Il ritmo circadiano anomalo del cervello depresso

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Il ritmo circadiano anomalo del cervello depresso

14 maggio 2013

Dimostrato sperimentalmente per la prima volta nell’essere umano che anche i geni delle cellule
cerebrali seguono specifici ritmi di attivazione circadiani. Nelle persone che soffrono di
depressione, tuttavia, fra questi ritmi viene a mancare la corretta sincronizzazione, con uno
sfasamento che ha un impatto significativo sulla regolazione di numerosi processi neurali, e quindi
sui comportamenti (red)

lescienze.it

Nei pazienti affetti da depressione maggiore i cicli giornalieri di espressione genica nel cervello
sono interrotti. A dimostrarlo è uno studio condotto da ricercatori dell’Università del Michigan e
dell’Università della California a Irvine, che firmano un articolo su “Proceedings of the National
Academy of Sciences”.

Uno dei classici sintomi della depressione maggiore sono i disturbi del sonno, espressione della
rottura dei ritmi circadiani, che si ritengono collegati ai cicli di espressione dei geni. Finora,
tuttavia, la ritmicità circadiana dell’espressione genica era stata però documentata solo
nell’animale e, per quanto riguarda l’uomo, solamente in tessuti periferici e ma non nel cervello,
poiché richiede il prelievo di tessuti per la valutazione del trascrittoma (ossia il complesso dei
fattori di trascrizione relativo ai diversi geni).

Per il presente studio – che fornisce la descrizione più completa finora realizzata del trascrittoma
cerebrale di una specie diurna, definendo circa 12.000 trascritti nella corteccia dorsolaterale
prefrontale, corteccia cingolata anteriore, l’ippocampo, amigdala, nucleo accumbens, e nel
cervelletto – sono stati prelevati post mortem campioni di tessuto cerebrale di 34 pazienti
depressi e di 55 controlli non affetti da problemi psichiatrici o malattie neurologiche.

L’analisi dei dati ha permesso di dimostrare una fondamentale coerenza delle relazioni di fase nelle
attivazioni geniche tra mammiferi, confermando gli schemi di attivazione ciclica della maggior parte
dei geni circadiani noti.

In particolare, il modello di attivazione dei ritmi circadiani usato dai ricercatori ha permesso di
risalire dal profilo di espressione dei geni all’ora del decesso dei 55 soggetti di controllo,
confermata dalle cartelle cliniche. I profili dei soggetti depressi sono invece risultati sfasati di
alcune ore, evidenziando alterazioni nella ritmicità circadiana in sei regioni.

Queste alterazioni possono interrompere le relazioni fra le fasi di attivazione tra i singoli geni
circadiani e avere un impatto significativo sulla regolazione di numerosi processi neurali e quindi
dei comportamenti, coerentemente con la vasta gamma di sintomi depressivi.

>> www.lescienze.it/images/2013/05/12/112348473-f8f49b72-f9ac-457d-bf05-d1e324b54518.jpg
I ricercatori hanno utilizzato modelli di espressione genica per prevedere il momento della morte
dei soggetti dello studio (cerchi interni), che hanno confrontarlo con l’ora del decesso registrata
nelle cartelle cliniche (cerchi esterni). I due momenti sono strettamente vicini nelle persone sane,
come mostrano le brevi linee tra i due punti nel diagramma di sinistra. Ma nelle persone depresse
sono fuori sincrono, come si vede a destra. (Cortesia Università del Michigan/PNAS)

In complesso, sono state identificate alcune centinaia di geni che mostravano un chiaro ritmo
circadiano, alcuni noti, ma molti altri no, come per esempio il gene per il recettore per la
lipoproteina a bassa densità e il gene INSIG1, noti per essere coinvolti nella sintesi dei lipidi e
metabolismo, o ancora il gene per il recettore per l’ipocretina, HCRTR2, importante per la
regolazione del sonno e della veglia.

La scoperta del ritmo circadiano di questi geni, osservano i ricercatori, apre le porte alla
possibilità di identificare nuovi biomarcatori per la depressione, ossia molecole che segnalano il
disturbo e che possono essere rilevate nel sangue, nella pelle o nei capelli.

Resta ora da capire perché l’orologio circadiano sia alterato nella depressione. “Abbiamo bisogno di
imparare di più sulla natura dell’orologio stesso, e capire se, resettando l’orologio, sia possibile
aiutare le persone a stare meglio”, ha detto note Huda Akil, uno degli autori dello studio.

www.pnas.org/cgi/doi/10.1073/pnas.1305814110

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