L’Universo di Krishna

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L’Universo di Krishna

di T. Valentinuzzi

I Veda sono un’eredità preziosa dell’India. Il termine “Veda” significa “conoscenza” e include anche la conoscenza astronomica. In molte fonti vediche si può notare l’importanza attribuita all’osservazione del cielo e al calcolo delle posizioni del Sole e della Luna, dei principali pianeti e delle stelle.
Ma nella storia dell’astronomia occidentale è stato quasi del tutto trascurato il contributo indovedico, spesso ignorato perché considerato ascientifico e mitologico o postulando che attingesse alla tradizione greco-babilonese e che, quindi, non costituisse un apporto originale. In realtà ci sono tracce, talvolta evidenti e talvolta nascoste nella poesia, di una profonda conoscenza astronomica racchiusa nei Veda in generale e in alcune loro sezioni in particolare.

Secondo l’attuale ricerca scientifica, l’universo è una distesa immensa di milioni di galassie che interagiscono tramite l’attrazione gravitazionale. E’ così vasto che un raggio luminoso lo attraversa tutto in circa tredici miliardi di anni. Alcune cosmologie che si avvalgono della teoria delle superstringhe (un nuovo metodo di concepire l’origine dell’universo) affermano che il nostro non è l’unico universo, ma che esistono “grappoli di universi”. La Terra è un infinitesimale e fragile globo che si muove all’interno di questa vastità senza confini. Ebbene, è ciò che anche i Veda tramandano da millenni. Nel Bhagavata Purana, un’opera vedica risalente a 5.000 anni fa, leggiamo che “tutti gli universi sono raggruppati insieme e sembrano un’enorme agglomerato di particelle” (BP 3.11.41), oppure che “ci sono innumerevoli universi oltre al nostro e, benché siano estremamente estesi, si muovono come atomi in Te” (BP 6.16.37); inoltre in innumerevoli passi si afferma che il pianeta Terra è solo uno dei tanti pianeti, cosa che ipotizzarono anche Democrito, Epicuro e Giordano Bruno. La moderna ricerca sul fondo cosmico di microonde che pervade il nostro universo ha constatato che la formazione delle strutture cosmiche è avvenuta grazie a una serie di note “sonore” armoniche; che siano forse le stesse note del flauto di Krishna, che sono la matrice sonora generatrice di tutta la manifestazione cosmica secondo la tradizione vedica? Ancora più affascinante risulta essere il racconto dei momenti iniziali della vita di Brahma, primo essere creato secondo la cosmogonia vedico-puranica e demiurgo creatore della varietà universale; appena venuto al mondo sopra il fiore di loto che spuntava dall’ombelico di Vishnu (Dio, La Persona Suprema) si guarda intorno e vede l’immensa distesa di un “fluido primordiale” simile ad un oceano (BP 2.9.1-10). Anche questa descrizione è estremamente simile a quella che ci potremmo aspettare nei primi momenti di vita dell’universo secondo la recentissima teoria cosmologica basata sulla materia oscura fredda con costante cosmologica; è solo una coincidenza?

Nell’affrontare lo studio delle scritture vediche, e specialmente di quelle parti che presentano contenuti di carattere scientifico, è opportuno liberarsi dai preconcetti di superiorità nei confronti degli antichi, perché potrebbero impoverire un’analisi dalla quale si può attingere grande saggezza e verità . Gli antichi saggi vedici svilupparono le scienze astronomiche, mediche, del linguaggio, dell’architettura e della spiritualità in modo straordinariamente approfondito e preciso, tanto che ancora oggi sono tutt’altro che superati; antichi non è sinonimo di primitivi.

La scienza del tempo

Per millenni l’uomo si è chiesto che cosa sia il tempo e che tipo di influenza abbia sulla vita dell’uomo. Nell’era moderna gli scienziati hanno trattato in profondità l’argomento, ma sono ancora ben lontani dall’afferrare completamente il significato del tempo. Per alcuni è solo una successione di istanti o, in altre parole, un sistema di riferimento, un’illusione; per altri è l’essenza stessa dell’universo. Aristotele affermava che il tempo è lo studio del movimento nella prospettiva “del prima e del poi”; Einstein ha introdotto il concetto di inseparabilità e relatività di spazio e tempo ma diceva che “il tempo non è nella fisica, non può essere oggetto di scienza”; Bergson confermava che il tempo è un soggetto troppo complesso per la scienza. Il grande fisico russo e premio Nobel Ilya Prigogine spiega la natura del tempo introducendo nella fisica il concetto di irreversibilità come indicatore della freccia del tempo, o della sua direzione univoca. In fisica un fenomeno si dice irreversibile quando non è possibile riportare allo stato iniziale un sistema reale senza un intervento energetico dall’esterno. Prigogine commenta: “…per me, l’uomo fa parte di questa corrente di irreversibilità che è uno degli elementi essenziali, costitutivi dell’universo.” Egli considera l’irreversibilità, l’unidirezionalità dei processi fisici e quindi del tempo, come principio creatore od organizzatore delle strutture del macrocosmo e del microcosmo; sostiene infatti che “dobbiamo considerare il tempo ciò che conduce all’uomo e non l’uomo come creatore del tempo”.

Negli scritti vedici tali concetti sono trattati in modo piuttosto approfondito. Uno dei risultati della teoria della relatività di Einstein è che il tempo appare essere più lento per corpi che viaggiano a velocità molto elevate, prossime a quella della luce; il tempo non è dunque un’unità di misura fissa, ma è variabile o relativo. Un esempio di questa “dilatazione del tempo” si trova nel Bhagavata Purana (9.3.30-32) quando si narra di un uomo che volle raggiungere i pianeti celesti per porre alcune domande al Creatore; si fermò per venti minuti ma, quando ritornò sulla Terra, erano passati millenni e non vi ritrovò né familiari né amici. Questo Purana ci informa allora che ci sono diverse scale temporali in diversi luoghi dello spazio cosmico e spiega anche che “Il tempo elementare viene misurato secondo lo spazio atomico che copre….” (3.11.4), stabilendo in modo inequivocabile la stessa stretta connessione fra spazio e tempo elaborata dalla teoria di Einstein, oggi formalmente riconosciuta.

Nella Bhagavad-Gita (11.32), la più famosa tra le Upanishad vediche, Krishna spiega: “Io sono il Tempo, il grande distruttore dei mondi”; viene qui indicata l’importanza del fattore tempo e del suo ruolo nella creazione. Il Tempo consuma le cose di questo mondo, compresi i nostri corpi che sono inesorabilmente destinati a morire. Il tempo è la sorgente di tutti i movimenti, è il supremo controllore del tri-guna , le tre energie che in-formano l’universo. Il tempo ha quindi vita propria separata dall’universo; anzi ne è all’origine, è la matrice che lo sostiene e che gli dà vita e significato.

L’Astronomia vedica

Gli scritti vedici sono una fonte inesauribile di importanti indicazioni che i grandi saggi del passato hanno elaborato, ma soprattutto, come vuole la tradizione, vissuto e realizzato. La presenza nei Veda di concetti astronomici che sono considerati attualmente di una certa modernità è piuttosto frequente e se ne può dedurre che, nell’antichità vedica, c’era un vivo interesse per la ricerca e l’osservazione scientifica.
Il Bhagavata Purana riporta l’interessante descrizione di una montagna circolare che si trova a 125.000.000 di yojana dalla Terra (circa 1 miliardo e mezzo di chilometri) e che distingue la parte del sistema solare illuminata dal Sole da quella non illuminata. “Poi, oltre l’oceano di acqua dolce, esiste una montagna che lo circonda completamente e che si chiama Lokaloka; essa divide le zone piene di luce da quelle non illuminate dal Sole” (BP 5.20.34); essa si troverebbe proprio tra Saturno e Urano, l’ultimo pianeta del nostro sistema solare a non essere visibile a occhio nudo in cielo e, quindi, “non illuminato dal Sole”.

L’Aitareya Brahmana (3.44) dichiara: “In realtà il Sole non sorge e non tramonta mai… poiché quando arriva la fine del giorno produce due effetti opposti, crea la notte per quelli che stanno sotto e il giorno dall’altra parte. Raggiunta la fine della notte crea il giorno per quelli che stanno sotto e la notte dall’altra parte”. Similmente, nella Satapatha Brahmana (1.6.1-3), troviamo: ”…dato che mentre i primi stanno ancora arando e seminando, gli altri stanno già raccogliendo e trebbiando… ”. Questi passi esprimono chiaramente l’idea della rotazione della Terra e, quindi, della sua sfericità e sono confermati anche dal Bhagavata Purana (5.21.9): “La gente che vive in regioni diametralmente opposte a dove il Sole si vede sorgere, vedranno il Sole tramontare, e se si tira una linea diritta in corrispondenza del Sole a mezzogiorno, nelle regioni nella parte opposta della linea sarà mezzanotte”. Il Visnu Purana presenta inoltre una descrizione del funzionamento del fenomeno delle maree: “In tutti gli oceani la quantità totale di acqua rimane la stessa e non cresce né decresce; ma, come l’acqua in un calderone si gonfia per il calore, così le acque dell’oceano crescono al crescere della Luna. Le acque, benché non aumentino né diminuiscano, si dilatano e si contraggono mentre la luna cresce e cala…”.

E’ interessante notare che il Markandeya Purana (54.12) descrive la Terra come schiacciata ai poli e rigonfia all’equatore, indicando che essa non possiede una forma perfettamente sferica (nozione astronomica di una certa attualità…); descrive perfino che la causa del colore azzurro del cielo è la dispersione della luce solare (Markandeya Purana, 78.8, 103.9). Similmente è possibile trovare passi in cui si afferma che il Sole si trova al centro del sistema solare (Markandeya Purana, 106.41) e che l’universo ha avuto origine da una sorta di stato condensato ad altissima temperatura, come milioni di soli estremamente brillanti (BP 3.20.16) e che in seguito c’è stata una sorta di esplosione o espansione (BP 3.10.7), descrizione straordinariamente simile alla famosa teoria del Big Bang.
Il Bhagavata Purana (5.22.1-2) illustra poeticamente il moto relativo dei pianeti e delle stelle in cielo con la metafora delle formiche sulla ruota del vasaio. Poiché sembravano contraddittorie le affermazioni secondo cui il Sole gira con l’asse di rotazione alla sua destra (moto orario) e, a volte, alla sua sinistra (moto antiorario), il grande saggio Sukadeva Goswami, narratore del Bhagavata Purana, spiega che dal punto di vista del moto di rotazione giornaliero della Terra il Sole gira in senso orario, mentre dal punto di vista del suo moto di rivoluzione annuo gira in senso antiorario (rispetto alla Terra).

Conclusioni

Un tempo tre uomini ciechi si avvicinarono a un elefante, cominciarono a toccarlo e a congetturare. Il primo toccò una zampa e disse:” Oh, l’elefante è come un pilastro!”, il secondo toccò la proboscide e disse “Oh, l’elefante è come un serpente!”, mentre l’ultimo toccò il fianco e disse: “Oh, l’elefante è come una grossa nave!”. Chiaramente nessuno dei tre fu in grado di dare una descrizione appropriata dell’elefante, in quanto erano tutti e tre ciechi. Ci troviamo in una situazione simile quando studiamo l’universo; da una parte c’è la limitazione dei sensi (la cecità), dall’altra lo stato mentale (i preconcetti) che ci porta a pensare e valutare in base alla nostra limitata esperienza e ai paradigmi personali. Basti considerare che siamo in grado di percepire solo una piccolissima parte dello spettro elettromagnetico; l’occhio umano vede solo tra 400 e 800 micron circa, una frazione infinitesimale dell’insieme delle vibrazioni elettromagnetiche presenti nel nostro universo. Ma anche in questo range di frequenze i nostri occhi e i nostri preconcetti talvolta ci ingannano; infatti, per esempio, gli oggetti lontani ci appaiono piccoli anche se non lo sono.

Oggi, per evitare tali errori, si usano apparecchiature scientifiche sempre più sofisticate e potenti che in parte risolvono questi problemi. Eppure i dati da esse prodotti vengono poi comunque analizzati da esseri umani che sono soggetti agli errori di cui sopra. Si potrebbe dunque concludere che qualunque tipo di scienza umana è limitato in qualche modo dagli strumenti che usa. Poiché i sensi sono collegati alla mente e la mente può proiettare immagini nelle percezioni, spesso vediamo ciò che ci aspettiamo di vedere e non ciò che c’è veramente di fronte a noi. Come gli uomini ciechi della storia.
La saggezza racchiusa nelle scritture vediche indica l’esistenza, in passato, di una civiltà tutt’altro che primitiva, di una società incentrata sulle pratiche spirituali e sulla ricerca scientifica nei vari campi della conoscenza. La tradizione culturale vedica è olistica a tutti gli effetti, comprende e mette in relazione tutti i campi del sapere; ma, soprattutto, sottolinea con grande enfasi l’importanza della ricerca spirituale e dell’affermazione dei valori della vita e li integra in modo sorprendentemente armonico con la vita di tutti i giorni.

Circa trent’anni fa il famoso Swami Bhaktivedanta disse: “La moderna civiltà sembrerebbe fare progressi nella conoscenza scientifica, ma che cos’è la conoscenza scientifica? Essa si concentra soprattutto sui comfort del corpo senza comprendere che, per quanto si possa mantenere confortevolmente il corpo, esso è inesorabilmente destinato alla distruzione.” Egli, pur riconoscendo e apprezzando la conoscenza scientifica a cui siamo abituati e il moderno progresso tecnologico, in quanto rappresentante dei saggi della tradizione vedica, alla quale si collegava tramite la successione di maestri, ricordava al mondo che è la dimensione spirituale a caratterizzare il vero progresso di una civiltà; per questo che i Veda presentano all’interno di dialoghi e racconti edificanti e illuminanti le informazioni di carattere scientifico, che ricevono luce e valore se inserite in un contesto di sviluppo globale dell’individuo.

Come spiegate questo declino e cosa impedì di progredire e di tramandare tali conoscenze?

Eppure nel VI secolo a.C. Pitagora insegnava ai suoi allievi che la Terra era una sfera, Anassagora spiegava che l’eclissi solare era dovuta al fatto che la Luna oscurava il Sole, se non ricordo male Dante parla di “sfere celesti” nella Divina Commedia e c’è la discesa all’inferno, nel II secolo d.C. Chang Heng descriveva la Terra come un uovo che puntava verso la stella polare e nella Kabbalah si legge: “tutta la Terra gira, come una sfera gira su se stessa. Quando una parte è giù, l’altra parte è su. Quando per una parte c’è luce, per l’altra è oscurità.”

Per quale motivo 2000 anni dopo Sumer, i Greci e i Romani svilupparono l’idea che la Terra fosse piatta e al centro dell’universo? Fino alla scoperta ufficiale di Galileo…

approfondimento:
www.amadeux.net/sublimen/dossier/cosmologia-vedica.html

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