I Gatti di Schrödinger

pubblicato in: AltroBlog 0
I Gatti di Schrödinger

di Davide Fiscaletti

Si dimostra alla fine che la teoria di Bohm, oltre a essere consistente sul piano fisico, è la
versione della meccanica quantistica che consente di realizzare il quadro unitario più convincente
all’interno della fisica, l’immagine del mondo più unitaria

Un tema di grande importanza nell’indagine scientifica è la ricerca di una descrizione unificata di
tutti i fenomeni fisici, anche di quelli che appaiono non correlati. Si può dire che, nel corso
della storia, lo scopo principale della fisica è sempre stato quello di fornire una spiegazione
unitaria dei diversi processi che avvengono in natura. In fisica esiste da sempre una naturale
tendenza all’unificazione.
La ricerca di un quadro unitario nei fondamenti della scienza fisica può essere vista come una
specie di principio logico: rappresenta, in sostanza, la strada migliore da seguire se si vuole
cercare di comprendere la totalità dell’esperienza sensoriale sulla base di un sistema concettuale
costruito su premesse di grande semplicità.
In primo luogo, quando si scoprono nuovi fenomeni o nuovi dati sperimentali, per ottenere una
rappresentazione coerente e comprensibile dell’universo, sembra logico e conveniente cercare di
incorporare quei fenomeni o quei fatti nuovi in uno schema teorico già noto. Ma non sempre,
ovviamente, si riescono a spiegare i nuovi risultati sperimentali sulla base delle teorie già
esistenti. In questi casi, si rende necessario formulare nuove teorie.

Dato che non è possibile spiegare la totalità dei processi naturali sulla base di un unico schema
teorico in quanto per rendere conto di nuovi fenomeni in generale risulta necessario elaborare nuove
teorie, affinché il sistema concettuale che si ha a disposizione risulti il più semplice possibile,
è allora legittimo costruire teorie che abbiano il maggior numero di fondamenti in comune con quelle
già esistenti. Se dobbiamo avere a che fare con diversi schemi teorici per spiegare i diversi
aspetti della realtà, affinché l’insieme di queste teorie si possa considerare il più semplice
possibile, sembra naturale richiedere che tutte queste teorie abbiano una qualche caratteristica in
comune (almeno sul piano dei fondamenti epistemologici). In altre parole, per dipingere un’immagine
coerente e comprensibile dell’universo, la cosa più opportuna da fare sembra quella di costruire,
all’interno della fisica, sul piano dei fondamenti, un quadro unitario che sia il più soddisfacente
possibile. Per ottenere un’immagine coerente e soddisfacente dell’universo, è meglio avere delle
teorie con qualche caratteristica comune piuttosto che tante teorie, tutte diverse, che fanno parte
di quadri diversi: è in questo senso che la ricerca di un quadro unitario nei fondamenti
epistemologici della fisica può essere vista come una specie di principio logico.

Occorre tuttavia sottolineare, a questo punto, che nel corso della storia vi sono state spesso delle
rivoluzioni scientifiche le quali hanno determinato delle necessarie discontinuità con le concezioni
precedenti. Si è allora constatato che la teoria nata con questa o quella rivoluzione scientifica
aveva il pregio di inquadrare le teorie precedenti come casi particolari o casi limite.

Ebbene, quando in seguito ad una data rivoluzione scientifica nasce una nuova teoria, può capitare
che questa abbia delle caratteristiche di base, dei fondamenti diversi rispetto a quelli che avevano
caratterizzato la fisica fino a quel momento (sia sul piano fisico che su quello epistemologico). In
questi casi, si perviene così a una rappresentazione sostanzialmente dualistica della realtà, cioè
in pratica a una duplicità di concezioni. Tuttavia, quando si giunge ad una rappresentazione
dualistica della realtà e, di conseguenza, trovare un’immagine unitaria del mondo fisico, un quadro
unitario con cui spiegare i diversi aspetti della realtà, sembra ad un primo esame impresa ardua,
anche in queste situazioni è del tutto legittimo operare con l’obiettivo di arrivare a un quadro
unitario, almeno per quanto concerne i fondamenti epistemologici delle principali teorie. Per poter
costruire un’immagine coerente dell’universo fisico, è del tutto naturale e ragionevole cercare di
ricomporre i dualismi in un quadro che sia il più unitario possibile. Si tratta allora di trovare
delle opportune interpretazioni delle teorie sotto studio, consistenti sul piano fisico, in modo
tale che possa essere recuperato, tra di esse, il maggior numero di caratteristiche in comune.
Questo procedimento non ha naturalmente mai fine: bisogna operare allo scopo di giungere a un quadro
unitario sempre migliore, sempre più convincente (in questo senso, se a un certo punto della ricerca
si riesce ad ottenere un quadro unitario in cui tra le varie teorie sotto studio sono presenti più
elementi, più fondamenti in comune, questo si deve considerare più soddisfacente rispetto ad un
quadro unitario che è stato realizzato per un solo aspetto).

Per realizzare nella fisica un quadro unitario soddisfacente sul piano dei fondamenti, dobbiamo in
sostanza procedere per tappe successive. In primo luogo, occorre esaminare le teorie principali che
la fisica ha sviluppato nel corso della storia per vedere se presentano una qualche importante
caratteristica comune.

Volendo semplificare al massimo il discorso, possiamo dire che la scienza fisica può essere
suddivisa in due grandi capitoli: fisica classica e fisica moderna. Per fisica classica intendiamo
l’insieme delle conoscenze elaborate nel corso dell’evoluzione del pensiero scientifico dalla
rivoluzione galileiana del Seicento all’Ottocento, e che sono compendiate nei due grandi pilastri
della fisica dell’Ottocento, vale a dire la meccanica e l’elettromagnetismo. La meccanica (classica)
studia il moto dei corpi macroscopici (sistema dei corpi celesti compreso) e, a tale scopo, si basa
sulle leggi di Newton (che sono state poi formulate in modo particolarmente elegante e raffinato
grazie ai lavori di Lagrange e Hamilton). L’elettromagnetismo (classico) studia le proprietà dei
campi elettrico e magnetico nell’ambito macroscopico ed è sintetizzato in sostanza nelle equazioni
di Maxwell. Esaminando tutte queste leggi classiche sul piano dei fondamenti epistemologici,
possiamo notare che esse presentano alcune importanti caratteristiche in comune. In primo luogo,
tutte le leggi della fisica classica forniscono una descrizione causale dei fenomeni sotto studio,
una descrizione dei processi basata sul principio di causalità: conoscendo lo stato di un sistema in
un dato istante è possibile prevedere il comportamento di quel sistema in qualsiasi istante futuro,
sulla base di tutte queste leggi classiche.

In altri termini, la fisica classica è deterministica: un’informazione massimale sulla preparazione
del sistema fisico in esame consente previsioni certe circa il valore di ogni osservabile, cioè di
ogni grandezza fisica. Solo un’informazione incompleta sullo stato del sistema può dar luogo a
previsioni probabilistiche (cosa che si verifica in una branca particolare della meccanica classica,
vale a dire la meccanica statistica). In secondo luogo, la fisica classica prevede che nello studio
dei vari fenomeni non è necessario attribuire un ruolo speciale all’osservatore, all’interferenza
dell’osservatore con il sistema misurato: nell’ambito di tutta la fisica classica, il compito
dell’osservatore è semplicemente quello di sottoporre a controllo la teoria. Un’altra caratteristica
importante della fisica classica sta nel fatto che tutte le sue leggi soddisfano ai requisiti del
cosiddetto realismo ‘locale’, con il quale si intende l’idea abbastanza naturale – che discende da
considerazioni sulla natura delle interazioni fondamentali – secondo cui non ci sono interazioni
istantanee tra sistemi arbitrariamente lontani. Infine, un’altra importante proprietà della fisica
classica riguarda i processi di misura: quando si effettua un’operazione di misura di una certa
osservabile (per esempio della posizione) su un dato sistema, si ottiene sempre un risultato
definito, vale a dire il sistema viene sempre trovato “da qualche parte”.

E’ a tutti noto, ora, che verso la fine dell’Ottocento alcuni fatti sperimentali riguardanti, da un
lato, i fenomeni che si svolgono alle elevatissime velocità (cioè a velocità prossime alla velocità
della luce nel vuoto c, che è uguale a circa chilometri al secondo) e, dall’altro lato,
l’interazione tra radiazione e materia (cioè sostanzialmente il mondo microscopico, dove è
necessario tener conto della costante di Planck h, che è dell’ordine di Joule per secondi) hanno
messo in crisi la fisica classica. Sono così sorti i due grandi pilastri della fisica moderna, vale
a dire la relatività e la meccanica quantistica. In questo modo, la fisica classica diventava un
caso limite di queste due teorie più generali, precisamente poteva essere vista come il limite a cui
tende la teoria della relatività per velocità trascurabili rispetto alla velocità della luce, e come
limite della meccanica quantistica quando la costante di Planck assume un valore trascurabile per il
problema in esame.
A questo punto, si tratta di confrontare, sul piano dei fondamenti epistemologici, i due grandi
pilastri della fisica moderna – vale a dire relatività e meccanica quantistica – con lo schema della
fisica classica, per vedere se presentano una qualche caratteristica comune con la fisica classica
stessa per quel che concerne i problemi citati in precedenza, vale a dire causalità, ruolo del
soggetto, realismo e processi di misura.

Facendo questa operazione di confronto, possiamo allora notare che, mentre la relatività non sembra
presentare grossi problemi , invece la meccanica quantistica (almeno nella sua versione originale)
presenta alcuni problemi, che necessitano di un esame approfondito. I problemi sono in pratica i
seguenti. In primo luogo, la meccanica quantistica, a differenza della fisica classica, è una teoria
di carattere essenzialmente statistico: essa è strutturata in modo tale da prevedere le probabilità
dei diversi possibili risultati di una misura, ma non l’esito di un singolo atto di misura. C’è
pertanto il problema di come interpretare un formalismo matematico che, ad un primo esame, sembra
radicalmente diverso da quello della fisica classica. In secondo luogo, bisogna sottolineare che gli
esiti dei processi di misura sui sistemi microscopici risultano fondamentalmente aleatori e che,
nella struttura della meccanica quantistica, non si capisce cos’è che determina il carattere
probabilistico di questi risultati sperimentali. Infine, nell’ambito del formalismo quantistico, c’è
pure il problema di rendere conto dell’oggettivazione delle proprietà macroscopiche, vale a dire di
riprodurre il fatto che quando si effettua un’operazione di misura di una certa osservabile, si
ottiene sempre un risultato determinato (per esempio che, in una misura di posizione, un sistema
fisico viene sempre trovato in un punto definito dello spazio).

La meccanica quantistica, fin dalla sua nascita, avvenuta nella seconda metà degli anni ’20 del
secolo scorso, si è rivelata lo strumento essenziale per l’indagine del mondo fisico, incontrando un
enorme successo sul piano applicativo, sul piano delle predizioni empiriche . Tuttavia, con
l’avvento della meccanica quantistica, si è aperta nella fisica una crisi di interpretazione, nel
senso che per molti non sembrava possibile, in base alla nuova teoria, dipingere un’immagine
soddisfacente dell’universo, in particolare non sembrava possibile formarsi un’immagine mentale
adeguata dei processi atomici. Si può dire che in quegli anni la situazione della fisica era un po’
l’opposto della torre di Babele: infatti, mentre per quel che riguarda le applicazioni del
formalismo tutto sembrava andare per il meglio, sulle questioni fondamentali c’era divisione,
confusione e incertezza.

La fonte principale della crisi di interpretazione che si è aperta nella fisica con l’avvento della
meccanica quantistica sta nella convinzione, radicata nei più, che la meccanica quantistica sia una
teoria definitiva e completa, rappresenti la ‘fine della strada’ nella fisica. In questo contesto,
si sviluppò un vero e proprio scisma nella fisica, la formazione di due opposti
schieramenti: da una parte i veri e propri fondatori della meccanica quantistica, gli esponenti
delle scuole di Copenaghen e Göttingen (Bohr, Heisenberg, Born, …) – vale a dire il
cosiddetto partito “ortodosso” – i quali ritenevano che nella descrizione dei processi atomici
dobbiamo attribuire all’osservatore un’importanza rilevante, che la teoria atomica trae il suo
carattere peculiare in gran parte dall’interferenza del soggetto (e delle sue operazioni di misura)
con l’oggetto fisico in esame e che non è possibile dare una descrizione causale dei processi
atomici; dall’altra parte fisici illustri come Einstein, Planck, Schrödinger e de Broglie – vale a
dire i “dissenzienti” – i quali, pur apprezzando la meccanica quantistica per la correttezza delle
sue predizioni empiriche, non ne accettavano l’interpretazione acausalistica.

Quello che i dissenzienti rifiutavano era appunto l’interpretazione della teoria data dal partito
ortodosso, l’impostazione filosofica delle scuole di Copenaghen e Göttingen, caratterizzate da una
rinuncia al tentativo di formarsi un’immagine della realtà e da una visione acausale dei processi
atomici (basta pensare, a questo proposito, all’idea di complementarità di Bohr e
all’interpretazione delle relazioni di indeterminazione proposta da Heisenberg, di cui parleremo nel
capitolo 1). In questo ambito, le voci critiche dei dissenzienti appaiono del tutto legittime in
quanto l’interpretazione della teoria quantistica data dagli ortodossi, essendo caratterizzata da
una visione acausalistica dei fenomeni microscopici, comportava una rottura con quello che era
stato, fino a quel momento, l’elemento più importante della fisica, vale a dire il principio di
causalità (va infatti ribadito che tutta la fisica classica, che funziona molto bene nel descrivere
il comportamento degli oggetti macroscopici, i fenomeni che avvengono su scala “umana”, è basata
sulla legge di causalità, e che non esiste nessuna interpretazione alternativa della fisica classica
in grado di mettere in discussione la causalità). Alla base di queste critiche c’era quindi la
ricerca di un quadro unitario più soddisfacente all’interno della fisica, c’era in pratica la
ricerca di un’interpretazione della meccanica quantistica che potesse garantire una maggiore
continuità col mondo classico.

Per quel che riguarda il dibattito sui fondamenti della meccanica quantistica, lo scontro tra gli
ortodossi e i dissenzienti non ha mai trovato composizione e continua ai giorni nostri tra gli
ammiratori del paradigma di Copenaghen-Göttingen e i seguaci di comprensibilità e causalità dei
fenomeni microscopici. Anzi, possiamo dire che oggi il quadro è diventato ancora più complesso nel
senso che, per interpretare il formalismo teorico e per risolvere il problema delle operazioni di
misura, si sono sviluppate diverse versioni della meccanica quantistica, diverse teorie della
microfisica, ciascuna delle quali ha un certo numero di sostenitori.
In questo libro, ci proponiamo di esaminare quelle che possono essere considerate, sul piano
storico, le più importanti e famose interpretazioni della meccanica quantistica: l’interpretazione
ortodossa (che è risultata vincente per molto tempo), la teoria di Ghirardi, Rimini e Weber,
l’interpretazione “a molti mondi”, l’interpretazione “a molte menti”, la formulazione delle storie
quantistiche e la teoria di Bohm. Nel capitolo 1 verrà analizzata l’interpretazione ortodossa
(mentre nel capitolo 2 sarà affrontata la questione della ‘completezza’ o ‘incompletezza’ della
teoria quantistica e quella del realismo ‘locale’). Nel capitolo 3 esamineremo la teoria di
Ghirardi, Rimini e Weber, nel capitolo 4 le interpretazioni “a molti mondi”, “a molte menti” e la
formulazione delle storie; infine, alla teoria di Bohm sarà dedicato il capitolo 5.

Faremo un’analisi critica dei fondamenti di queste teorie, sia sul piano fisico, sia su quello
dell’immagine del mondo. Esamineremo insomma le principali interpretazioni della meccanica
quantistica, cercando di scoprire il quadro che ciascuna di esse determina nei fondamenti
epistemologici della fisica, per le questioni citate in precedenza, vale a dire causalità, ruolo del
soggetto, realismo e processi di misura. A questo scopo, si tratterà di effettuare un’operazione di
confronto tra le caratteristiche di queste teorie e quelle della fisica classica. In questa
operazione di confronto, come punti saldi di riferimento ci basiamo sulle caratteristiche della
fisica classica in quanto sappiamo che la fisica classica funziona benissimo nella descrizione dei
fenomeni macroscopici (e che, di fatto, non esiste nessuna teoria alternativa consistente in grado
di mettere in discussione la validità della fisica classica nel mondo macroscopico).

In questo modo, mostreremo che la teoria di Bohm – oltre a essere consistente sul piano fisico – è
la versione della meccanica quantistica, la teoria della microfisica che consente di ottenere il
quadro unitario più significativo nei fondamenti della scienza fisica, la continuità più rilevante
col mondo macroscopico della fisica classica, l’immagine del mondo più unitaria (questi risultati
verranno messi in evidenza, oltre che nel capitolo 5, anche nel capitolo 6, che consiste in una vera
e propria ricapitolazione delle conclusioni ottenute dalle analisi delle varie formulazioni della
meccanica quantistica e del tipo di quadro che determinano nell’immagine del mondo fisico).

Infine, nel capitolo 7, analizzeremo più in dettaglio le ipotesi di partenza della teoria di Bohm,
in particolare il cosiddetto dualismo oggettivo onda-corpuscolo. Vedremo che il dualismo oggettivo è
in grado di aprire prospettive molto interessanti nell’indagine del mondo fisico, consentendo di
fornire un’interpretazione intuitiva ed unitaria del modo in cui si trasmettono le diverse
interazioni fondamentali che sono presenti in natura, vale a dire l’interazione gravitazionale,
l’interazione elettromagnetica, l’interazione nucleare forte e quella debole. Mettendo insieme la
teoria di Bohm con questi risultati sul dualismo oggettivo onda-corpuscolo (che definiremo come
nostre ulteriori “ipotesi di lavoro”), otterremo uno schema teorico il quale ci permetterà di
realizzare un quadro unitario veramente significativo nell’immagine del mondo fisico, non solo per
quel che riguarda i fondamenti epistemologici (nel senso che consente di ottenere la continuità più
rilevante tra il mondo macroscopico della fisica classica e il mondo microscopico della meccanica
quantistica), ma anche per quel che riguarda la descrizione delle diverse interazioni presenti in
natura. Questo schema teorico ci consentirà anche di interpretare allo stesso modo (e sempre in un
quadro causale) i risultati ottenuti nell’ambito delle principali teorie che sono state proposte per
unificare le diverse interazioni. Avremo così costruito, sul piano qualitativo, un’immagine del
mondo veramente unitaria e, visto che nella fisica esiste una tendenza naturale verso
l’unificazione, questa immagine potrà essere considerata, almeno sul piano
epistemologico-interpretativo, come la descrizione più soddisfacente di quanto avviene nella realtà
fisica.

Note: Anche se la teoria della relatività ha determinato modifiche importanti nelle forme specifiche
in cui in fisica vengono espresse le leggi causali, la disciplina non è di fatto uscita dallo schema
teorico precedente, secondo il quale i valori dei parametri in un certo istante avrebbero
determinato tutto il comportamento futuro del sistema sotto studio. Inoltre, nella teoria della
relatività, proprio come nella fisica classica, non è necessario attribuire un ruolo speciale
all’osservatore. Le leggi della relatività soddisfano, proprio come quelle della fisica classica, ai
requisiti del realismo ‘locale’. Infine, la relatività non ha comportato un grande allontanamento
dal quadro classico neanche per quel che concerne le operazioni di misura in quanto essa prevede
sempre che se si esegue una misurazione di una certa osservabile su un dato sistema, si ottiene
sempre un risultato ben definito. In questo libro non discuteremo perciò la teoria della relatività
perché di fatto non ha sollevato questioni che minassero le radici del problema della causalità, del
ruolo del soggetto nello studio dei fenomeni, del realismo ‘locale’ e delle operazioni di misura.
Ancora oggi, d’altra parte, sono impressionanti le molteplici ed accurate predizioni di cui la
teoria è capace, al punto che la grande maggioranza dei fisici non vede la necessità di trovare una
nuova teoria di base che soppianti la meccanica quantistica: caso mai, pensa di sviluppare una
teoria che vada oltre il cosiddetto modello standard.

Condividi:

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *