I sedici esercizi del Sutra Anapansati 1 2 3

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I sedici esercizi del Sutra Anapansati 1 2 3

Commento del venerabile maestro Thich Nhat Hanh, tratto da due discorsi di Dharma tenuti il 18 e 22
gennaio 1998 a Plum Village.

Il Sutra Anapanasati, o Sutra sulla Piena Consapevolezza del Respiro*, tratta dei sedici esercizi
per la pratica della respirazione cosciente. È un sutra fondamentale e di grande bellezza. Esistono
molti sutra importanti, ma avvicinarsi ad essi senza aver prima studiato il Sutra Anapanasati è come
tentare di salire in cima ad una montagna senza l’aiuto di un sentiero già tracciato.

La diffusione di questo sutra in Vietnam è iniziata nel I secolo dopo Cristo, ma il primo commento,
opera del maestro Tang Hoi, risale al III secolo ed è in cinese. Dell’Anapanasati, infatti, esistono
diverse versioni nel Canone cinese, ad esempio nel Samyukta Agama, oltre alla versione del Canone
pali, contenuta nel Majjhima Nikaya. Purtroppo il testo cinese, intitolato “Il Grande Sutra sul
Respiro”, non è chiaro quanto il sutra corrispondente in pali, anche se, ad un attento confronto,
dopo oltre 2.500 anni, le differenti traduzioni appaiono sovrapponibili per circa il 90 per cento. E
questo è meraviglioso.

Tuttavia i sedici esercizi esposti nel Canone Pali sono molto più efficaci. Per questa ragione ho
tradotto in vietnamita e in inglese quest’ultima versione. Il metodo della presenza mentale
attraverso il respiro consente di raggiungere visione profonda e liberazione. Sono certo che il
Buddha stesso, anche dopo aver raggiunto l’illuminazione, ha continuato a seguire il proprio respiro
in consapevolezza. Respirare in consapevolezza significa essere sempre padroni di se stessi, essere
il conducente della propria automobile, sapere come prendersi cura di sé in modo stupendo. Anche se
diventerete dei Buddha dovrete continuare a nutrire con cura corpo e mente.

I primi quattro sono focalizzati sul corpo; i secondi quattro sulle sensazioni, da intendersi come
una formazione mentale; i successivi quattro sulla mente, che equivale ad altre quarantanove
formazioni mentali; gli ultimi quattro sono focalizzati sui fenomeni, ovvero le percezioni, la
cinquantunesima formazione mentale. In questo senso è possibile tracciare un parallelo con il Sutra
sui Quattro Fondamenti della Presenza Mentale, che ci invita a mettere in pratica la contemplazione
del corpo, delle sensazioni, della mente e degli oggetti della mente.

Nel primo esercizio del Sutra Anapanasati riconosciamo una cosa semplice e miracolosa:

“Inspirando, so che sto inspirando. Espirando, so che sto espirando”.

Riportate la vostra mente al corpo e al respiro, e all’improvviso vi rendete conto: “Oh, sto
inspirando, sto espirando”. Riconoscete semplicemente il vostro respiro. Dire “so che sto.”
significa che state portando tutta la vostra attenzione, tutta la vostra mente, sull’inspirazione e
sull’espirazione. Poiché l’attenzione della vostra mente è tutta concentrata sul respiro, ecco che
senza sforzo potete lasciare andare le preoccupazioni, la rabbia, l’avidità, la paura, la gelosia.
La presenza mentale è come una guardia che controlla i cancelli di una fortezza e che, quando vede
una persona che entra o esce dalla fortezza, sa se si tratta di una persona del posto o di uno
straniero.

La presenza mentale è la guardia che sa che state inspirando e sa che state espirando. La vostra
mente sa riconoscere se una certa energia è salutare o nociva. Andando avanti, sviluppando sempre di
più la pratica, saprete riconoscere “questa è gelosia, quella è compassione”, ma all’inizio
esercitate semplicemente la mente a riconoscere il respiro. Alcuni mettono una mano sull’addome e vi
portano tutta l’attenzione: “Il mio addome si solleva (inspirando), il mio addome si abbassa
(espirando)”. Concentrando la vostra attenzione sul sollevarsi e l’abbassarsi dell’addome, tutti gli
altri pensieri si arrestano. Quando ricevete delle notizie che vi agitano, e non riuscite a dormire,
portate tutta la vostra attenzione al movimento dell’addome: consentirete così al cervello di
riposare, all’agitazione e all’irritazione di calmarsi. Continuando questo esercizio anche per soli
5, 10 o 15 minuti riuscirete a conciliare un sonno profondo.

Il secondo esercizio consiste nell’osservare e prendere atto della lunghezza del respiro:

“Inspirando un lungo respiro, so che sto inspirando un lungo respiro. Espirando un lungo respiro, so
che sto espirando un lungo respiro”.

Oppure:

“Inspirando un respiro breve, so che sto inspirando un respiro breve. Espirando un respiro breve, so
che sto espirando un respiro breve”.

Ci sono dei praticanti che cercano di forzare e modificare il proprio respiro. Il Buddha ha detto
che questo non è il modo corretto. Non pensate che un respiro lungo sia meglio di un respiro breve,
o viceversa. Prendete soltanto atto della lunghezza del vostro respiro per quella che è
naturalmente. A volte il fatto che il respiro sia corto è un bene, come quando, dopo aver fatto un
grosso sforzo, abbiamo bisogno di fare dei respiri più brevi. Altre volte,
invece, ci può far bene stenderci e fare dei respiri lunghi e profondi.

Un respiro lungo va bene, un respiro breve va bene, tutto dipende da cosa è meglio per il corpo e la
mente in quel momento. Siate dunque semplicemente consapevoli del vostro respiro, senza cercare di
intervenire su di esso. Non fate nulla, se non osservare e riconoscere, senza reprimere o forzare.
Quando c’è il sole, la sua luce non fa altro che risplendere sulla terra. Non cerca di diffondere i
suoi raggi ovunque e non obbliga la terra ad assorbirli. Il sole splende e basta.

Cerchiamo di praticare in modo totalmente non violento, in modo amorevole verso il nostro respiro.
Quando siete seduti con la schiena curva non dovete far altro che riconoscere questo fatto: con
naturalezza il vostro corpo tornerà nella posizione corretta. Non dobbiamo dire quanti secondi o
quanti metri è lungo il respiro! Dobbiamo solo esserne consapevoli durante tutta la sua durata:
cominciamo dall’inizio dell’inspirazione e teniamo la mente insieme al respiro fino alla fine.
Quando espiriamo è lo stesso: seguiamo da vicino il respiro finché non ha termine. Il praticante
deve dedicarsi diligentemente a questi due primi esercizi, in modo da padroneggiarli.

Il terzo esercizio consiste nell’essere consapevoli del corpo:

“Inspiro e sono consapevole di tutto il mio corpo, espiro e sono consapevole di tutto il mio corpo”.

Inspirando sono consapevole dell’aria che entra e riempie i miei polmoni. Posso sentire l’espansione
e la contrazione del diaframma, sento che il respiro tocca ogni parte del corpo. Il respiro è
connesso ai movimenti del corpo, ma nel Buddhismo esso è inteso anche come parte della mente. Quando
camminate siete consapevoli di ogni vostro passo e quando alzate una mano portate l’attenzione al
sollevarsi della mano. Se alzando la mano
seguite il respiro, questo diventa elemento di unione tra corpo e mente. Seguendo il proprio respiro
si possono unire corpo e mente per cinque o dieci minuti, e anche più, mentre se non siamo
consapevoli del respiro la mente avrà la tendenza a divagare.

Quando corpo e mente sono insieme potete guardare in profondità, mentre se la mente è lontana e
insegue i pensieri è difficile ottenere sufficiente concentrazione. E senza concentrazione vediamo
le cose in modo superficiale. Alcuni insegnanti di Dharma del passato interpretavano questo
esercizio come: “Sono consapevole dell’intero corpo del respiro”. Non sono d’accordo con questa
interpretazione perché si tratterebbe di una ripetizione del secondo esercizio, che consiste già
nella consapevolezza della lunghezza del respiro, “il corpo del respiro”. Questa interpretazione
parte dal presupposto che se siamo consapevoli di tutto il corpo, l’oggetto della nostra
concentrazione diventa troppo vasto: ci sono il cuore, il fegato e tutti gli altri organi. Per
questo preferisce limitare la concentrazione al “corpo del respiro”.

Ma questo, a mio avviso, è sbagliato. Intere generazioni di praticanti hanno commesso questo errore.
È estremamente importante essere consapevoli del proprio corpo. Il fegato, il cuore, gli occhi, le
orecchie, l’intestino sono tutti elementi molto importanti della nostra pratica. Dobbiamo essere in
pace con il nostro corpo, trattarlo in modo amichevole. Abbiamo invece spesso la tendenza ad
odiarlo, a pensare che il corpo sia nemico della nostra spiritualità.

Il quarto esercizio consiste nel calmare il corpo:

“Inspiro e calmo e rassereno l’intero corpo. Espiro e calmo e rassereno l’intero corpo”.

Il corpo può essere agitato, il fegato o il cuore possono non essere in buone condizioni. Nel quarto
esercizio seguiamo il respiro e calmiamo il corpo: calmiamo il fegato, il cuore, le palpebre, gli
occhi, l’intestino, ogni parte del corpo. Se praticando non cercate di calmare il corpo, come potete
calmare la mente? Per prima cosa, quindi, entrate in contatto con il corpo e calmatene ogni parte.
In seguito calmerete ogni parte della mente.

A volte abbiamo così tante preoccupazioni, ansie, paure, che il nostro corpo diventa teso, si
irrigidisce ed è causa di molti disturbi. Non si tratta di malanni gravi, ma di piccoli problemi
legati alla non buona condizione della mente che nuoce al nostro organismo. Dobbiamo, quindi, per
prima cosa ritornare al corpo: “Sei lì mio piccolo cuore, so che lavori duro e io non ti presto
attenzione. Fumo, bevo troppo, e così ti faccio soffrire”.

Sorridiamo al cuore o al fegato, sappiamo che sono in difficoltà e che stanno lanciando un segnale
d’aiuto. Non pratichiamo il calmare solo a parole: abbiamo bisogno di sentire che ogni parte del
nostro corpo è davvero in pace. Arriviamo ora ai quattro esercizi che hanno a che vedere con le
sensazioni: il quinto è sulla gioia, il sesto sulla felicità, il settimo è sulle attività della
mente, mentre nell’ottavo calmiamo le attività della mente e le sensazioni.

Iniziamo dal quinto:

“Inspiro e provo gioia. Espiro e provo gioia”.

Potete praticare questo esercizio scrivendo una lista di tutte le cose che vi danno gioia. Ma, anche
qui, non dite “inspiro e provo gioia” solo a parole. Dovete sentire davvero in voi questa gioia.
Inspirando non ho il cancro, non ho avversione, sono ancora molto giovane, in buona salute, sono
così fortunata da essere in contatto con la pratica. Fate una lista scritta di tutte le cose
positive in voi e attorno a voi, in modo da poter essere davvero
in contatto con la vostra gioia e trarne nutrimento.

In Occidente le persone confondono l’eccitazione con la felicità. Molti giovani fraintendono e
pensano che gioia e felicità siano la stessa cosa. Hanno molta eccitazione, ma non sono veramente
felici. In realtà gioia e felicità sono due cose diverse. Per fare un esempio, se ci siamo persi in
un deserto e all’improvviso vediamo in lontananza un’oasi, iniziamo a sentire gioia ed eccitazione
perché sappiamo che presto avremo acqua da bere. Quando arriviamo a bere quell’acqua, l’eccitazione
inizia a diminuire. Nella nostra gioia c’è un po’ di pace, perché ora stiamo bevendo davvero.

Gustiamo realmente quella gioia: ecco, la felicità è assaporare fino in fondo quell’acqua, non è la
gioia eccitata di quando stavamo pregustando quel bere. Per essere felici dobbiamo vivere in
profondità il momento presente. Respiriamo con gioia, consapevoli di avere già molte condizioni per
la felicità. Entriamo in contatto con tali condizioni, rallegrandocene e vivendole con pienezza.

Il sesto esercizio consiste proprio nel godere concretamente delle cose meravigliose che abbiamo:

“Inspiro e mi sento felice. Espiro e mi sento felice”.

Inspirando entro in contatto con le condizioni di gioia, provo gioia. Espirando abbraccio la gioia,
la assaporo, e la gioia diventa felicità. La gioia deve condurre alla felicità. La funzione della
gioia e della felicità è quella di nutrirci, non di essere ragioni di sofferenza. Sono queste la
gioia e la felicità sane, non la gioia e la felicità dei desideri dei sensi, come la gioia del
potere, del sesso, della buona tavola. Eppure ci sono persone che passano la giornata pensando solo
cose negative su se stessi e sugli altri. E più pensano in questo modo più si arrabbiano, si sentono
frustrate. Per questo il Buddha ha insegnato: “Nutri te stesso con la vera gioia e la vera
felicità”.

La pratica del quinto e del sesto esercizio va fatta senza fretta. Vivete concretamente la gioia e
la felicità che sono attorno a voi e in voi. Siate in contatto con i vostri meravigliosi occhi, che
possono vedere il blu del cielo, il verde della vegetazione. Potete ascoltare il canto della pioggia
e degli uccelli, potete godere di molte cose! Per costruire la vostra felicità usate l’intelligenza.
È vero, c’è sofferenza, ma entrate per prima cosa in contatto con le meraviglie della vita e
nutritevene. Poi potrete guardare con più serenità ciò che non va bene e prendervene cura per
trasformarlo.

La meditazione è cibo, la felicità è cibo. Se la meditazione seduta non dona pace e gioia, ciò
significa che nella pratica c’è qualcosa che non va. Ci sono probabilmente degli ostacoli, prodotti
dalla nostra mente, che impediscono di essere in contatto con le condizioni per la felicità. Queste
ultime sono numerose, ma non riusciamo ad apprezzarle. Quando succede questo dovremmo incontrare il
nostro insegnante o i nostri amici spirituali e chiedere il loro aiuto per rimuovere quegli
ostacoli.

“Inspiro e provo gioia” è una pratica che andrebbe fatta ogni giorno, perché la gioia dà vita e
conduce alla felicità. Inspirando, sono in contatto con le condizioni per la gioia, provo gioia.
Espirando, abbraccio quella gioia. Ed essendo davvero in contatto con essa, la gioia diventa
felicità. Chiediamo anche ai nostri fratelli e sorelle nel Dharma come praticano, in modo da
imparare dalla loro esperienza e migliorare ogni giorno la nostra pratica.

Nel settimo esercizio siamo consapevoli di tutte le sensazioni:

“Inspiro e sono consapevole delle sensazioni che sono in me. Espiro e sono consapevole delle
sensazioni che sono in me”.

Nel settimo esercizio pratichiamo la consapevolezza delle sensazioni, usando la presenza mentale per
essere in contatto con ciò che sta accadendo. Se proviamo una sensazione gioiosa, siamo
profondamente consapevoli di questa sensazione e così continuiamo a nutrirla. Ad esempio, se state
mangiando un’arancia, siete davvero consapevoli del suo dolce sapore. Se, però, mangiando
quell’arancia siete gelosi o arrabbiati con qualcuno, il
dolce spicchio d’arancia è come un fantasma, in quanto non lo potete assaporare pienamente.

La presenza mentale può riguardare anche cose negative: un collega, ad esempio, vi offre dell’alcol
e mentre bevete vi rendete conto del danno che può causare al fegato e alla mente. Grazie alla
presenza mentale potete iniziare a capire come rifiutare ciò che danneggia il vostro benessere. Se,
invece, siete assaliti dalla gelosia, potete riconoscerla e dire: “Mia piccola gelosia, so che ci
sei”, senza criticare o giudicare quella sensazione. In questo esercizio siete semplicemente
consapevoli delle sensazioni: il dolce spicchio d’arancia, la gelosia, l’alcol. Se non lo foste,
potreste berne molti bicchieri, o pronunciare parole crudeli a causa della vostra gelosia.

Senza presenza mentale si possono fare molte cose dannose. Essere consapevoli: è facile a dirsi, ma
non è affatto una pratica semplice. Pratichiamo allora con una comunità in cui ci si sostenga l’uno
con l’altro. Per riuscire a sostenere la
presenza mentale di altri fratelli e sorelle nel Dharma, esercitate voi stessi alla piena
consapevolezza di ciò che sta succedendo nel vostro corpo e nella vostra mente.

L’ottavo esercizio consiste nel calmare tutte queste sensazioni:

“Inspiro e calmo e rassereno le attività della mente in me. Espiro e calmo e rassereno le attività
della mente in me”.

È necessario mantenere calma qualsiasi sensazione, anche una sensazione di gioia. Perché nella gioia
c’è eccitazione e quell’eccitazione deve essere calmata. Persino la felicità va calmata. Se poi in
noi c’è una sensazione dolorosa, che deriva dalle nostre preoccupazioni, da rabbia, gelosia,
disperazione, è davvero necessario riconoscere e abbracciare quella sensazione. Questo esercizio
consiste proprio nel calmare le sensazioni, nello stesso modo in cui si calma un bambino che ha il
mal di pancia: ci rendiamo conto che ha male alla pancia, lo teniamo in braccio e lo calmiamo. Come
praticanti dovete sapere come fare, non dovete lasciar passare del tempo, permettendo alle
sensazioni di distruggere il vostro corpo e la vostra mente.

Quando in voi c’è una sensazione, specialmente una sensazione dolorosa, dovete sapere come usare
l’energia della presenza mentale per abbracciare quella sensazione, come una madre che abbraccia il
suo bambino. Dicendo: “Sono qui, sono qui. La tua mamma è qui, la mamma è qui. Quindi non aver
paura. Mi occuperò di te, abbraccerò la tua sofferenza”. Non scappate da quella sensazione! E quando
riuscite ad abbracciarla, usate il metodo dell’inspirazione e dell’espirazione per calmarla.

Abbiamo visto che i primi quattro esercizi hanno come oggetto il corpo, mentre i successivi quattro
sono centrati sulle sensazioni. Le sensazioni possono sorgere dal corpo o dalle percezioni. A volte
abbiamo mal di testa o mal di stomaco, fenomeni che appartengono al corpo e che ci causano una
sensazione dolorosa. Al contrario, se abbiamo dei vestiti caldi con cui coprirci e cibo a
sufficienza sorge in noi una sensazione piacevole proveniente dal corpo. Prendersi cura del corpo
significa, quindi, procurarci delle sensazioni piacevoli. E lo stesso vale per le percezioni. Se ci
prendiamo cura delle percezioni, ridurremo le sensazioni dolorose, anche fisiche, che provengono da
esse. Le nostre percezioni erronee sono, infatti, la radice di innumerevoli sensazioni di carattere
emotivo: rabbia, tristezza, paura, preoccupazione, desiderio.

Possiamo dire, dunque, che l’oggetto della seconda serie di quattro esercizi sono le sensazioni, che
sono in relazione sia con il corpo che con le percezioni. Passiamo ora agli esercizi dal nono al
dodicesimo, focalizzati sulla mente. In questo caso per mente intendiamo le formazioni mentali.
Dalla psicologia buddhista sappiamo che ci sono cinquantuno formazioni mentali. Le sensazioni e le
percezioni sono due di esse. Ne rimangono, quindi, quarantanove. La mente viene associata a queste
ultime. Infine, gli esercizi dal tredicesimo al sedicesimo hanno per oggetto i dharma, i fenomeni,
che
colleghiamo alle nostre percezioni. Prendendoci cura delle percezioni possiamo trasformare
completamente la grande sofferenza che ci procurano.

Nel nono esercizio siamo consapevoli

“Inspiro e sono consapevole delle formazioni mentali. Espiro e sono consapevole delle formazioni
mentali”.

Come abbiamo detto, questo esercizio è diverso dal settimo, che prendeva in considerazione soltanto
le sensazioni, mentre qui entrano in gioco tutte le formazioni mentali. Inspirando, sono
consapevole, riconosco la formazione mentale che è presente in me in questo momento, che si tratti
di rabbia, tristezza, gelosia o avversione. La riconosco e la chiamo per nome: orgoglio, sospetto,
visione erronea, avidità. Questo è davvero
importante: le formazioni mentali vanno prima chiamate per nome e poi abbracciate.

Nel decimo esercizio rassereniamo la mente:

“Inspiro e calmo e rassereno la mente. Espiro e calmo e rassereno la mente”.

Come è possibile rendere più gioiosa una formazione mentale già presente in noi? Come possiamo fare
sorgere delle formazioni mentali positive, benefiche? Immaginiamo di disegnare un cerchio e di
dividerlo in due. La parte inferiore rappresenta la coscienza deposito, mentre nella parte superiore
individuiamo la coscienza mentale. Sappiamo che la coscienza deposito custodisce tutti i semi.

Quando questi semi si manifestano diventano
formazioni mentali e dobbiamo esserne consapevoli. Come possiamo far comparire delle formazioni
mentali positive nella nostra coscienza mentale? Abbiamo dei semi buoni in noi: è possibile
individuarli e aiutarli a manifestarsi per rasserenare la mente? In noi ci sono i semi della gioia,
della felicità, dell’amore, del perdono: ci sono stati trasmessi dai nostri genitori, dai nostri
insegnanti, dai nostri patriarchi. Dobbiamo aiutarli a crescere
ogni giorno.

Nel decimo esercizio cerchiamo proprio di entrare in contatto con questi semi, per permettere loro
di manifestarsi come formazioni mentali. Se lasciamo che siano soltanto i semi della tristezza a
manifestarsi, questi prenderanno tutto lo spazio della nostra coscienza mentale, soffocando i semi
positivi. Non ci sarà più posto per la gioia. Permettiamo allora ai semi di felicità di germogliare
ogni giorno, nutrendoli con l’ascolto dei discorsi di Dharma, con la pratica, con la meditazione
camminata, respirando in consapevolezza, leggendo i sutra.

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