Einstein e il paradosso EPR

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Einstein e il paradosso EPR

Perché ad Einstein non piaceva la fisica quantistica? Il paradosso EPR

Nel 1935 Einstein e due suoi colleghi, Podolsky e Rosen, descrissero un esperimento passato alla
storia della fisica come paradosso EPR: di cosa si tratta?

Antonella Ravizza – 17/07/2019

Verso l’inizio del 1900 le teorie di Albert Einstein non si conciliavano molto con le implicazioni
della nascente fisica quantistica, a tal punto che nella conferenza di Solvay del 1927, dedicata a
importanti problemi aperti riguardanti elettroni e fotoni, Einstein propose alcuni esperimenti per
rilevare alcune inesattezze nella teoria quantistica. Le sue obiezioni furono in seguito confutate
da Bohr e il “povero” Einstein, pur accettando la delusione, continuò ad approfondire l’argomento.

Il paradosso EPR

Nel 1935 Einstein e due suoi colleghi, Podolsky e Rosen, descrissero un esperimento passato alla
storia della fisica come paradosso EPR. Einstein rifiutava la teoria quantistica perché questa
sostiene che solo dopo aver misurato il valore della proprietà di una particella, la particella
stessa acquista realtà fisica, invece prima della misura va considerata come una sovrapposizione di
stati. Sono note le frasi che ripeteva spesso: “Mi piace pensare che la luna stia lì anche se non la
sto guardando” e “Dio non gioca a dadi” e ancora: “Se, senza disturbare in alcun modo un sistema,
possiamo predire con certezza il valore di una quantità fisica, allora esiste un elemento di realtà
fisica corrispondente a questa quantità fisica”.

Secondo Einstein, infatti, se una proprietà fisica di un oggetto può essere vista anche senza che
l’oggetto sia osservato, allora la proprietà stessa non può essere stata creata dall’osservazione,
ma deve essere una realtà fisica anche prima dell’osservazione.
Secondo Einstein l’entanglement poteva essere usato per trovare un’incoerenza nella teoria
quantistica. Ricordiamo che cos’è l’entanglement: è un fenomeno quantistico in cui ogni stato
quantico di un insieme di due o più sistemi fisici dipende dallo stato di ciascun sistema.

Chiariamo il concetto con un esempio: consideriamo un raggio di luce, composto da un flusso di
fotoni. La direzione del campo elettrico della luce è detta la sua direzione di polarizzazione. La
direzione di polarizzazione di un fotone può formare qualsiasi angolo, ad esempio “verticale” o
“orizzontale”. È possibile generare una coppia di fotoni entangled se, per esempio, un cristallo
viene irradiato da un laser. In questo caso un singolo fotone può dividersi per formarne due.
Ciascun fotone prodotto in questa maniera avrà sempre una polarizzazione ortogonale a quella
dell’altro: ad esempio, se un fotone ha polarizzazione verticale, allora l’altro dovrà avere
polarizzazione orizzontale (questo per la conservazione del momento angolare: il momento angolare
del sistema prima della divisione deve essere uguale al momento angolare del sistema dopo la
divisione). Quindi, se due persone ricevono ciascuno uno dei due fotoni entangled e ne misurano la
polarizzazione, scoprono che quella del fotone ricevuto dall’altra persona sarà ortogonale a quella
del proprio. Sembrerebbe esserci un’apparente connessione fra le particelle, che prescinde dalla
loro distanza. Questo vuol dire che la misura della proprietà è dipendente dal tipo di osservazione
effettuata sull’altra particella entangled: c’è una connessione istantanea fra le particelle.

Consideriamo ora due fotoni entangled, uno dei quali inviato a un osservatore donna, e l’altro
all’osservatore uomo. I due osservatori possono anche essere lontani fra loro, ma i due fotoni
entangled devono avere polarizzazioni ortogonali. Quindi quando la donna misura la polarizzazione
del suo fotone e la trova, diciamo, verticale, sappiamo istantaneamente che il fotone dell’uomo avrà
polarizzazione orizzontale – anche se l’uomo non l’ha ancora misurata! La teoria quantistica però ci
dice che prima che l’uomo misuri il suo fotone, questo non può avere valore preciso per la sua
polarizzazione, ma si trova in una sovrapposizione di stati. Solo nel momento in cui l’uomo lo
misura diventa fisicamente vero.

Come si può allora sapere il risultato prima della misura? Secondo la teoria quantistica, la
misurazione della polarizzazione verticale della donna fa collassare istantaneamente entrambi i
fotoni, così il fotone dell’uomo risulterà polarizzato orizzontalmente.

Einstein e la teoria di Bell

Tuttavia Einstein sosteneva che queste comunicazioni istantanee del valore della polarizzazione fra
i due fotoni non potevano essere in accordo con la relatività, perché niente può viaggiare più
veloce della luce. Einstein credeva quindi che l’unico modo per uscire da questo paradosso fosse di
assumere che il fotone dell’uomo possedesse alcune proprietà fisse che sono nascoste alla nostra
vista, chiamate variabili nascoste, e come lui tutte le particelle. In questo modo non sono
richieste comunicazioni più veloci della velocità della luce, perché la proprietà della particella è
fissata quando la particella stessa è creata. Nel 1964 John Bell sviluppò un teorema per dimostrare
l’azione a distanza. Si arrivò alla seguente conclusione: ciò che succede a una particella influenza
immediatamente le altre. Einstein, come al solito, aveva influenzato la fisica del futuro!

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