Il Sentiero del Discepolo 1

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Il Sentiero del Discepolo 1

di Annie Besant (parte prima)

ANNIE BESANT

“IL SENTIERO DEL DISCEPOLO”

(Quattro discorsi tenuti ad Adyar nel 1895)

SOCIETÀ TEOSOFICA ITALIANA – R O M A 1957

– Parte Prima –

°°°

– I PRIMI PASSI –

KARMA YOGA. – PURIFICAZIONE

Due anni or sono richiamai la vostra attenzione sulla formazione complessiva del Cosmo, sulle fasi
successive dell’evoluzione, sull’ordine sistematico, per così dire, di quella vasta successione di
fenomeni. L’anno scorso vi intrattenni sull’evoluzione del Sé, del Sé considerato nell’uomo
piuttosto che nel Cosmo, e cercai di dimostrarvi come a grado a grado il Sé acquisiva esperienza e
si elevava sovrano al di sopra dei suoi veicoli inferiori, e ciò tanto nell’uomo quanto
nell’universo, tanto nell’individuo quanto nel Cosmo, cercando sempre la riunione, cercando sempre
di assurgere a Ciò da cui era provenuto.

Ma qualche volta nel trattare di queste alte questioni mi è stato detto: “Quale importanza hanno
esse mai per la vita dell’uomo nel mondo, circondato come è dalle necessità della vita, dalle
attività del mondo fenomenale, distolto continuamente dal pensare ad un unico Sé, costretto senza
tregua dal Karma a prender parte a queste multiformi attività? Quale importanza ha questo più
elevato insegnamento sulla vita degli uomini, e quando mai gli uomini di questo mondo potranno
sollevarsi tanto che una vita superiore diventi possibile anche per loro?”. Appunto a questa domanda
io mi proverò a rispondere quest’anno, e cercherò di dimostrarvi come un uomo di questo mondo,
vincolato da obblighi di famiglia, da doveri sociali, da tutte le molteplici attività della vita
terrena, possa pure prepararsi all’unione e fare i primi passi su quel sentiero che lo condurrà
all’Uno.

Mi proverò a rifare con voi passo a passo questa via per modo che, prese le mosse dalle condizioni
di vita in cui ciascuno è posto, e partendo da quel punto in cui ognuno di voi si trova in questo
momento, voi siate in grado di discernere una meta da raggiungere, una via da seguire, la via che si
apre qui nella vita della famiglia, della comunità, della nazione, ma che ascende al di là d’ogni
umano pensiero e conduce per ultimo il viaggiatore a quella dimora che sarà sua per sempre. Tale
dunque è l’argomento di questi discorsi, tale è la via per la quale confido che voi vorrete
accompagnarmi. E per meglio comprendere il nostro soggetto, ricordiamo brevemente il corso
dell’evoluzione, il suo significato e il suo scopo, così che da quella rapida analisi ci sia reso
possibile assurgere ad un chiaro intendimento dei passi che uno alla volta dovremo fare.

Noi sappiamo che l’Uno è divenuto molteplice. Dalle tenebre primordiali che avvolgono ogni cosa esce
appena percettibile una voce: “Io moltiplicherò”. Questa moltiplicazione è la formazione
dell’universo e degli individui che in esso esistono. In questa volontà di moltiplicarsi dell'”Uno
che non ha secondo” noi troviamo la fonte della manifestazione, il germe primordiale, per così dire,
del Cosmo.

E come comprendiamo questo inizio dell’universo, come vediamo la complessità, la molteplicità che
sorge dalla semplicità primordiale, dalla primordiale unità, così comprendiamo pure che in ciascuna
di queste manifestazioni fenomeniche vi deve essere dell’imperfezione, e che la stessa limitazione
la quale rende possibile un fenomeno è anche il segno inevitabile che esso è meno dell’Uno e quindi
per sé stesso imperfetto. Così noi comprendiamo perché vi debba essere questa varietà, e perché
molteplici debbano essere le cose separate e viventi. E cominciamo a comprendere che la perfezione
dell’universo manifestato deve necessariamente consistere nella sua stessa varietà. Che se oltre
l’Uno vi deve essere una pluralità, questa deve essere pressoché infinita, affinché l’Uno il quale è
come un sole potente che effonde i suoi raggi in tutte le direzioni, li possa effondere dovunque; e
nella totalità di questi raggi sarà la perfezione che illumina il mondo. Più numerosi, più
meravigliosi, più vari saranno gli oggetti, e più l’universo rappresenterà fedelmente sebbene ancora
in modo imperfetto, l’immagine di Ciò donde proviene.

Il primo atto della vita evolutiva dovrà tendere alla pluralità, cioè a costituire delle esistenze
separate – separate in apparenza – per modo che esteriormente sembreranno molte, 4 quantunque
considerandole nella loro essenza vedremo che il Sé di tutte è Uno. Comprendiamo quindi come nel
processo dell’individuazione multipla, l’unità individuale si presenta quale un debole e limitato
riflesso del Sé. E cominciamo anche a comprendere quale debba essere il risultato di questo
universo, perché questa pluralità di individui debba subire un’evoluzione, perché questa
separatività debba essere una condizione necessaria nella evoluzione del tutto. Poiché noi
cominciamo a vedere che il risultato dell’universo dovrà essere l’evoluzione del Logos di un altro
universo, di quei potenti Deva che saranno le guide di tutte le forze cosmiche di quel futuro
universo, e dei divini Maestri, cui spetterà di educare l’umanità bambina di un altro Cosmo.

La vita in tutti questi mondi di esistenze individuali è una incessante evoluzione, per cui un
universo trasmette all’altro i suoi Logoi, i suoi Deva, i suoi Manù primitivi e tutti quei Grandi
che saranno necessari per costruire, educare, reggere, istruire quell’universo che ancora non è
nato. Così gli universi sono collegati l’uno all’altro, così un Manvantara succede ad un Manvantara,
così i frutti di un universo sono i semi dell’universo che gli succede. In seno a tutta questa
molteplicità si evolve un’unità sempre più vasta, la quale sarà l’ossatura del Cosmo non ancor
nato, sarà il Potere che informerà e governerà il Cosmo futuro.

E qui sorge una domanda – e so a quante menti essa si presenti, poiché mi è stata fatta più e più
volte sia in Oriente sia in Occidente – e la domanda è questa: perché tante difficoltà
nell’evoluzione, perché tanti apparenti insuccessi, perché così spesso avviene che l’uomo s’inganni
sulla via da prendere, e perché seguirà egli il male che lo degrada, anziché il bene che lo
nobiliterebbe ?

Non era dunque possibile al Logos del nostro universo, ai Deva che sono i suoi ministri, ai grandi
Manù preposti a guidare la nostra umanità bambina … non era Loro possibile disporre le cose in
modo che non vi fossero quegli insuccessi apparenti? Non potevano essi guidarci così che la strada
riuscisse piana e diritta, invece che tanto aspra e tortuosa? Questa domanda tocca precisamente il
punto per cui è tanto difficile l’evoluzione dell’umanità, quando venga esaminata senza perder di
vista il suo scopo ultimo. Sarebbe stato facile invero creare una umanità perfetta, facile dirigerne
le facoltà nascenti in modo che queste potessero rivolgersi sempre a ciò che noi chiamiamo il bene,
senza mai deviare verso ciò che noi chiamiamo il male. Ma quale sarebbe stata la condizione di un
così facile compimento del proprio destino?

L’uomo non sarebbe stato altro che un automa mosso da una forza impellente esterna a lui stesso, che
gli avrebbe imperiosamente imposta una legge alla quale sarebbe stato costretto ad obbedire senza
potervisi sottrarre. Il mondo minerale è sottoposto ad una legge siffatta, le affinità che legano
atomo ad atomo obbediscono ad un imperioso impulso di questo genere; ma di mano in mano che
ascendiamo, vediamo apparire una libertà sempre maggiore, finché nell’uomo si manifesta un’energia
spontanea, una libertà di scelta che è veramente l’alba della manifestazione del Dio, del Sé, che
comincia a rivelarsi nell’uomo. E la meta era non di far degli automi che seguissero ciecamente un
sentiero loro prefisso, ma di creare un riflesso del Logos stesso, e di dar vita ad un possente
sodalizio di uomini saggi e perfetti, che sempre scegliessero il meglio per un atto d’intelligenza e
di ragione, e respingessero il peggio convinti per esperienza propria della sua insufficienza e
degli affanni ai quali conduce. Così che nell’universo futuro, come avviene ora fra i Grandi che
guidano le sorti dell’universo attuale, vi sarà un’unione conseguita col consenso delle volontà le
quali, ritornate ad unità per coscienza e per scelta, si muoveranno con un solo proposito perché
conosceranno il tutto, si identificheranno con la Legge perché avranno appreso che la Legge è il
bene, e sceglieranno di essere una cosa sola con la Legge non per un impulso esteriore, ma per
intima loro acquiescenza.

Come nell’universo attuale, vi sarà nell’universo futuro un’unica Legge, attuata col mezzo di Coloro
che sono la Legge per l’unità del Loro proposito, della Loro conoscenza, del Loro potere: non una
Legge cieca ed inconscia, ma una riunione di esseri viventi che sono la Legge, essendo diventati
divini. Non vi è altra via a conseguire una simile meta, a far sì che la libera volontà dei molti si
riunisca nella grande universalità della Natura e nella grande unità della Legge, all’infuori di un
processo evolutivo nel quale si faccia tesoro dell’esperienza, si conosca il bene al pari del male,
l’insuccesso al pari del trionfo. Così gli uomini diventano Dei, e per la passata loro esperienza
essi vogliono, pensano, sentono tutti nello stesso modo.

Ora nel loro lavoro per il conseguimento di questo scopo i divini Maestri e Guide della nostra
umanità idearono molte civiltà, plasmate in modo da raggiungere quel fine. Io non ho tempo di
risalire sino alla grande civiltà della Quarta Razza, che precedette la comparsa dei potenti Popoli
Ariani. Posso dire soltanto di sfuggita che fu esperimentata una grande civiltà, la quale per
qualche tempo sotto i suoi divini Reggitori diede buoni frutti; poi questi cessarono di guidarla
direttamente, come fa la madre la quale ritira la sua mano dal bambino che impara a camminare, per
vedere se senza aiuto egli è in grado di servirsi delle proprie membra. Per la medesima ragione le
Guide e i Reggitori divini si ritirarono nell’ombra per vedere se l’umanità bambina avrebbe potuto
camminare da sola o se avrebbe inciampato lungo la via.

E quell’umanità bambina inciampò e cadde, e quella grande civiltà, così potentemente perfetta nel
suo ordinamento sociale, così gloriosa per la forza e la sapienza con cui era stata costituita, si
sfasciò per causa dell’egoismo umano, si sfasciò per causa degli istinti inferiori dell’umanità non
ancora domati. Bisognò fare un altro tentativo e fu fondata la grande razza Ariana; e anche questa
ebbe Guide e Reggitori divini, ebbe un Manù che le diede le leggi, ne costituì la civiltà, ne ideò
il governo, ebbe dei Rishi che si riunirono attorno a lui per amministrare le leggi e per guidare la
civiltà bambina; così fu proposto di nuovo all’umanità un modello, così venne indicato alla razza un
tipo verso cui dirigere la propria evoluzione. E poscia i grandi Maestri si ritirarono ancora una
volta per qualche tempo al fine di lasciare che l’umanità di nuovo cimentasse le proprie forze e
provasse se era capace di camminare da sola, fidente in sé stessa, guidata dal Sé interiore, anziché
da manifestazioni a lei esterne. E di nuovo, come sappiamo, in gran parte l’esperimento fallì. Di
nuovo, riandando al passato, noi vediamo quella civiltà divina in origine andar grado a grado
degenerando sotto l’urto della natura inferiore dell’uomo non ancora soggiogata, degradare ancora
per un certo tempo a causa delle sempre indomite passioni dell’umanità.

Guardando indietro, come ora facciamo, all’India del passato, noi vediamo il suo perfetto governo,
la sua meravigliosa spiritualità, e ne seguiamo il decadimento di millennio in millennio, come la
mano guidatrice si ritira dall’immediato contatto dell’uomo e di nuovo l’umanità erra e cade mentre
tenta di camminare. Noi vediamo come sia in ciascun caso fallito il compimento del divino ideale. Se
guardiamo il mondo moderno, vediamo come la natura inferiore dell’uomo abbia trionfato sul divino
ideale che gli era stato proposto alle origini della razza Ariana. Vediamo quale fosse in quei
giorni l’ideale del Bramano, ideale che potrebbe riassumersi in quello di un’anima che avvicinandosi
alla liberazione, non aspira più ai beni della terra, non cerca più i godimenti della carne, non
desidera più né ricchezze, né potere, né autorità, né gioie terrene poiché il tipo del Bramano era
quello di un essere povero ma sapiente; mentre troppo spesso oggi accade di trovar l’uomo che porta
il nome di Bramano, non povero e sapiente, ma ricco e ignorante. In questa casta voi avete uno dei
segni della degenerazione per cui decadde l’antico governo; e lo stesso può dirsi di ognuna delle
quattro caste.

Vediamo ora come fosse proposito dei grandi Maestri, che l’uomo imparasse per esperienza a scegliere
di sua libera volontà l’ideale che gli era stato messo davanti e dal quale si discostò; come i
grandi Maestri cercassero di innalzare l’imperfetta umanità verso l’ideale di perfezione rivelato in
principio a guida della razza umana e che rimase inadempiuto nell’evoluzione per la debolezza e
l’immaturità degli uomini.

Affinché ciò potesse avverarsi nel corso dei secoli, fu insegnato alle genti quello che si chiama
Karma-Yoga, cioè lo Yoga (od unione) per mezzo dell’azione. Questa è la forma di Yoga conveniente
all’uomo del mondo, immerso nelle attività della vita; con queste medesime attività, con la
disciplina che esse impongono, devono essere compiuti i primi passi verso l’unione. Notate
l’opposizione dei termini azione ed unione. Azione compiuta in modo che ne possa risultare l’unione,
azione esplicata in modo che l’unione possa esserne l’esito. Una cosa bisogna tener presente, ed è
che sono le nostre attività quelle che ci dividono, le nostre azioni quelle che ci separano, è tutta
questa variabile e multiforme attività quella da cui siamo divisi e tenuti separati. Sembra quasi un
paradosso dunque parlare di unione per mezzo dell’azione, di unione per mezzo di ciò che è stato
sempre una causa di divisione, di unione per mezzo di ciò che ha prodotto la separazione.

Ma la scienza dei divini Maestri era pari al compito di riconciliare e spiegare l’apparente
paradosso. Seguiamo le fasi di questa spiegazione e vediamo di che si tratta. L’uomo corre
sfrenatamente, corre in ogni direzione sotto l’influenza delle tre energie della natura, dei guna.
L’abitatore del corpo si trova sotto il dominio di questi guna. Essi lavorano, essi sono attivi,
essi formano l’universo manifestato, e l’uomo si identifica con questa attività. Egli crede di agire
mentre sono essi che agiscono, crede di lavorare mentre sono essi che producono dei risultati.
Vivendo in mezzo a loro, accecato da loro, sotto le illusioni che producono, egli perde intieramente
ogni nozione di sé, ed è spinto qua e là, sbalestrato da una parte e dall’altra, trascinato dalle
correnti, e così l’attività dei guna è tutto ciò che l’uomo vede nella vita; evidentemente in tali
condizioni egli non è preparato alle più elevate forme di Yoga.

Evidentemente finché queste illusioni non siano almeno in parte debellate, non gli sarà dato di
percorrere i tratti più eccelsi del Sentiero. Egli deve innanzi tutto comprendere i guna, separarsi
da queste attività dell’universo fenomenico. Ed il grande Vangelo dello Yoga, come si può chiamarlo,
il Vangelo di questo Karma-Yoga è quello che fu novellamente proclamato da Shri Krishna sul campo di
Kurukscetra, quando egli insegnò questa forma di Yoga ad Arjuna, al principe, al guerriero, all’uomo
che doveva vivere nel mondo, combattere nel mondo, governare lo stato e prendere parte a tutte le
attività esterne; esso è l’eterno ammaestramento degli uomini che vivono nel mondo, quello che loro
insegna come possano grado grado sollevarsi sopra i guna e raggiungere così l’unione con l’Ente
Supremo.

Questo Karma-Yoga consisterà dunque dapprima nel dominare e regolare l’attività dei guna. Come
sapete, i guna sono tre: Sattva, Rajas e Tamas, per virtù dei quali tutto quanto ci sta dintorno è
costituito e combinato in vari modi, mescolato in diverse maniere. Essi agiscono in ogni direzione.
Si tratta di ridurli all’equilibrio, di domarli. L’abitatore, il signore del corpo, deve diventare
il sovrano padrone dei guna e distinguersi da essi. Il lavoro da farsi sarà quindi di comprendere le
loro funzioni, e di dominarne e dirigerne le attività. Come il fanciullo non può fare il lavoro
dell’adulto, così a voi non è possibile sollevarvi ad un tratto al disopra di quelle forze, né
subito oltrepassarle. Può l’umanità non ancora evoluta e nel suo stato di imperfezione eseguire a
perfezione uno Yoga? No, e nemmeno sarebbe prudente che l’uomo lo tentasse; il fanciullo a cui venga
imposto il lavoro dell’adulto, non solo non riuscirà a compierlo, ma sottoporrà i suoi poteri ad uno
sforzo eccessivo con l’unico risultato di un insuccesso non soltanto nel presente, ma anche
nell’avvenire, perché il compito troppo sproporzionato alle sue forze lo danneggerebbe assai
gravemente. Bisogna che queste forze siano metodicamente esercitate prima di poter operare, bisogna
che il fanciullo si faccia adulto prima di assumersi un lavoro da uomo.

Prendasi per un momento in esame la funzione di Tamas, termine che solitamente vien tradotto
tenebra, pigrizia, inerzia, negligenza e così via. Quale può essere il suo valore per l’evoluzione
umana? A che serve questo particolare guna nel progresso dell’uomo, nella liberazione dell’anima?
L’ufficio suo particolare, l’ufficio a cui servirà nel Karma-Yoga, è di agire come una forza che si
deve combattere e vincere, così che nella lotta si accresca il vigore, nello sforzo si sviluppi il
potere della volontà, e nel cimento si conseguano dominio e disciplina di sé medesimi. Si può dire
che esso serve all’evoluzione umana come la clava od i manubri servono all’atleta.

Questi non riuscirà a rinvigorire i suoi muscoli se non avrà qualche cosa contro cui esercitarli, se
non avrà dei pesi da sollevare. Il valore non è nel peso in sé stesso, ma nell’uso che se ne fa, e
se un uomo desidera che i suoi muscoli fisici, i muscoli delle sue braccia diventino assai forti, la
migliore cosa che possa fare sarà di esercitarli quotidianamente contro la resistenza di una clava o
di un paio di manubri. È così che Tamas, la negligenza o le tenebre, ha il suo compito
nell’evoluzione umana; l’uomo deve vincerlo, nella lotta sviluppare la sua forza; i muscoli
dell’anima acquistano vigore man mano che egli vince la negligenza, la pigrizia, l’indifferenza che
costituiscono il lato tamasico della sua natura.

E per vincerlo voi troverete i riti e le cerimonie religiose ordinati a questo scopo, la loro
funzione essendo in parte quella di avvezzar l’uomo a superare l’accidia, la pigrizia, l’indolenza
della sua natura inferiore, imponendogli certi doveri da adempiere in determinati momenti, vi sia o
no disposto, si senta in quel momento attivo o pigro; e mediante l’adempimento metodico di questi
doveri egli viene esercitato a superare l’infingardaggine, la trascuratezza e l’ostinazione della
sua natura inferiore, ed a sospingerla per quella via che le è stata prescritta dalla volontà. Così
pure, prendendo a considerare un altro guna, il Rajas, troverete che le attività

dell’uomo sono nel Karma-Yoga guidate lungo certe vie ben definite, che io mi propongo ora di
seguire, affinché possiate vedere come questa specie di attività che è tanto sviluppata nel mondo
moderno, che si palesa in ogni direzione, che conduce ad un frettoloso, affaccendato continuo sforzo
intorno alle cose della vita inferiore, alle manifestazioni materiali, ai risultati materiali, ai
fenomeni materiali, come questa specie di attività, dico, debba essere gradatamente disciplinata,
educata, purificata finché non abbia più il potere di impedire la reale manifestazione del Sé.

Lo scopo del Karma-Yoga è di sostituire il dovere al piacere; l’uomo agisce per soddisfare la sua
natura inferiore, agisce perché vuole ottener qualche cosa, agisce per interesse, per desiderio, per
lucro Egli lavora perché gli occorre danaro per procacciarsi dei godimenti, lavora perché gli
occorre il potere onde soddisfare il suo sé inferiore. Tutte queste attività, queste qualità
Rajasiche son messe in moto per servire la sua natura inferiore. Affinché queste attività possano
essere regolate ed educate a servire agli intendimenti del Sé Superiore, bisogna insegnare all’uomo
a sostituire il dovere al proprio piacere, a lavorare perché il lavoro è il suo dovere, a girare la
ruota della vita perché è sua funzione il girarla, per giungere a fare quello che Shri Krishna disse
di fare Egli stesso. Non agisce perché vi sia per Lui alcunché da guadagnare in questo mondo o in un
altro ; ma agisce perché senza la Sua azione il mondo cesserebbe, agisce perché senza la Sua azione
la ruota si arresterebbe. E coloro che compiono lo Yoga debbono agire secondo lo spirito del Suo
agire, agire per il tutto e non per le parti separate, agire onde attuare nel Cosmo la volontà
divina e non per la soddisfazione dell’entità separata, che si crede indipendente, mentre dovrebbe
essere un collaboratore a Lui sottoposto. Tale scopo deve essere raggiunto elevando gradatamente la
sfera di queste attività. Il dovere deve sostituire il piacere proprio ; e le cerimonie ed i riti
religiosi sono ordinati in modo da preparare gradatamente gli uomini a quella vera vita che è la
loro funzione. Ogni cerimonia religiosa è solo un modo di educare gli uomini alla vita vera e più
alta.

Un uomo medita di buon mattino ed al tramonto; ma la sua vita finirà con l’essere tutta una sola
meditazione continuata. Egli medita un’ora per prepararsi a meditar sempre. Tutte le attività
creatrici sono il risultato della meditazione e voi ricorderete che tutti furono creati per mezzo
dei Tapa. Perché dunque l’uomo possa acquisire questa potente e creatrice facoltà della meditazione,
perché possa anche esser capace di esercitare quella divina facoltà, egli vi deve essere preparato
da cerimonie religiose, da un pensare intermittente, da Tapa di tratto in tratto ripresi. Una
meditazione regolare è un passo verso l’abitudine di una meditazione costante ; essa prende una
parte della vita quotidiana per giungere a dedicarvela intiera.

Viene il tempo in cui per lo Yoghi non vi è più ora fissa per la meditazione, poiché tutta la sua
vita è una lunga meditazione. Non importa quali siano le attività a cui si dedica mentre medita ;
egli è sempre ai piedi del suo Signore sebbene la sua mente ed il suo corpo siano attivi nel mondo
degli uomini. E così dicasi di tutte le altre forme di azione; l’uomo impara dapprima ad agire come
sacrificio al dovere e come pagamento del debito suo verso il mondo nel quale vive, come
restituzione ad ogni singola parte della Natura di ciò che essa gli ha dato. E più tardi, il
sacrificio diventa più che il pagamento di un debito: diventa un lieto dono di tutto ciò che l’uomo
può dare. Il sacrificio parziale è il pagamento del debito, il sacrificio perfetto è il dono di ogni
cosa. L’uomo dà se stesso, tutte le sue energie, tutte le sue facoltà, non più per pagare un debito
con parte di ciò che possiede, ma offrendo tutto sé stesso come un dono. E quando è raggiunto questo
stadio, lo Yoga è compiuto, e la lezione del Karma-Yoga è imparata.

Prendiamo a considerare come uno dei passi su questa via quei cinque sacrifici quotidiani che tutti
voi conoscete almeno di nome, e vediamo che cosa vi sia dietro la loro prescrizione. Ognuno dei
cinque è il pagamento di un debito, il riconoscimento di ciò che l’uomo come individuo separato deve
al tutto che lo circonda. E se per ora vi soffermate anche solo brevissimamente a considerarli ad
uno ad uno, vedrete come ciascuno sia effettivamente il pagamento di un debito. Prendiamo il primo:
il sacrificio ai Deva. Perché è prescritto questo sacrificio? Perché l’uomo deve imparare che il suo
corpo è debitore verso la terra e verso le Intelligenze che guidano i processi della Natura, per
mezzo dei quali la terra produce i suoi frutti, che servono di nutrimento all’uomo; quando l’uomo
nutre il suo corpo, questo corpo deve in pagamento del debito restituire alla Natura un equivalente
di ciò che essa gli ha dato per mezzo di quelle Intelligenze cosmiche, quei Deva che dirigono le
forze del mondo inferiore. Così fu insegnato all’uomo di versare il suo sacrificio nel fuoco.
Perché? Come spiegazione fu dato il motto: “Agni è la bocca degli Dei” e questo viene ripetuto senza
che si tenti di capirne il significato e di penetrare oltre il nome esterno del Deva fino alla Sua
funzione nel mondo.

Il significato reale che si cela sotto questo motto è che in ogni direzione intorno a noi vi sono i
vari gradi degli agenti coscienti e subcoscienti della Natura, ed a capo di ogni divisione di questo
grande esercito un grande Deva cosmico. Così che sotto il Deva Reggitore del fuoco, o dell’aria, o
dell’acqua, o della terra, sotto ogni Deva particolare insomma, vi è un gran numero di Dei inferiori
che dirigono le differenti e distinte attività delle forze naturali del mondo: la pioggia, le
facoltà produttrici della terra, gli agenti fertilizzanti di varie specie. E questo primo sacrificio
è un nutrimento di tali agenti inferiori, un cibo somministrato loro per mezzo del fuoco; ed il
fuoco è chiamato. “la bocca degli Dei” perché disgrega, cambia e trasmuta le sostanze solide e
liquide che si pongono in esso, le trasforma in vapore, le sminuzza in materiali più fini, e così le
riduce in materia eterica per farne il sostentamento di quei gradi inferiori di vite elementali che
eseguono i comandi dei Deva cosmici. In questa guisa l’uomo paga il suo debito verso di loro e
allora, di conseguenza, nelle regioni inferiori dell’atmosfera cade la pioggia e la terra produce e
dà il nutrimento all’uomo.

E questo è ciò che intese Shri Krishna quando ordinò all’uomo: “Nutri gli Dei e gli Dei nutriranno
te”. Perché è questo ciclo inferiore di nutrimento, per così dire, che l’uomo deve imparare a
conoscere. Dapprima lo accettò come un insegnamento religioso; poi venne il periodo nel quale lo
credette una superstizione, non conoscendo l’azione intima e vedendo soltanto le apparenze esteriori
; e quindi subentra una cognizione più profonda quando la scienza che dapprima tende al
materialismo, con un più profondo studio si innalza verso il riconoscimento del regno spirituale. Le
cognizioni scientifiche cominciano a dire in termini scientifici ciò che i Rishi hanno detto in
termini spirituali: che l’uomo cioè può dirigere e regolare l’opera delle potenze inferiori della
natura per mezzo di un’azione che egli stesso compie, e continuando per questa via, giustifica
dinanzi all’intelletto ciò che l’uomo spirituale vede per mezzo della diretta intuizione, della
vista spirituale.

Viene quindi il sacrificio agli antenati, il quale è il riconoscimento di ciò che l’uomo deve a
coloro che vennero nel mondo prima di lui, il pagamento di un debito verso coloro che lavorarono nel
mondo prima della sua ultima venuta, e rappresenta la gratitudine e la venerazione dovute a coloro
che avendoci preceduto nell’evoluzione umana contribuirono a preparare questo mondo per noi e vi
apportarono con le loro fatiche quei miglioramenti che noi ereditammo da loro. Mentre noi
raccogliamo il frutto dell’opera loro, con questo sacrificio paghiamo il debito della gratitudine. E
così questo è uno dei sacrifici giornalieri, il riconoscimento di questo debito di gratitudine a
coloro che furono al mondo prima di noi. Segue naturalmente il sacrificio delle cognizioni, il
sacrificio dello studio, affinché con lo studio delle sacre parole gli uomini possano essere in
grado di aiutare ed educare quelli che sono più ignoranti di loro e riescano anche a sviluppare in
sé stessi le cognizioni necessarie alla manifestazione del Sé.

Il quarto è il sacrificio agli uomini, quello che si fa pagando ad un dato uomo il tributo che si
deve all’umanità, somministrando cibo ad un dato uomo come riconoscimento dell’obbligo che gli
uomini hanno di aiutarsi amorevolmente nel mondo fisico, di prestarsi tutta quell’assistenza che il
fratello può dare al fratello. Il sacrificio agli uomini è il formale riconoscimento di questo
dovere, e nel cibare l’affamato, mentre nel fatto concreto vi limitate ad un uomo solo, idealmente e
con l’intenzione voi nutrite tutta l’umanità. Dando ospitalità ad un uomo solo che passa dinanzi
alla vostra porta, voi aprite la porta del vostro cuore all’umanità come ad una sola grande entità;
aiutando e ricoverando uno solo, voi aiutate e ricoverate l’umanità intiera.

Lo stesso dicasi dell’ultimo dei cinque sacrifizi, quello agli animali, spargendo del cibo davanti
alle nostre case affinché ne possano approfittare gli animali che passano. Con ciò voi riconoscete i
vostri obblighi verso il mondo inferiore, il vostro obbligo di aiutare quelle creature, di nutrirle,
di educarle. Il sacrificio agli animali è fatto per imprimerci nella mente che noi siamo qui come
educatori, direttori, aiutanti delle creature inferiori, che stanno al di. sotto di noi nella scala
dell’evoluzione. Ogni qualvolta commettiamo contro gli animali una crudeltà, una durezza, una
brutalità di qualsiasi specie, noi pecchiamo contro Colui che dimora dentro di loro e di cui
anch’essi sono una manifestazione inferiore. Ed affinché l’uomo possa riconoscere il Dio nel bruto,
affinché egli possa comprendere che Shri Krishna è nell’animale inferiore, benché in forma più
velata di quanto Egli sia nell’uomo, fu comandato agli uomini di sacrificare agli animali, non già
alla loro forma esteriore, ma al Dio che è in loro. Il solo modo col quale noi possiamo sacrificare
a loro è con la bontà, con la gentilezza, con il compatirli, con l’educarli, con l’aiutare
l’evoluzione animale e non col ritardarla con quella brutalità e quella crudeltà che ovunque vediamo
praticata.

Così con questi riti e cerimonie esteriori furono insegnate all’uomo le intime verità spirituali da
cui la sua vita doveva essere penetrata. E compiuti i cinque sacrifici, egli doveva uscire nel mondo
degli uomini per sacrificare ancora con altre forme di attività, per sacrificare ancora con
l’adempimento dei suoi doveri quotidiani; e la sua vita giornaliera, cominciata con quei cinque
sacrifici, passava consacrata nella vita esteriore degli uomini. Con il graduale trascurare dei
cinque sacrifici è venuta crescendo la trascuratezza dei propri doveri nella vita esteriore. Non è
già che in sé stessi quei sacrifici siano necessari sempre, poiché viene il tempo in cui l’uomo si
solleva al disopra di essi. Ma ricordiamoci di questo: l’uomo si solleva al disopra di essi solo
quando l’intera sua vita è diventata un lungo e vivente sacrificio. Finché ciò non sia accaduto,
quei formali riconoscimenti del dovere sono necessari per elevare la vita.

Disgraziatamente in India essi sono al giorno d’oggi andati assai in disuso, non perché gli uomini
se ne siano innalzati al di sopra, non perché la loro vita sia pura, spirituale, elevata al punto da
non aver più bisogno di una educazione inferiore e di un continuo richiamo alla memoria; ma perché
gli uomini sono diventati indifferenti e materialisti e, caduti tanto più in basso dell’ideale del
loro Manù, rifiutano ogni doveroso riconoscimento delle Potenze che stanno al disopra di loro, e
perciò mancano ai doveri verso i loro simili.

Veniamo ora ad esaminare la vita esterna giornaliera, i doveri dell’individuo nel mondo. Dovunque
sia nato, egli appartiene ad una determinata famiglia, e ciò indica che ha dei doveri verso la
famiglia; è nato in qualche comunità e ciò indica che ha dei doveri verso la comunità; è nato in una
data nazione e ciò indica che ha dei doveri verso la nazione. Per ogni uomo i limiti del dovere sono
fissati dalle circostanze in cui è nato, le quali, sotto la buona Legge, sotto la direzione del
Karma, assegnano ad ognuno il posto in cui deve operare, la base educativa sulla quale deve compiere
la sua istruzione. Perciò è detto che ogni uomo deve compiere il proprio dovere, il proprio Dharma.

Meglio compiere il proprio Dharma, anche se umile, piuttosto che tentare di compiere quello più
elevato di un altro; perché il Dharma in cui siete nati è quello che a voi occorre, è il migliore
per la vostra educazione. Fate il vostro dovere senza curarvi dei risultati, ed allora imparerete la
lezione della vita e comincerete a percorrere la via dello Yoga. Sulle prime, ed è naturale,
l’azione sarà fatta per i frutti che arreca; gli uomini la compieranno perché desiderano di
riceverne il compenso. E così comprendiamo l’educazione primitiva degli uomini che insegnava loro ad
agire in vista dei risultati da ottenersi nel mondo di Svarga, nel cielo. L’uomo bambino viene
educato per mezzo delle ricompense, gli si mostra Svarga come cosa da guadagnarsi col lavoro; quando
adempie ai suoi riti, ai suoi doveri religiosi, egli si assicura le ricompense di Svarga. Ed a
questo modo egli è indotto a praticare la moralità, precisamente come si induce un fanciullo ad
imparare le sue lezioni con la promessa di un premio. Ma se l’azione deve servire per lo Yoga e non
per guadagnare una ricompensa in questo mondo o in un altro, allora deve esser compiuta soltanto
come un dovere.

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