di energia, energia e
materia ci dirà poi Einstein all’inizio del secolo scorso, può essere rappresentato come due lati
della stessa medaglia: l’energia come materia in movimento, ovvero energia cinetica, e la materia
come energia nella sua temporanea staticità. Analoga conclusione è stata ottenuta anche dai
microbiologi, e ultimamente dagli esponenti della Fisica quantistica. Di fatto oggi si parla molto
della relazione esistente fra l’osservatore e l’osservato, e si pensi che solo cento anni fa parlare
di questi argomenti poteva essere motivo di persecuzione. Le più importanti ed eclatanti teorie in
questa materia sono infatti datate a partire dal primo ventennio del secolo scorso, ad esempio il
principio di indeterminazione di Heisenberg è stato enunciato nel 1927, e il teorema di Bell nel
1965.

La particolarità della Tradizione Indovedica risiede nel fatto che i suoi principi sono stati
esposti in maniera pressoché scientifica, intendendo con questo termine un significato semantico più
ampio rispetto quello che ha assunto negli ultimi due secoli in Occidente. Certamente, in generale
occorre rivedere il concetto di scientificità così come interpretato dalla società moderna e
decidere se doverlo limitare necessariamente alle sole scienze positive, ovvero al positivismo così
come inteso da Comte (1798-1857), oppure se si debba tornare ad un concetto di scienza molto più
ampio che includa anche diverse sfere del sentire profondo umano.

Ad onor del vero, una non trascurabile componente dell’elite della ricerca scientifica del mondo
moderno è certamente più aperta oggi di quanto non lo fosse uno o due secoli fa. Si pensi a tanti
scienziati che hanno esposto teorie innovative, come M. Todeschini, D. Bohm, F. Capra e tanti altri.
Oggi, in parte, sembra rientrare quell’approccio estremamente razionale alla scienza nato
originalmente nel periodo storico dei lumi e sviluppatasi poi come vera e propria protesta verso le
religioni dogmatiche, diventando a sua volta un culto quasi fanatico alla Dea ragione, come se la
ragione fosse l’unico mezzo di investigazione della realtà. A ciò una parte della comunità
scientifica si contrappone ora con un approccio all’indagine scientifica molto più equilibrato, e
con una dialettica più permissiva, in un certo senso più fluida e si comprende che la conoscenza,
affinché si sviluppi in modo armonico, necessita della presenza di nuovi strumenti e quindi di
attingere a nuovi paradigmi. In questo senso la filosofia Samkhya fornisce spunti per poter
re-interpretare il mondo moderno. Esso è quel mondo che, essendo per sua natura in continua
mutazione, si propone e si presenta sempre con nuovi scenari (parinama). Per cui non è possibile
affermare che conosciamo qualcosa in senso assoluto e che quella conoscenza la possiamo ritenere
definitiva e riproporre così com’è generazione dopo generazione. Diversi Fisici affermano infatti
che le stesse leggi della Fisica, in realtà modelli, sono in continua mutazione: le leggi che
valevano un frammento di secondo dopo il Big Bang erano completamente diverse da quelle che possono
essere applicate ora.

L’Universo nel quale viviamo è in continua perenne mutazione, così ci dice la filosofia Samkhya,
così affermano il Vedanta ed i Purana e in generale tutte le scienze collegate alla visione
Bhagavata dell’energia materiale (prakriti) e dell’energia spirituale (purusha). Tali testi ci
stimolano a non rimanere strutturati rigidamente e prigionieri di schemi inflessibili di conoscenze
empiriche, esito di un uso cieco della sola ragione. Infatti tali conoscenze non possono altro che
essere in movimento, e armonizzandosi con la dinamica stessa della natura, non possono altro che
seguire una trasformazione loro stesse al fine di poter prendere continuamente coscienza delle
modificazioni cui è sotto posto il mondo in cui viviamo. Qui non si fa riferimento solo alla
società, alla politica, ma anche alle strutture della materia stessa, all’ambiente nella sua
totalità che è in perenne mutazione.

Il Samkhya è una scienza che fa parte degli Shad Darshana, sei sistemi/scuole di pensiero/visioni
del mondo che propongono una via concreta verso la felicità e non una fuga da essa. Si tratta di un
modo di vivere che si basa sull’assunto di mettere al primo posto il sogno più alto della vita: il
conseguimento della felicità. Questo traguardo include la immortalità, e una conoscenza olistica non
frammentata, ovvero non soggettiva né relativa. Una conoscenza che sconfina nella saggezza, nella
sapienza di ottenere quello stato di profondo e duraturo benessere così tanto anelato da tutti gli
esseri viventi. Queste sei scuole di pensiero hanno lo scopo di indirizzare il soggetto
all’ottenimento della realizzazione ultima della vita in modi diversi, a seconda dei gusti di
ciascuno per il Divino. Ciò è quel processo che Jung definirebbe “la via di
identificazione/individuazione di sé” per individuare sé stessi, e così giungere al cuore del
programma del nostro sistema-corpo.

In questo testo facciamo riferimento, principalmente, ai testi dell’India Classica, ma non
dimentichiamo che, di fatto, quello della ricerca di sé è il quesito principale di tutte le
tradizioni. Infatti anche nella Grecia Classica, nel tempio dell’Apollo di Delfi, campeggiava una
grande scritta: ”Conosci te stesso”, proprio ad indicare che l’intraprendere questo processo
evolutivo è un investimento che può richiedere una vita intera e che, avvicinandosi verso la meta, è
possibile definire molto meglio il nostro posizionamento sul piano sociale, in particolare nel
comparto sociale che è più adeguato alle nostre tendenze ed in cui possiamo operare al meglio, non
soltanto in rapporto a noi stessi, che è l’aspetto più importante, ma soprattutto con gli altri.
Nella tradizione Indovedica questo è un punto cruciale poiché gli altri non solo sono
indispensabili, ma hanno un ruolo importantissimo nella nostra illuminazione, e nella nostra
evoluzione.

Il Samkhya tradizionalmente si studia insieme ad un’altra scuola che è quella Yoga. Esse forniscono
il fondamento teorico astratto e la sua attuazione pratica. Condividono la stessa visione del mondo
e offrono diversi spunti dalla teoria alla prassi proprio per consentire di vivere in modo armonioso
un viaggio di crescita al fine di conseguire la conoscenza suprema interpretando questa vita stessa
come il luogo dove l’essere vivente, facendo esperienza, può compiere un salto evolutivo verso la
libertà e l’amore. Quindi il Samkhya vede questo Universo come un immenso laboratorio in cui il sé
fa esperienza di sé stesso e delle proprie capacità . Nel fare questo a volte raggiunge l’obiettivo
(ed è quindi appagato) e a volte no (ed è quindi frustrato) a causa dei suoi condizionamenti e delle
sue (false) convinzioni profonde. In questo contesto secondo la visione del Samkhya l’Universo
appare come uno scenario in un copione teatrale, con un inizio ed una fine, ma non ex-nihilo, bensì
con un preciso alternarsi di manifestazioni e riassorbimenti dove gli esseri viventi, appunto,
possono fare esperienze.

La particolarità del Samkhya, al contrario dell’impostazione delle scuole psicologiche moderne, è
che la struttura psichica è parte dell’Universo. La struttura psichica non è il sé, è parte
dell’Universo. Questo è anche quanto afferma Jung, noto studioso della cultura dello Yoga e del
Vedanta, che ha utilizzato i principi enunciati in queste opere per canonizzare la sua dottrina
sulla Individuazione di sé, utilizzando un linguaggio molto efficace a lui contemporaneo. Infatti
nella tradizione dello Yoga troviamo ben descritto questo concetto secondo cui la psiche è parte
dell’Universo, quindi dell’osservato, non dell’osservatore(1). Nel 1927 Heisenberg arriverà allo
stesso risultato attraverso l’enunciato del principio di indeterminazione con il quale egli spiega
che non si può conoscere compiutamente un fenomeno perché mentre si osserva, esso si modifica.

Che cosa non è in continua trasformazione? Quello che Parmenide chiamava l’ente, il purusha o atman
per la filosofia Samkhya, quell’elemento che è testimone dell’esperienza, la coscienza, prima che
essa venga distorta e inquinata dalle energie che provengono dalla natura, dallo “spettacolo”.
Quindi lo spettatore (l’osservatore, la coscienza) e lo spettacolo (l’osservato, la natura
materiale) interagiscono da tempo infinito, un tempo senza data, nel creare il mondo fenomenico che
noi percepiamo come reale. Gli elementi materiali si rendono disponibili per una interazione con la
coscienza e l’Universo appare come l’esito del gioco dell’osservatore con l’osservato.

Ciò che affascina è la non contraddizione evidente fra certi risultati della ricerca moderna e le
affermazioni che troviamo nei testi sacri dell’India Classica, dimostrazione evidente di una
conoscenza di valore assoluto che può coniugare Scienza e Spiritualità. Un presupposto essenziale
per entrambe e la definizione chiara di ciò che si cerca al fine di avere un approccio alla ricerca
caratterizzato da una volontà aperta, dinamica, elastica e possibilista, per accostare, verificare e
discernere se tra ciò che si è accumulato in millenni di ricerca ci sia un filo conduttore che può
facilitare una comprensione non solo intellettualistica e soprattutto una acquisizione del senso che
non includa quindi solo dati o numeri. E’ qui che la vera esperienza mistica fa da sintesi fra
scienza e spirito religioso. Quella necessità che in tutti i cuori palpita verso afflati ideali.

(1) “Il soggetto [che vede] è in verità il motivo di ciò che è visibile [ciò che viene visto esiste
in funzione del soggetto che vede]”. Yoga Sutra di Patanjali, Sadhana Pada, Sutra XXI.

da scienzaespiritualita.blogspot.com/

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