LE RADICI DELLA SPIRITUALITÀ 4

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LE RADICI DELLA SPIRITUALITÀ 4

da “Enciclopedia olistica”

di Nitamo Federico Montecucco ed Enrico Cheli

DOSSIER SERPENTE

IL MITO DEL SERPENTE
Storia dell’archetipo del serpente, dalle civiltà neolitiche all’epoca ariana
da Joseph Campbell ”The Masks of God: Occidental Mithology”

La Dea Madre Eva

Chiunque abbia un minimo di conoscenza dei miti della Dea Madre nei mondi primitivi, antichi ed
orientali non può non vedere che la Bibbia ne contiene dei riscontri in ogni sua pagina, che
assumono tuttavia una valenza opposta a quella delle fedi più antiche. Nella scena di Eva e
dell’albero della conoscenza non si fa nessun accenno al fatto della, natura divina del serpente che
appare ad Eva e le parla e che è una divinità adorata in Oriente per almeno settemila anni prima che
venisse scritto il libro della Genesi.

Al Louvre c’è un vaso scolpito, di steatite verde, con un’inscrizione del 2025 a.C. del Re Gudea di
Lagash, dedicata a una tarda manifestazione sumera di questo consorte della dea, che ha come titolo
Ningizzida, “Signore dell’Albero della Verità”. Due vipere che si accoppiano intrecciate tra loro
attorno a un bastone, come nel caduceo di Hermes, il dio greco della conoscenza mistica e della
rinascita, appaiono su due porte che si schiudono, trattenute da due dragoni alati del tipo noto
come leone – uccello .

La meravigliosa capacità del serpente di perdere la pelle e rinnovare in tal modo la sua giovinezza
gli è valso in tutto il mondo l’appellativo di signore del mistero della rinascita

di cui la luna, con le sue fasi, rappresenta il segno celestiale. La luna è la signora e la misura
del ritmo, dell’utero, creatore di vita, e dunque del tempo attraverso cui gli esseri viventi vanno
e vengono: signora del mistero della nascita e parimenti della morte

che sono in definitiva, due aspetti di un unico stato dell’essere.

La luna è la signora delle maree e della rugiada chela notte scende a rinfrescare la vegetazione sui
cui pascolano gli armenti. Ma anche il serpente è il signore delle acque. Dimorando nella terra, tra
le radici degli alberi, frequentando sorgenti, paludi e corsi d’acqua, scorre silenzioso con moto
sinuoso; oppure ascende come una liana tra i rami degli alberi, da cui pende come un frutto di
morte. La suggestione fallica è immediata e richiama anche l’organo femminile; per cui si ha
un’immagine duale che opera implicitamente sui sentimenti. Similmente duale è l’associazione col
fuoco e con l’acqua, suggerita dalla fulmineità con cui colpisce, dai lampi della sua lingua
biforcuta e dal fuoco letale del suo veleno. Quando lo si immagina poi mentre si morde la coda, come
l’uroboro mitologico, sorge immediata l’immagine delle acque che in tutte le cosmologie arcaiche
circondano, sostengono e permeano la terra, rappresentata come un’isola galleggiante.

I1 serpente del paradiso

Un vaso verniciato Elamico dell’ultimo periodo Sassanidico (226 641 d.C.), mostra di nuovo l’antico
guardiano dell’Albero del Mondo, attorcigliato sul tronco. In tal forma è evidente l’aspetto
minaccioso. Tuttavia come il serpente del Paradiso terrestre

Ningizzida è in genere amichevole verso chi, con dovuto rispetto, si accosta alle benedizioni del
suo santuario.

Un sigillo accadico del 2350 – 2150 A.C visua1izza la divinità in forma umana sul suo trono, col suo
emblema caduceo alle spalle e un altare di fuoco davanti. Alla sua presenza viene condotto un
devoto, il padrone del sigillo, seguito da una figura che porta un secchio, con un serpente che gli
pende dal capo: un servitore del dio in trono, che corrisponde ai portatori (leoni – uccelli) della
coppa di Gudea. La luna, fonte delle acque della vita, sta sospesa sopra la coppa sollevata dalla
mano del dio, da cui l’iniziato sta per bere.

Qui l’associazione tra signore serpente, coppa dell’immortalità e luna è del tutto ovvia; e cosi il
motivo, comune a tutte le antiche mitologie, ossia la comparsa simultanea di un dio nel suo aspetto
superiore e in quello interiore. Perché l’uomo di fatica presso la porta, che ammette o esclude gli
aspiranti, non è altro che una manifestazione del Potere della divinità stessa. E’ il primo aspetto
in cui si manifesta a chi si avvicini alla sua presenza; o, messa in altro modo, l’aspetto
inquisitore del dio. Inoltre il dio ed anche la sua forma scrutinatrice possono apparire in una o
più forme, contemporaneamente: in forma antropomorfa, teriomorfa, vegetale, celeste o elementare,
come appunto in questo esempio: uomo, serpente, albero, luna e l’acqua della vita da individuare
come aspetti di un unico principio polimorfico simbolizzato in tutte le forme e che al tempo stesso
le trascende.

Il giardino della vita eterna

Altri tre sigilli portano questi simboli in relazione con la Bibbia. I1 primo è un elegante esempio
siro

ittita, raffigurante l’eroe mesopotamico Gilgamesh in una manifestazione duale, proprio come
guardiano di un santuario, alla maniera dei leoni – uccelli della coppa di Gudea. Ma ciò che
troviamo all’interno del santuario è una forma né umana né animale né vegetale: è una colonna fatta
da cerchi serpentini, che reca alla sua sommità un simbolo del sole. Tale palo o pertica sta a
simboleggiare il fulcro attorno a cui tutte le cose ruotano (axis mundi) e costituisce quindi un
equivalente dell’Albero dell’Illuminazione dei buddisti, posto nel “Punto Immobile” al centro
dell’Universo. Attorno al simbolo del sole, sopra alla colonna, si vedono quattro cerchietti, che
come sappiamo simboleggiano i quattro fiumi che scorrono verso i quattro quadranti del mondo (si
confronti il Libro della Genesi, 2:10-14). Da sinistra si avvicina il padrone del sigillo, condotto
da un leone – uccello (o cherubino, come si chiamano tali apparizioni nella Bibbia) che nella mano
sinistra porta un secchio e nella destra solleva un ramo. Segue una dea, nel ruolo di madre mistica
della rinascita, e sotto c’è una rabescatura, un motivo labirintico che in questa iconografia
corrisponde al caduceo. Di nuovo possiamo qui riconoscere i consueti simboli del mitico giardino
della vita, dove il serpente, l’albero, l’asse del mondo, il sole eterno e le acque sempiterne
irradiano la loro grazia in tutte le quattro direzioni e verso cui è guidato l’individuo mortale,
dall’una o dall’altra delle manifestazioni divine, verso la presa di coscienza della sua
immortalità.

In un altro sigillo, dove il mitico giardino mostra tutta la sua opulenza, tutti i personaggi sono
di sesso femminile. Le due figure che attendono all’albero sono individuabili come apparizione duale
della divinità degli Inferi Gula – bau, i cui equivalenti nel mondo classico sono Demetra e
Persefone. La luna è direttamente al di sopra del frutto che viene offerto, così come nel sigillo
accadico stava sospesa sopra alla coppa. E chi riceve la beneficenza, che già ha nella mano destra
un ramo del frutto, è una donna mortale.

In tal modo, vediamo che nel primo sistema mitologico del Medio Oriente Nucleare – a differenza con
quanto si verifica nel più tardo sistema rigidamente partiarcale della Bibbia – la divinità può
essere rappresentata sotto sembianze femminili oltre che maschili, la forma qualificante essendo
semplicemente la maschera di un principio che in ultima analisi non è qualificato, che pur essendo
immanente in tutti i nomi e in tutte le forme, le trascende.

Senza peccato

Né in questi sigilli vi è alcun segno della collera o della minaccia divina. Non c’è assolutamente
alcun senso di colpa in relazione col giardino. Il segreto della vita è lì come una manna, nel
santuario del mondo, pronta ad essere colto. E viene offerto senza riserve di sorta a qualunque
mortale che cerchi di attingervi, con la giusta propensione e disposizione a ricevere.

Non è quindi accettabile l’interpretazione di quegli studiosi che hanno voluto vedere nel sigillo
della prima epoca sumerica la rappresentazione di una versione sumerica della Caduta di Adamo ed
Eva. Al contrario la scena è pervasa da un’atmosfera idilliaca, nella visione molto più antica
dell’Età del bronzo, in cui il giardino è quello dell’innocenza e in cui i due desiderabili frutti
della mitica palma da datteri sono per essere colti: il frutto dell’illuminazione e il frutto della
vita immortale. La figura femminile alla sinistra, davanti al serpente, è quasi certamente la dea
Gula Bau, (l’equivalente, come abbiamo già visto, di Demetra e Persefone) mentre la figura maschile
sulla destra che non è un mortale ma un dio, come si capisce dalla corona con i corni della luna è
certamente il suo amato figlio – consorte Dumuzi, “Figlio dell’Abisso”; Signore dell’Albero della
Vita, l’immortale, sempre risorgente dio sumero che è l’archetipo dell’essere incarnato.

Demetra e Plutone

Un paragone calzante sarebbe quello con un rilievo greco – romano, in cui la dea dei misteri
eleusini, Demetra, è raffigurata con il suo figlioletto divino Plutone, di cui il poeta Esiodo
scrisse: “Felice,

felice è il mortale che lo incontri nel suo procedere, perché le sue mani sono colme di benedizioni
e il suo tesoro trabocca.”

Plutone su un certo livello personifica la ricchezza della terra ma in senso più ampio è
l’equivalente del dio dei misteri, Dioniso. In Mitologia Primitiva e Mitologia Orientale ho discusso
di alcune di queste divinità che sono al tempo stesso consorti e figli della Grande dea
dell’universo. Tornando al suo seno nella morte (o, secondo un’altra immagine, nelle nozze) il dio
rinasce come la luna fa la muta spogliandosi della sua ombra, o il serpente cambia la sua pelle.
Coerentemente con questa visione, in questi riti di iniziazione cui questi simboli erano associati
(per esempio, nei misteri di Eleusi) l’iniziato, tornando in contemplazione della dea madre dei
misteri, si distacca meditativamente dal fato della sua spoglia mortale (simbolicamente, il figlio
che muore) e si identifica col principio che sempre rinasce, l’Essere di tutti gli esseri (il padre
serpente); per cui, in un mondo in cui si conosceva solo il dolore e la morte l’estasi viene
riconosciuta come un continuo divenire.

L’albero dell’illuminazione del Buddha

Si confronti con la. leggenda del Buddha. Quando egli si mise nel Punto Immobile sotto l’Albero
dell’Illuminazione, il Creatore dell’Illusione del Mondo, Kama – Mara, “Vita – Desiderio e Paura
della Morte”, si accostò per insidiarlo. Ma egli toccò la terra con le dita della mano destra e

secondo la leggenda – la Potente Madre Terra tuonò dieci, cento, mille volte, dichiarando: “Ti sono
testimone” e il demone sparì. Quella notte il Benedetto raggiunse l’Illuminazione e per sette volte
sette giorni rimase assorto nel rapimento estatico, e durante questo periodo si alzò una spaventosa
tempesta. E un potente re serpente, di nome Muchalinda: “..emergendo dalla sua tana nelle profondità
della. terra avvolse sette volte il corpo del Benedetto con le sue spire, dispiegando il suo ampio
cappuccio sulla sua testa, dicendo ‘Che né il caldo né il freddo, né le zanzare né le mosche né il
vento né i raggi del sole né le creature che strisciano si avvicinino a colui che è Benedetto!’ E
quando sette giorni furono trascorsi e Muchalinda seppe che il temporale era finito, e le nuvole
disperse, ritirò le sue spire dal corpo del Benedetto e, assunta una forma umana con le mani giunte
sulla fronte, riverì l’Illuminato.”

Nella tradizione orale e nella leggenda del Buddha l’idea della liberazione dalla morte ricevette
una nuova interpretazione psicologica, che tuttavia non violava lo spirito delle precedenti
rappresentazioni mitiche. I vecchi motivi erano portati ad un’enunciazione più avanzata e ricevevano
maggiore immediatezza grazie all’associazione con un personaggio storico reale che ne aveva
illustrato il significato nella sua vita; pure rimaneva un senso di armonia tra l’eroe ricercatore e
i poteri del mondo vivente che, come lui, alla fin fine non erano che trasformazioni dell’unico
mistero dell’essere.

Così nella leggenda del Buddha, come negli antichi sigilli del Medio Oriente, prevale un’atmosfera
di sostanziale armonia dove c’è l’albero cosmico, dove la dea e il serpente suo consorte danno
ascolto al loro degno figlio che chiede la liberazione dai vincoli della nascita, della malattia,
della vecchiaia e della morte.

Dio Padre e l’invenzione del peccato

Nel Paradiso Terrestre prevale invece una diversa atmosfera. Perché il Padre

Signore (il cui nome scritto in ebraico è Yahweh) maledice il serpente quando viene a sapere che
Adamo ha mangiato il frutto dell’albero della conoscenza del bene e del male; e dice ai suoi angeli:
“Guarda, l’uomo è diventato simile ad uno di noi, che conosce il bene ed il male; ed ora affinché
non protenda la sua mano ed afferri anche il frutto dell’albero della vita e lo mangi e viva per
l’eternità, lo scaccerò dal Paradiso Terrestre, a lavorare la terra da cui era stato tratto”.

Così Yahweh scacciò l’uomo; e ad est del suo giardino pose il cherubino che è un cane

uccello) e una spada fiammeggiante che girava in ogni direzione, a protezione del cammino verso
l’albero della vita. Il primo punto che emerge da questo contrasto e che sarà dimostrato ancora in
altre scene mitiche, è che nel contesto del patriarcato della civiltà ebraica dell’Età del ferro,
del primo millennio a.C., la mitologia mutuata dalle prime civiltà neolitiche e dell’Età dal bronzo,
presenti nei territori da essi occupati, e per un certo tempo governati, venne capovolta, dando ad
ogni argomento una valenza opposta a quella originaria.

E il secondo punto è un corollario che discende dal primo: c’è di conseguenza un’ambivalenza in
molti dei simboli fondamentali della Bibbia, che nessuna retorica interpretazione tesa ad
enfatizzare l’aspetto partiarcale è in grado di occultare. Essi rivolgono un messaggio pittorico al
cuore che è esattamente l’opposto del messaggio rivolto alla mente; e questa discordanza nervosa
permea non solo l’Ebraismo ma anche il Cristianesimo e l’Islamismo, perché anche queste religioni
condividono l’eredità del Vecchio Testamento.

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