Gli esseri umani percepiscono il campo magnetico terrestre

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Gli esseri umani percepiscono il campo magnetico terrestre

Gli esseri umani hanno un “sesto senso” che percepisce il campo magnetico terrestre

di Viola Rita

30 Marzo 2019

Anche l’essere umano, come vari animali, sembra percepire, anche se in maniera inconscia, le
variazioni del campo magnetico terrestre. Questa antica abilità, che oggi è stata studiata
attraverso l’attività elettrica del cervello, consentirebbe anche un migliore orientamento nello
spazio. L’essere umano potrebbe essere sensibile in maniera inconscia alle variazioni del campo
magnetico terrestre (o campo geomagnetico). Questo è il risultato di uno studio di geoscienziati e
neurobiologi, coordinati dall’Istituto di tecnologia della California a Pasadena. Il gruppo ha
identificato una serie di percorsi cerebrali legati alla percezione inconscia della presenza del
campo magnetico della Terra, aprendo un settore di ricerca finora rimasto quasi inesplorato. I
risultati sono pubblicati su eNeuro, rivista open access della Società per le neuroscienze con sede
a Washington.

Il campo magnetico terrestre rappresenta un fenomeno fisico importante per la vita sulla Terra, dato
che si estende in quota per diverse decine di migliaia chilometri e individua la cosiddetta
magnetosfera, che ci protegge da raggi cosmici e altre radiazioni. Tuttavia il campo geomagnetico
non è costante nel tempo e non è uniforme nello spazio: le sue variazioni possono essere rilevate a
livello giornaliero, mensile o annuale. Alcuni animali, come tartarughe marine e uccelli migratori,
sono in grado di percepire queste alterazioni ed hanno una percezione del campo geomagnetico. Questa
percezione, chiamata magnetoricezione, fornisce un supporto biologico al loro sistema di navigazione
spaziale. In questo modo, gli animali aggiustano i loro spostamenti anche sulla base del campo
magnetico terrestre.

Questa particolare abilità innata e inconscia è stata studiata nel mondo animale. Già in passato è
stata formulata l’ipotesi che questo possa avvenire anche nell’essere umano, tuttavia finora la
magnetoricezione nell’uomo non era stata dimostrata. Per provarla, gli autori hanno realizzato un
esperimento coinvolgendo un gruppo di 34 volontari adulti. Gli scienziati hanno applicato
un’elettroencefalografia (Eeg), che registra l’attività elettrica del cervello, mentre
riproducevano, in una particolare stanza, una manipolazione del campo magnetico terrestre. Questa
manipolazione consiste in una stimolazione cerebrale che serve a riprodurre variazioni rilevanti del
campo magnetico terrestre.

Negli esperimenti è stata utilizzata una camera oscurata e schermata dall’esterno. Questa camera è
avvolta da un insieme di tre gruppi, uno dentro l’altro, di spire quadrate ortogonali percorse da
corrente, diventando di fatto un grande campo magnetico. Questo apparato serve per manipolare in un
ambiente protetto e controllato il campo magnetico terrestre. I partecipanti sedevano a occhi chiusi
all’interno della stanza, rivolti verso il Nord. Nella camera il campo magnetico veniva ruotato
oppure rimaneva fisso in una certa direzione o ancora non veniva applicata alcuna manipolazione del
campo magnetico terrestre. All’inizio e alla fine dell’esperimento venivano inviati segnali sonori.

In base ai risultati dell’elettroencefalografia, i ricercatori hanno osservato una diminuzione, in
alcuni partecipanti, di specifiche onde cerebrali. In generale tutte queste onde sono la
manifestazione cerebrale dell’attività elettrica ripetitiva del tessuto nervoso. In particolare,
calavano le onde alfa, caratterizzate da una frequenza che va dagli 8 ai 13,9 hertz, proprie dello
stato di veglia ad occhi chiusi e che precedono l’addormentamento. Hanno infatti una frequenza più
bassa rispetto a quella delle onde beta (dai 14 ai 30 hertz) associate alla veglia e a un’attività
cerebrale intensa.

Questa riduzione delle onde alfa è stato riprodotta più di una volta nei partecipanti che hanno
mostrato una risposta maggiore: dunque il fenomeno è risultato riproducibile. Secondo gli autori, i
dati supportano l’idea che nell’essere umano il meccanismo sia simile a quanto avviene negli animali
soggetti alla magnetoricezione, come gli uccelli migratori. La riduzione della banda alfa delle onde
cerebrali, scrivono gli autori nello studio, è una chiara firma neurale dell’elaborazione, a livello
della corteccia cerebrale, dello stimolo geomagnetico. Anche se ancora il significato funzionale,
ovvero la funzione di questa risposta cerebrale, è ancora sconosciuto.

Il prossimo passo potrebbe essere quello di studiare ancora più in profondità la magnetoricezione
nell’essere umano, in diverse popolazioni, per capire in che modo funziona questa antica abilità,
che lavora, come una sorta di sesto senso per il campo magnetico terrestre. Una strada da percorrere
potrebbe essere quella di capire come si è evoluta la magnetoricezione e come funziona a livello
individuale.

wired.it

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