Corso di Meditazione Vipassana 3

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Corso di Meditazione Vipassana 3

S.N. GOENKA
< I DISCORSI >
(parte terza)

(Questi discorsi, tenuti da S.N. Goenka durante un
corso di meditazione Vipassana, sono stati riassunti e
curati da William Hart)

DISCORSO DEL TERZO GIORNO
Il Nobile Ottuplice Sentiero: paññ± – saggezza
acquisita, saggezza intellettuale, saggezza basata
sull’esperienza – kal±pa – i quattro elementi – le
tre caratteristiche: impermanenza, illusoria
natura dell’io, sofferenza – andare al di là della
realtà apparente.

Il terzo giorno è passato. Domani pomeriggio entrerete nel
campo di paññ±, saggezza, la terza parte del Nobile
Ottuplice Sentiero. Senza la saggezza il sentiero rimane
incompleto.

Si inizia il sentiero praticando s²la, cioè astenendosi dal
danneggiare gli altri; ma anche se non si fa del male agli
altri, si può danneggiare se stessi col generare negatività
nella propria mente. Per questa ragione si inizia ad
esercitare sam±dhi, si impara cioè a controllare la mente,
ed a sopprimere le negatività che vi si sono manifestate.
Comunque, sopprimere le negatività non vuol dire
eliminarle. Esse rimangono nell’inconscio e lì si
moltiplicano, continuando a nuocere. Ecco allora il terzo
gradino di Dhamma, paññ±: non permettendo alle
negatività di sfogarsi, né sopprimendole, le si lascia venire
a galla in modo da sradicarle.

Quando le negatività sono sradicate, la mente è libera
da impurità. E quando la mente è stata così purificata,
rimane più facile evitare le azioni che danneggiano gli
altri, poiché una mente pura è naturalmente colma di
benevolenza e compassione verso il prossimo. Così si
potranno evitare facilmente anche le azioni che
danneggiano noi stessi. Si vive allora una vita felice e
sana. È necessario fare un passo dopo l’altro sul sentiero.

S²la porta allo sviluppo di sam±dhi, giusta concentrazione;
sam±dhi porta allo sviluppo di paññ±, saggezza
che purifica la mente; paññ± porta al nibb±na, la
liberazione da tutte le impurità, la piena illuminazione.
Paññ± riguarda altre due parti del Nobile Ottuplice
Sentiero:

7) Samm±-saªkappa: giusto pensiero. Nell’attesa di
iniziare a praticare la saggezza, non è necessario
sospendere l’intero processo del pensiero. I pensieri
rimangono, ma cambia il tipo di pensieri. Le negatività
esistenti alla superficie della mente cominciano a
scomparire grazie alla pratica della consapevolezza del
respiro. Invece di pensieri di bramosia, avversione,
ignoranza, si comincia ad avere pensieri sani, pensieri
riguardanti il Dhamma, la via che porta alla liberazione.

8) Samm±-di??hi: giusta comprensione. Questa è
veramente paññ±, comprendere la realtà così com’è, non
come appare.
Vi sono tre stadi nello sviluppo di paññ±. Il primo è
suta-may±-paññ±, saggezza acquisita ascoltando o
leggendo parole dette da altri. Questa saggezza ricevuta è
molto utile per indirizzarci nella direzione giusta.

Tuttavia, da sola essa non può liberarci, perché in effetti è
solo una saggezza presa in prestito. La si accetta come
vera o per fede cieca, o per avversione, perché si ha paura
che si andrà all’inferno, oppure spinti dal desiderio e dalla
speranza che, credendo, si andrà in paradiso. Non si tratta
comunque di una saggezza veramente nostra.

La funzione della saggezza acquisita dovrebbe essere
quella di condurre allo stadio successivo: cint±-may±-
paññ±, comprensione intellettuale. Si esamina razionalmente
ciò che si è letto o udito per vedere se è logico,
pratico, benefico, e solo in quel caso lo si accetta. Anche
questa comprensione razionale è importante, ma può divenire
molto pericolosa se la si considera come un punto di
arrivo. È il caso di chi acquista una conoscenza intellettuale,
e giunge quindi alla conclusione di essere una persona
molto saggia: in realtà, tutto ciò che apprende serve solo a
gonfiare il suo io; un tipo così è lontano dalla liberazione.

La vera funzione della comprensione intellettuale è
quella di condurre allo stadio successivo: bh±van±-
may±-paññ±, la saggezza che nasce all’interno di noi
stessi, a livello di esperienza. Questa è la vera saggezza.
Saggezza acquisita e comprensione intellettuale sono
molto utili se servono come ispirazione e guida per il
passo successivo. Tuttavia, è solo la saggezza a livello di
esperienza che può liberare, in quanto si tratta di saggezza
veramente nostra, basata sulla nostra esperienza.

Il seguente esempio può illustrare i tre tipi di saggezza:
un medico prescrive una medicina ad un malato. L’uomo
va a casa e, per la gran fiducia che nutre verso il suo
medico, recita ogni giorno le parole della ricetta; questa
potrebbe essere suta-may±-paññ±. Non ancora soddisfatto,
l’uomo ritorna dal medico, e chiede e riceve
spiegazioni sulla ricetta, sull’efficacia della medicina e sul
risultato che darà: questa è cint±-may±-paññ±. Finalmente
il nostro uomo prende la medicina: solo allora la
sua malattia viene curata. I risultati positivi si hanno solo
al terzo stadio, quello di bh±van±-may±-paññ±.

Siete venuti a questo corso per prendere personalmente
la medicina, per sviluppare la vostra saggezza personale.
Per fare ciò, dovete comprendere la verità a livello di
esperienza. Nel mondo esiste tanta confusione perché
l’apparenza delle cose è totalmente diversa dalla loro vera
natura. Per dissipare questa confusione, dovete sviluppare
in voi una saggezza che sia frutto dell’esperienza. E

all’esterno della struttura fisica, la verità non si può
sperimentare, ma solo intellettualizzare. Dovete quindi
acquistare la capacità di sperimentare la verità all’interno
di voi stessi, andando dai livelli più grossolani e
superficiali a quelli più sottili, in modo da liberarvi da
tutte le illusioni e da tutte le schiavitù.

Tutti sanno che l’universo è in continuo mutamento, ma
capire questa verità a livello intellettuale non serve a
niente: è all’interno di noi stessi che dobbiamo
sperimentarla. A volte un avvenimento traumatico, come
la morte di qualcuno che ci è molto vicino, o molto caro,
ci costringe a guardare in faccia la cruda realtà
dell’impermanenza, e questo è l’inizio della saggezza,
perché si vede la futilità di correre dietro ai beni di questa
terra, contendendoli agli altri. Ma ben presto si riafferma
la nostra tendenza all’egoismo, e la saggezza svanisce,
perché non era basata su un’esperienza diretta e personale.

Non avevamo sperimentato la realtà dell’impermanenza
all’interno di noi stessi.

Tutto è effimero, sorge e svanisce in ogni istante:
anicca; ma la rapidità e la continuità di questo processo
creano l’illusione della permanenza. La fiamma di una
candela e la luce di una lampadina elettrica sono entrambe
in continuo cambiamento. Se, come nel caso della fiamma
della candela, i nostri sensi possono percepire questo
processo, si è liberi dall’illusione. Ma se, come nel caso
della lampadina elettrica, il cambiamento è così rapido e
continuo che non lo si può percepire con i sensi, allora
l’illusione è molto difficile da spezzare. Si può discernere
il cambiamento costante della corrente di un fiume, ma chi
è in grado di capire che anche l’uomo che si bagna nel
fiume cambia ad ogni istante?

Il solo modo per spezzare questa illusione è di imparare
ad esplorare l’interno di noi stessi e di sperimentare la
realtà della nostra struttura fisica e mentale. È ciò che fece
Siddhattha Gotama per diventare un Buddha. Lasciando
da parte ogni preconcetto, egli esaminò se stesso per
scoprire la vera natura del corpo e della mente. Partendo
dalla realtà apparente più superficiale, egli penetrò fino al
suo livello più profondo e sottile, scoprendo che l’intera
struttura fisica, l’intero mondo materiale, è composto di
particelle subatomiche, chiamate in p±li a??ha kal±pa. E
scoprì che ognuna di queste particelle è composta da
quattro elementi – terra, acqua, fuoco, aria – e delle loro
caratteristiche sussidiarie.

Egli si rese conto che queste particelle sono gli elementi
fondamentali di cui è costituita la materia e che
continuano anch’esse a sorgere e svanire con grande
rapidità – trilioni di volte in un secondo. In realtà il mondo
materiale non possiede alcuna solidità: esso non è che
combustione e vibrazioni.

Gli scienziati moderni hanno confermato la scoperta del
Buddha e hanno provato, attraverso i loro esperimenti, che
l’intero universo materiale è composto di particelle
subatomiche che nascono e svaniscono con grande
rapidità. Questa saggezza puramente intellettuale non ha
tuttavia liberato questi scienziati dalla sofferenza. A
differenza del Buddha, essi non hanno sperimentato la
verità direttamente, all’interno di loro stessi. È solo quando
si sperimenta personalmente la realtà della propria
impermanenza che si comincia ad uscire dall’infelicità.

Di mano in mano che cresce in noi la comprensione di
anicca, si manifesta un altro aspetto della saggezza:
anatt±, cioè la non esistenza dell'”io” e del “mio”. All’interno
della struttura mentale e fisica, non vi è nulla che

duri più di qualche attimo, nulla che si possa identificare
con un sé permanente o con un’anima. Se qualcosa fosse
veramente “mio”, allora dovrei essere in grado di possederlo,
di controllarlo, mentre invece non ho neppure la
padronanza del mio corpo: esso infatti continua a cambiare,
a deteriorarsi, senza tener conto dei miei desideri.

Allora diviene evidente un terzo aspetto della saggezza,
la comprensione di dukkha, la sofferenza. Il desiderio di
possedere e di aggrapparci a qualcosa che muta e sfugge al
nostro controllo inevitabilmente ci procura sofferenza.
Siamo soliti identificare la sofferenza con esperienze
sensoriali spiacevoli, ma anche quelle piacevoli possono
essere fonte di dolore se nasce l’attaccamento verso di
esse, visto che anch’esse sono impermanenti. Attaccarsi a
ciò che è effimero porta inevitabilmente alla sofferenza.
Quando la comprensione di anicca, anatt± e dukkha
si rafforza, questa saggezza si manifesta nella vita
quotidiana. Come si è imparato a penetrare al di là della
realtà apparente all’interno di noi stessi, così anche nelle
circostanze esterne si sarà in grado di discernere la realtà
apparente, e anche la verità ultima. È così che ci si libera
dalle illusioni, e si vive una vita felice e sana.

Molte sono le illusioni create da una realtà che appare
consolidata ed integrata per esempio, l’illusione della
bellezza fisica. Il corpo appare bello solo nel suo insieme.
Ogni parte di esso, vista separatamente, non è attraente,
non ha bellezza in p±li è asubha. La bellezza fisica è
una realtà superficiale, apparente, non è la verità ultima.

Tuttavia, l’aver compreso la natura illusoria della bellezza
fisica non porterà a repulsione verso gli altri, perché,
nella misura in cui aumenta la saggezza, la mente diventa
naturalmente equilibrata, distaccata, pura, piena di benevolenza
verso tutti. Avendo sperimentato la realtà all’interno di se
stessi, ci si può liberare dall’illusione, dalla bramosia,
dall’avversione, e vivere una vita pacifica e felice.

Domani pomeriggio, quando comincerete a praticare
Vipassana, farete il primo passo sul sentiero di paññ±.
Non aspettatevi, quando inizierete, di vedere subito le
particelle subatomiche che nascono e scompaiono in tutto
il corpo. No, si comincia dalla verità più appariscente e
superficiale e, rimanendo equanimi, si penetra via via fino
a verità più sottili, fino all’estrema verità della materia,
della mente e dei suoi contenuti; e infine si arriva alla
verità ultima, che è oltre la mente e la materia.

Per raggiungere questo traguardo, dovete lavorare con
le vostre sole forze. Quindi rafforzate s²la, poiché questa è
la base della vostra meditazione, e continuate a praticare
Anapana fino alle 15.00 di domani; continuate ad osservare
la realtà nella zona delle narici, continuate ad affinare
la concentrazione della mente in modo che, quando
domani comincerete a praticare Vipassana, potrete
penetrare nei suoi livelli più profondi e sradicarne le
impu-rità più nascoste. Lavorate con pazienza, con
costanza, in continuazione; per il vostro bene, per la vostra
liberazione.

Che tutti voi possiate muovere con successo i vostri
primi passi sul sentiero della liberazione.

Che tutti gli esseri siano felici!

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