La memoria nei migratori

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La memoria nei migratori

di: Donata Allegri

Gli uccelli migratori ricordano più e meglio di quelli non migratori. Ogni anno tornano al medesimo
posto, talvolta sostenendo viaggi lunghissimi, per accoppiarsi e nidificare. vantano una memoria a
lungo termine senza errore, limata anno dopo anno dall’esperienza. È il risultato di una ricerca
effettuata in Germania da Claudia Mettke-Hofmann e Eberhard Gwinner, dell’istituto di ricerche
ornitologiche Max Planck.

La ricercatrice, come riferito su Proceedings of the National Academy of Sciences (Pnas), spiega che
una simile memoria è inutile per gli uccelli che non migrano, anzi può anche esser loro d’intralcio,
per questo l’evoluzione ha voluto che si sviluppasse solo nei migratori. Appare chiaro, anticipa la
scienziata, il coinvolgimento di una regione del cervello, l’ippocampo, che è decisamente più
sviluppato negli uccelli migratori e che i ricercatori sanno essere coinvolto nell’elaborazione
dell’informazione spaziale, ma se ne dovrà verificare il diretto coinvolgimento nella memoria a
lungo termine.

Durante gli esperimenti è stato eliminato ogni possibile fattore di disturbo prendendo esemplari
delle due specie di uccelli canori, la Garden migratrice e la non migratrice Sardinian, direttamente
nelle nidiate, ancora con gli occhi chiusi, di modo che non potessero raccogliere informazioni
spaziali prima di essere portati nell’istituto di ricerca. Ciò dimostra senza dubbio, secondo la
scienziata, che le differenze comportamentali osservate nei due tipi di uccelli durante i test sono
di origine genetica, cioè ereditate di generazione in generazione e non acquisite per esperienza.

I due gruppi di uccelli sono stati introdotti per circa 9 ore in due vani comunicanti, in uno dei
quali i ricercatori avevano riposto del cibo. Tolti dalle stanze, gli uccelli vi sono stati
introdotti di nuovo dopo un tempo variabile da qualche giorno sino ad un anno però, come precisato,
al loro secondo ingresso entrambe le stanze erano vuote. È a questo punto, rileva Mettke-Hofmann,
che emergono le differenze: gli uccelli migratori anche dopo un anno dalla prima visita passavano
molto più tempo nella stanza dove avevano trovato il cibo la prima volta, gli altri invece, rimessi
nelle stanze già dopo qualche giorno, non avevano preferenze e giravano indistintamente nei due
vani. Ciò avviene, secondo Mettke-Hofmann, perché solo i migratori mantengono anche a distanza di un
anno il ricordo della presenza del cibo in uno dei due vani.

Sembra che in tempi antichi la selezione abbia favorito tra gli uccelli migratori gli esemplari
dotati di una memoria migliore e questa capacità li avrebbe resi più fecondi. Infatti, spiega ancora
Mettke-Hofmann, rispetto agli ‘smemorati’ gli altri arrivavano prima nei luoghi destinati
all’accoppiamento e alla nidificazione, potendo così scegliere i territori migliori da occupare.
Avvantaggiati com’erano, si sarebbero diffusi a discapito di quelli con scarsa memoria, cosicché
dopo moltissime generazioni, sostiene l’esperta, tutti i migratori sarebbero stati caratterizzati da
elevate capacità cognitive.

Per ora, precisa Mettke-Hofmann, ci sono ancora pochi dati per quel che riguarda il ruolo
dell’ippocampo, ma le due specie osservate mostrano significative differenze. Infatti solo in quella
migratrice, precisa, le sue dimensioni aumentano con l’età, come è evidente confrontando gli
esemplari giovani privi di esperienza e quelli più anziani. Poiché danni all’ippocampo indeboliscono
l’apprendimento spaziale, ricorda l’esperta, ne deduciamo che esso aiuta a migliorare la capacità
migratoria dell’uccello, in sé basata su un programma innato e definito a livello ereditario. ‘Il
nostro studio però ci permette solo di dire che la memoria a lungo termine è prerogativa degli
uccelli migratori – conclude l’esperta – mentre per verificare che al suo sviluppo contribuisca o
addirittura che ne sia sede l’ippocampo servono altri studi’.

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