IL BIG-BANG (1) di Marco Ferrini

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IL BIG-BANG (1)

di Marco Ferrini

Gettiamo uno sguardo su di un Mito moderno della creazione dell’universo, vale a dire sul racconto
scientifico secondo il sistema di credenze dominante nella cultura moderna. La teoria scientifica
corrente per l’origine dell’Universo materiale nel tempo è chiamata teoria del Big Bang (La Grande
Esplosione). L’eminente matematico e filosofo Alfred North Whitehead ha scritto:

Le certezze della scienza sono un’illusione. Esse sono circondate da limiti inesplorati. La nostra
manipolazione delle dottrine scientifiche viene controllata dai concetti metafisici diffusi nella
nostra epoca. Eppure, anche così siamo indotti continuamente all’errore nelle nostre aspettative.
Inoltre, ogni volta che viene messa a punto una nuova tecnica di osservazione, le dottrine si
sgretolano in una nebbia di inaccuratezze(2).

Il Big Bang è un’ipotesi, l’ipotesi cosmologica più in voga del momento ma pur sempre un’ipotesi,
aspramente contrastata da cosmologi e matematici non meno qualificati di coloro che la sostengono.
Secondo tale teoria l’attuale Universo spazio-temporale parte da un’ esplosione originaria datata
circa 15 miliardi di anni fa. Fino a quel momento, tutta la materia e tutta l’energia esistevano in
totale ordine e simmetria, in una condizione chiamata dai fisici ‘La grande meraviglia’ (The Great
Singularity). Poi l’esplosione, il Big Bang, e tutto cominciò ad espandersi, con l’inizio del tempo
e il manifestarsi delle direzioni. La grande meraviglia cominciò a dilatarsi e cominciarono a
formarsi lo spazio e i differenti elementi. Proviamo a tracciare un parallelo tra il resoconto della
fisica moderna e la descrizione dell’emanazione del cosmo manifesto fatta nelle Upanishad e negli
altri testi della tradizione vedica. Lo stato di quiete definito dai fisici ‘La grande meraviglia’,
è determinato, secondo il Samkhya e le Upanishad, dall’equilibrio dei guna che nel pradhana (stato
quiesciente della materia) si controbilanciano perfettamente. Il Big Bang è la rottura di questo
equilibrio, lo scomporsi di tale proporzione armonica dei guna, e da ciò si genera la prakriti. Per
la fisica, la grande meraviglia è una situazioine causata dal perpetuo conflitto tra materia e
anti-materia. Questo universo risulta costituito da diversi tipi di particelle elementari come i
protoni, gli elettroni, i neutroni, i fotoni, i neutrini ecc. Alcune di loro esistono anche come
anti-particelle; le particelle costituiscono la materia, le anti-particelle l’anti-materia. Quando
la materia viene in contatto con l’anti-materia, si ha un’immediata e vicendevole distruzione o
annichilazione per cui le rispettive masse vengono istantaneamente tramutate in radiazione secondo
la famosa equazione di Einstein E=mc2 , in cui E è l’energia della radiazione, m è la massa
trasformata in energia, e c la velocità della luce.

Se le particelle e le anti-particelle avessero preso parte al Big Bang in numero esattamente uguale,
durante la formidabile compressione di materiale e la “tempesta energetica” che ne seguì, il
processo avrebbe dovuto terminare con la conversione in radiazione di tutte le particelle e le
relative antiparticelle. Seguendo queste premesse, il risultato dell’esplosione avrebbe dovuto
essere un universo fatto tutto di radiazione. Poiché così non è stato, si crede che particelle e
anti-particelle presero parte al Big Bang in numero diseguale, cioè che per ogni miliardo di
antiparticelle, ci fossero 1 miliardo e una particella, di modo che, dopo la deflagrazione, rimase
ancora una particella per ogni miliardo di anti-particelle. Queste particelle residuali avrebbero
costruito tutte le strutture presenti nell’universo come le galassie, le stelle e i pianeti, e tutti
i componenti necessari alla vita biologica, grazie al processo di fusione dell’idrogeno (il primo e
più semplice elemento risultante dall’esplosione primordiale) in elio, dell’elio in carbonio, del
carbonio in ossigeno e così via fino alla formazione dei metalli pesanti come il ferro. Riassumendo:
i mattoni per costruire la vita biochimica così come noi li conosciamo, ciòè carbonio, ossigeno,
azoto, fosforo, ecc., dovettero venir sintetizzati dall’idrogeno e dall’elio presenti nelle stelle
formatesi dopo il Big Bang per collasso gravitazionale, dove ebbero luogo le reazioni nucleari
necessarie per il bruciamento di idrogeno ed elio in molecole più grandi. Idrogeno ed elio furono
dunque gli elementi base dai quali si poterono sintetizzare le molecole giganti necessarie alla
vita. Questi processi di bruciamento, contrastando la naturale tendenza della stella a collassare su
se stessa per effetto della forza di gravità, mantengono l’astro in equilibrio permettendogli di
brillare per un tempo molto lungo; ma non appena il “combustibile” è finito si ha un effetto di
gonfiamento della stella (preludio della sua “morte”), nel cui cuore avviene un collasso
violentissimo che causa un’esplosione detta di nova o di supernova, che lascia poi come prodotto una
stella debolissima (detta stella nana), una stella di neutroni o un buco nero, a seconda della massa
iniziale del genitore. Le stelle esplose disperdono attraverso l’Universo i materiali che avevano
sintetizzato e che vengono incorporati in forme planetarie e, in ultima analisi, nei nostri stessi
corpi. Morendo creano e diffondono gli elementi di cui è costituita la materia. Scrive E.C.
Sudarshan(3):

[Secondo] la fisica dell’universo o cosmologia teoretica, […]lo stesso tipo di materiale si trova
praticamente ovunque nell’universo. In altre parole, la composizione chimica dell’universo sembra
essere la stessa, a prescindere dalla regione testata.

Nel più completo rispetto e apprezzamento per la visione fisico-materialistica, che ha nel Big Bang
solo una delle numerose formulazioni teoriche, appare evidente che nel linguaggio scientifico
confluiscono, in una prospettiva materialistica, elementi riscontrabili anche nel resoconto vedico
e, in altre vesti, in molti altri miti della creazione di diverse culture tradizionali. La materia e
l’anti-materia sono i due ingredienti primari nel processo della creazione così come, secondo il
Samkhya, lo sono prakriti e purusha. Differenza sostanziale tra il paradigma vedantico e la
prospettiva della fisica moderna è che, mentre la seconda si arresta all’individuazione della coppia
di elementi primi costitutivi(4), i Veda risalgono ad una Causa Prima, ad un Motore Primo, da cui
questi due elementi (prakriti e purusha, alias materia e anti-materia) hanno origine. Questa Suprema
Causa viene così descritta nella Brahma Samhita (V.1):

Il Signore Supremo è Krishna
Forma di immortalità,
consapevolezza e beatitudine
Inizio senza inizio
Govinda è la Causa di ogni causa.

Storicamente, l’uso del concetto di causalità(5), della legge di causa ed effetto, è relativamente
recente. Nella filosofia antica la parola ‘causa’ aveva un significato assai più ampio di quanto non
abbia oggi. Aristotele ne definisce quattro specie: la causa formalis, che oggi si designerebbe
piuttosto come struttura o contenuto ideale di una cosa; la causa materialis, vale a dire la materia
di cui la cosa consiste; la causa finalis, il fine per il quale la cosa esiste, ed infine la causa
efficiens. Soltanto quest’ultima corrisponde più o meno a quello che noi oggi intendiamo con la
parola causa. L’evoluzione del concetto di ‘causa’ è avvenuta, nel corso dei secoli, in intima
connessione con il mutamento concettuale di tutta la realtà colta dalla mente umana e con il sorgere
della scienza della natura avvenuto all’inizio dell’età moderna. Man mano che la materialità e i
suoi processi acquisivano sempre maggiore preminenza, fino al limite estremo del razionalismo, anche
la parola causa veniva via via aderendo a quell’evento materiale che precede l’evento da spiegare e
che lo ha in un qualche modo sollecitato. Anche in Kant, che in molti punti non fa che trarre le
conseguenze filosofiche dallo sviluppo delle scienze avvenuto da Newton in poi, la parola
‘causalità’ viene utilizzata nel senso cui ci ha abituato il XIX secolo:

Quando apprendiamo che qualcosa accade,
presupponiamo sempre qualcos’altro cui quell’accadimento consegue,
secondo una regola.

Così, poco a poco, il principio di causalità finì per equivalere all’idea che l’accadimento naturale
sia determinato univocamente, che cioè l’esatta conoscenza della natura o per lo meno di un suo ben
definito settore, sia sufficiente, almeno teoricamente, per prevederne le conseguenze. La fisica
newtoniana è appunto formulata in modo che, conoscendo lo stato di un sistema in un determinato
momento, si può dedurne l’evoluzione futura. La concezione che in natura le cose vadano
fondamentalmente così, fu formulata forse nel modo più generale e comprensibile da Laplace
attraverso la finzione di un demone che, a un dato momento, conoscesse la posizione e il moto di
tutti gli atomi e quindi capace di precalcolare l’intero futuro dell’universo. Quando la parola
‘causalità’ viene interpretata in modo così riduttivo, più propriamente si parla di ‘determinismo’,
con ciò intendendo che esistono leggi della natura le quali, partendo dallo stato attuale di un
sistema, determinano univocamente il suo futuro. E’ proprio questa la caratteristica distintiva
della fisica classica: il determinismo, cioè l’idea che la storia degli eventi di tutti i tempi sia
rigidamente determinata dalle esatte condizioni materiali esistenti in un determinato momento(6).
Questa visione implica la non influenzabilità del sistema universo da parte di un’entita
non-materiale cosciente, sia a livello individuale (essere senziente) che a livello cosmico (Essere
Supremo). Storicamente questa linea di pensiero ha portato allo sviluppo del ‘deismo’, indirizzo
filosofico che descrive Dio come creatore delle leggi fisiche e delle condizioni iniziali ma che non
gioca poi nessun ruolo nella creazione, una volta determinata(7). Fin dalle sue origini la fisica
atomica ha invece sviluppato idee che non rientrano in questo indirizzo di pensiero. Ma già
nell’atomismo di Democrito e di Leucippo si assumeva che i macroprocessi avvengono perché a livello
micro si verificano processi irregolari, secondo il principio dell’azione statistica associata di
molti piccoli eventi singoli come base per la spiegazione dell’universo. E’ in questa concezione che
trova fondamento l’idea che tutte le qualità sensibili della materia siano conseguenza della
posizione e del moto degli atomi. Già in Democrito si trova enunciato il principio:

Solo in apparenza una cosa è dolce o amara,
solo in apparenza ha un colore; in realtà esistono solo gli atomi
e lo spazio vuoto.

Se in tal modo i fenomeni percepibili con i sensi si spiegano mediante l’azione associata di
moltissimi procedimenti singoli nel micro, necessariamente ne consegue che anche le leggi della
natura sono solo leggi statistiche, il che ulteriormente implica che la fisicità sia solo
parzialmente conosciuta e conoscibile. Con l’avvento dell’età moderna, si è ben presto cercato di
spiegare, non solo qualitativamente, ma anche quantitativamente, il comportamento della materia
attraverso la natura “statistica” degli atomi che la compongono. L’utilizzo della statistica ha
assunto la sua forma definitiva nella seconda metà del secolo scorso per opera di Erwin Schrodinger,
padre della meccanica quantistica. Con questa teoria, che nei suoi principi prende le mosse dalla
meccanica newtoniana, si sono studiate le conseguenze della conoscenza incompleta di un sistema
meccanico complesso. Per intenderci: la meccanica classica descrive la storia di un evento come un
percorso ben preciso e indipendente dal tempo in uno spazio delle configurazioni in cui il percorso
è identificato in modo univoco dalle condizioni iniziali, mentre la meccanica quantistica descrive
la stessa storia tramite funzioni d’onda, vale a dire come la somma delle probabilità di avvenire di
‘tutti’ i possibili percorsi nello spazio delle configurazioni. Il mondo quantico si compone cioè di
un indefinito numero di stati sovrapposti ognuno dei quali ha una certa probabilità di realizzarsi.
Poiché nel mondo di cui facciamo esperienza questi effetti non sono percepibili dai nostri sensi, si
ritiene(8) che la funzione d’onda che descrive gli stati sovrapposti collassi in un particolare
stato nel momento in cui viene effettivamente misurato(9). L’attrazione gravitazionale secondo la
fisica newtoniana ha descritto il mondo manifesto come fondato su principi
deterministico-materialistici di connessione causale, vale a dire che ha escluso la coscienza dal
movimento della materia.

Newton ha teorizzato che due oggetti separati da spazio vuoto interagiscono causalmente con una
forza d’attrazione direttamente proporzionale alle loro masse e inversamente proporzionale al
quadrato della distanza che separa i loro centri; questo spazio è stato considerato pervaso da una
sostanza denominata etere, la cui natura non fu mai scoperta ma le cui caratteristiche rendevano
possibile la concatenazione di cause ed effetti materiali. Dalla metà del XIX sec., quest’idea di
misteriosa azione a distanza è stata soppiantata da quella di un campo potenziale elettromagnetico
che riempie lo spazio tra gli oggetti fisici e funge da mediatore. Einstein ha proposto che questo
interposto ‘potenziale’ non fosse altro che la trama stessa dello spazio-tempo(10). A questa
connessione causale, studiata principalmente dalle scienze fisiche oggettive, la fisica quantistica
ha aggiunto, e la letteratura vedica ha sempre sottolineato, la presenza di un’intenzione come causa
agente fondamentale in Natura, espressione della volontà e quindi della coscienza dell’essere(11).
La Cosmological Psychology (psicologia cosmologica), indirizzo di studi della fisica moderna che
considera l’influsso della coscienza nello studio della materia, considera l’universo manifesto come
un unico componente con due funzioni, conoscente e conosciuto, un sistema composto che include sia
colui che agisce (agency) sia l’ambiente (ciò che sopporta l’azione). Nella cultura vedica il
significato di ambiente, includendo la mente nell’osservatore, ha un significato allargato rispetto
a quello della cultura occidentale, la quale generalmente intende per ambiente quello oggettivo
esistente al di fuori dell’osservatore. Nella cultura vedica invece per ambiente si intende sia
l’insieme fisico costituito dagli elementi della natura posizionati nello spazio (il laboratorio
esperienziale) che la struttura mentale, il campo psichico attraverso il quale vengono filtrate le
intenzioni e i desideri di colui che fa l’esperienza (agency, l’essere spirituale). La mente in
quanto materia fa parte dell’ambiente (prakriti), non dell’osservatore (purusha). Questa visione
supera la concezione cartesiana, rigidamente dualistica, non integrata, che postula una suddivisione
aprioristica di mente e materia, avvicinandosi invece al concetto vedico di mondo manifesto come
interazione tra prakriti e purusha, in cui la coscienza influisce sulla materia manifestata. Scrive
J.J. Gibson nel suo testo di Psicologia ecologica(12):

La consapevolezza del perpetuo e mutevole ambiente (percezione)
è coesistente alla complementare consapevolezza
del perpetuo e mutevole sé(13).

Il soggetto conoscendo influisce, modifica e determina il conosciuto, esprimendo in tal modo un
proprio potere ‘creatore’. Ritroviamo tracce rudimentali di questa visione anche nel pensiero di
Spinoza, che ha formulato l’esistenza del mondo come sistema interamente panteistico (Natura come
Divino) con aspetti duali: colui che agisce (la mente) e l’ ambiente (la materia). Non c’è ragione
perché la ricerca scientifica non debba espandere i propri limiti per identificare la mente, la
materia e la vita come tre aspetti complementari della medesima realtà sottostante. Che questo
cambio di paradigma scientifico stia prendendo piede, risulta evidente quando G. Wald, Premio Nobel
per la Medicina, afferma che la mente, anziché uno sviluppo tardo nell’evoluzione degli esseri
viventi, riservato agli organismi con i sistemi nervosi più complessi, come ritenuto secondo la
concezione evoluzionistica darwiniana, è una realtà universale preesistente ad ogni sviluppo di
aggregati di materia; e questo universo coltiva la vita perché la presenza estesa della mente lo
guida in questa direzione. Trova qui piena corrispondenza la descrizione vedica dell’Universo
materiale come emanazione di un Essere dotato di coscienza suprema, che si espande in forma di
Intelligenza universale (Mahat), il cui ruolo è informare, nel senso sia di dar forma che di
indirizzare, tutta la materia(14). La nostra coscienza è precondizione non solo della conoscenza ma
anche della realtà: esiste ciò che è divenuto manifesto alla nostra coscienza. Una delle scoperte
più sensazionali della fisica del ventesimo secolo è dunque il riconoscimento che l’osservatore non
può essere isolato da ciò che osserva anzi, vi partecipa concretamente. Tutte le radiazioni, per
esempio la luce, e tutte le particelle elementari hanno alternativamente la proprietà di particelle
e di onde, pur trattandosi di proprietà completamente differenti fra loro ed escludentisi a vicenda.
Un fisico che prepara un esperimento sulla radiazione sceglie in precedenza il set di proprietà che
vorrà incontrare. Se fa un esperimento sull’onda, incontra proprietà di onda; se sulla particella,
incontra proprietà di particella. Questa è la soggettività di ogni osservazione fisica.

Anche la fisica occidentale scoprirà, ci auguriamo a breve, che lo stesso intimo legame o
collegamento che c’è tra energia e materia esiste anche tra sostanza mentale ed energia, per cui
anch’essa potrà dire che sostanza mentale e materia, come giustamente afferma il Samkhya, sono
sostanzialmente la stessa cosa seppur manifestata con modalità diverse, ed è con queste modalità che
interagisce l’osservatore. In tale contesto diventa possibile definire astri, pianeti e satelliti,
che nella Tradizione indovedica sono corpi di esseri celesti (ad es. Bhumi, la Terra, Candra, la
Luna, Surya, il Sole)(15), come ultra-ecosistemi, sistemi capaci cioè di mostrare dinamiche
intenzionali. Anche Keplero credeva che i pianeti fossero esseri viventi, dotati di anima
individuale. E’ interessante la visione di questo ‘teofisico’, a cavallo tra il XVI e il XVII
secolo, che include elementi ampiamente descritti nelle rivelazioni vediche, come ad esempio: la
presenza di Dio leggibile nell’ordine del cosmo, l’interazione dinamica tra creature, creato e
Creatore, e quella tra coscienza e materia. Egli descrisse infatti le orbite planetarie come sfere a
conchiglia inscrivibili in qualunque tipo di poliedro regolare, il cui centro è il sole, e vide in
questi solidi regolari, sfericamente inscrivibili e circoscrivibili, la prova del fatto che è stato
Dio a creare e regolare l’ordine del cosmo. Nella sua visione, Keplero immaginò la Santa Trinità con
Dio, il Padre, come centro della sfera universale, il Figlio Gesù, sulla superficie di quella sfera,
e lo Spirito Santo in quanto relazione tra il centro e la superficie, la creazione, un atto di
comunicazione dell’anima del mondo, Dio, come un movimento o emanazione dal centro alla superficie.
Inoltre, all’interazione tra l’Essere Supremo e il grande nido celeste di solidi e sfere inscritti e
circoscritti, Keplero fece corrispondere la comunicazione dell’anima con il corpo attraverso
l’emanazione o espansione in materia. La proprietà di agente può dunque venir attribuita a tutte le
entità in Natura, dalle particelle più minute agli ultra-ecosistemi, in quanto esprimono una
dinamica intenzionale, descrivibile come applicazione di un determinato sentiero di azione,
selezionato tra un serie di opzioni, a seconda di quanto corrisponda ad un certo scopo.

La funzione fisica d’onda quantica rappresenta l’esistenza di un intangibile ed irriducibile campo
di probabilità, da cui tutta l’energia e la materia emergono. I fisici possono sicuramente dirci che
un atomo è in un certo senso simile ad un universo dato che le orbite degli elettroni sono ad
esenpio del tutto simili alle orbite dei pianeti, e che la proporzione di spazio è tra loro analoga.
Dicevamo prima che il mondo dei quanta consiste in un numero indefinito di stati sovrapposti. La
realtà di cui facciamo esperienza attraverso la percezione viene considerata perpetuamente in stato
‘collassato’ (ing. collapsed), al contempo definito e unico; cioè, la funzione d’onda che include
gli stati sovrapposti, nel momento in cui viene percepita scompare, per lasciare al suo posto uno
stato unico, una particella, una massa. Per costituire la nostra realtà condivisa, tutte le parti
dell’universo devono essere continuamente sperimentate. Sono tali percezioni distribuite che
contribuiscono a rendere definito l’universo. Diventa dunque inevitabile presupporre l’esistenza di
una qualche sorta di coscienza cosmica, di Essere Supremo, per la cui consapevolezza la funzione
d’onda dell’Universo collassa in uno stato definito, uno stato collettivo che include noi e tutto
ciò di cui siamo coscienti. Questo passaggio da onda a particella è dunque influenzato dalla
coscienza: il pesce vede la realtà in maniera differente dal serpente o dall’essere umano; la
strumentazione psicofisica del jiva determina la ‘sua’ esperienza del reale. Se una qualsiasi del
considerevole numero di proprietà fisiche del nostro universo fosse diversa da come è, la vita, come
ora qui ci appare, sarebbe impossibile. Si richiama dunque l’istanza di una Volontà Suprema, di un
Essere trascendente queste proprietà fisiche, che emani, diriga, regoli e ordini la manifestazione
delle condizioni primarie entro cui questa vita si sviluppa. Secondo la cosmologia moderna, ci sono
due parametri principali che intervengono nel favorire lo sviluppo della vita in questo Universo.
Perché ci fosse tempo sufficiente per l’evoluzione degli elementi in complessi molecolari, in
molteplici livelli di organizzazione della materia, dal micro al macro, l’universo deve essersi
espanso per un tempo sufficiente (ammettiamo di x anni), il che implica che ad oggi deve estendersi
su di un raggio di x anni luce. Tempo e spazio, strettamente collegati uno all’altro, sono dunque i
due parametri di base che costituiscono il paradigma della creazione.

Nel nostro universo agiscono primariamente due effetti di segno opposto: l’effetto di dispersione,
causata dall’espansione di Hubble dovuta alla deflagrazione al momento del Big Bang, e l’effetto di
aggregazione, riconducibile all’azione della forza di gravità. Se l’espansione avesse prevalso,
tutta la materia avrebbe continuato a disgregarsi e non ci sarebbero grandi corpi solidi, e quindi
nessuno spazio su cui poggiare la vita. Se, d’altra parte, la gravità avesse prevalso, l’espansione
iniziale prodotta dal Big Bang si sarebbe rallentata fino a fermarsi, e in seguito avrebbe avuto
luogo una contrazione dell’universo, forse in preparazione del prossimo Big Bang(16). Quindi non ci
sarebbe stato sufficiente tempo per lo sviluppo della vita. Il perfetto intelligente armonizzarsi di
questi due effetti fa sì che, nonostante l’universo nel suo complesso si stia espandendo, localmente
venga tenuto insieme dalla gravità. E’ proprio questa precisa correlazione o sintonizzazione (fine
tuning) tra l’espansione dell’universo nel suo complesso e la sua stabilità locale che permette
sufficienti estensioni temporali e spaziali per lo sviluppo della vita. Risulta dunque evidente,
anche a livello della micro e della macro fisica, che l’universo persegue l’intenzione di favorire
la vita: è questo uno dei grandi e attuali dibattiti della cosmologia scientifica moderna che si
chiede se l’Universo sia stato creato sulla base di un disegno preciso o semplicemente da una
fluttuazione casuale del vuoto quantistico. Questa problematica va sotto il nome di principio
antropico, per il quale uno dei maggiori e ancora oggi accreditati contributi in letteratura è stato
dato da J.D.Barrow e F.J.Tipler(17).

L’universo mostra delle peculiarità estremamente precise in alcune delle sue costanti cosmologiche
tanto da rendere quasi inevitabile presupporre una finalità cosmica, una natura teleologica
dell’universo. Potremmo definire queste implicazioni come l’autentico principio evolutivo che,
considerato legge di organizzazione cosmica, svela l‘intima connessione, su piccola e larga scala,
tra le strutture dell’Universo, in funzione del progresso dell’essere, sollevando la vita spirituale
dalle coperture temporali delle macchine biochimiche che sono i corpi. Gli interdipendenti mondi
organico ed inorganico, la base stessa della creazione materiale così come descritta nella
letteratura cosmologica vedica, cfr. Samkhya, (intelligenza, mente, sensi e così via), altro non
sono che l’estrinsecazione di un sentimento di compassione del Supremo che consente agli esseri
condizionati di soddisfare i propri desideri e di perseguire i propri piani nella materia, fornendo
la possibilità di acquisire conoscenza e di applicarla all’azione, di partecipare al gioco (lila),
un ‘gioco’ il cui goal consiste nel ritrovare la strada di casa, quel mondo spirituale cui ogni
scintilla di energia vitale ontologicamente appartiene.

(1) Per il paragrafo cfr. Keyserling and R.C.L. Chance and Choice: A Compendium of Ancient and
Modern Knowledge, online www.chanceandchoice.com; R. Shaw, Cosmological Psychology, in Thoughts on
synthesis of science and religion, 2001, Calcutta, Bhaktivedanta Institute; G. Wald, The cosmology
of life and mind, in Synthesis of Science and Religion – Critical Issues and Dialogues, 1987,
Calcutta, Bhaktivedanta Institute.

(2) Adventure in Ideas, Cambridge University Press, 1933.

(3) E.C.G. Sudarshan, Man and the Cosmos, in Synthesis of Science and Religion, op. cit.

(4) Come del resto fa la formulazione tarda e atea del Samkhya.

(5) Per le seguenti considerazioni sul concetto di causalità cfr. La meccanica quantistica, sul sito
a cura del Liceo Scientifico Statale A. Tosi di Busto Arsizio (VA),
www.quipo.it/atosi/numero2/mq/presenta.htm.

(6) R. Thompson, God and the Laws of Physics, in Synthesis of Science and Religion – Critical Issues
and Dialogues, 1987, Calcutta, Bhaktivedanta Institute.

(7) Cfr. l’idea del Dio-geometra in Voltaire, ad esempio nel suo Dizionario filosofico (1754).

(8) E.P. Wigner, Monist, vol. 48, p. 248, 1964.

(9) “Gli oggetti ‘quantistici’ (atomi, elettroni, quanti di luce, ecc.) si trovano in certi stati
indefiniti, descritti da certe entità matematiche (per esempio la ‘funzione d’onda’ di Schrödinger).
Le grandezze fisiche che possono essere misurate (posizione, velocità, energia, momento magnetico,
eccetera) sono chiamate osservabili. Nel linguaggio della meccanica quantistica, si dice che
all’atto della misura di un qualsiasi osservabile, per esempio l’energia, la funzione d’onda
collassa in uno dei tanti potenziali autostati (che sarà quindi quello osservato) ammessi da quel
particolare osservabile (l’energia). Gli autostati sono gli stati fisici possibili che forniscono
una misura oggettiva effettivamente realizzabile dall’osservatore del nostro osservabile. A questi
autostati fisici, detti anche stati di sovrapposizione, è associata una ben precisa probabilità di
essere osservati ma soltanto all’atto della misurazione vera e propria lo stato, precedentemente
astratto e indefinito, fornisce un valore reale; finché la misura non viene effettuata, l’oggetto
quantistico è oggettivamente indefinito, sebbene sia matematicamente definito: esso descrive solo
una potenzialità dell’oggetto o del sistema fisico in esame, ovvero contiene l’informazione relativa
ad una rosa di valori possibili, ciascuno con la sua probabilità di divenire reale ed oggettivo
all’atto della misura. Questa “rosa” di posizioni possibili viene descritta collettivamente da una
‘funzione d’onda’. La meccanica quantistica quindi introduce due elementi nuovi ed inaspettati
rispetto alla fisica classica: una è appunto l’influenza dell’osservatore, che costringe lo stato a
diventare un autostato; l’altra è la casualità nella scelta di uno tra i diversi possibili autostati
(ognuno con una propria probabilità). Il primo elemento inaspettato è la violazione
dell’oggettività. Il secondo è l’indeterminazione, che rappresenta un’inaspettata violazione della
perfetta intelligibilità deterministica. Entrambi gli elementi sono estranei alla mentalità della
fisica classica, cioè rispetto a quella concezione ideale (galileiana, newtoniana e perfino
einsteiniana) che pretende che l’universo sia perfettamente oggettivo ed intelligibile.” Fabrizio
Coppola, Il segreto dell’universo. Pisa, 2002, Saggi Ist.Scientia. www.segreto.net/segreto.

(10) Queste teorie scientifiche rispecchiano l’indagine dell’elemento spazio, definito dalla
tradizione vedica akasha, che traduce anche etere.

(11) Nell’ambito della teoria quantistica, vari fisici fin dagli anni ’20 (per esempio Jordan,
Eddington, Bohm) hanno ipotizzato che il libero arbitrio dell’uomo e degli animali fosse
riconducibile all’indeterminazione quantistica. In particolare, è stato proposto che la scelta dei
differenti autovalori non sia casuale ma sia una scelta cosciente dovuta ad una piccola volontà
della Natura, che ha un piccolo margine per deviare il corso degli eventi dal determinismo assoluto
(in cui la fisica credeva fino al 1927, cioè prima del principio di indeterminazione, perfino
einsteiniana) che pretende che l’universo sia perfettamente oggettivo ed intelligibile. Siamo
comunque molto lontani dalla concezione pienamente spirituale della tradizione vedica, per cui vedi
pp. 27-28. Vale però la pena di citare Erwin Schrödinger, uno dei padri della teoria dei quanta: “La
coscienza è l’unico teatro in cui si rappresenta tutto quanto avviene nell’universo, il recipiente
che contiene tutto e al di fuori del quale non esiste nulla.” (cfr. Fabrizio Coppola, Il segreto
dell’universo.Op. cit.).

(12)154 Cit. in R. Shaw, Cosmological Psychology, in Thoughts on synthesis of science and religion,
2001, Calcutta, Bhaktivedanta Institute.

(13) Ancora una volta siamo di fronte ad una confusione che la psicologia occidentale continua a
fare tra due piani: quello del sé, spirituale, assoluto, immutabile e quello della mente costituita
da un’energia più sottile della materia e soggetta a tutti i cambiamenti temporali. Per una diffusa
trattazione sull’argomento, vedi M. Ferrini, Introduzione alla Psicologia Indiana – L’India e
l’Occidente, ed. CSB, 2001.

(14) Cfr. dottrina Samkhya e dottrina Bhagavata, nelle pagine seguenti.

(15) Ecco un altro dei numerosi elementi che accomunano la concezione cosmogonia vedica a quella
delle principali culture tradizionali ad es. assira, egizia, greca, maya, peraltro tutte
temporalmente successive.

(16) Il collasso finale (Big Crunch) è una delle possibili soluzioni finali della teoria del Big
Bang (quella dell’universo detto chiuso) che combacia con la descrizione vedica del ciclico
riassorbimento in Vishnu.

(17) Il principio antropico cosmologico viene spesso usato e citato da molti autori ma difficilmente
qualcuno gli saprà dare una definizione esaustiva. Gli autori del libro “The Anthropic Cosmological
Principle”, J.D.Barrow e F.J.Tipler, analizzano questa problematica da diverse angolazioni in modo
molto efficace, tanto che il loro lavoro è tutt’oggi considerato il più attendibile. Essi esplorano
le problematiche relative al fine tuning nel nostro universo, vale a dire la perfetta e talvolta
sorprendente precisione delle costanti cosmologiche fino a una parte su diversi milioni; talvolta
sembra che “per un soffio” il valore esatto di una costante abbia permesso la vita.

da scienzaespiritualita.blogspot.com/

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