LA REINCARNAZIONE ATTRAVERSO LA STORIA, LA FILOSOFIA, LA RELIGIONE

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LA REINCARNAZIONE ATTRAVERSO LA STORIA, LA FILOSOFIA, LA RELIGIONE

della Dott.ssa Elisa Albano – psicologiaspirituale.it

Parlare di una storia della reincarnazione risulta arduo e semplice allo stesso tempo. Arduo in
quanto non è possibile individuare un percorso evoluzionistico vero e proprio della teoria della
reincarnazione attraverso i secoli e le civiltà. Tuttavia, l’idea della reincarnazione, essendo
presente come consapevolezza fin dai primordi dell’umanità porta con sé numerose date, avvenimenti e
studi strettamente dipendenti tra loro che nell’insieme, sì, formano una loro storia.
Molte popolazioni primitive hanno creduto e credono tutt’oggi che un individuo non muoia mai
veramente e possa tornare a rivestire sembianze umane, soprattutto nell’ambito di uno stesso nucleo
familiare. E’ il caso degli indiani tlingit dell’Alaska sud-occidentale, che giungono ad augurarsi
la morte di un malato o di un indigente della loro comunità per vederlo ritornare in una condizione
psico-fisica più favorevole.
Gli studi reincarnazionisti, secondo alcuni, partirebbero dalla cultura caldeo-mesopotanica, da cui
poi nacquero le civiltà egizie e quelle indiane.
In Egitto, il testo più importante e noto di cui si ha notizia è il “Libro dei Morti”, una sorta di
guida per l’aldilà rivolta a tutte le anime in procinto di abbandonare il corpo fisico o che hanno
già superato la soglia della dimensione terrena. Ma gli egizi oltre a credere nella vita dopo la
morte avevano certezza anche della reincarnazione. Del resto, molti nomi di re dell’antico Egitto
celavano significati inequivocabili. Amonemhat I, ad esempio, stava ad indicare “colui che ripete le
nascite” e Sensurert I “colui le cui nascite vivono”.(1)

Le prime teorie sulla reincarnazione in India risalirebbero, invece, al IX o all’VII sec. a.C. e, in
particolare, nelle Upanisad, (dal sanscrito “Sedersi ai piedi del maestro”), testi sacri
dell’Induismo risalenti all’incirca all’800 a.C. si troverebbe già l’idea del Karma sviluppata in
tutte le sue sfaccettature. Ogni individualità torna sulla terra con una condizione personale
differente a seconda del bene o del male commesso. E anche nel Bhagavadgita (dal sanscrito “Il canto
del beato”), testo del III sec. a. C., si da un senso alla reincarnazione considerando l’anima (in
sanscrito: atman) come un’entità staccatasi dal suo assoluto (brahaman) e che solo attraverso una
purificazione, possibile dopo numerose reincarnazioni, potrà tornare ad unirsi ad esso.
In seguito, anche il Buddismo, nato sempre in India nel VI sec. a.C., abbracciò l’idea della
reincarnazione e con essa la legge del karma. La sola differenza tra queste due correnti è che se
per l’induismo l’anima mantiene la propria individualità, con tratti personali inalterati, nel corso
delle sue numerose esistenze, per il buddismo la reincarnazione avviene con una totale
depersonalizzazione. Sia l’induismo che il buddismo ritenevano comunque che l’anima potesse
trasmigrare indifferentemente da un uomo a un animale (metampsicosi) a seconda del premio o castigo
che gli era stato comminato. Le teorie più avanzate in tale campo, invece, ritengono che ciò non sia
possibile, in quanto compito dell’anima è quello di evolversi ed essa non può tornare indietro.
Tuttavia, la convinzione che l’anima di un uomo malvagio potesse reincarnarsi nel corpo di un
animale la si ritrova anche in Occidente nelle teorie platoniche e neoplatoniche, pur non avendo
subito queste ultime alcuna influenza dalle dottrine indiane.

Platone (Atene 427-347 a.C.), uno dei più importanti filosofi greci di cui rimangono integralmente
le numerosissime opere, nei suoi scritti sostenne l’immortalità dell’anima e la sua rinascita,
nonché la possibilità da parte di questa di ricordare limpidamente alcune o tutte le sue esistenze
precedenti.
Dal Menone può leggersi:
“L’anima essendo immortale, essendo rinata più volte e avendo visto tutte le cose che esistono sia
in questo mondo che nell’altro, ha conoscenza di tutte; e non è meraviglia che essa possa ricordare
tutto ciò che ha conosciuto sulla virtù e su ogni altro argomento perché, dato che tutta la natura è
simile e l’anima ha imparato tutte le cose, non vi è difficoltà nel rievocare”.
Pitagora (isola di Samo 570-Metaponto 490 ca. a.C.) fu un altro filosofo e scienziato greco a
credere nella reincarnazione, di cui però si hanno poche notizie certe. L’unico dato storico a cui
poter fare seriamente riferimento è la setta religiosa creata da egli stesso a Crotone nella quale
si sosteneva alacremente la trasmigrazione delle anime, “costrette a incarnarsi in successive
‘carceri’ corporee, umane e bestiali, a causa di una colpa originaria da espiarsi sino alla finale
purificazione o catarsi” (2).

Egli credeva inoltre nelle molte rinascite personali. Il suo soprannome era già indicativo:
Mnesarchide cioè: “colui che ricorda le sue origini”. Egli affermava secondo una tradizione orale
tramandata, di essere stato Eraclide e poi Eufonio, ucciso nell’assedio di Troia da Menelao.
L’idea del karma dunque, risulta fortemente presente anche in questi autori. Platone, ad esempio, la
propone ne “Le leggi”:
“O giovane che fantastichi di essere abbandonato dagli dei, sappi che se divieni peggiore andrai in
un’anima peggiore, e in un’anima migliore se migliorerai, e in ogni successione di vita e di morte
farai e soffrirai ciò che il simile ha dal simile. Questa è la giustizia celeste alla quale né tu né
altri sfortunati si potranno mai vantare di essere sfuggiti”.
E un’altra considerazione la si può trovare ne “La Repubblica”:
“Anime effimere, una nuova generazione di uomini comincia adesso il ciclo delle sua esistenza
morale. Il vostro destino non vi verrà assegnato a caso, ma dovete sceglierlo voi stesse.”

I romani, a loro volta, subirono l’influenza dei filosofi greci. Cicerone stesso si convertì al
platonismo fino ad affermare, nell’Ortensio:
“Gli antichi, sia che fossero veggenti o interpreti della mente divina nella tradizione delle
iniziazioni sacre, sembrano aver conosciuto la verità quando affermavano che siamo nati nel corpo
per pagare la pena dei peccati commessi in una vita precedente”.
Virgilio (70-19 a.C.), nel sesto libro dell’Eneide, dette voce ad Anchise dall’al di là che
nell’istruire il figlio Enea così disse: “Son anime a cui sarà dato il corpo a tempo debito.
Frattanto dimorano sulla riva del Lete e bevono l’oblio delle loro vite precedenti”.
Ma l’idea della reincarnazione trovò la sua massima espressione con la scuola neoplatonica di
Alessandria e in particolare con Plotino (Egitto 205- Campania 270 d.C.) e Origene. Quest’ultimo,
tra l’altro, aprì il grande dibattito sulla reincarnazione all’interno del mondo cristiano-cattolico
che sfociò poi nella ripulsa da parte del potere ecclesiastico dell’idea di un’anima che possa
tornare a farsi più volte carne.

Nato ad Alessandria nel 185 ca e morto a Tiro nel 253 ca d. C., Origene, teologo e scrittore
cristiano di lingua greca, fu uno dei più grandi dottori della Chiesa, anche se attualmente non
riconosciuto come tale. Egli formulò una dottrina in cui erano presenti molti elementi neoplatonici,
predicò la preesistenza dell’anima e la reincarnazione. Secondo Origene:
“L’anima non ha principio né fine. Ogni anima entra in questo mondo fortificata dalle vittorie
oppure indebolita dai difetti della vita precedente. Il suo posto in questo mondo, quasi dimora
destinata all’onore o al disonore, è determinato dai suoi precedenti meriti. Il suo operato in
questo mondo determina il posto che essa avrà nel mondo successivo… Non è forse più conforme a
ragione che ogni anima, per certe misteriose ragioni, venga introdotta in un corpo e ivi introdotta
secondo i suoi meriti e le sue precedenti azioni?” (2)

Origene, poi, a causa delle sue teorie che indebolivano il potere della Chiesa, in quanto offrivano
all’individuo la possibilità di salvarsi da solo attraverso l’espiazione delle proprie colpe, vita
dopo vita, fu condannato una prima volta un secolo e mezzo dopo la sua morte nel 399 d.C. in
occasione del sinodo di Alessandria. Le sue teorie vennero stigmatizzate una seconda volta nel
sinodo di Costantinopoli nel 543 e qualche anno dopo furono pubblicati gli anatemi ma che
riguardavano più che altro la trasmigrazione delle anime, cioè la discesa, o caduta, di queste nella
dimensione terrena, e non la reincarnazione (farsi più volte carne) in senso stretto. C’è da
rilevare inoltre che il concilio fu promosso dall’imperatore Giustiniano e che nessun rappresentante
di Roma era presente. Anche gli anatemi pare siano stati formulati ed emessi in una sessione
extraconciliare proposta sempre dall’imperatore che costrinse in qualche modo il Papa Vigilio, noto
per la sua debolezza, a suggellarli. Nei secoli successivi non ci fu mai esplicita condanna alla
credenza nella rinascita, se non l’affermazione, nel Concilio di Lione del 1274 e in quello di
Firenze del 1439 che le anime dopo la morte sono destinate ad andare in paradiso, in purgatorio o
all’inferno.
D’altro canto, non fu solo Origene a rifarsi alla tradizione ermetica. Molti altri dottori della
Chiesa si schierarono più o meno apertamente su questo fronte. Anche Sant’Agostino (354-430),
teologo e filosofo, padre della chiesa latina, nei suoi scritti dichiarò senza remore le sue
simpatie per il sistema platonico e neoplatonico e lasciò emergere le sue riflessioni sulla
reincarnazione. Nel “Contra Academicos” così, scrive:

“Il messaggio di Platone, il più puro, il più luminoso di tutta la filosofia, ha finalmente
dissipato le tenebre dell’errore e ora traspare soprattutto attraverso Plotino, così simile al suo
maestro che crederesti che Platone sia rinato nella sua persona.”
E ancora, nelle “Confessioni”, si esprime in tal modo:
“Dimmi, Signore, dimmi se la mia infanzia successe ad altra mia età morta prima di essa? E prima
ancora di quella vita, o Dio, mia gioia, fui io forse in qualche luogo o in qualche corpo?”(3)
Dunque, non solo l’induismo e il buddismo, hanno predicato la reincarnazione ma ben altre religioni:
l’islamismo, l’ebraismo e, come abbiamo già visto, il cristianesimo, per ben sei secoli consecutivi.
Del resto anche nella Bibbia, nonostante i rimaneggiamenti e i riferimenti specifici all’argomento
tolti su ordine dell’imperatore Giustiniano a seguito della condanna di Origene, restano ancora oggi
alcuni passi indicativi di una credenza comune nel popolo ebraico.

Mosé, in alcuni salmi (90, 3-6) così recita:
“Tu fai tornare i mortali in polvere e dici: ‘Ritornate, o figlioli degli uomini’. Perché mille anni
agli occhi tuoi, sono come il giorno d’ieri quand’è passato, e come una veglia nella notte. Tu li
porti via come in una piena; son come un sogno. Son come l’erba che verdeggia la mattina; la mattina
essa fiorisce e verdeggia, la sera è segata e si secca”.
Mosé, pare fosse figlio di una principessa reale egizia, sorella di Ramses II e vi sono molte
probabilità che egli sia stato iniziato ai misteri del tempio come sacerdote di Osiride e quindi che
si rifacesse alla dottrina di Ermete, autore leggendario di testi in lingua greca e di contenuto
filosofico-religioso, divenuti noti poi come “scritti ermetici”, di natura reincarnazionista.
Anche nei Vangeli i riferimenti alla preesistenza dell’anima e alla possibilità che questa ha di
reincarnarsi portandosi dietro colpe e meriti, restano ancora molti. I discepoli di Gesù, sembravano
a conoscenza della metampsicosi (dal gr. Metempsýchõsis, passaggio delle anime), teoria secondo la
quale le anime sono soggette a successive reincarnazioni. Un primo riferimento lo si ritrova in
Matteo, 14, 1-2, in riferimento a Giovanni Battista, decapitato da Erode. Erode stesso sentendo la
fama di Gesù divenire sempre più grande, dichiarò ai suoi servitori: “Costui è Giovanni Battista;
egli è resuscitato dai morti”, e perciò agiscono in lui le potenze miracolose”.

E poi nel versetto 16, 13, sempre in Matteo si trova scritto: “Gesù venuto nelle parti di Cesarea di
Filippo, domandò ai suoi discepoli: chi dice la gente che sia il Figliuol dell’uomo? Ed essi
risposero: Gli uni dicono Giovanni Battista; altri, Elia; altri, Geremia o uno de’ profeti”.
Un altro riferimento che lascia intendere che gli apostoli fossero a conoscenza della realtà della
reincarnazione lo si ritrova nel passo del Vangelo di Giovanni, 9, 1-2,: “E passando vide un uomo
che era cieco fin dalla nascita. E i suoi discepoli lo interrogarono, dicendo: ‘Rabbi, chi ha
peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?”
Naturalmente nessun individuo può peccare prima della sua nascita a meno che non si dia per scontata
la sua preesistenza dell’anima e una colpa derivante da una precedente incarnazione. Il
cristianesimo dunque è stato da sempre intriso di riferimenti più o meno espliciti alla
reincarnazione e a tutt’oggi la Chiesa cattolica non si ha mai espresso ufficialmente aperta
condanna ad essa.

La teoria della reincarnazione, dopo i concili che misero al bando la dottrina di Origene,
gradualmente scomparve per poi venire tramandata solo dalle varie discipline esoteriche dei
templari, dei cabalisti, dei rosacrociani fino al pensiero rinascimentale. Un nuovo sviluppo si ebbe
con l’Illuminismo e il Romanticismo (XVIII e XIX sec.) e alcuni autori come Von Helmont, Kant,
Goethe, riportarono nelle loro opere considerazioni sulla reincarnazione.
Nell’epoca contemporanea un forte risveglio spirituale è stato avviato da Rudolf Steiner
(Kraljevica, Croazia 1861- Dornach, Basilea 1925), filosofo austriaco fondatore della società
antroposofica. Centro di questa dottrina è la distinzione, nell’uomo, di sette principi (dal corpo
fisico a quello etereo e astrale, dall’io all’io spirituale, allo spirito vitale e
all’uomo-spirito). Con la morte il corpo fisico si dissolve, mentre quelli etereo e astrale
accompagnano l’io in un periodo di sonno profondo che precede le successive incarnazione fino al
ritorno allo spirito puro.

Dott.ssa Elisa Albano

(1) Da MANUELA POMPAS – Reincarnazione (Alla scoperta delle vite passate). Ed. Bur, Milano 1997.,
p.45.
(2) da Enciclopedia Garzanti di Filosofia. Ed. Garzanti.
(3) MANUELA POMPAS – Op. Cit., p. 64.

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