Infinite realtà? Una scoperta conferma i paradossi della fisica quantistica

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Infinite realtà? Una scoperta conferma i paradossi della fisica quantistica

La funzione d’onda, concetto alla base della meccanica quantistica, non è solo un modello matematico
astratto ma una realtà tangibile. La scoperta aprirebbe prospettive capaci di rivoluzionare il
concetto stesso di realtà, solo una delle infinite possibili.

Immaginate di stare seduti al tavolo da gioco per una partita di poker. Vi vengono date le carte.
Per quanto forte sia il vostro desiderio di trovarvi una buona mano, non saprete che carte sono
finché non le girate. Immaginate ora che, con quel semplice gesto, la realtà cambi, prendendo
diverse direzioni: in una vi troverete in mano delle carte buone per una scala, in un’altra potrete
fare una doppia coppia o un tris, in un’altra ancora – molto fortunata – un bel poker. In molte
altre, vi troverete solo delle carte inutili. Nulla di tutto questo accade davvero, secondo la
nostra esperienza. Eppure questa “scissione” della realtà sembra avvenire a una scala infinitamente
piccola, quella regolata dalle leggi della fisica quantistica, ed è un fenomeno con i quali gli
scienziati fanno i conti da oltre sessant’anni.

Quanto è reale una funzione d’onda

Tutti coloro che hanno studiato un po’ di chimica ricorderanno, ad esempio, il modello dell’atomo
con il suo nucleo e i suoi elettroni che gli girano intorno, simili a pianeti intorno al Sole. La
fisica quantistica ha rivoluzionato, a suo tempo, questo modello (che pure continuiamo a studiare a
scuola): gli elettroni non sono qui o lì, ma un po’ dappertutto, sparsi intorno al nucleo. Eppure,
dirà qualcuno, se io voglio trovare un elettrone, dovrò pur sapere dove si trova. Quello che
sappiamo è solo la probabilità di trovare un elettrone in un punto specifico, esattamente come la
probabilità di avere in mano certe carte al tavolo da gioco. Solo che, secondo la fisica
quantistica, possiamo scegliere noi le carte da avere in mano: quando lo scienziato effettua
l’osservazione per scoprire dove si trova esattamente l’elettrone, l’elettrone “magicamente” compare
in quel punto esatto. Gli scienziati dicono che la sua funzione d’onda è collassata, ossia che la
sua localizzazione nello spazio, invece di essere “spalmata” per tutta l’orbita intorno al nucleo,
si è stabilizzata in un punto specifico.

Fino a oggi, la funzione d’onda era considerata una mera funzione matematica, capace di dirci la
probabilità di trovare un elettrone in quel punto specifico. Un escamotage statistico e niente di
più. Ora, una ricerca che sta scuotendo il mondo della fisica ha dimostrato che la funzione d’onda è
qualcosa di reale e tangibile: l’elettrone esiste davvero in un’infinita di punti lungo la sua
orbita, come tante infinite realtà diverse, che vengono ridotte a un’unica realtà solo quando
l’osservatore porta l’elettrone a collassare in quel punto esatto.

Paradossi incredibili

La fisica quantistica ha abituato gli scienziati a questi paradossi. Ad alcuni non è mai piaciuta:
sì sa per esempio che non piaceva ad Albert Einstein, che amava immaginare una realtà determinata,
definita, certa. Ma anch’egli dovette tardivamente arrendersi all’evidenza: se il mondo macroscopico
che viviamo e sperimentiamo sembra in effetti dominato da leggi inderogabili che lo rendono
solidamente reale, il mondo microscopico sembra avvolto nella nebbia fitta dell’indeterminazione.
Non a caso, uno dei padri della fisica quantistica, Werner Heisenberg, aveva definito “principio di
indeterminazione” uno degli assunti di base di questa teoria. Nella sua versione stringente, tale
principio sostiene che non è possibile determinare con esattezza il moto e insieme la posizione di
una particella. Ciò in quanto il semplice atto di osservare una particella quantistica la modifica e
ne cambia le proprietà.

Perché ciò non avviene nel mondo che conosciamo? Perché, se osserviamo un vaso di fiori, non
riusciamo a modificarlo, o se speriamo di trovare un portafogli per strada non lo troviamo, per
quanto ardentemente possiamo sperare di imbatterci in una tale singolare fortuna? Perché le leggi
della fisica quantistica perdono di valore superata una certa dimensione: i teorici lo chiamano
“problema della decoerenza”, e in sostanza altro non è che la constatazione che i sistemi
macroscopici che sperimentiamo quotidianamente non seguono le stesse regole dei sistemi
microscopici, quelli cioè alla scala atomica o meglio ancora sub-atomica.

Nonostante le sue tante bizzarrie, la fisica quantistica è una teoria accettata e comprovata dalle
sperimentazioni tanto quanto quella della relatività. Non solo: è applicata quotidianamente in tanti
ambiti scientifici e tecnologici e ha prodotto un gran numero di ritrovati importanti per
l’industria. Eppure, le sue fondamenta filosofiche restano fonte di profonda perplessità. La
scoperta annunciata un paio di giorni fa da un gruppo di fisici teorici dell’Imperial College di
Londra promette di riaprire un dibattito iniziato negli anni ’20 e non ancora concluso. Il gruppo,
guidato da Matthew Pusey, invita alla cautela, ricordando che la ricerca è attualmente al vaglio dei
referee di una prestigiosa rivista, che debbono ancora decidere se accettarlo o meno. Ma tutti
coloro che hanno potuto leggere la relazione on-line ne sono rimasti affascinati. Si tratta infatti
di un teorema, che attraverso una matematica stringente e – sostengono gli esperti – apparentemente
perfetta, spiega che la funzione d’onda non può essere considerata un mero strumento statistico, un
escamotage matematico che usiamo per spiegare la probabilità che una particella possieda determinate
proprietà. No, la funzione d’onda è una realtà tangibile.

Per capire quali sono le implicazioni di quella che sembrerebbe una scoperta a uso e consumo dei
ristretti circoli matematici, basta ricordare il paradosso di Schrödinger. Per chi non lo
conoscesse, la storiella è semplice: un gatto è chiuso dentro una scatola, in compagnia di una fiala
di veleno collegata a un martelletto, il quale a sua volta è collegato a un contatore geiger che
misura il decadimento di un atomo radioattivo. Se l’atomo radioattivo decade, il contatore geiger lo
scopre e invia un segnale al martelletto il quale rompe la fiala di veleno che ucciderà il gatto. Se
l’atomo non decade, il gatto sarà vivo e vegeto. Se applichiamo le leggi della fisica quantistica a
questo scenario, in teoria finché un osservatore esterno non apre la scatola, il gatto sarà
contemporaneamente vivo e morto. Questo perché l’atomo radioattivo resterà in uno stato
indeterminato, descritto appunto dalla funzione d’onda, che collassa solo allorquando l’osservatore
effettua l’osservazione. Possibile che, all’interno di quella scatola, il gatto sia
contemporaneamente vivo e morto? No, per questo lo chiamiamo “paradosso”. E per questo la fisica
quantistica non si applica al mondo macroscopico. Ma se prendete questo esempio e lo applicate a una
scala sub-atomica, potete stare certi che le cose andranno proprio come le aveva descritte
Schrödinger, un altro dei maestri della fisica quantistica.

I molti mondi di Everett

Il paradosso veniva risolto, fino a ieri, sostenendo che la funzione d’onda è una questione di sola
matematica: non è vero, non può essere, che allo stesso tempo un atomo sia decaduto e sia rimasto
integro. Il gruppo di Pusey non la pensa alla stessa maniera: secondo loro, l’atomo è davvero, al
tempo stesso, vivo e morto. E la sua esistenza dipende dall’osservatore. La grande rivoluzione della
fisica quantistica sta tutta in quest’ultima frase: se il mondo sub-atomico vive in una realtà
indeterminata finché non c’è un osservatore esterno che la fa collassare in uno stato determinato,
allora – volando (ma nemmeno tanto) con la fantasia – potremmo sostenere che l’intero universo
vivrebbe in uno stato di indeterminazione quantistica se non ci fossero osservatori intelligenti che
lo osservano. Il che, detto in maniera più rude, vuol dire che, se non ci fossimo, l’universo non
sarebbe quello che è. I filosofi si divertono molto con queste domande che imbarazzano tremendamente
i fisici, e rappresentano questi paradossi con un esempio: “Che rumore fa un albero che cade nella
foresta, se non c’è nessuno in ascolto?”.

Nel 1957 i fisici Hugh Everett e Bryce DeWitt proposero un’interpretazione della fisica quantistica
nota come “interpretazione a molti mondi” e, in seguito, come “interpretazione di Everett-DeWitt”.
In pratica, la realtà non è indeterminata: coesistono su uno stesso piano infinite realtà. Quando
pescate le carte, la realtà si divide: in uno di questi mondi, voi vincete un bel po’ di soldi (se
state giocando al casinò!) perché avete preso una mano fortunata, in tanti altri mondi ve ne tornate
a casa a mani vuote. Il film Sliding Doors applicava, senza volerlo, questa teoria: ogni scelta che
compiamo creerebbe dei bivi, altre linee della realtà che non vediamo, ma nelle quali altri noi
stessi hanno compiuto scelte diverse. Infiniti mondi in infinite realtà diverse. Non c’è da stupirsi
se l’interpretazione di Everett-DeWitt abbia fatto sognare tanta gente ma sia stata anche accolta
con scetticismo dai teorici, per quanto non contrasti con le leggi fisiche attualmente note. Ora, la
scoperta del gruppo di Pusey potrebbe essere una conferma dell’interpretazione di Everett-DeWitt. Se
i bookmakers inglesi accettassero scommesse sulla giusta interpretazione da dare alla fisica
quantistica (una disputa che divide i fisici dagli anni ’20), potete stare certi che in molti in
questo momento starebbero puntando proprio sui “molti mondi”.

Le prime reazioni sono già state raccolte dalla rivista Nature. Antony Valentini, fisico teorico
specializzato proprio nella meccanica dei quanti alla Clemson University della South Carolina, ha
parlato di un possibile “terremoto” per l’intero mondo della fisica. David Wallace, filosofo della
scienza a Oxford, sostiene che la scoperta sia il più importante risultato teorico dalla nascita
della stessa fisica quantistica. Robert Spekkens del Perimeter Insitute for Theoretical Physics del
Canada, sostenitore della tesi opposta, secondo cui la funzione d’onda sarebbe solo uno strumento
matematico, ha definito il teorema di Pusey “corretto” e il risultato “fantastico”. Una parola
davvero appropriata per descrivere lo scenario che potrebbe schiudersi. Ma a questo punto la palla
torna ai fisici, che continuano a regalarci immagini di una realtà molto più strana di quanto
riusciamo a immaginare.

da scienze.fanpage.it

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