La morte, nei racconti dei “risorti” 2

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La morte, nei racconti dei “risorti” 2

di Paolo Vita

– Parte seconda –

Le persone che riprendono coscienza dopo un grave
incidente, un intervento chirurgico, o una malattia apparentemente
esiziale sono talora portatrici di ricordi del loro stato di coma o di
anestesia generale. Questo tipo di esperienze (é stato stimato che
solo negli USA, più di settecento persone al giorno hanno una NDE)
sono più complete di quelle in punto di morte, perché riferiscono fasi
del processo di morte anche più avanzate; inoltre sono tra le più
probanti ed impressionanti che si possano ottenere su questa materia,
poiché i soggetti ne escono spesso trasformati. Gli studiosi che hanno
raccolto i loro resoconti ci informano[23] che i pazienti hanno
esperienze non identiche tra loro, ma che manifestano molti punti in
comune, quali:

– anche se affetti da malattie dolorose, o incidenti gravi, non
percepiscono più alcun dolore, anzi, talora viene riferito che, in
caso di morte traumatica, l’anima si separa dal corpo un attimo prima
del colpo mortale, sicché il soggetto non percepisce dolore, né
conseguenze psicologiche di quel trauma. [24]

– spesso hanno osservato da un punto di vista esterno il proprio
corpo, separato da loro, la sala operatoria ed i medici indaffarati
nel rianimarli. Questa fase è del tutto analoga ad un’esperienza fuori
dal corpo, su cui mi soffermo più oltre; il corpo inerme viene
osservato generalmente dall’alto, da una distanza variabile da alcune
decine di centimetri a diverse decine di metri. Talora il paziente
vede anche delle entità, percepite come “Angeli”, che guidano i medici
nelle loro attività [25]

– spesso hanno visto un tunnel, alla fine del quale s’intravede
una bellissima luce. Margot Grey ci fornisce una descrizione molto
dettagliata di questa esperienza del tunnel: le si presentò come la
luce di una piccola stella in un cielo nero; lei viaggiava a grande
velocità verso quella luce, che gradualmente si ingrandiva e si
presentava come la fine di un tubo; il viaggio durò circa un minuto;
alla fine lei non percepì lo sbocco del tunnel, ma un’immersione nella
luce chiarissima bianca-azzurra, non accecante. L’esperienza del
tunnel è un classico nel passaggio all’Aldilà.

– hanno percepito un senso di pace, di luce, di unità e talora una
dolce musica[26], trovando piacevole ed attraente la nuova situazione,
che si presenta come un paese idilliaco, risplendente di luce propria,
in cui la vista può estendersi simultaneamente in tutte le direzioni,
percependo fiori dai colori bellissimi e l’udito può ascoltare suoni
meravigliosi, provenienti non si sa da dove [26b].

– molti hanno incontrato qualche loro caro familiare o amico
defunto, che veniva loro incontro, per accoglierli ed aiutarli nel
passaggio al nuovo stato; talora il soggetto scopre di essere accolto
da una persona che egli non sapeva neppure che fosse morta[27] [27b].
I defunti appaiono in genere in aspetto giovanile, anche se morti in
vecchiaia; l’età apparente è sui trent’anni. I corpi sia del morente
che dei defunti (chiamati “corpi astrali”, o “beta”[28]) appaiono
generalmente concreti, come sulla Terra. Spesso a guidarli c’e anche
un Essere di luce e d’Amore, identificato con un grande personaggio:
un saggio ignoto, o come Gesù, o altri Esseri, secondo le proprie
credenze; Egli trasmette al soggetto una sensazione di apprezzamento
ed Amore incondizionato, che prescinde dalla sua storia e
comportamento terreno.
Mai si è registrato l’incontro o la visione di demoni.[29] La
comunicazione con le Entità disincarnate avviene telepaticamente

– segue una rapidissima, o istantanea, ma dettagliata e vivida
rivista degli avvenimenti ed emozioni della propria vita appena
conclusa [29b], come mezzo di apprendimento su quanto abbiamo maturato
e su cosa ci resta da perfezionare.[30]

Spesso si ha la sensazione di una barriera, una porta, che si
frappone tra il “morto” e il suo definitivo ingresso nel mondo
dell’Aldilà e che spesso non viene superata, dato che il soggetto
verrà richiamato nel corpo.

– i morenti si sono sovente rammaricati di essere richiamati in
vita dagli sforzi dei medici, preferendo il nuovo stato, a meno che
l’attaccamento o l’impegno con i propri cari – specialmente i figli
minori – non facesse preferire loro di rianimarsi, proseguendo
l’esperienza terrena[31]. Anzi per molti il fenomeno della premorte è
stato simile all’assaggio di una condizione felice ed alla sua
successiva privazione; un po’ come aver provato una droga esaltante,
senza poterla avere più. Si può avere la sensazione di una fastidiosa
pesantezza del corpo fisico, come di un ostacolo alla libertà di
movimento, sperimentata quando si agiva col corpo astrale; una
condizione di oppressione data dal mondo materiale, in confronto con
la gioia, l’amore e la pace dell’Aldilà, un degradante rientro nel
corpo fisico[32]. Oltretutto il rientro nel corpo implica il risorgere
di dolori spesso forti, dovuti all’incidente che causò la NDE, salvo
in casi rari in cui l’esperienza fu anche occasione di una guarigione
miracolosa [32b]. Forse queste considerazioni possono contribuire a
spiegare perché, nel reincarnarci, subiamo l’oblio delle vite passate
e soprattutto dello stato astrale: se lo ricordassimo, forse non
vivremmo serenamente la vita terrena, rimpiangendo sempre quella
disincarnata.

– essendo tornati in vita, i morenti superano il timore della
morte, considerandola la fine di un periodo difficile e l’inizio di
uno più sereno e felice. Uno di loro dichiarò al ricercatore Peter
Fenwick: <
meravigliosa!>>[32b]. Danno inoltre un senso più alto alla vita ed
all’impegno da profondere in essa, e talora si convertono
profondamente da una vita scellerata[33]

– tutta l’esperienza viene riferita come tangibilmente reale,
ancorché con grande senso di inadeguatezza ad esprimere a parole la
complessità e l’unicità di quanto percepito, che è definito troppo
diverso dall’esperienza terrena.

Ne consegue che l’insistenza nel pregare e sperare di riavere un
proprio caro in vita risulterebbe essere un attaccamento egoistico dei
superstiti, che può prolungare l’esperienza terrena di una persona che
gradirebbe, invece, approfittare della circostanza mortale, per
prendersi un periodo di vacanza, in una condizione assai più felice di
quella terrena. [34]

Le più vecchie testimonianze sull’argomento sembrano essere riferite
negli “Annali dello spiritismo in Italia” del 1880, in cui si scrive
che questo tipo di fenomeni è noto da molto tempo. Uno dei riferimenti
risale al 1791 (epoca della Rivoluzione francese!) [34b]

George Ritchie fu uno dei primi a raccontare nel suo libretto “Return
from tomorrow” (“Ritorno dall’Aldilà”) la sua personale esperienza di
NDE avuta all’età di venti anni, quando “morì” di polmonite in un
ospedale militare.

Il più noto pioniere di queste ricerche: Raymond Moody fu ispirato ad
interessarsi a questo soggetto dalla storia dello stesso George
Ritchie. Egli riferisce che alcune persone che ebbero esperienze
trascendentali acquisirono alcune facoltà paranormali, come:
sensitività, precognizione e telepatia. Anche lui, come tutti i
ricercatori, trovò che i sopravvissuti non hanno più paura della
morte, che considerano un passaggio ad una vita assai più bella; uno
di loro disse addirittura: <<è una liberazione dal carcere>>.
Nonostante ciò accettano di buon grado di continuare a vivere per il
tempo che resta loro, capendo che quello è il loro compito.

Elizabeth Kübler-Ross, insieme ad altri noti ricercatori nel campo
delle NDE, quali Raymond Moody, George Ritchie, Michael Sabom, Bruce
Greyson e altri, fondò nel 1978 un’associazione internazionale, dedita
a questi studi: la IANDS (International Association for Near-Death
Studies), che oggi annovera membri da ogni continente. Jeffrey e Jody
Long sono altri due studiosi, che hanno fondato la NDERF (Near Death
Experience Research Foundation). Questa fondazione raccoglie
esperienze da tutto il mondo, svolse un’indagine su 617 casi nel
periodo 2004-2008, che evidenziò la coerenza delle esperienze di NDE
al di là di ogni differenza di nazionalità, razza , religione. Ha un
sito web di esposizione e raccolta di esperienze, con alcune pagine
anche in italiano.

Michael Sabom, un cardiologo americano, materialista scettico,
prevenuto contro le esperienze in punto di morte, si dovette
ricredere, ascoltando la storia di una paziente. Partendo da quella
esperienza, lesse il libro già citato di Moody “La vita oltre la
vita”, che trovò interessantissimo, ma privo di una raccolta di dati
statistici che gli conferissero la dovuta scientificità. Decise allora
di approfondire sistematicamente l’argomento con una ricerca
organizzata insieme alla psichiatra Sarah Kreutziger, i cui risultati
raccolse nel suo libro “Dai confini della vita”. Esso riferisce i dati
ed i commenti raccolti su centocinquanta pazienti (un numero simile a
quello su cui studiò Moody) nell’arco di cinque anni: dal 1976 al
1981; lo fece mediante minuziosi questionari, ottenuti soprattutto da
pazienti colpiti da infarto cardiaco e rimasti in stato d’incoscienza
per alcuni minuti. Sabom trovò che nel 27% dei casi le persone
intervistate vissero in parte, o in toto, le esperienze menzionate.
Un’inchiesta di George Gallup del 1982 ha stimato che solo negli USA
circa otto milioni di adulti (4% della popolazione) hanno avuto una
NDE. D’altronde hanno avuto esperienze di NDE anche persone note, come
Re Hussein di Giordania, Cino Tortorella (alias: mago Zurlì), Walter
Chiari, Daniel Gelin[39], Sharon Stone, Gianfranco Funari e molti
altri.

Il dr. Sabom evidenzia due aspetti principali dell’esperienza NDE:
quella autoscopica, in cui il paziente vede il proprio corpo
dall’esterno, mentre viene soccorso dai medici e quella
trascendentale, in cui il paziente ha delle visioni dell’Aldilà:
incontro con parenti e figure gloriose, visioni di luce e di un mondo
meraviglioso. La visione autoscopica spesso si estende anche ad
osservazioni di altri ambienti, vicini o separati dalla sala
operatoria, come in una generica esperienza fuori dal corpo (vedi più
avanti). Una paziente, dopo la sua NDE, imparò addirittura ad uscire
dal corpo di sua iniziativa.

I pazienti del dr. Sabom (come quelli sentiti da altri ricercatori)
che vissero la fase trascendentale, trovavano la loro esperienza
indescrivibile, difficile da riferire con paragoni terreni grossolani
ed insoddisfacenti; quell’ambiente non viene riconosciuto come
alcunché di noto al paziente. Alcuni dissero che quella dell’Aldilà è
la “vera vita”, al cui confronto quella terrena impallidiva, o
sembrava un sogno sbiadito. A proposito di sogni, c’è chi sottolineò
che quell’esperienza era stata completamente diversa da un sogno.

Un paziente, rianimato dopo un coma da infarto, disse: < gente ha così paura della morte? E’ così bello!>>. C’è chi abbandonò
l’abitudine di andare ai funerali o mandare condoglianze, ritenendo
queste pratiche un’ipocrisia ed una perdita di tempo e sostenendo che
alla morte di qualcuno occorrerebbe invece fare una festa. Lo stesso
defunto non sembra apprezzare gran che tali cerimonie formali. Io
stesso, durante la mia partecipazione ad un cenacolo di medianità,
ebbi l’occasione di sentire i medium conduttori dell’evento entrare
in contatto con una loro amica appena defunta. Essa preferì
intrattenersi con noi, che ci stavamo occupando di spiritualità,
anziché seguire il proprio funerale che si stava svolgendo nella
stesso tempo.

L’unico motivo di rammarico o desiderio di rientrare nel corpo fisico
sembra essere il pensiero, la tristezza o la disperazione dei
superstiti, che talora sono determinanti nell’indurlo a tornare
indietro da quel mondo meraviglioso.

In quelle esperienze ci possono essere anche momenti di buio,
solitudine o paura, ma sono ricordati come fatti marginali, subito
superati da una situazione molto positiva.

Il dr. Sabom volle anche verificare se la riduzione del timore della
morte, che aveva constatato in coloro che avevano avuto un’esperienza
trascendentale, fosse dovuta alla stessa, o semplicemente al sollievo
per essere stati salvati. Perciò si premurò anche di confrontare il
senso di timore della morte nei pazienti che avevano avuto una NDE con
quella di coloro che – pur essendo stati rianimati da un coma – non
avevano avuto alcuna esperienza. Risultò che in questi ultimi non
c’era stato alcun miglioramento psicologico. Un confronto analogo lo
fece riguardo all’aumentata fiducia nell’Aldilà, con lo stesso
risultato.

Un’altra considerazione fatta riguarda il personale sanitario, che
dovrebbe comportarsi rispettosamente coi comatosi come se fossero
vigili, giacché essi possono spesso esserlo davvero, col loro corpo
astrale. I sanitari, inoltre, dovrebbero rendersi conto ed essere
istruiti su queste scoperte e non archiviare più i racconti dei
rianimati come fenomeni da psichiatria.

La già citata Elizabeth Kübler-Ross scrive che non è più questione di
“credere”, ma di “sapere” cosa accade dopo la morte e indica tre
stadi che si susseguono nella morte:

Nel primo stadio si funziona ancora per mezzo del corpo fisico, che è
come un bozzolo che si sta disfacendo. Poi esso cessa di funzionare e
giace come un soprabito smesso, liberando l’anima.

Nel secondo stadio l’anima, come una farfalla, si libera del bozzolo,
ormai inservibile, e riprende tutte le facoltà, in forma completa ed
esaltata; mediante dei sensi sottili può vedere, percepire ed
ascoltare quanto sta accadendo attorno al suo vecchio corpo, anche nel
caso di sordomuti o ciechi dalla nascita[43]; il soggetto può
percepire anche i pensieri dei presenti, specie dei medici ed
infermieri, che cercano di rianimare il suo corpo. L’anima può
spostarsi liberamente ed istantaneamente, visitando eventualmente
altre persone care ed ha un corpo integro, anche se quello fisico era
menomato o mutilato e si sente benissimo, stupita dall’agitazione dei
sanitari che tentano di rianimare il corpo. Ciò conferma quanto ormai
acquisito anche dalla scienza ufficiale, secondo cui è utile stare
vicini alle persone care in coma e parlare o trasmettere loro amore,
dato che esse spesso sono in grado di giovarsene.

Nessuno muore solo. Il morente può incontrare persone care, morte in
precedenza ed angeli o Guide spirituali, giunte per accoglierlo e
guidarlo. Il passaggio nel nuovo “ambiente” avviene spesso attraverso
un tunnel, ma anche un ponte, o un cancello e simili. L’ingresso
attraverso un cancello ricorda molto l’idea tradizionale della “porta
del paradiso”: chissà che tale idea non scaturisca da antiche
esperienze di premorte mai registrate per iscritto?

Nell’Aldilà si vedono prati fioriti di straordinaria bellezza e colori
luminosi; secondo alcune fonti, un unico filo d’erba è costituito da
tanti punti luminosi e vivi[44]. Si vede una luce bianchissima, non
abbagliante[45], senza ombre e si percepisce Pace ed un grande Amore
incondizionato: un amore che non ha eguali sulla Terra.

Dopo tale esperienza il morente non vorrebbe più tornare nel corpo
fisico, sente di essere tornato “a casa” e comprende che la vita
terrena è stata una scuola, una prova e una sfida, dove la cosa più
importante da imparare è l’Amore.

Nella terza fase, in quell’ambiente bellissimo e piacevolissimo, si
rivede rapidamente la propria vita trascorsa: ogni gesto e pensiero,
rendendosi conto di ciò che si fece di bene e delle azioni
inappropriate. Ci si rende conto delle conseguenze sugli altri e su se
stessi e ci si giudica da soli.

Anche la Kübler-Ross – che, prima di iniziare questi studi, non
credeva in una vita dopo la morte, ma diventò successivamente molto
spirituale, sulla base delle esperienze vissute – sostiene che chi ha
avuto una NDE non ha più paura di morire.

E’ da notare che le visioni e le esperienze, vissute nelle varie forme
e circostanze descritte in questo libro, non sono riferite da santi, o
persone particolarmente spirituali, che otterrebbero questi risultati
da una vita di contemplazione e fervore, ma riguardano persone
normalissime, talora anche lontane dalla religiosità, o addirittura
atee.

Kenneth Ring, professore di psicologia all’Università del Connecticut
e co-fondatore della IANDS è stato un altro leader mondiale nella
ricerca sulle NDE, anche di soggetti non vedenti. Sulle sue ricerche
ha scritto vari testi, confermando tutte le informazioni e conclusioni
a cui sono pervenuti altri studiosi, indipendentemente dalla loro
nazionalità, su soggetti di ogni estrazione, fede e cultura. Di lui
menziono il resoconto di una donna che si suicidò, ma fu salvata; essa
aveva la scelta di tornare in vita o restare nell’Aldilà, con la
prospettiva di reincarnarsi e ritrovarsi ad affrontare gli stessi
problemi che aveva cercato di fuggire.

Ring, in un altro suo libro, mette in risalto gli insegnamenti
derivanti dalle NDE e di come i soggetti ne possano uscire trasformati
e più saggi.

Dello studioso olandese dr. Pim Van Lommel (anche lui un cardiologo
scettico, poi ricredutosi, osservando i pazienti), cito il caso di un
paziente che, nel suo stato di coscienza astrale, poté vedere anche
circostanze della sua vita futura. Anche lui sottolinea che ciò su cui
si sofferma il nostro giudizio nell’Aldilà sono sopratutto le
intenzioni dei nostri atti. A seguito di quelle osservazioni non sono
stati solo i pazienti a cambiare la loro vita, ma lo stesso Van
Lommel.

Anche il famoso psicologo Carl Gustav Jung ebbe un’esperienza di
premorte: In seguito ad un infarto si vide salire nello spazio
extraterrestre, fino ad un’altezza che poi stimò sui 1500 km. Vicino a
se vide un tempio scavato in un meteorite; accanto all’ingresso del
tempio c’era un uomo vestito di bianco, seduto nella posizione del
loto (la posizione più classica dello yoga, per meditare con la
schiena eretta, senza l’ausilio di schienali: le gambe sono conserte,
con i piedi poggiati sulle cosce opposte). Ebbe la sensazione che i
suoi interessi terreni svanissero e si identificò con la sua storia
personale. Ebbe la certezza di stare per entrare in una stanza
illuminata, dove avrebbe incontrato i suoi cari. Dal basso, però, lo
raggiunse il suo medico, che lo sollecitò a tornare sulla Terra e la
visione finì.

Jung fu molto deluso del proprio ritorno nella carne; la vita gli
sembrò una prigione; sentì ribellione nei confronti del medico che
l’aveva “salvato”, ma si preoccupò per lui, perché il loro incontro
nelle visione gli fece presagire la sua imminente dipartita. Infatti
Jung guarì, mentre il medico si ammalò improvvisamente e presto morì!

Don Piper è un pastore protestante battista, che vive nel Texas. Nel
1989 – quando aveva 38 anni – prese parte ad una convention della sua
chiesa; sulla strada del ritorno a casa la sua auto fu investita
frontalmente da un autotreno su uno stretto ponte e lui perse
conoscenza dell’ambiente terreno. Si trovò immediatamente in vista di
un gran bel cancello; gli si fecero incontro molti amici e parenti
defunti, tra cui suo nonno e due amici prematuramente scomparsi. Erano
festanti e sorridenti: gli dettero il benvenuto, abbracciandolo e
lodando Dio. Don si sentiva più vivo e felice di quanto lo fosse mai
stato in tutta la sua esperienza terrena; non pensava più a cose o
persone lasciate sulla Terra; ovunque guardasse vedeva persone che lo
avevano amato e lo amavano; esse avevano l’aspetto in cui lui le
ricordava, ma abbellito e risplendente. Una sua bisnonna, che lui
ricordava curva, rugosa e sdentata, ora era diritta, aveva il viso
liscio ed un bel sorriso.

Ad un certo punto vide una luce più forte delle altre, che diventava
sempre più intensa. Iniziò ad udire una musica, di cui non si vedeva
la provenienza; era come se in parte fosse generata da invisibili ali
di angeli ed in parte da molteplici cori di lode a Dio, sovrapposti,
ma ben distinguibili: una musica che talora torna alla sua memoria
uditiva terrena. Vide anche colori incredibili e si sentiva “a casa”,
perfettamente felice. Poi tutti insieme si avviarono verso il
cancello, che Don interpretò come “La porta del Paradiso” e da cui
sembravano provenire musica e luce. Essa era enorme, inserita in una
muraglia che si stendeva a perdita d’occhio da ambo i lati. Al di là
c’era una città, pavimentata d’oro.

Don, a quel punto, si ritrovò nel suo corpo maciullato dall’incidente:
l’autotreno era salito con le ruote anteriori sopra la sua macchina,
schiacciandola. Le sue gambe ed il braccio sinistro avevano fratture
multiple; un pezzo del suo femore sinistro, lungo una dozzina di
centimetri non fu mai ritrovato e si pensa che finì nel fiume
sottostante il ponte dell’incidente. Don era stato esaminato e
dichiarato morto sul colpo. Il corpo era talmente incastrato nell’auto
che nessuno fece il tentativo di estrarlo per varie ore, dando la
precedenza ad altre emergenze. La polizia aveva bloccato il traffico e
si era formata una lunga coda di veicoli.

Dick Onerecker, un altro pastore battista, che aveva partecipato alla
convention, si trovava in una delle macchine in coda presso
l’incidente; scese per raccogliere informazioni e si avvicinò alla
vettura di Don, chiedendo di poter pregare per lui, pur non
conoscendolo, seguendo una prepotente ispirazione interiore. Un
poliziotto cercò di dissuaderlo, insistendo che non c’era più nulla da
fare, ma Dick riuscì a spuntarla; si sedette sul sedile posteriore
dell’auto incidentata, mise una mano sulla spalla del “morto” e
cominciò a pregare e cantare inni. Improvvisamente Don prese a cantare
con Dick, che schizzò fuori dall’auto chiamando i soccorsi e dicendo
che l’uomo era ancora vivo!

Ebbe difficoltà a farsi ascoltare, ma poi tutti si precipitarono al
soccorso; chiamarono una macchina speciale dotata di un pistone
idraulico per scartocciare la vettura; essa arrivò dopo più di un’ora.
Frattanto Don non percepiva alcun dolore, neppure durante la sua
estrazione dall’abitacolo, che non dovette essere uno scherzo in
quelle condizioni; i dolori cominciarono a manifestarsi durante il
viaggio in ambulanza, con intensità crescente, nonostante varie
iniezioni di morfina. Fu trasferito da un ospedale di provincia ad un
più grande di Houston, dove fu operato trentaquattro volte! Ci restò
per circa quattro mesi, immobile e gli venne anche la polmonite per
l’immobilità; per tredici mesi non poté voltarsi di fianco. Tanti
pregavano per lui, ma Don rimpiangeva il suo Paradiso, sia per la
bellezza sperimentata ed ancor più per la sua condizione
disperatamente dolorosa; gli altri pregavano e lo incoraggiavano a
vivere e guarire, ma lui avrebbe preferito molto morire.

Per oltre un anno Don non osò far parola della sua esperienza
nell’Aldilà, sia perché la considerava troppo sacra, sia per timore di
essere preso per matto. Poi iniziò a parlarne col suo migliore amico
David, che lo incoraggiò a condividerla con qualcun altro. Così fece e
tutti ne furono interessati ed entusiasti. Don, infine, accettò come
una missione altruistica quella di condividere la sua esperienza, che
fosse di speranza e consolazione per gli altri. Gli fu chiesto di
partecipare a conferenze e trasmissioni TV. Registrò anche dei nastri
audio con la sua storia. Infine la descrisse in un piccolo libro: “90
Minuti in Paradiso”. Da esso mi piace trarre una frase pronunciata da
una donna che lo incontrò: <
qualcuno che c’era stato>>. Le reazioni interessate e positive di
tante persone consolarono e convinsero Don dell’utilità del suo
ritorno nel corpo per riferire quanto sperimentato. Ora non ha alcuna
paura della morte: non c’é nulla da temere, solo gioia.

Vari libri su Sai Baba e sulla morte[46] riferiscono il caso di Walter
Cowan, imprenditore americano e devoto di Sai Baba. Egli si trovava in
India, a Madras, quando fu colto da una crisi diabetica e trasportato
in ospedale, dove fu dichiarato morto. Sai Baba si recò a trovarlo,
dopo un certo tempo e lo risuscitò. Cowan riferì di essersi sentito in
uno stato di gran beatitudine, accolto nel suo corpo astrale da Sai
Baba stesso, che lo condusse in una gran sala. C’era una corte di
giustizia, con un giudice molto gentile, che esaminò le registrazioni
scritte delle sue vite precedenti fin da migliaia di anni addietro.
Finito l’esame Sai Baba disse che Walter doveva ancora terminare
alcuni incarichi. Il giudice concordò che tornasse nel suo corpo.
Walter lasciò a malincuore quello stato, pensando che tornare nel
corpo fosse come ripiombare in un pozzo nero. John Hislop, un altro
devoto di Baba e scrittore, che udì il racconto di Cowan, chiese
conferme a Sai Baba, il quale disse che quella era stata
effettivamente un’esperienza reale.

Betty Eadie, un’americana, figlia di una donna sioux e di un
irlandese, nel 1973, durante un’operazione di isterectomia, ebbe
un’esperienza personale di morte apparente di alcune ore, da cui poi
si riprese. Quell’esperienza fu molto ricca e dettagliata e lei la
riferì nel suo libro “Abbracciata dalla luce”, che è uno dei più bei
resoconti di prima mano del processo della morte e della vita
nell’Aldilà.Esso comprende tutte le fasi descritte da altri,
dall’osservazione del proprio corpo esanime e dei medici che se ne
occupavano, all’incontro con entità accoglienti, con cui comunicò
telepaticamente. La sua esperienza fuori dal corpo si ampliò alla
visita della sua casa e della sua famiglia, la cui visione la confortò
sull’autonomia dei propri cari e sulla propria possibilità di
lasciarli serenamente. Ci fu anche il passaggio nel tunnel, un rumore
roboante, la visione di un essere di luce, identificato in Gesù, che
le parlò e l’abbracciò in una fusione sublime. Poi l’esperienza si
ampliò alla rivista della sua vita terrena, sotto forma di una serie
di ologrammi velocissimi per auto-valutare i suoi comportamenti.
Riferì vari altri dettagli, alcuni non narrati da altri.

Naturalmente questo, come tutti i racconti di tali esperienze, vanno
presi con le molle, sia perché ognuno può interpretare le esperienze
secondo il proprio punto di vista soggettivo, sia perché, come gli
stessi soggetti spiegano, la vita e gli ambienti dell’Aldilà sono
fortemente influenzati o addirittura creati dal soggetto stesso e
quindi possono differire tra un soggetto ed un altro. Nonostante ciò
rileviamo una notevolissima, anzi sorprendente, concordanza tra i
racconti di tanti soggetti diversi.

I racconti della Eadie concordano con quelli degli altri e presentano
queste caratteristiche:

Le descrizioni dell’ambiente naturale percepito dalla scrittrice, con
i giardini, le montagne, i fiumi ed in particolare i fiori, sono
estremamente entusiasmanti. Oltre a confermare che nel mondo astrale
gli oggetti non appaiono grazie al riflesso dei raggi solari, ma
brillano di luce propria, anche lei, come altri ricercatori, ci
riferisce che ogni molecola sembra avere una propria intelligenza e
vitalità. Comunque nell’astrale esistono – oltre ad ambienti della
natura, anche manufatti, come edifici bellissimi. Il mondo terreno è
come l’immagine in negativo di quello colorato astrale. La donna ebbe
addirittura un’esperienza di “fusione” con una rosa, così intensamente
descritta, da far pensare ad un’esperienza di “coscienza dell’unità”:
la sensazione di essere uno con tutto, la constatazione della
non-dualità tanto declamata dai Maestri spirituali.

C’è una conferma del fatto che, negli incidenti, l’anima lascia il
corpo prima che esso provi dolore.[52] Questo fatto – che aggiunge
serenità all’evento morte – mi sembra molto importante, perché temuto
da molti. Un certo dr. Heim, geologo svizzero, che era stato vittima
di una caduta in montagna, pubblicò uno studio nel 1892, sulla NDE di
alpinisti caduti dalle montagne. Tale studio, che raccoglie le sue
ricerche di 25 anni, mette in luce il fatto che essi non avevano
subito né paura né dolori durante ed al termine della caduta, ma
addirittura che ebbero durante la caduta stessa, prima di impattare
sul suolo, alcuni dei fenomeni sperimentati da altri dopo la loro
morte apparente. In effetti la caduta, o il trauma impressiona gli
eventuali spettatori, ma difficilmente i protagonisti.

Anche lo scopo dell’incarnazione sulla Terra viene confermato come
un’esperienza scelta da noi stessi per l’evoluzione[54], a volte anche
includendo volutamente condizioni di handicap[55], malattia[55b], o di
miseria e maltrattamento. Nello scegliere, le Guide ci propongono
varie alternative di vita possibile, mostrandocene un’anteprima le
scene principali [55c]. Questo enfatizza quanto già spiegato nel mio
libro “Reincarnando s’impara”, a commento dell’illustrazione delle
reincarnazioni, come conseguenza d’imperfezioni comportamentali: non
tutti quelli che penano stanno riparando comportamenti passati
imperfetti (basti pensare a Gesù!).

La Eadie riferisce di aver visitato anche altre galassie, altri mondi,
e di aver incontrato altri esseri viventi che li popolano.

Da quell’esperienza la Eadie trasse non solo informazioni sulla morte
e la vita nell’Aldilà, ma imparò intuitivamente molto sulla vita in
generale e sulle sue leggi, sull’origine delle malattie, sulla
stimabilità ed utilità di tutte le religioni (che devono convergere
sull’Amore: fondamento di tutta la creazione), sul perdono, sulla
potenza della preghiera sincera, ecc..[57]

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